12 Aprile 2024
Narrativa

Narrativa fantastica, una rilettura politica, nona parte – Fabio Calabrese

Lo abbiamo già visto le volte scorse: l’idea che la fantascienza nasca da un tentativo ragionevole e “scientifico” di immaginare il nostro futuro, è un’idea che perlopiù non trova alcuna corrispondenza in ciò che la narrativa fantascientifica è nella realtà (da qui viene anche una notevole sopravvalutazione da parte del grosso pubblico dell’intelligenza occorrente per accostarsi a questo genere della narrativa fantastica, sia in veste di lettori, sia in quella di autori).

La mia personale impressione è che a partire dal momento in cui nel 1926 Hugo Gernsback ha dato vita “istituzionale” al genere sulle pagine della rivista “Amazing Stories” (e stiamo parlando ormai di quasi un secolo fa), si sia costruita una mitologia sempre più elaborata sul futuro che si suppone ci attenda, ma a partire sempre, salvo alcune lodevoli eccezioni, dal futuro come era possibile immaginarlo nel 1926. Da qui l’insistenza su di una mitologia e delle convinzioni progressiste che di fatto a quasi un secolo di distanza non trovano più il minimo appiglio nella realtà, una mitologia progressista che trova il suo fondamento in alcuni dogmi irrealistici che sono praticamente il contrario di quanto abbiamo quotidianamente sotto gli occhi: la convinzione che la scienza e la tecnica ci avrebbero messo a disposizione energia e risorse, materie prime e ritrovati tecnologici in quantità praticamente illimitata, che un benessere generalizzato avrebbe smussato gli antagonismi esistenti tra i diversi gruppi umani, che una visione delle cose basata sulla scienza e la razionalità avrebbe eliminato i fanatismi e i fondamentalismi, che entro pochi decenni si sarebbero aperte per l’umanità le porte della colonizzazione dello spazio, che saremmo potuti entrare in contatto con culture e civiltà aliene, eccetera, eccetera.

Tutto questo oggi è ben lontano dal tradursi in realtà, e non è nemmeno ragionevole supporre che possa concretizzarsi in un qualche prevedibile futuro. Perfino quello che possiamo definire un atteggiamento di base razionale e scientifico in termini di visione del mondo, oggi è in palese arretramento rispetto a un secolo fa, poiché quello che i progressisti di cent’anni fa non avevano preso in considerazione e (cosa molto più grave), i progressisti di oggi non calcolano, è il fatto che esso è legato a un preciso tipo umano, vale a dire gli strati acculturati delle popolazioni “occidentali”, cioè bianche caucasiche, oggi palesemente in regresso demografico rispetto all’esuberante umanità “colorata” che ci circonda e ci invade.

Da questo punto di vista, un’agghiacciante profezia come quella contenuta ne Il campo dei santi dello scrittore francese Jean Raspail che ha previsto l’Europa e la sua civiltà distrutte dall’invasione della masse “colorate” del Terzo Mondo, ha colto e sta cogliendo molto più nel segno.

Tant’è, oggi possiamo dire che gran parte della fantascienza rimane un veicolo, forse l’ultimo realmente efficace, dell’ideologia progressista.

L’aspetto più estremo di questo atteggiamento è forse rappresentato dai trekker, vale a dire i fan della (o delle) serie (televisive, cinematografiche e con occasionali ritorni nella narrativa scritta) “Star Trek”. Ricordo anni fa una trasmissione televisiva che aveva dedicato un certo spazio a una convention dei trekker, dove una fan intervistata aveva detto di “non vedere l’ora” che il mondo nel quale viviamo si trasformi in quello di “Star Trek” (percepito come una sorta di profezia sul nostro futuro), cioè che una Terra evoluta e pacificata sia finalmente ammessa a far parte della comunità galattica (perché certamente gli alieni ci stanno osservando in attesa del nostro prossimo passo evolutivo; vi sorprenderebbe sapere quanta gente c’è – e non solo i trekker – che è convinta di ciò). Beh, credo che quella donna avrà cosa aspettare, verosimilmente per tutta l’eternità.

I trekker, in effetti, somigliano molto a una setta, una conventicola religiosa, e non rappresentano il solo esempio di una religione o pseudo-religione creata a partire dalla fantascienza, si può ricordare anche Scientology, “religione” inventata dallo scrittore di fantascienza Ron Hubbard, a riprova del fatto che la razionalità nell’uomo contemporaneo si sta facendo sempre più labile.

L’immaginario fantascientifico in effetti è un immaginario colloso che perlopiù non sa e nemmeno prova a estrapolare il futuro partendo dalla realtà del presente, ma si esercita solo in ulteriori elaborazioni e variazioni della mitologia inventata da Hugo Gernsback nel 1926. Se ricordate, vi avevo già fatto un esempio di ciò con il romanzo La fuga di Logan di W. F. Nolan e G. C. Johnson portato sugli schermi nel 1976 da Michael Anderson. Ovviamente, non si potrebbe fare colpa a questo testo e a questa pellicola separati dal tempo presente da più di una generazione, del fatto di aver sbagliato completamente la loro predizione, ma il fatto è che essi sono diventati “il modello” di un vero e proprio filone di fantascienza sedicente sociologica che continua ancora oggi con una serie di prodotti narrativi e cinematografici più o meno imitativi.

Bene, in questo romanzo e in questa pellicola si immagina un mondo totalmente giovanile, per il semplice fatto che giunte a trent’anni di età, le persone sono soppresse. Non è un mondo per vecchi, si potrebbe dire. Se ci guardiamo in giro, però, vediamo che il mondo “occidentale” moderno è di fatto una gerontocrazia, perché l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e la possibilità di farsi una famiglia sono ritardati al massimo. Non è un mondo per giovani, potremmo dire.

Di questo però la fantascienza “sociologica” non si è minimamente accorta, continua a guardare il mondo con gli occhiali di Gernsback diventati ormai lenti deformanti, a divinare il futuro come se si fosse ancora nel 1926, un eterno 1926 che non passa mai.

Un’operazione interessante che noi potremmo fare, però è questa: premesso che la maggior parte degli autori della fantascienza, cresciuti nella fantascienza, sono venuti su coi paraocchi senza sospettare che le cose potrebbero prospettarsi in maniera diversa, è interessante chiedersi se gli outsiders approdati alla fantascienza da altri campi letterari e culturali, abbiano un approccio diverso.

Il primo dato che si rileva, è che, considerando che la fantascienza esiste come genere codificato da quasi un secolo, e che c’è una produzione considerevolmente vasta, il numero degli outsider che si sono occupati di tematiche fantascientifiche provenendo da ambiti letterari o culturali in genere diversi, è sorprendentemente esiguo. Come se non bastasse, più di una volta, queste incursioni nelle tematiche fantascientifiche di scrittori di altro genere sembrano altrettanti esempi della veridicità del detto “chi vuol far l’altrui mestiere, fa la zuppa nel paniere”. Due esempi tratti da “Urania”: un brutto, veramente brutto anche nel titolo, racconto di Erle Stanley Gardner, il giallista creatore di Perry Mason, Il mondo di Kk-kk, pubblicato da Roger Elwood e Sam Moskowitz nell’antologia Terra incognita, e un’antologia di racconti di Howard Fast, autore di romanzi “di ambiente” come Gli emigranti e Seconda generazione, La mano. Anche in questo caso i racconti sono decisamente scipiti, La mano che dà il titolo all’antologia, ad esempio, parla di un’enorme mano (quella di Dio?) che spegne il sole come se si trattasse di una lampadina.

Una fortunata eccezione è il romanzo L’ultima spiaggia di Nevil Shute, autore di romanzi di guerra come Una città come Alice. L’ultima spiaggia è forse uno dei migliori romanzi che siano stati scritti ambientati in un mondo successivo alla catastrofe rappresentata da un conflitto nucleare, al punto che “l’ultima spiaggia” è diventato un modo di dire entrato nel linguaggio comune (complice anche qui una riduzione cinematografica).

La mia impressione è che gli scienziati che si sono occasionalmente occupati di fantascienza (cioè togliendo dal mazzo coloro che sono sia scienziati sia autori di fantascienza: Isaac Asimov, Fred Hoyle, Arthur C. Clarke) se la sono cavata meglio degli outsider letterati di professione. Nel 1965 la Rizzoli ha pubblicato un’antologia a cura di Groff Conklin: Racconti di fantascienza scritti dagli scienziati. Questi autori-scienziati, molti dei quali appartenenti al ramo della fisica, perlopiù manifestano la preoccupazione per gli effetti di un possibile conflitto nucleare, e non c’è da stupirsene, visto che all’epoca eravamo in piena Guerra Fredda, in ogni caso, manifestano un atteggiamento molto lontano dagli occhiali rosa di tanta fantascienza “professionista”.

Oggi, dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda, la prospettiva di un conflitto nucleare si è allontanata da noi, sembra solo il ricordo di un incubo, ma è proprio così?

Tra i non molti lavori di outsiders che possiamo ricordare, c’è un’antologia di racconti fantastici del romanziere e autore di biografie di numerosi personaggi storici André Maurois, Racconti immaginari, e una raccolta di opere narrative del filosofo Bertrand Russell, Il terribile giuramento della signorina X. Queste esercitazioni narrative del filosofo britannico sono perlopiù, anche se non esclusivamente, di carattere fantastico. L’una e l’altra antologia contengono racconti di valore alquanto ineguale, ma la cosa interessante è che ci sono due racconti, uno di Maurois, l’altro di Russell che hanno praticamente la stessa trama. Quello di Maurois è uno dei tre Frammenti di storia universale, quello di Russell s’intitola L’infrarossiscopio.

L’idea alla base di entrambi è questa: si immagina che una crisi internazionale sia arrivata a un punto estremamente grave, e per evitare lo scoppio di un terzo e definitivo conflitto mondiale, non resta che simulare un’aggressione aliena al nostro mondo. Il guaio è che gli alieni “simulati” esistono davvero, e rispondono al “contrattacco” umano colpendo duro.

A differenza di tutti cantori del progressismo, né il romanziere e autore di biografie, né il filosofo si fanno illusioni: soltanto una minaccia esterna potrebbe indurre l’umanità a mettere da parte la sua aggressività e conflittualità reciproca.

Fred Hoyle che ha alternato l’attività di astronomo a quella di scrittore di fantascienza, non può essere considerato un outsider. Tra l’altro, un fatto che pochi sanno, è che è stato lui a coniare l’espressione Big Bang con cui si individua quella che è la teoria cosmologica corrente. Peccato che si sia persa l’accezione ironica di questo termine (“grande botto”) creato da Hoyle per bollare una teoria a cui assolutamente non credeva.

Un tema ricorrente nella sua narrativa è quello dell’incontro dell’umanità con un’intelligenza aliena che si presenta in forme inconsuete (“saltando” in tal modo tutta la problematica relativa ai viaggi interstellari), una Nuvola nera nel romanzo omonimo e addirittura la cometa di Halley nel romanzo La voce della cometa. La conclusione di quest’ultimo romanzo merita una riflessione: secondo l’autore, noi avremmo imboccato la “finestra temporale” giusta per questo incontro: un secolo fa non avremmo avuto i mezzi tecnici per entrare in contatto, e fra un secolo senza l’intervento dell’intelligenza aliena, ci saremmo distrutti.

Poiché è inverosimile l’incontro con intelligenze aliene, nuvole nere o comete che siano, noi capiamo bene che, proseguendo sulla strada che abbiamo imboccato, l’autodistruzione è l’esito più probabile della nostra civiltà.

Un discorso che all’apparenza sembrerebbe non avere relazione con ciò, è un articolo di Maurizio Blondet comparso sul suo blog “Blondet & Friends” del 26 luglio: Calo vertiginoso del quoziente intellettivo in Europa (come volevasi dimostrare): apprendiamo che secondo le ultime rilevazioni i Francesi in 10 anni hanno perso 4 punti di Q. I. e i Britannici addirittura 14. Per l’Italia al momento non abbiamo dati, ma probabilmente saremo anche noi scesi sotto quel livello di 102 che ci metteva alla pari con la Cina e subito dopo il Giappone (i Giapponesi sembrerebbero essere il popolo più intelligente in assoluto, sarà per questo che da loro non hanno mai attecchito né il cristianesimo, né il marxismo, né la psicanalisi).

Peccato solo una cosa per Blondet, che almeno stavolta l’ho preceduto, che qualche tempo prima un mio articolo sullo stesso soggetto, Il trionfo della stupidità, era comparso su “Ereticamente”.

Le cause del declino dell’intelligenza sono sia di ordine culturale, sia di ordine biologico. Le prime sono costituite dalla decadenza dell’istruzione e dal rimbambimento mediatico, le seconde dipendono dal fatto che la società umana con lo sviluppo della tecnologia ha messo in scacco la selezione naturale che non ha più modo di operare, non solo, ma la nostra struttura sociale sfavorisce l’intelligenza, non soltanto perché arrivano all’età riproduttiva soggetti che un tempo la selezione naturale avrebbe spietatamente eliminato, ma perché sono proprio i più intelligenti a essere sfavoriti dal punto di vista biologico, per il fatto che li si induce a imboccare percorsi formativi più lunghi che ritardano il loro inserimento professionale (statisticamente, per ogni anno che s’innalza la prima gravidanza delle donne di una classe, di un ceto, di un gruppo comunque scelto, la fecondità del gruppo si riduce del 10%).

Tuttavia, non è difficile capire che tutti questi fattori sono comunque insufficienti per spiegare un crollo repentino del quoziente intellettivo come quello avvenuto in Gran Bretagna: quattordici punti in dieci anni, dobbiamo considerare un altro fattore di estrema importanza che si chiama sostituzione etnica, perché la semplice verità è che le genti del Terzo Mondo cui oggi concediamo graziosamente di insediarsi in Europa e anche di “diventare” (o meglio spacciarsi per) britannici, francesi, italiani e via dicendo, e che possono essere considerati “risorse” solo da chi vuole l’Europa popolata da un gregge facilmente manipolabile, sono meno intelligenti delle popolazioni europee native di stirpe caucasica, con uno scarto medio che nel caso – ad esempio – dei neri subsahariani, può arrivare a 30 punti di Q I.

Da almeno mezzo secolo, i motivi per diagnosticare un progressivo declino dell’intelligenza su questo pianeta c’erano già tutti e alcuni autori di fantascienza e futurologi pessimisti li hanno chiaramente colti. In particolare, una Terra futura popolata da orde di ritardati mentali, ci è presentata in I mercanti dello spazio di Frederick Pohl e Cyril M. Kornbluth, e in (titolo molto esplicito) Gli idioti in marcia del solo Kornbluth, che costituiscono un’eccellente dimostrazione di quale potere di penetrazione e previsione del futuro può avere la fantascienza quando non si lascia fuorviare dall’utopia progressista.

Io mi rendo conto che queste considerazioni non inducono molto all’ottimismo, ma la consapevolezza dei problemi è l’unico modo per avere una ragionevole speranza per il futuro, e mettersi gli occhiali rosa o nascondere la testa nella sabbia, non serve a nulla.

NOTA:

Nell’illustrazione, le copertine di tre libri citati nel testo: Il terribile giuramento della signorina X di Bertrand Russell, La nuvola nera di Fred Hoyle e I mercanti dello spazio di Frederick Pohl e Cyril M. Kornbluth.

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