11 Maggio 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, quarantesima parte – Fabio Calabrese

Io penso che l’avrete notato, da qualche tempo c’è stato un cambiamento di passo negli articoli che settimanalmente posto sulle pagine di “Ereticamente”. Per anni ho adottato la prassi di alternare una settimana un articolo della serie Una Ahnenerbe casalinga e poi de L’eredità degli antenati, e la successiva di argomento diverso. Recentemente invece sono passato ad alternare due articoli dedicati alla nostra eredità ancestrale a uno di altro argomento.

Il motivo di ciò dovrebbe essere abbastanza chiaro: nel periodo estivo di questo 2020 abbiamo avuto una vera esplosione di novità (o talvolta ipotesi, comunque degne di essere prese in considerazione, come quella presentata da “Ancient Origins” che identifica Atlantide con l’Irlanda), e non mi è sembrato il caso di parlarvene a una distanza di tempo eccessiva. Nonostante questo, come potete vedere, “la forbice” tra gli eventi che sto registrando e il momento in cui leggerete il relativo articolo su “Ereticamente” non si riesce proprio a comprimere. Al momento in cui sto scrivendo è trascorso da poco l’equinozio di autunno, ma è verosimile che voi non abbiate la possibilità di leggere l’articolo prima del solstizio d’inverno e/o della conclusione dell’anno.

Io mi scuso se l’argomento che affronteremo stavolta ha una dimensione prettamente locale e personale, ma sempre in connessione con quella che è la nostra tematica di fondo: l’antichità e la grandezza della civiltà europea.

Come ho già ampiamente avuto modo di raccontarvi, qui a Trieste si tiene annualmente il festival celtico Triskell nella cornice suggestiva del boschetto del Ferdinandeo, e quest’anno è giunto al ventennale di un’esperienza iniziata nel 2000. Io a questo festival continuo a dare il mio contributo in veste di conferenziere. Come vi ho già spiegato, nell’ambito di una manifestazione che si rivolge a un pubblico indifferenziato, non si possono fare discorsi apertamente politici, ma noi capiamo bene che specialmente oggi che i simboli di tutto ciò che è europeo e bianco sono sotto attacco, rievocare l’antichità e la grandezza della civiltà europea, un significato politico ce l’ha, eccome!

Io ho iniziato a tenere conferenze al Triskell nel 2014, la prima era dedicata al Mondo celtico alle origini dell’Europa, legata a un concetto secondo me molto importante: i Celti sono stati molto maltrattati, o praticamente ignorati da storici e archeologi, visti il più delle volte soltanto come barbari nemici di Roma, perché hanno il torto di rappresentare una cultura, una civiltà diciamolo pure, germogliata nel cuore dell’Europa, lontano da quelle influenze mediorientali che secondo loro sono alle origini della civiltà europea.

L’anno successivo mi sono dedicato a un tema più specifico: Il mito del Graal e il mistero di re Artù, una conferenza che ha letteralmente entusiasmato gli ascoltatori presenti, anche se temo che il merito sia stato più dell’argomento in sé stesso che del conferenziere. Nella nostra cultura ci sono argomenti forti, di sicuro richiamo tutte le volte che se ne parla, in particolare due: il santo Graal e i cavalieri templari, quando si toccano questi temi, il richiamo sul pubblico è assicurato, e questa a mio parere è una chiara dimostrazione del fatto che anche in noi uomini moderni, apparentemente così razionali e pratici, sotto questa superficie “cartesiana” c’è un forte sostrato mitico.

Nel 2016 l’oggetto della mia esposizione sono stati I misteri di Stonehenge, il più noto dei monumenti megalitici europei, che tuttavia non cessa di essere teatro sempre di nuove scoperte, controversie e sorprese. Anche in questo caso, la conferenza ebbe un notevole successo, che mi indusse a fare agli ascoltatori una promessa: l’anno successivo sarei tornato sull’argomento trattando del Megalitismo nelle Isole Britanniche, che non ospitano soltanto Stonehenge e gli altri monumenti della piana di Salisbury nel Wiltshire, ma anche le scozzesi isole Orcadi il cui cuore neolitico è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità, l’irlandese valle del Boyne dove si trovano le tombe a corridoio, la più nota e la più bella delle quali, ma non la sola, è la famosa tomba di Newgrange, e molto altro.

Sempre nella stessa ottica, ampliando ancora l’argomento, nel 2018 ho parlato del Fenomeno megalitico nell’Europa continentale. Al riguardo, le cose da dire sebbene scarsamente sconosciute, non mancavano davvero. A parte cose notissime come lo sterminato campo di megaliti di Carnac in Bretagna, in Germania il circolo megalitico di Externsteine che si trova a due passi dal castello di Wewelsburg scelto da Heinrich Himmler come sede dell’ordine delle SS (non c’è niente da fare: certi luoghi sembrano avere una forza mistica tutta particolare), l’antichissimo (risalente a circa 7000 anni fa) circolo megalitico di Gosek, pure oggetto di una scoperta recente, i monumenti megalitici risalenti all’Età del Bronzo di cui è ricca la Scandinavia; su questi ultimi sono disponibili pochissime informazioni, ma un’ampia documentazione a questo riguardo si trova nel libro di Felice Vinci Omero nel Baltico.

La vera sorpresa riguarda tuttavia l’Europa dell’est e la Russia, le terre già sottoposte a dittature comuniste e le repubbliche ex sovietiche. Qui le testimonianze di antiche culture megalitiche non sono meno ricche dell’Europa occidentale, ma ricerche in proposito erano scoraggiate dai regimi con la falce e martello, per questi la storia non doveva cominciare prima del Medio Evo, e l’interesse verso il passato era scoraggiato da chi pretendeva di essere intento all’edificazione dell’ “uomo nuovo”.

L’anno scorso è stata la volta dell’Italia megalitica. Devo dire subito che per “Italia” io non intendo il territorio soggetto all’entità patetica e servile, asservita a potentati stranieri, alla tirannide antifascista che conosciamo con il nome eufemistico di “repubblica italiana”, ma le terre etnicamente e storicamente italiane, così non mi è sembrato il caso di escludere dal mio discorso né le piramidi di Nizza, né i complessi templari maltesi, né le statue-stele che si trovano anche nel Canton Ticino, né tanto meno i castellieri del nord-est che dal 1945 il più innaturale dei confini ha portato in Slovenia.

I testi di queste conferenze li trovate tutti su “Ereticamente”, però con un’eccezione: sulle nostre pagine elettroniche non trovate il testo di quella del 2014, e il motivo di ciò è che avevo costruito questo testo sulla base di brani e materiali che avevo già pubblicato su “Ereticamente” nella rubrica Una Ahnenerbe casalinga, e che poi ho ripreso nel mio libro Alla ricerca delle origini (Edizioni Ritter), ma devo dire che al riguardo non ho ancora preso una decisione definitiva se presentarvi o meno questo testo, considerato che repetita iuvant.

Prima di parlarvi delle conferenze di quest’anno, che sono state due, c’è qualcos’altro che vale la pena di rilevare. Nelle edizioni che hanno preceduto quella di quest’anno, il “Triskell del ventennale” (in realtà, considerando che la prima edizione si è tenuta nel 2000, ci accorgiamo che questa non è la ventesima ma la ventunesima edizione, ma sappiamo il potere attrattivo che hanno le cifre tonde), si sono tenute nel mese di giugno in coincidenza con il solstizio estivo. Quest’anno, a causa del lockdown, all’emergenza dovuta all’epidemia di covid19, la manifestazione è stata spostata a settembre in coincidenza stavolta con l’equinozio d’Autunno, precisamente la manifestazione si è svolta dal 16 al 27 settembre.

Ogni anno l’associazione Uther Pendragon che organizza la manifestazione, edita un fascicolo, un report, come si dice nell’attuale linguaggio carico di anglicismi, che contiene il programma della manifestazione, ma anche alcune pagine dedicate alla cultura celtica oppure a eventi storico-archeologici della provincia di Trieste o del Friuli Venezia Giulia (Un paio di anni fa, ad esempio, parlava della scoperta allora recentissima di un mitreo vicino a Trieste, ipogeo come lo sono perlopiù i templi di questo tipo).

Quest’anno, data l’insolita collocazione temporale della manifestazione, queste pagine non potevano che essere dedicate a Mabon, la celebrazione celtica dell’equinozio d’autunno e la divinità celtica che sovrintende alla “parte oscura” dell’anno, quella collocata fra i due equinozi, quello autunnale e quello primaverile.

E’ particolarmente interessante il mito di Mabon che, rapito/adottato da Modron, la Dea Madre, secondo la mitologia gallese, vive per sei mesi all’anno nel grembo della Madre Terra per tornare alla luce nel restante periodo, ma non si tratta di un dio oscuro, egli infatti porta con sé il seme, la promessa della futura rinascita.

Vi dirò che ho letto queste pagine non senza una certa emozione, infatti è chiaro che il mito di Mabon è l’analogo, il rovescio, la controparte maschile di quello di Proserpina o Persefone, e siamo forse di fronte a un esempio di un comune fondo di pensiero di quell’Urvolk indoeuropeo da cui tanto i Celti quanto i Greci e i Latini sono discesi.

Ma veniamo alle conferenze che ho tenuto quest’anno, non ne ho infatti tenuta una sola ma due, una domenica 20 settembre (tutto sommato un bel modo di celebrare i centocinquant’anni di Porta Pia) e l’altra giovedì 24.

La mia intenzione era semplicemente quella di concludere la mia quinquennale esplorazione del mondo dei megaliti con il megalitismo nel Triveneto di cui non ho parlato l’anno scorso non certo perché riguardo all’angolo nord-orientale d’Italia non vi sia nulla di interessante da dire, ma proprio perché essendo questa la parte di mondo e d’Italia nella quale sono nato e vivo, volevo quest’anno dedicarvi una trattazione apposita.

Forse sarò ricordato come l’uomo dei megaliti. Recentemente, il nostro caro amico Michele Ruzzai mi ha fatto l’onore di nominarmi co-amministratore del gruppo facebook MANvantara. La “filosofia” del gruppo è sintetizzata nell’acronimo NARSEN, (No Africa, Razze Si, Evoluzione No), temo però di essere più SARSEN che NARSEN (sarsen, lo ricordo, è la pietra grigia con cui è prevalentemente costruito Stonehenge, e i sarsen sono anche i grandi monoliti che lo compongono).

A questo punto, però, gli amici dell’Uther Pendragon mi hanno detto: “Eh, no, adesso sei rimasto in pensione, hai molto tempo libero, di conferenze faccene almeno due”.

E’ vero che avevo già tenuto due conferenze l’anno scorso, ma si trattava sempre della stessa sull’Italia megalitica bissata perché la prima volta si era tenuta sotto una pioggia torrenziale, anche se questa non era bastata a scoraggiare né il conferenziere né gli ascoltatori.

Questo mi ha lasciato un po’ spiazzato, infatti non avevo idea di come proseguire le conferenze una volta concluso il “ciclo megalitico”, ma la soluzione mi si è presentata subito: ripetere la conferenza su L’Europa alle origini della civiltà che ho tenuto due anni fa a quel corso Erasmus di cui vi ho già raccontato, e la cosa andava benissimo, si saldava perfettamente al discorso sui megaliti, infatti, come abbiamo ripetutamente visto, questi ultimi sono precisamente una prova evidente e irrefutabile che solo il “muro di gomma” steso attorno a essi dall’archeologia e dalla narrazione della storia ufficiali riesce a ignorare, dell’antichità e della priorità della civiltà europea rispetto a quelle del Medio Oriente. Stonehenge, infatti, è di circa ottocento anni più antica delle piramidi della piana di Giza, e Newgrange lo è di novecento.

Non si può pretendere di sapere tutto, e per preparare la conferenza sul triveneto mi sono dovuto documentare, e nel farlo, ho fatto alcune scoperte interessanti. Ad esempio, la tipologia megalitica più diffusa nel Triveneto è rappresentata dai castellieri, villaggi fortificati che si trovano soprattutto in Friuli, Venezia Giulia e Istria, ma sapete che ne esistono anche in Veneto, nell’area della Lessinia, compresa tra le province di Verona e Vicenza? Io l’ho appreso da un articolo apparso su “L’arena di Verona” nel 2015, firmato Lino Benedetti, che dà notizie di alcuni di essi, compreso quello di Sottosengia in località Breonio, distrutto nel 1973 per aprire una cava.

Oppure sapevate che i resti di un castelliere sono emersi durante lavori di ristrutturazione a Udine tra le fondamenta di palazzo Mantica, sede della Società Filologica Friulana? C’è un che di ironico a pensare che i membri di questa associazione benemerita nella conservazione della cultura e delle tradizioni del Friuli non sapessero di essere letteralmente seduti sopra un’importante testimonianza del nostro passato.

Sull’altopiano di Asiago si trova una valle o per essere più esatti, uno stretto canalone, la Val d’Assa, contenente un gran numero di graffiti paragonabili a quelli ben più noti della lombarda val Camonica, ma l’unica testimonianza che sono riuscito a reperire su di essi, è un articolo di Sergio Frigo, Alla ricerca dei più antichi abitanti del Veneto, pubblicato su “Airone” nel 1983 (come dire, una vita fa).

Come se non bastasse, Frigo ci racconta che:

“Infine, sulle cime circostanti sono stati individuati monumenti megalitici, altari sacrificali, un dolmen e due menhir (…).

Un capitolo a parte, ancora del tutto da studiare, è quello degli altari sacrificali e dei monumenti megalitici scoperti a Campo Rosà, alle falde del monte Kaberlaba e a Mezzaselva: uno di questi ritrovamenti è costituito da un’unica enorme lastra di pietra dal peso di circa 70 quintali con una scanalatura nel mezzo che probabilmente serviva per raccogliere il sangue di qualche animale sacrificato agli dei”.

Tutto questo non è stato mai sufficientemente esplorato e documentato.

Credo che ciò basti a darvi un’idea del lavoro di documentazione che sta a monte di una conferenza come questa.

Naturalmente, come è già avvenuto per quelle degli anni scorsi, metterò il testo di questa conferenza sulle pagine di “Ereticamente” quanto prima. Il testo dell’altra, L’Europa alle origini della civiltà, ce l’avete già, ma devo dire che l’intervento da me tenuto il 24 settembre al Triskell differisce da quello che avevo tenuto due anni fa al corso Erasmus di cui vi ho parlato, perché vi ho aggiunto un paio di punti che allora non trattai, e sono punti, a mio parere di grande importanza.

Per prima cosa, un punto cui ho accennato brevemente, ma che avrebbe ben meritato di essere l’oggetto di una conferenza a parte, l’originalità del pensiero europeo, non meno importante degli sviluppi della cultura materiale, pensiero che, a partire dalla nascita della filosofia in Grecia, tende a interpretare il mondo razionalmente. Anche in questo caso, i soliti “strabici verso oriente” hanno cercato di ricondurlo a influenze orientali, basandosi sul fatto che la prima scuola filosofica, quella ionia, si sviluppa nell’angolo orientale del mondo ellenico, sulle coste dell’Asia Minore, ma la tesi “orientalista” è contraddetta dal fatto che non abbiamo alcuna dottrina filosofica che gli Ionii avrebbero ripreso da est né alcuna traduzione di testi orientali,

A mio parere, la filosofia si sviluppò prima nella Ionia poi in Italia, nella Magna Grecia (Pitagorici ed Eleatici) per arrivare poi nella Grecia vera e propria con un curioso movimento pendolare, NON perché gli antichi greci avessero preso spunto dalle concezioni di altri popoli, ma perché il contatto con idee diverse dalle loro, non meno mitologiche, non meno basate su un “sentito dire” ripetuto attraverso le generazioni, li avrebbe spinti a cercare una base di conoscenza più obiettiva.

Secondo punto, che avrebbe anch’esso meritato una trattazione di molto maggiore ampiezza: la ripresa europea dopo i secoli bui (termine che a mio parere non si può riferire al millennio che costituisce l’età medioevale, ma solo al periodo di caos seguente la caduta dell’impero romano). Non è certo un’età oscura quella di Federico II e di Dante, tuttavia la grande svolta della cultura europea avvenne a partire dal 1400. Oggi si tende per ragioni politiche, a enfatizzare il ruolo che avrebbero avuto gli Arabi e il mondo islamico nel favorire la rinascita della civiltà europea. Ciò, a mio parere è falso, dettato dall’esigenza di strizzare l’occhio agli immigrati. La grande svolta che piantò i semi dell’umanesimo e del rinascimento, fu il concilio di Firenze del 1438. Con esso, l’imperatore bizantino giocò l’ultima carta che aveva per ottenere l’aiuto degli Occidentali contro la minaccia ottomana sempre più incombente, la riunione della Chiesa ortodossa con quella cattolica. Non ottenne risultato, e nel 1452 Costantinopoli cadde in mano ai Turchi, tuttavia l’afflusso di dotti bizantini innescò il fenomeno umanistico-rinascimentale che, non a caso, ebbe il suo epicentro a Firenze. Bisanzio – e non gli Arabi – fu il ponte che permise all’Europa occidentale di riappropriarsi della cultura classica.

Questo è quanto, nel quadro di un impegno costante in difesa dell’Europa e della sua civiltà, di una battaglia che non è soltanto culturale.

NOTA: Nell’illustrazione un’immagine della tomba irlandese di Newgrange. Questa immagine del celebre monumento è stata usata al Triskell nella locandina di presentazione della mia conferenza del 24 settembre L’Europa alle origini della civiltà.

 

 

2 Comments

  • Michele Simola 14 Dicembre 2020

    Caro professore Calabrese, quest’articolo con il suo accenno alla conferenza tenuta su re Artù, che mi piacerebbe moltissimo leggere, mi tocca molto da vicino perché qualche anno addietro invitato da alcuni amici a prendere parte ad un conferenza da loro organizzata nella mia città Messina, ho trattato del mito di re Artù, la tavola rotonda e Merlino. Come Lei sostiene certi argomenti hanno sempre successo e richiamano una folta platea, questo perché in ognuno di noi é rimasto il desiderio di attingere da quella mitologia alto medievale di cui abbiamo sempre sentito narrare da bambini e nei film d’avventura che ne hanno trattato. Spesso il lettore colloca la saga arturiana nel basso medioevo in concomitanza della chanson de geste che peraltro non ha nulla a che vedere con Artù. Tutti si aspettano di vedere i grandi castelli del 1200/1300 che non furono il teatro degli avvenimenti. A molti appare strano quando si parla di Artù e Merlino che le fortificazioni in oggetto fossero lignee e non le potenti mura dei castelli Templari o feudali, appare addirittura strano che Merlino si riveli un Druido e non un mago nel senso inteso dalla santa inquisizione. Queste figure ci affascinano perché ci trasportano in un mondo che, ancor oggi nonostante si pensi di conoscere tutto, restano vaghe mitiche e senza documentazione plausibile. Io sono convinto che guardando con attenzione prima o poi troveremo qualcosa che ci permetta di fare luce su queste figure, e che quando ciò accadrà non sarà certamente per merito di qualche studioso ufficiale, ma lo dovremo a qualche dilettante così come i resti di Ilio furono rinvenuti da Schlimann. Del resto fino ad oggi non ci sono certezze perché parliamo del periodo immediatamente successivo alla caduta dell’impero Romano d’Occidente e tutta la narrazione storica successiva si é focalizzata sull’impero bizantino e l’impero carolingio, che a mio parere hanno cancellato con l’aiuto della chiesa di Roma, tutto ciò che aveva sentore di paganesimo o di chiesa gallicana. Ritengo inoltre che i resti delle strutture megalitiche sparse un pò ovunque nel nostro paese, nell’Europa e in Inghilterra siano intimamente legate alla cultura celtica e germanica così come alla saga arturiana. Bisogna inoltre tenere conto che il periodo successivo alla caduta dell’Impero Romano, fu un periodo di regressione dove la cultura classica e la filosofia languirono per secoli, oscurati dalla religione cristiana che vedeva in esse pericolosi nemici essendo più facile catechizzare e gestire un popolo ignorante che fosse sensibile alle raccomandazioni della chiesa e alla paura del peccato. Il peccato ha permesso alla classe clericale in quei secoli di imporre il dominio e di assumere il potere temporale che detiene ancora oggi.

  • Fabio V. Calabrese 15 Dicembre 2020

    Caro Simola. Se lei va su Amazon, può trovare in versione kindle il mio romanzo “Una spada per un re”, un romanzo di ambientazione arturiana, che tra l’altro è scaricabile gratuitamente. In appendice, ho messo il testo della mia conferenza sul Graal e re Artù, che così si può facilmente procurare, e ha anche l’occasione di dare un’occhiata all’altra faccia di Fabio Calabrese, quella di narratore.

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