18 Luglio 2024
Tradizione

La figura dello psicopompo nella mitologia antica e i suoi influssi nell’età medioevale e moderna – Fabio Calabrese

Spesso, quando noi moderni ci approcciamo alla cultura antica, lo facciamo con i nostri paraocchi, vale a dire con grande superficialità; ad esempio il classico gioco sincretistico di far corrispondere ciascuna divinità del pantheon di una religione antica ad un presunto equivalente nella mitologia greco – romana (a proposito della quale, il lavoro di accordatura che è stato fatto a posteriori per far coincidere le divinità latine con quelle elleniche, non riesce nemmeno qui molto bene a celare le differenze fra le une e le altre), quasi che gli antichi paganesimi fossero stati dappertutto la stessa religione con un insieme di credenze omogeneo nel quale variava soltanto il nome attribuito da ciascun popolo a ciascuna divinità, difficilmente si potrebbe applicare, per dirne una, al pantheon celtico. Ad esempio, la figura di Lug, si potrebbe accostare a Giove – Zeus in quanto divinità centrale del pantheon celtico e dio protettore della regalità, ma anche a Marte – Ares come divinità guerriera e ad Apollo in quanto dio solare (nella Gallia cisalpina dovere era adorato come Belenus era raffigurato con la testa raggiata).

Se si ha a mente il De bello gallico, si vede che Giulio Cesare propone implicitamente un’ulteriore identificazione per Lug là dove dice che i Galli adorano come loro divinità principale Mercurio. La cosa non manca di sorprendere, considerando che nel pantheon greco – latino Mercurio (Ermes per i Greci) aveva un ruolo relativamente subordinato.

E’ probabile che questa identificazione derivi dal ruolo di psicopompo, ossia accompagnatore delle anime dei defunti, che è svolto sia da Lug nella mitologia celtica, sia da Ermes – Mercurio in quella greco – romana.

Tutto questo, a mio parere, evidenzia un errore di prospettiva nel quale si finisce per incorrere piuttosto facilmente quando, come spesso avviene, si finisce per prendere implicitamente la mitologia greco – romana come “modello ideale” di qualsiasi complesso mitologico.

La morte è l’evento più cruciale, oltre che definitivo della vita umana, che ruota tutta intorno alla consapevolezza di essere destinata prima o dopo a finire, ed alla rimozione di questa consapevolezza. Il tema della morte come passaggio, come trasformazione, esorcizzando il terrore della scomparsa definitiva, il sogno o l’illusione della prosecuzione della nostra esistenza in una forma o nell’altra, è forse il nucleo psicologicamente più importante della religione, di ogni religione; praticamente in tutte le religioni politeiste del passato, il ruolo di psicopompo, di colui che accompagna l’anima dell’uomo al suo destino ultraterreno, è un ruolo fondamentale affidato alla divinità più importante, o comunque con una posizione di primo piano nel pantheon: Lug nella mitologia celtica, Odino in quella germanica, Osiride in quella egizia.

Semmai, da questo punto di vista, è la mitologia greco – romana a fare eccezione, attribuendo questo ruolo ad una divinità relativamente di secondo piano come Ermes; una dimostrazione, forse, del fatto che la vantata “solarità mediterranea” o “apollinea” della civiltà classica, era in sostanza una superficialità tesa a rimuovere gli aspetti più tragici dell’esistenza, la morte in primo luogo.

Il concetto di psicopompo, ossia di una o più divinità, spiriti, angeli, demoni con il compito di guidare le anime dei morti al loro destino nell’aldilà, si ritrova un po’ in tutte le culture ed in tutte le religioni, e non a caso: il destino dell’anima dell’uomo dopo la morte e l’idea stessa della morte come trapasso, quindi come viaggio, è uno dei grandi nuclei attorno a cui ruota l’idea stessa di religione, la concezione del sacro.

Nell’illustrazione: a sinistra, Hermes in riposo, bronzetto da Ercolano, Museo Nazionale, Napoli, al centro, un’immagine moderna del dio Odino, a destra, basilica di San Michele Maggiore, Pavia, particolare della facciata.

Certe concezioni hanno dimostrato nel tempo una straordinaria persistenza, al punto che si potrebbe dire che per molto tempo, per tutto l’alto Medio Evo, la cristianizzazione dell’Europa fu un fatto di forma più che di sostanza: Lug – Odino continuò ad essere venerato sotto le spoglie di San Michele arcangelo, il condottiero delle schiere angeliche, non a caso la figura più elevata del pantheon cristiano dopo Dio Padre e Cristo, ed i giorni consacrati al santo arcangelo erano gli stessi della levata delle Pleiadi, l’8 maggio ed il 29 settembre, sullo sfondo della Via Lattea, chiamata nei Paesi celtici “il castello di Lug”. Ancora, si vede bene dalla descrizione che segue della struttura e delle funzioni della basilica di San Michele Maggiore a Pavia, che l’arcangelo era venerato nella doppia funzione di accompagnatore dei defunti e di custode e datore della regalità, nella cui veste presiedeva all’incoronazione dei re longobardi, ossia esattamente il doppio attributo del celtico Lug; il che non è di sicuro fonte di meraviglia, considerando che le popolazioni germaniche al cui ceppo i Longobardi appartenevano, furono a lungo sotto l’influsso della cultura celtica e ne riportarono numerose “contaminazioni”.

Per gli antichi Egizi, dio psicopompo per eccellenza era Osiride, il dio dalle sembianze di mummia, dio ucciso dal malvagio fratello Seth e poi magicamente resuscitato dalla sposa Iside, in un percorso di morte e resurrezione gloriosa che si estendeva ai suoi fedeli, a cominciare dal faraone e che in un certo senso prefigurava il concetto cristiano di redenzione. Nelle pitture parietali di moltissime tombe egizie (compresa la più famosa, quella del faraone Tutankhamon), è raffigurato Osiride che accoglie il defunto. A coadiuvare Osiride nella sua funzione di psicopompo, di accompagnare i defunti al giudizio davanti agli altri dei ed al loro destino ultimo, era Anubi il dio sciacallo.

Assistiamo nel culto di Anubi ad un’inversione di significati che si riscontra altre volte nella mentalità dei popoli e delle civiltà antiche: lo sciacallo, l’animale razziatore di carogne e saccheggiatore di sepolture diventa nella forma divinizzata il protettore, la guida dei defunti ed il custode del mondo dell’aldilà.

Nell’antica Grecia l’attributo e la funzione di psicopompo erano riservati principalmente al dio Ermes, conosciuto dai Romani come Mercurio.

Nei Dialoghi degli dei Luciano di Samosata parla con ampiezza, sia pure in maniera ironica della funzione di Ermes come psicopompo: nel 24° dialogo egli fa fare al dio uno scanzonato autoritratto:

“Può esservi in cielo, o madre, un dio più disgraziato di me? … La mattina, infatti, appena alzato, ho da spazzare la sala da pranzo e da rifare i letti; quando è tutto in bell’ordine, devo star vicino a Giove, portare su e giù le sue ambasciate correndo avanti e indietro come un postino e appena tornato su, ancor polveroso, servire l’ambrosia. E prima che venisse quassù quel giovinetto (Ganimede) per coppiere, io versavo anche il nettare. Ma la cosa peggiore che, fra tutti, capita a me solo, è che neppure la notte posso riposare, ma bisogna che io accompagni giù le anime a Plutone, conduca i morti e assista al giudizio.

 Così non mi bastano i lavori del giorno, stare nelle palestre, fare il banditore nei parlamenti e insegnare l’arte della parola: mi tocca anche farmi in quattro con quest’altra faccenda dei morti.

 I figli di Leda (i Dioscuri Castore e Polluce), un giorno per ciascuno, stanno in cielo e nell’Ade; per me invece è necessario che io faccia ogni giorno le une e le altre cose; mentre i figli di Alcmena e di Semele (Eracle e Dioniso), nati da misere femminette, se la spassano senza pensieri, io figlio dell’Atlantide Maia devo fare il servitore a loro” (1).

Nell’epoca moderna, il mito di Ermes psicopompo avrebbe avuto una singolare reinterpretazione da parte di Thomas Mann; è questa la chiave di lettura secondo la quale andrebbe letto il romanzo La morte a Venezia secondo il critico Walter Jens, che così la spiega nel saggio Il dio dei ladri e il suo poeta:

“E nel segno della morte Gustav von Aschenbach si accinge alla ricerca della bellezza. Quando, stanco di sé e appesantito dai suoi doveri, si reca una sera di maggio al cimitero, egli incontra un uomo che punta saldamente il bastone al suolo, tenendolo inclinato, e ne appoggia ai fianchi il manico, coi piedi incrociati… un uomo le cui labbra sono ritratte, così da lasciar sporgere i denti lunghi e bianchi; nessun dubbio che si alluda qui all’antica rappresentazione della morte, come attestano Lessing e Schiller: il viandante coi piedi incrociati e il bastone piegato da parte e puntato ai fianchi, corrisponde fino al dettaglio alla famosa raffigurazione lessinghiana dal titolo Come gli antichi raffiguravano la morte. Ma non si tratta qui solo di Thanatos, docile sorella del sonno, che lo sbigottito Aschenbach incontra davanti alla cappella: è anche Hermes, nelle sembianze e nella sua funzione di accompagnatore dei morti (psicopompo), che invita tramite il suo aspetto di viandante il titubante Aschenbach a seguirlo, e lo incoraggia a intraprendere quel viaggio da cui egli non farà più ritorno.

Come Hans Castorp e il giovane Joseph, come Adamo qadmon, l’uomo primigenio e Adrian Leverkühn, anche Gustav von Aschenbach intraprende un viaggio nel regno dell’Ade, da cui solo le figure divine del mito – la Tetralogia di Joseph le chiama Attis e Adonai, Osiride e Tammuz – possono risalire alla luce del sole. Al poeta non è concessa una cosa simile: Aschenbach viene condotto da Caronte, sotto le sembianze di un gondoliere che non possiede la licenza, colà dove lo aspetta Hermes, ora sotto le sembianze del bel divino fanciullo” (2).

Oltre che a Mercurio – Ermes, i latini davano il titolo di psicopompo a Caronte, il battelliere infernale incaricato di traghettare le anime dei defunti al di là del fiume Stige. Divinità o demone di origine etrusca, Caronte (Charoun), non era presente nel pantheon greco, tuttavia era una divinità il cui ruolo era molto sentito nel mondo romano, dove ben difficilmente si sarebbe fatta una sepoltura senza mettere sugli occhi o nella bocca del defunto qualche moneta che doveva essere l’obolo per Caronte, per pagargli il prezzo del traghetto.

Di Caronte parla Virgilio nell’Eneide, e questa figura è stata ripresa da Dante nella Divina Commedia che ne ha fatto un memorabile ritratto sbalzato a tutto tondo: “Caron dimonio dagli occhi di bragia”, ma nel capolavoro dantesco psicopompi, accompagnatori e guide dell’anima del poeta nel suo viaggio ultraterreno sono del pari lo stesso Virgilio e Beatrice.

L’idea dello psicopompo, della divinità o dell’angelo incaricato di guidare le anime nel loro cammino ultraterreno, del resto si presenta anche nel contesto cristiano. Come psicopompo, come protettore e guida delle anime dei defunti, san Michele era venerato in età longobarda, e se ne conserva traccia nella basilica di San Michele Maggiore a Pavia, che appunto era la capitale del regno italico longobardo, e la chiesa stessa è il più importante monumento che la città conserva del periodo altomedievale.  Ne parla in un suo scritto lo studioso Alberto Arecchi; ed è interessante notare come nei bassorilievi che ornano la parte inferiore delle navate alcuni studiosi hanno riconosciuto il caduceo, il non dimenticato simbolo di Ermes, palese testimonianza del fatto che il cristianesimo medievale si nutrì a lungo di simbolismi pagani, fu assai spesso una fede sincretistica nella quale la “buona novella” di Cristo si sovrapponeva a culti più antichi senza cancellarli:

“La Basilica di San Michele Maggiore è il più interessante monumento della Pavia medievale. Si hanno notizie della sua esistenza dopo la metà del sec. IX, ed essa fu sede dell’incoronazione di diversi re del Regno Italico (…).

Come una grande macchina scenografica, la Basilica di San Michele era progettata per accogliere, anche con effetti di luce adeguati, il complesso rituale delle incoronazioni. Nella Basilica pavese di San Michele si ritrovano due fondamentali simbolismi cosmici: quello connesso alla sacralità del regno e all’investitura sacra del potere politico (dato che la chiesa fu fondata come cappella per le incoronazioni) e quello del culto dei morti e del trapasso delle anime (legato particolarmente alla figura dell’arcangelo patrono, San Michele  “psicopompo”)(…).

Burckhardt ravvisa l’immagine del caduceo di Mercurio nei due serpenti-draghi intrecciati che ricorrono in diverse parti della decorazione scolpita nel San Michele. Questo stesso motivo si ripresenta nel simbolismo del nodo, in cui i due elementi si stringono l’un l’altro quanto più si cerca di dividerli (…)

La prima funzione di cui l’arcangelo Michele si faceva garante era quella del passaggio delle anime nell’aldilà, che si svolgeva nella mitologia antica sotto il doppio segno della levata delle Pleiadi, nelle stesse date dell’apparizione, della memoria, della consacrazione dell’arcangelo stesso (8 maggio e 29 settembre). Il cammino delle anime era concretizzato nel cielo dalla Via Lattea, che nei paesi celtici era chiamata “il castello di Lug” (divinità omologa del romano Mercurio). Fra i Germani le caratteristiche di Mercurio erano attribuite al dio guerriero Odino (Wotan per i Longobardi); la “cristianizzazione” della figura di Wotan con San Michele è stata sottolineata da diversi autori. Una teoria con solido fondamento vuole che la Chiesa cattolica, per stornare le popolazioni dal culto di Mercurio e di omologhe entità del Pantheon celtico o germanico, attribuisse all’arcangelo Michele funzioni che erano proprie di tali divinità; fra queste, il ruolo di psicopompo, accompagnatore di anime nell’aldilà dei beati, dopo la morte.

Al culto di San Michele erano consacrate alture e cappelle nei cimiteri. L’arcangelo Michele è preposto al transito dell’anima, ma anche a garantire il rispetto del giudizio divino. La sua lotta col diavolo, per il possesso dell’anima del defunto, è raffigurata in un capitello della Basilica pavese. Anche l’immagine dell’arcangelo con la bilancia, detta con termine greco psicostasi (pesatura delle anime), è presente con frequenza nell’arte medievale: ricordiamo quella di Talignano nel Parmense, e in Francia, solo per citarne alcune, quelle scolpite o in vetrate ad Amiens, Autun, Bourges, Chartres, Saintes, nella S.te Chapelle di Parigi. L’arcangelo Michele con la bilancia in mano appare in una piccola formella, all’esterno dell’abside maggiore della nostra Basilica, scolpita in epoca piuttosto tarda” (3).

Trattandosi di un culto di età longobarda, si presenta spontanea la supposizione che il culto di san Michele in quanto psicopompo sia la cristianizzazione di un più antico culto germanico. Nella tradizione cristiana, è bene ricordarlo, san Michele è il maggiore degli arcangeli, colui che guida le coorti celesti contro Lucifero e gli angeli ribelli, è dunque dopo la Trinità divina la figura più possente del cristianesimo, e si presta perciò ad essere la “traduzione” cristiana di una figura niente affatto secondaria del pantheon germanico. Quali divinità hanno il ruolo di psicopompo nella mitologia germanica? Non ci stupiamo di trovarvi in primo luogo la maggiore di loro, Odino – Wotan.

Riguardo a ciò, è reperibile in Internet lo scritto di un ricercatore, Simone Odino che si è laureato con una tesi sul taoismo e che, indagando sull’origine del proprio cognome e dell’origine dell’antica divinità germanica, scrive:

“Odino (Othin, Odin) è la forma scandinava del nome della massima divinità conosciuta nell’area germanica meridionale come Wodan (o Wotan). La documentazione concernente il ruolo e gli attributi di questa divinità, seppure ricca, risulta oscura e contraddittoria. Odino non può essere connesso con le divinità analoghe di altre aree indoeuropee (il greco Zeus, il romano Iuppiter) alle quali viene piuttosto assimilato un altro dio germanico, probabilmente più antico, Tiu (Ziu, nel nord Týr); la sua funzione di psicopompo (guida, nel Walhalla, delle schiere dei guerrieri morti) spiega perché in età più tarda Odino sia stato dai romani associato a Mercurio (da cui la forma inglese wednesday = mercoledì, Mercurii dies.)” (4).

In altre versioni della mitologia germanica e nordica, il ruolo di psicopompo, (in particolare quello di raccogliere e condurre nel Walhalla, il paradiso nordico – germanico i guerrieri caduti in battaglia) è affidato alle valchirie, che sono appunto le figlie di Odino.

Si vede bene, dunque, che si tratta di una tematica complessa e ricca presente in un vasto insieme di complessi mitologici, dall’Egitto faraonico all’antichità classica, al mondo celtico e germanico, e presente in varie forme nello stesso cristianesimo.

Cristianesimo? Una volta di più, capita di interrogarsi sul significato di questa parola, poiché ancora una volta è evidente che il cristianesimo è stato “la religione dell’Europa” solo nella misura in cui e solo fino a quando si è limitato ad essere un tenue velo razionalizzatore steso su concezioni molto più antiche. Nel momento stesso in cui ha riportato la propria vittoria su di esse, ha cominciato a morire, a cominciato a lasciare il posto ad una visione della vita totalmente secolarizzata e desacralizzata; assieme agli “idoli” i preti hanno bruciato senza accorgersene anche il loro Dio.

L’uomo del terzo millennio, l’uomo che si ritrova solo di fronte alla vita e soprattutto di fronte alla morte, è oggi spinto di necessità a guardare indietro, verso le proprie radici.

 

 

Note

  1. Luciano di Samosata: Dialoghi degli dei, degli dei marini, delle prostitute, Mondadori, Milano 2011.
  2. Walter Jens: Il dio dei ladri e il suo poeta, on line: liceoberchet.it/netday00/letteratura/mann/jens.htm
  3. Alberto Arecchi: La basilica di San Michele a Pavia, on line: liutprand.it
  4. Simone Odino, tesi di laurea.

 

 

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