10 Aprile 2024
Archeostoria

L’ eredità degli antenati, ottantasettesima parte – Fabio Calabrese

Io vi ho esposto più volte il fatto che informazioni fondamentali per la visione che abbiamo della storia e di noi stessi, hanno il più delle volte una circolazione estremamente limitata, vengono sottratte del tutto alla vista del grosso pubblico. Non c’è un sistema rigido e visibile di censura, ma si fa in modo che le informazioni “disturbanti” non possano avere ampia circolazione.

Così avviene di doverle cercare, e di trovarle se si è fortunati su fonti assolutamente “minori”, grazie probabilmente al fatto che “la rete” per la sua natura fluida, non è interamente controllabile.

Vi ho fatto le scorse volte gli esempi del mound udinese e delle strutture preistoriche che la ricognizione aerea avrebbe scoperto nell’Europa centrale. Ora pare proprio che la serie delle scoperte che dovrebbero indurci a mutamenti anche radicali della visione che abbiamo del nostro passato, ma che passano “stranamente” inosservate, continui.

Il 15 maggio sul blog personale della ricercatrice Corinna Zaffarana (corinnazaffarana.wordpress.com) è comparso un articolo di Marzio Forgione su Il DNA mitocondriale degli Olmechi. Quella degli Olmechi, testimoniata oggi soprattutto dal ritrovamento di alcune gigantesche teste di pietra, è la più antica cultura precolombiana conosciuta, risalente al II millennio avanti Cristo, e considerata la “cultura madre” delle successive civiltà americane precedenti l’arrivo di Colombo.

“La questione” olmeca fu creata nel 1862 dall’archeologo dilettante e collezionista di antichità José Marìa Melgar y Serrano, all’atto stesso della scoperta della prima di queste teste colossali a essere ritrovata in Messico, egli infatti, colpito dal naso schiacciato e dalle grosse labbra del volto raffigurato, lo indicò come un “tipo etiope”. Nonostante le numerose smentite di altri ricercatori che hanno osservato che lineamenti simili non sono rari fra gli indios messicani, e che null’altro tranne quest’impressione fisionomica colleghi gli Olmechi all’Africa, questa storia degli Olmechi “africani” è andata avanti fino a oggi, aiutata forse, osserva Forgione, dalle scoperte avvenute tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo nella Valle del Nilo, che hanno spinto alcuni a vedere Egitto, Africa e Medio Oriente dappertutto e contro ogni logica.

Ora questa annosa questione dovrebbe essere chiusa, al massimo ricordata come uno dei tanti abbagli in cui può incorrere l’archeologia.

Infatti, l’archeologa Anne Cyphers, massima autorità in materia di teste colossali olmeche, ha svelato, grazie alle sue ricerche, gli ultimi enigmi che circondano gli imponenti monumenti della “cultura madre” del Mesoamerica giungendo ad escludere che esse rappresentino individui di colore giunti da oltre oceano”.

Oltre alle prove fornite dalla genetica, il DNA mitocondriale degli abitanti della regione di San Lorenzo, da cui proviene la maggior parte dei ritrovamenti olmechi, non ha rivelato alcuna traccia di un’ascendenza africana. Senza contare che:

Queste teste colossali, e in generale le statuette antropomorfe rinvenute in contesti archeologici Olmechi, riflettono le modificazioni cranio-facciali a cui gli individui di questa civiltà erano sottoposti prima dell’età di un anno e mezzo, quando le suture della testa sono ancora aperte”.

Questa pratica avrebbe portato a una casuale accentuazione delle caratteristiche apparentemente “africane”.

Cerchiamo di capire l’importanza di tutto cio: noi sappiamo che oggi in base alla democrazia e al “politicamente corretto” e in evidente relazione al fatto che la popolazione di origine europea sta diventando minoranza negli Stati Uniti, si sta producendo una falsificazione in grande stile della nostra storia, “africanizzando” Etruschi, Romani, Inglesi, persino Vichinghi e altre ridicolaggini.

Bene, i due soli esempi di culture che parevano riconducibili al tipo nero subsahariano con qualche fondamento, erano la cultura della Valle dell’Indo e quella degli Olmechi. La cultura della Valle dell’Indo, pre-indoeuropea, è stata a lungo attribuita alle popolazioni dravidiche, “nere” dell’India, fino a quando il recente ritrovamento di una necropoli nei pressi di Mohenjo Daro ha dimostrato in maniera inequivocabile che i fondatori di tale cultura erano caucasici, parlassero o no una lingua indoeuropea. Oggi, come vediamo, crolla anche l’attribuzione olmeca, e possiamo dire che, stando ai fatti, il contributo del tipo umano subsahariano alla civiltà, è stato rigorosamente nullo.

I fatti hanno la spiacevole tendenza a contraddire i dogmi della democrazia. Io, in questa sede, non vorrei dedicare troppo spazio a questioni di politica attuale, ma è evidente che l’odierno conflitto in Ucraina è diventato un pretesto per il NWO per disconoscere tutto quanto è russo come parte della cultura e della storia europea. In luogo dell’Europa, come storia e come civiltà, ci viene sempre più prospettato un “Occidente” immaginario, costituito da un lato dalla “cultura” yankee fondata sugli scarti di quella europea, dall’altro dalla parte di Europa assoggettata al dominio yankee, la cui cultura, grazie all’influenza degli yankee stessi, è sempre più svuotata e depotenziata.

Ma i fatti, come vi dicevo, hanno la pessima abitudine di contraddire i dogmi della democrazia. Difatti, sempre in data 15 maggio, l’archeologo Oleg Markov segnala che “Al confine della Siberia, sul versante orientale” (degli Urali, suppongo), gli archeologi russi hanno trovato quasi per caso quella che Markov definisce “un’officina” risalente a 40.000 anni fa, che appare tecnicamente più avanzata di qualsiasi altra cosa finora conosciuta risalente a quest’epoca. Pare fosse addetta alla produzione di lame di selce, ne sono stati ritrovati 383 esemplari, di dimensioni molto piccole, e sorprendentemente affilate. In caverne circostanti che dovevano servire da abitazioni temporanee, sono stati ritrovati piatti e pelli decorate con pigmenti di ocra che non si trova nella zona ma doveva essere importata. Markov osserva anche che gli uomini non avrebbero potuto sopravvivere alle latitudini in cui è stata trovata “l’officina” senza possedere tecnologie sofisticate.

Ma noi ci stupiamo sempre di meno di quanto questi nostri lontani antenati, a lungo considerati a torto dei bruti scimmieschi, ci possano stupire.

La realtà, una volta di più, s’incarica di smentire quanti vorrebbero estromettere la Russia dalla storia e dalla preistoria europee.

Torniamo adesso a occuparci della preistoria più remota, la questione che ciclicamente ci si ripresenta delle origini della nostra specie. Vi ho già altre volte espresso il concetto che la “classica” concezione evoluzionista che vede un graduale passaggio dalla scimmia all’uomo, di prove a suo sostegno non ne trova molte, o per meglio dire, si rivela una costruzione artificiosa ottenuta “umanizzando” i nostri presunti antenati scimmieschi e, passatemi il termine, “scimmificando” uomini preistorici come l’Homo erectus e l’uomo di Neanderthal, che invece erano pienamente umani. In realtà, nella documentazione fossile non troviamo mai uomini-scimmia, ma o scimmie con nessuna tendenza verso l’umanità, o uomini pienamente tali.

Come sappiamo, le scimmie cui è stato fatto recitare il ruolo di precursori dell’umanità, sono gli australopitechi africani (guarda un po’).

Ho già ricordato altrove che un team di ricercatori britannici guidato da sir Solly Zuckerman, che è considerato il maggior esperto mondiale di anatomia comparata, dopo aver studiato le ossa della famosa Lucy che è lo scheletro australopitecino più completo (o meglio, meno incompleto) che ci sia pervenuto, ha concluso che non si trattava altro che di una scimmia estinta che non ha nulla a che fare con le origini dell’umanità (conclusione che, ovviamente, vale anche per tutti gli altri australopitechi).

Bene, il 21 aprile è apparso sulla rivista “Il timone” un articolo che arricchisce le nostre informazioni a questo riguardo. Per prima cosa, apprendiamo che, prima di arrivare alla conclusione che vi ho detto, Zuckerman e il suo team hanno studiato le ossa non solo di Lucy ma anche di altri australopitechi per ben 15 anni, quindi non si è trattato certo di una valutazione affrettata. Secondariamente, alle stesse conclusioni è pervenuto anche un altro esperto di anatomia comparata di fama mondiale, Charles Oxnard. In particolare, Oxnard osserva la scarsa validità di quella che è stata ritenuta una prova del fatto che gli austalopitechi camminassero eretti, l’angolo portante. Mentre nel gorilla e nello scimpanzè le ossa dello stinco e della coscia sono perfettamente allineate, nell’essere umano formano un angolo di circa 9 gradi. Lo scheletro di Lucy presenta un angolo portante anche maggiore di quello umano, 15 gradi, ma, questo è il punto, ciò non significa affatto bipedismo e stazione eretta, infatti sia l’orango, sia la scimmia ragno hanno un angolo portante maggiore di quello umano, si tratta di un adattamento alla vita arboricola che Lucy sicuramente conduceva.

Se sul processo evolutivo come ci viene comunemente descritto, possiamo avanzare dei dubbi, possiamo dire invece che l’Out of Africa è sicuramente falsa. Nella sua formulazione più esplicita, dettata dalla foga “antirazzista”, è di una linearità brutale. Si pretende, per non lasciare spazio a differenziazioni razziali, che un Homo sapiens antenato, e il solo antenato, di tutti quanti noi, sarebbe “emerso dall’Africa” poche decine di migliaia di anni fa e portato all’estinzione, o se vogliamo sterminato, tutti gli altri uomini che esistevano già allora nel resto del mondo e di cui troviamo ampia testimonianza nella documentazione fossile, neanderthaliani, denisoviani e via dicendo. Come è facile capire, questa non è scienza, ma ideologia democratica, da cui traspare tutta la violenza dello spirito yankee. La paleogenetica racconta una storia completamente diversa, ma questo non sembra preoccupare i suoi sostenitori.

La questione è stata ripresa sul sito “Radiospada” (www.radiospada.org) da un articolo di Mauro Quagliati. Quagliati fa notare alcuni punti importanti, innanzi tutto, sebbene la teoria “africana” sia quella oggi più diffusa fra i ricercatori, non gode certo di un consenso unanime. Poi, ed è la parte più ampia dell’articolo, si sofferma in un’analisi del tipo umano australoide e le sue caratteristiche arcaiche, cosa scarsamente conciliabile con l’Out of Africa, mentre viene a essere in pieno accordo con la teoria multiregionale. Infine, ci parla dell’uomo di Atapuerca, i cui resti rinvenuti in questa località spagnola, risalgono a 800.000 anni fa e presentano caratteristiche “sapiens” ben prima di quanto l’Out of Africa preveda la loro comparsa. Non manco di dire che ho apprezzato il fatto che Quagliati rilevi il fatto che questa scoperta mette in grave imbarazzo i sostenitori dell’Out of Africa, e che li definisca “scientisti ideologizzati”. Appunto di questo si tratta, di ideologia, e non di scienza.

Dagli amici di “Ereticamente” ho avuto più volte l’indicazione di ignorare quanto avviene su facebook, perché, se è vero che oggi questa piattaforma ha nella “rete” una presenza quasi ubiquitaria, ciascun post e ciascun gruppo non raggiungono che un numero molto ristretto di utenti. È un consiglio che intendo seguire, ma con delle calcolate eccezioni, quando appare su FB qualcosa che si presta a considerazioni di ordine generale.

Sappiamo che nei nostri ambienti l’islam gode di simpatie che a mio parere non ci dovrebbero essere. I motivi principali sono l’avversione verso il sionismo e gli USA, la simpatia verso la causa palestinese e l’Iran (tutte cose che personalmente condivido, pur non nutrendo affatto simpatia per l’islam come religione). Costoro dimenticano che fra i Palestinesi c’è una discreta componente cristiana, che l’Iran è sciita, aderisce cioè a una variante “eretica” dell’islam per cui i sunniti ortodossi nutrono un’ostilità ancora maggiore che per “i crociati” occidentali, che in compenso è islamica sunnita l’Arabia Saudita buona amica degli USA, che islamici erano anche i Bosniaci che su indicazioni NATO si macchiarono nella ex Jugoslavia del cannoneggiamento di Sebrenica che falsamente attribuito ai Serbi costituì il pretesto per l’intervento NATO nella regione, che islamici sono i miliziani dell’ISIS nei cui covi abbandonati in Siria sono stati trovati medicinali e munizioni di produzione israeliana, che, su un altro fronte, le simpatie per l’islam rischiano di lasciarci psicologicamente disarmati verso l’immigrazione/invasione a opera di extraeuropei prevalentemente islamici di cui oggi è vittima il nostro continente. C’è insomma una generale confusione fra il piano politico e quello religioso.

In più, dal punto di vista religioso, l’islam appartiene alla stessa famiglia abramitica cui appartengono giudaismo e cristianesimo, e avvicinarsi all’islam per avversione contro questi ultimi, è come bere la stricnina per dimostrare che non ci piace l’arsenico.

Ultimamente, un tale cui non farò l’onore di nominarlo neppure con lo pseudonimo che si è scelto su FB (mai che questi individui ci mettano il loro vero nome e la faccia), ha commentato su FB che coloro che cercano oggi di richiamare in vita le religioni precristiane sono dei cosplayer (aggiungendo, s’intende, una serie di ingiurie meno simpatiche). Per chi non lo sapesse, i cosplayer sono coloro che nei giochi di ruolo o in apposite manifestazioni si travestono da eroi dei fumetti o da personaggi di Guerre stellari o Star Trek, così, a suo dire, i neopagani si maschererebbero da antichi Greci, Romani o Vichinghi. Il pensiero sottostante è chiaro: un uomo moderno non può credere davvero a Giove, Venere od Odino, e i culti oggi rinati sarebbero delle finzioni.

Gli ho risposto che più cosplayer degli occidentali neo-convertiti all’islam che si sentono in dovere di adottare nomignoli arabi e spesso un abbigliamento moresco, di alterare vistosamente la propria identità di europei, non so chi vi possa essere, e si tratta di un cosplaying veramente squallido.

La mia posizione in materia ve l’ho più volte espressa. Dal punto di vista teologico non dico nulla, pratico quella che i filosofi antichi chiamavano epoché, la sospensione del giudizio: si può credere quel che si vuole, ma nessuno di noi può dire di sapere cone stiano le cose nel campo del soprannaturale, ma nel campo dell’etica mi riconosco nella concezione romana, non nella morale abramitica.

Otto anni fa ho vissuto una di quelle esperienze che permettono a un uomo di capire davvero di che pasta è fatto, mi è stato diagnosticato un bel tumore al colon, a cui sono fortunatamente sopravvissuto. Allora non pensai minimamente di rivolgere le mie preghiere a un Dio cui non credo (l’ebraico-cristiano Geova né tanto meno la sua controfigura/caricatura islamica Allah), ma trovai forza e determinazione nel detto romano “Et facere et pati fortiter romanum est”, è da romani agire e sopportare con fermezza. Ditemi voi se vi sembra un atteggiamento artefatto.

NOTA: Nell’illustrazione, ricostruzione dei lineamenti facciali dell’uomo di Atapuerca. Quest’uomo di 800.000 anni fa mette in crisi l’Out of Africa e non solo essa.

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