21 Aprile 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, centoquarantatreesima parte – Fabio Calabrese

Dicembre. Entriamo nell’ultimo mese dell’anno. La mia tabella di marcia mi avverte che non potrete leggere sulle pagine di “Ereticamente” questo articolo prima del gennaio dell’anno nuovo. Tuttavia, se ci pensate, si tratta pur sempre di un progresso notevole rispetto alla situazione degli anni scorsi, quando nel trapasso fra un anno e l’altro mi trovavo ancora con “code” di tre o quattro mesi dell’anno precedente. L’obiettivo di potervi raccontare gli eventi che interessano la nostra eredità ancestrale, se non in tempo reale, il che mi pare impossibile, con un “lasco” di una o due settimane, non è stato ancora raggiunto, ma vedremo di fare meglio nel prosieguo del 2024.

Seguendo una prassi ormai consolidata, vediamo per prima cosa quel che ci offre in questo periodo “Ancient Origins” che, come sappiamo, è probabilmente il sito più ricco di informazioni archeologiche che troviamo nel web.

Un articolo di Nathan Falde del 1 dicembre ci racconta di una ricerca condotta da varie università inglesi sui resti umani di età medievale riesumati nel cimitero dell’ospedale di san Giovanni evangelista di Cambridge che lungo un arco temporale di 800 anni dal 700 al 1500 si è occupato dell’assistenza a persone povere e malate. La ricerca, condotta sui resti di 400 persone ha rivelato uno spaccato della società inglese del medioevo e delle disuguaglianze sociali dell’epoca. Su quasi tutti gli scheletri sono stati trovati segni di denutrizione, anche se si è riscontrata una minore incidenza di traumi fisici rispetto ai loro contemporanei, il che significa che queste persone erano perlomeno protette da aggressioni. Sono stati trovati anche resti di alcuni bambini, significativamente più piccoli dei loro coetanei della stessa epoca. Si trattava probabilmente di orfani, più malnutriti e con una minore speranza di vita rispetto ai loro coetanei.

Sempre il 1 dicembre abbiamo un articolo di Martini Fisher che si occupa di mitologia greca, del mito di Ercole, ben conosciuto da noi, quindi non entrerò nei dettagli, se non per rilevare che il semidio greco Eracle, conosciuto dai Romani come Ercole, era molto stimato nell’antica Roma. L’imperatore Commodo amava farsi raffigurare come Ercole, e Massimiano si fece attribuire l’appellativo di Erculio.

Il 2 dicembre anche Robbie Mitchell ci parla di Roma, ma di uno degli aspetti meno gradevoli della romanità, la dura vita degli schiavi, persone prive di diritti, ridotte a oggetti di proprietà, la cui vita era fatta di catene, lavori massacranti, punizioni crudeli e scarsa alimentazione.

Lo stesso giorno Nathan Falde ci porta ben più a nord, a Tainiaro nella Lapponia finlandese a soli 80 chilometri dal circolo polare artico. Qui sono state scoperte le tracce di uno degli insediamenti preistorici più settentrionali che si conoscano, risalente a circa 5000 anni fa, sono stati rinvenuti strumenti di pietra, ossa di animali e ceramiche. Una serie di fosse fa pensare che si sarebbe potuto trattare di un luogo di sepoltura, ma finora non sono state trovate ossa umane, il che potrebbe spiegarsi con l’acidità del suolo che non ne permette la conservazione. Comunque finora è stato esplorato solo un 20 per cento del sito.

Rimaniamo nella preistoria, ma spostiamoci in un’epoca molto più remota. Dei nostri “cugini” estinti coi quali gli uomini “anatomicamente moderni” si sono ripetutamente incrociati, grazie ai ritrovamenti fossili, conosciamo bene l’uomo di Neanderthal, assai meno bene quello di Denisova. Riguardo a esso, Robbie Mitchell il 2 dicembre ci da una notizia che assume un’inaspettata importanza: un dente denisoviano risalente a 160-130.000 anni fa è stato ritrovato nelle montagne Annamite nel Laos settentrionale. Finora i pochissimi resti denisoviani che conosciamo sono stati rinvenuti nell’Altai e in Tibet, cioè in ambienti freddi molto diversi dal clima tropicale del Laos. Questo significa che, come gli uomini moderni, i denisoviani non erano verosimilmente limitati a un solo areale climatico, ed erano più simili a noi di quanto si pensasse.

Ancora Robbie Mitchell sempre il 2 dicembre ci parla di tutt’altro argomento, la famosa biblioteca di Alessandria d’Egitto, che fece di essa una sorta di capitale intellettuale del mondo antico. Apprendiamo che la sua edificazione fu probabilmente dovuta all’influenza di Aristotele che, oltre a essere stato precettore di Alessandro Magno, fu anche amico di Tolomeo I, suo generale e successore in Egitto, che avrebbe appunto concepito l’idea di raccogliere il sapere universale e renderlo accessibile a chiunque.

Ancora Mitchell sempre lo stesso giorno ci parla del destino dei cospiratori responsabili dell’assassinio di Cesare. Dopo la battaglia di Filippi dove furono sconfitti, fecero tutti una brutta fine. Ottaviano e Antonio non ne ebbero pietà.

Rimanendo sempre nel mondo romano, il giorno 3 Mitchell ci parla del Colosseo o anfiteatro Flavio, la cui realizzazione da parte dell’imperatore Vespasiano fu certamente un’abile mossa propagandistica per attirare il favore popolare alla nuova dinastia Flavia.

Sempre il 3 dicembre Mitchell ci porta in Spagna e ci fa fare un salto nel medioevo. La lotta secolare dei cristiani iberici (spagnoli e portoghesi) per porre fine al dominio musulmano, nota come reconquista non fu un affare interno della Penisola iberica, ma un’estensione delle crociate che ebbe importanti aiuti da parte degli ordini cavallereschi, templari e ospitalieri.

Avendo a che fare sempre con la storia romana, un articolo di M. R. Reese del 4 dicembre ci pone un interrogativo: da dove venivano gli elefanti di Annibale? Erano della specie asiatica o di quella africana? La cosa rimane un mistero.

Sempre il 4 dicembre si parla di mitologia, con un articolo di Willem McLoud sul mito di Perseo. Secondo l’articolista, esso sarebbe riconducibile a quello mesopotamico di Gilgamesh, un’idea che non trovo per nulla convincente.

Il 5 dicembre Robbie Mitchell ci parla di vichinghi, in particolare del leggendario capo vichingo Ragnar Lothbrok. Quest’uomo che arrivò con le sue navi a penetrare profondamente nell’impero carolingio e a porre sotto assedio Parigi, ebbe un’influenza considerevole sulla storia europea. Infatti l’atteggiamento remissivo di Carlo il Grosso che pagò un cospicuo riscatto per allontanarlo da Parigi, fu causa della deposizione dello stesso Carlo e dell’ascesa in Francia della dinastia capetingia, ma ancora di più Ragnar ebbe un’influenza enorme sulle saghe vichinghe, diventando il prototipo dell’intrepido eroe conquistatore, e le sue gesta influirono profondamente sulla mentalità degli Uomini del Nord.

Da sempre si discute sui motivi della caduta dell’impero romano. Sempre il giorno 5, Mitchell ce ne illustra uno poco conosciuto, l’avvelenamento da piombo delle élite romane, causato sia dalla elevata presenza di questo elemento nelle acque della Roma imperiale, sia dalla sapa, uno sciroppo di vino usato come dolcificante che veniva preparato in recipienti di piombo. In ogni caso, si può dubitare che la caduta dell’impero romano abbia avuto un’unica causa.

Sahir invece ci porta nella preistoria parlandoci dei nostri cugini neanderthaliani. Da ritrovamenti risalenti a 125.000 anni fa in Germania, sono emerse prove che questi uomini cacciavano mammut ed elefanti, della specie Elephas antiquus, grande circa il doppio degli elefanti attuali. Abbiamo sempre meno motivi per ritenere che costoro non fossero a tutti gli effetti uomini come noi, con capacità per nulla inferiori alle nostre.

Ancora Mitchell ci parla di Budicca, la regina degli Iceni che fu a capo di una sanguinosa rivolta contro il dominio romano in Britannia. Oggi è esaltata come un’eroina mitica, ma ha invece diversi lati oscuri, a cominciare dall’estrema crudeltà non solo verso i Romani, ma anche verso i Britanni che a Roma si erano sottomessi. Ma noi sappiamo che la mitizzazione di Budicca fa parte di quello stesso filone “storiografico” che quando parla di Roma dal punto di vista militare ricorda sempre e solo Canne e Teutoburgo, che parla sempre dell’anarchia militare o della decadenza del tardo impero, o delle presunte crudeltà verso i cristiani, che cerca in ogni modo di denigrare la romanità.

Il 6 dicembre Sahir ci porta nell’attuale Turchia. Nell’antica città di Prusias, oggi Hypium è stato rinvenuto un bellissimo mosaico raffigurante due leoni, che faceva parte di una struttura verosimilmente dedicata al culto di Dioniso.

Ashley Cowie ci riporta in Italia. Nelle acque al largo di Capri è stato ritrovato un frammento di ossidiana, forse l’ultima traccia del naufragio di un’imbarcazione, probabilmente una canoa, di età neolitica, che sarebbe avvenuto 5.000 anni fa, ma ci sono troppo pochi elementi per trarre conclusioni sicure.

Il 7 dicembre Robbie Mitchell ci parla di uno dei “classici” della paleoantropologia, il cranio rinvenuto nel 1933 in Germania a Steinheim. Si tratta di un fossile a lungo classificato come sapiens arcaico, risalente a 125.000 anni fa. Un recente riesame ha evidenziato una commistione di tratti neanderthaliani e “anatomicamente moderni”, potrebbe trattarsi di un incrocio tra le due varietà umane. Ma se così fosse, si tratterebbe di un altro duro colpo per la “teoria” africano-centrica, perché vorrebbe dire che uomini “anatomicamente moderni” erano presenti in Europa assai prima di quanto essa preveda.

L’8 Mitchell ci porta alla scoperta dei primi abitanti della Scandinavia, che poté essere colonizzata dall’uomo solo attorno ai 10.000 anni fa con il ritiro della glaciazione. Dovevano essere uomini straordinariamente resilienti, superstiti dello sprofondamento di Doggerland, avvenuto appunto alla fine dell’età glaciale.

Gary Manners ci racconta invece del rinvenimento a opera di un metal detectorist di cinque asce dell’Età del Bronzo “in condizioni quasi perfette” risalenti a 3.500 anni fa, avvenuto a Strogard, nella regione attualmente polacca della Pomerania.

Ashley Cowie ci porta invece in Spagna, alla scoperta di uno dei più singolari monumenti megalitici della Penisola iberica, il dolmen di Menga, risalente a 5.700 anni fa, una costruzione per realizzare la quale devono essere state messe in atto capacità ingegneristiche notevoli, si pensi che si stima che solo uno degli enormi menhir al suo interno pesa più di 100 tonnellate.

Il 9 Mitchell ci parla di Annibale, il generale cartaginese che fu il grande protagonista della seconda guerra punica. Ma non mi ci soffermo, si tratta forse di una storia poco nota al pubblico anglosassone, ma che noi dovremmo conoscere bene.

Il 10 Ashley Cowie ci porta in Siberia. Qui ci troviamo di fronte a un bell’enigma, perché gli archeologi hanno ritrovato le tracce di una fortezza, sulle rive del fiume Amnya, che risalirebbe a 8.000 anni fa, cioè a un’epoca in cui si suppone non fosse ancora avvenuta la scoperta dell’agricoltura e la creazione di insediamenti stabili.

L’11 dicembre Aleksa Vuckovic ci parla degli enaree, gli sciamani-sacerdoti degli Sciti, uomini effeminati che adoravano attraverso un culto orgiastico la dea Artimpasa. Salta agli occhi la somiglianza con il culto di Cibele, praticato da sacerdoti eunuchi che indossavano vesti femminili.

Il 12 Nathan Falde ci racconta una storia interessante: un recente studio dell’Università di Cambridge sull’oscuro villaggio laziale del III secolo di Interamna Linares ha dimostrato che, mentre l’epoca conosce un importante declino dei centri urbani, le località rurali hanno continuato a prosperare in relativa tranquillità.

Un articolo di Nathan Falde del 13 dicembre ci parla delle principali cause di morte del mondo antico, greco e romano, che erano spesso legate alla scarsa igiene, epidemie, infezioni, e per le donne il parto era un momento pericoloso, la mortalità infantile era poi elevata.

Quasi per contrasto, un articolo non firmato del 15 dicembre ci racconta di uno studio odontoiatrico che è stato effettuato dall’Università di Göteborg sui resti della popolazione di età vichinga di Varnhem in Svezia, e che ha dimostrato che i Vichinghi erano in grado di effettuare cure odontoiatriche sorprendentemente buone.

Ma è sempre l’archeologia romana a tenere banco. Un articolo di Sahir del 13 dicembre ci parla del ritrovamento a Roma, non distante dal Colosseo, dei resti di una domus romana a più piani, risalente all’età repubblicana.

Il 14 Robbie Mitchell ci parla dei Pitti, la popolazione scozzese che i Romani non riuscirono a sottomettere, e dovettero costruire il Vallo di Adriano per difendersi dalle loro incursioni nella Britannia romanizzata. Non erano solo feroci guerrieri, ma avevano dato vita a una società complessa e alfabetizzata.

Ashley Cowie il 15 ci porta in Svizzera, a Oberhalbstein nel Grigioni. Qui nel 2019 era stato ritrovato un pugnale romano risalente al 15 avanti Cristo. Ulteriori ricerche hanno permesso di ritrovare proiettili di piombo usati dai frombolieri e numerosi altri manufatti. Pare che la zona, che è una strategica via d’accesso attraverso le Alpi, sia stata teatro di una feroce battaglia tra i Romani e le popolazioni locali.

Siamo giunti alla metà del mese, considerando solo “Ancient Origins” che una volta di più si è rivelato straordinariamente ricco di informazioni, e come ho già fatto per la centoquarantesima parte, mi fermerei qui, rimandando alla prossima volta l’analisi degli altri siti e di ciò che hanno da dirci in questo periodo i media generalisti.

Per una volta, sarei tentato di saltare il consueto riepilogo conclusivo su ciò che questa carrellata di eventi ha da dirci relativamente al nostro punto di vista, tanto mi pare che i fatti lo gridino.

Per prima cosa, vediamo una volta di più che quando si parla della storia antica, nel bene e nel male, sostanzialmente si parla del mondo romano, ed è un riconoscimento importante che ciò venga da un sito straniero e, come ho detto più volte, è veramente strano e non si spiegherebbe se non con una democrazia che ci ha abituati ad abbassare pecorescamente la testa, il fatto che i nostri connazionali ne siano perlopiù così poco consapevoli e fieri. E non parliamo dl fatto che l’articolo del 5 demitizza la figura di Budicca, spesso esaltata, trasformata in una Giovanna D’Arco dell’antichità da una “storiografia” tendenziosa intesa a denigrare tutto quanto è romano, ma che, alla prova dei fatti, mostra impietosamente la corda.

Altro punto, abbiamo visto che gli uomini di Denisova, come noi, erano adattati a vivere in habitat radicalmente diversi, come i freddi Altai e Tibet e la subtropicale Indocina, e che i neanderthaliani cacciavano elefanti preistorici grandi il doppio di quelli attuali. L’ostinazione a negare l’umanità degli uni e degli altri riducendoli a “ominidi estinti” non deriva da altro se non dall’esigenza, una volta di più, di salvare la favola africano-centrica, e per l’ennesima volta siamo costretti a porci la domanda su quale valore dare a una democrazia che ha bisogno della menzogna per sopravvivere e per mantenere la sua presa sulla gente.

NOTA: nell’illustrazione, l’immagine che correda l’articolo del 2 dicembre di Robbie Mitchell su “Ancient Origins” sull’uomo di Denisova. Nella realtà, di questo antico uomo che ha lasciato una riconoscibile impronta genetica nelle popolazioni attuali, soprattutto asiatiche, ma di cui abbiamo pochissime tracce fossili, non sappiamo che aspetto avesse.

 

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