10 Aprile 2024
Fumetto d'Autore

Il “BATMAN” di Riccardo Rosati e Renzo Giorgetti. A cura di Francesco G. Manetti

Un libro di saggistica sul fumetto è solitamente “cosa riservata ai fan”. Ma non è il caso di questo Batman – Le origini, il mito licenziato da Tabula Fati nell’aprile del 2022, un testo nel quale per gli autori non conta tanto informare sugli sceneggiatori, i disegnatori, le edizioni, i numeri, le caratteristiche immaginarie, etc. degli albi dei personaggi trattati (questo “momento tecnico” viene soprattutto affidato alle numerose e ricchissime note a piè di pagina), quanto delineare, trovare una via alternativa per affrontare l’argomento, una via ideale, una via addirittura “filosofica”. Il volume – ben illustrato e dotato di un’esaustiva bibliografia – si compone di tre parti

La prima apparizione fumettistica di Batman

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La prima, Batman: genesi e sviluppo del più popolare vendicatore a fumetti, è curata da Riccardo Rosati; la seconda parte è firmata invece da Renzo Giorgetti e si intitola Spring-heeled Jack – la nascita di un mito; chiude il saggio un’appendice di Gianluca Di Fratta, Tra le pieghe del mantello: alcune riflessioni sulle figure mediali di fantasmi urbani.

Dopo aver sinteticamente delineato la genesi dell’intera Nona Arte (il fumetto in senso moderno – per ulteriori delucidazioni vi rimando ai miei precedenti articoli dedicati alla storia di questo mezzo di comunicazione), Rosati – nel primo capitolo della parte da lui scritta (Le origini e il necessario chiarimento di una errata comprensione del personaggio di Batman: un vendicatore e non un supereroe) – entra nel vivo della questione:

Tra gli innumerevoli personaggi apparsi nel corso di lunghi anni sul palcoscenico della Nona Arte statunitense, probabilmente nessuno meglio di Batman è stato capace di incanalare inquietudini e passioni malcelate; le quali, se fossero state espresse nella più “alta” e canonica forma della Letteratura, sarebbero state percepite come una attenta, quanto forse disturbante per gli adolescenti, riflessione sul crimine e la giustizia in senso lato.

Alcuni cenni sulla nascita del personaggio, il giustiziere urbano (che nella vita di tutti i giorni è il milionario Bruce Wayne) frutto della fantasia di Bob Kane e Bill Finger che lo presentarono ai lettori nel 1939, e Rosati specifica qual è l’obbiettivo delle sue riflessioni:

Quello di Batman è un personaggio in molti casi se non proprio frainteso, almeno in larga parte male interpretato. Se, da un lato, riteniamo assolutamente corretto inserirlo nel panorama supereroistico statunitense; dall’altro, nel far questo, lo studioso specializzato nei fumetti ha l’obbligo di sottolineare come Batman sia “una cosa a sé” – una peculiarità che probabilmente ne ha decretato il successo – per due precipui motivi, che lo distinguono nettamente dalla stragrande maggioranza dei suoi “colleghi”: primo, costui non è dotato di alcun superpotere; secondo, esso va considerato un vendicatore.

BATMAN – “Bob Kane, Creator of Batman” – Shoot Date November 19, 1965. (Photo by ABC Photo Archives/ABC via Getty Images) BOB KANE

Batman si differenzia dunque dalle altre figure in costume che popolavano e popolano ancora oggi gli albi a fumetti (i comic books), le strisce giornaliere (le daily strips) e le tavole domenicali (le sunday pages, essendo queste ultime due forme di pubblicazione sfruttate dai quotidiani), per due sostanziali elementi: la mancanza dei cosiddetti “superpoteri” (altrimenti derivati da un accadimento scientifico – radiazioni, sostanze chimiche, mutazioni genetiche, etc. – o dalla magia), sostituiti da un estenuante allenamento fisico/sportivo/marziale, intellettuale e psicologico, oltre che da tutta una serie di armi, attrezzature, tecnologie, costumi speciali, veicoli, etc., e per il fatto di essere un “vendicatore”, ovvero un raddrizzatore di torti, un “punitore” dei criminali, più che un “protettore” del genere umano. Dopo il successo editoriale di Superman…

Serviva un protagonista più umano, finanche privo di poteri speciali, e che fosse capace di difendere il Bene e imporre la giustizia, passando attraverso i travagli che da sempre connotano coloro che nella vita reale combattono il crimine in prima persona, missione, questa, che impone di confrontarsi con la violenza gratuita dei delinquenti, e con una politica spesso corrotta, la quale ostacola la Legge, invece di sostenerla. Doveva, pertanto, sorgere un “cavaliere moderno”, in cui chiunque potesse identificarsi, e così avvenne con Batman, il vendicatore di Gotham, quintessenza del nemico di ogni più subdola corruzione urbana.

Segue dunque un puntuale “percorso cronologico sulle vicende editoriali di Batman”, con il quale Rosati copre i primi 80 anni di uno dei più popolari fumetti mondiali, ricordando momenti e autori salienti, la “spalla” Robin, i maggiori criminali affrontati dal protagonista (il Joker, il Pinguino, Catwoman, etc.), le saghe più importanti, le “rivoluzioni” degli anni 80, e così via. Nel secondo capitolo (Le “abilità” di Batman, ricordarsi sempre che egli è “solamente” un uomo) Rosati entra nello specifico della sua “chiave di lettura”, la quale

sta nel vedere in Batman un vendicatore e non un supereroe.

Modellini delle varie Batmobile che si sono succedute nei decenni, sui fumetti, in televisione e al cinema

Le arti marziali, i mille gadget, le incredibili macchine con le quali Batman si muove nella giungla urbana della goticheggiante Gotham, forse, chissà, pensata da Kane & Finger come un acronimo di Goth(ic) Am(erica), America gotica (ma nella realtà è uno dei soprannomi di Manhattan):

Al di là dall’essere un pressoché imbattibile “picchiatore”, il Cavaliere Oscuro è passato alla storia del mondo pulp, per il suo servirsi di speciali veicoli, tutti istrionicamente preceduti dal prefisso “Bat”. Abbiamo così: la Batmobile, la Batmoto, il Batplano, il Batcottero e il Batscafo. Come giustamente suggerisce Stefano Santarelli, nella sua “guida” al mestiere di sceneggiatore per i fumetti, il modo in cui Batman si muove all’interno del contesto urbano è parte integrante del tòpos che si è man mano creato intorno alla figura di questo personaggio: “Pensiamo a Batman, la bat-caverna, la bat-mobile ecc. non sono semplici ammennicoli che arricchiscono in modo più o meno fantasioso la sua personalità. Ma elementi utili allo sviluppo delle azioni che il pipistrello dei fumetti compie nelle varie avventure che si trova a vivere”.

E poi il caratteristico mantello svolazzante nero, che a molti disegnatori è servito per caratterizzare ancor più graficamente il personaggi. Molti pensano che Bob Kane si fosse semplicemente ispirato all’anatomia dell’ala del pipistrello (animale notturno al quale Batman fa comunque riferimento, per sfruttare a suo vantaggio la superstizione che avvelena il mondo della malavita), ma non è del tutto vero. Precisa infatti Rosati:

Invero, se la ideazione del fumetto in questione fosse stata tanto diretta e banale, sicuramente non sarebbe riuscita a fare di Batman quella “icona” a cui abbiamo accennato. Kane, infatti, concepì il mantello rivolgendo la propria fantasia a esempi assai elevati, niente di meno che a quel grande italico genio che fu Leonardo da Vinci. Ci riferiamo all’Ornitottero, la macchina volante che lo scienziato e artista toscano ipotizzò tra il 1487 e il 1490, affinché l’uomo potesse infrangere l’ultima barriera che ne limitava una totale libertà, quella del volo. In tutta franchezza, non possiamo sottacere il piacere e l’orgoglio di sapere che dietro uno dei più sofisticati e riusciti personaggi della fumettistica occidentale vi sia pure un “tocco d’Italia”.

Rosati entra ancora più nel particolare con il terzo capitolo della prima parte, Il modello del “case study” nell’esegesi di “Batman”:

Al fine di meglio chiarire il nostro approccio metodologico nello studio della Saga creata da Kane e Finger, proponiamo qui una tipologia di analisi di alcune singole opere su Batman, all’insegna di quello che la critica anglosassone chiama “case study”, ossia, il prendere uno o più “campioni” afferenti a un contesto più grande e, isolandoli nella indagine critica, utilizzarli per accentuare determinati elementi nodali riferiti a un discorso più ampio e generale.

“Gotham stregata”

Fra gli esempi editoriali dai quali trarre una più compiuta “idea” del personaggio, Rosati cita Batman: Gotham stregata, una ormai classica “miniserie” DC del 2000 scritta da Doug Moench e illustrata da Kelley Jones:

Molto spesso, quando si pensa al personaggio di Batman, si immagina un uomo vestito da pipistrello, che è solito usare i curiosi congegni di cui si è già parlato e che è sempre coadiuvato dal fedele Robin. Questa però non ne è proprio la più esatta rappresentazione. O meglio, non ne incarna bene l’essenza. È pur vero che il Nostro usa tantissimi batcongegni e che frequentemente viene spalleggiato da Robin; però Batman è molto di più. Allora, in definitiva, che cosa è? Riteniamo che questo affascinante personaggio sia una allegoria fumettistica su ciò che separa il Bene dal Male; l’ordine sociale da un caos folle; la luce dalle tenebre; in altre parole, Batman stesso dal suo eterno nemico il Joker. “Gotham Stregata” ha precipuamente il merito di riproporci il vero Batman, con atmosfere vicine a quelle del Cavaliere Oscuro di Frank Miller.

E poi Batman: Harvest Breed, una graphic novel (terminologia usata, e oggi perfino abusata, per indicare un “romanzo grafico”, una storia autonoma dall’andamento e dalle tematiche più accostabile al romanzo piuttosto che al fumetto “normale”, oppure, nel caso del fumetto seriale, un’avventura speciale, “fuori-serie”, sia per la realizzazione grafica, sia per i contenuti narrativi) di George Pratt, pubblicata in America agli inizi del 2001:

L’autore mostra senza veli come la corruzione interiore è talmente radicata in Bruce Wayne, da rendere per lui – ancora a sostanziare la nostra tesi – completamente inadeguato il termine di “eroe”, in favore del decisamente più calzante “vendicatore”. D’altronde, è questa la primigenia natura di Batman: un individuo assetato di giustizia, privo di visioni utopiche.

“Harvest Breed”

Nel quarto capitolo (Ricezione nella società americana, la annosa questione della censura) Rosati si occupa delle “grane” sociali e legali che “Batman” ha dovuto affrontare – come tanti altri fumetti americani – a causa del puritanesimo presente nella società statunitense almeno fino all’era Clinton, quando è stato soppiantato da un nuovo moralismo – di volta in volta etichettato come politically correct, cancel culture, woke, etc. Si parla tra le altre cose del ben noto (almeno negli ambienti fumettistici, il comicdom) caso del Comics Code, codice di autoregolamentazione sui contenuti verbali e grafici che le case editrici USA si diedero negli anni Cinquanta per rispondere allo scandalo e alle ondate censorie seguite alla pubblicazione del pamphlet anti-fumettistico Seduction of the Innocent dello psichiatra Fredric Wertham (in Italia ebbe un omologo nel fascicolo partorito in ambienti preteschi vaticani, Mammina me lo compri?, teso a propagandare l’idea che solo la stampa a fumetti di matrice cattolica fosse adatta a un pubblico di ragazzi).

Rosati ricorda giustamente che Wertham, ossessionato dal crimine, dalla violenza e soprattutto dalla “sensualità” presenti nei fumetti americani pre-code

critica senza mezzi termini il legame che intercorre tra Bruce Wayne e Dick Grayson, non suggerendo solo che si tratti di una relazione di stampo celatamente “gay”, ma anche il fatto che il grande successo di questo fumetto potesse incoraggiare degli adulti poco equilibrati ad abusare fisicamente dei minori, trainati da un malsano desiderio di emulare il rapporto tra Batman e Robin.

Ma si era comunque ancora negli anni del “maccartismo”. Dopo sarebbe andata meglio? Non esattamente, perché ancora negli anni Ottanta, a una quarantina di mesi dalla caduta del Muro di Berlino Batman ancora scandalizzava le “anime belle”:

“Seduction of the Innocent”

Tuttavia, non fu solo il “côté sessuale” in Batman a entrare nel mirino dei perennemente solerti e pugnaci progressisti americani. Infatti, venne stigmatizzata pure l’ideologia che a loro avviso veniva propagandata nel fumetto, per mezzo della condotta violenta del suo protagonista. Sotto accusa finì, tanto per dire, il capolavoro di Miller: “Il ritorno del Cavaliere Oscuro”, che fece a certuni apparire Batman come un reazionario. A sposare questa interpretazione dell’opera milleriana troviamo purtroppo anche Geoff Klock, il quale, nonostante il piglio dotto della analisi, inciampò nel puro pregiudizio liberal, affermando incautamente che il personaggio è: “La peggior sorta di fascista reazionario”; accostandolo a quei Presidenti americani notoriamente invisi alla sinistra radical statunitense come Ronald Reagan e George H.W. Bush.

A proposito di Frank Miller, che rivoluzionò dal profondo il personaggio di Batman (rendendolo più “cattivo” e “adulto”), con i suoi disegni e suoi testi, i lettori di “EreticaMente” forse ricorderanno un mio articolo sul suo 300, visionaria interpretazione fumettistica, anche da un punto di vista grafico, della Battaglia delle Termopili. Anche quel fumetto fu accusato di essere “reazionario”, se non “fascista”. Un’altra medaglia appuntata sul petto del grande artista americano.

Il quinto capitolo della parte del volume curata da Rosati si intitola Alcune considerazioni sulle “versioni”: televisione, cinema e animazione (giova ricordare che Rosati è anche un esperto di chiara fama del grande e del piccolo schermo):

Il Batman di Frank Miller

Si è già detto che il punto di svolta nella interpretazione di questo personaggio si deve in gran parte all’immenso Frank Miller, il quale ha rianimato con intelligenza e misura quel vendicatore che era stato precedentemente “annacquato” per non dispiacere o irritare gli ambienti liberali americani e non entrare in contrasto con la corrente del pacifismo statunitense, connotata perlopiù dalla sua “vocazione lisergica”.

Ed è infatti con Miller che la cinematografia recente su Batman, a partire da Tim Burton nel 1989, per approdare a Nolan nel XXI secolo sembra maggiormente confrontarsi: il Batman dark dei film moderni viene – o comunque molto deve – certamente da Il ritorno del Cavaliere Oscuro. Rosati chiude il capitolo con una riflessione critica (e controcorrente) sulla serie televisiva “Gotham” (2014 – 2019) e su Joker, film-capolavoro del 2019, nell’ottica dell’obbiettivo del suo studio volto a rappresentare Batman come vendicatore, come “nemico del Male”:

Gotham” stravolge totalmente il senso intimo del fumetto, trasponendolo in chiave “gialla”. Sviluppata da Bruno Heller, questa fortunata produzione è incentrata in buona misura sul narrare i primi passi da poliziotto di Jim Gordon e quelli di Bruce Wayne da nemico del crimine. Heller ha avuto l’audacia di voler pure lui reinventare Batman, anzi, qui costui proprio non c’è. Del resto, come il nome stesso della serie fa intendere, la vera protagonista è la immaginaria città inventata da Bill Finger. In “Gotham” l’attenzione è tutta rivolta ai pittoreschi e leggendari “ospiti” del famigerato manicomio criminale Arkham Asylum. Nulla da eccepire dal punto di vista formale: una opera esteticamente raffinata, con una ricercata e riuscita ambientazione metropolitana “noir”, ove prevale una architettura maestosa e austera, con una periferia che pullula di enormi magioni immerse nel lusso e nella penombra, contrapposte al labirinto di viuzze e locali malfamati nel cuore di Gotham. La trama si focalizza sui cattivi, sulla loro brama di potere spesso frustrata, legittimando alla fine le ambizioni e le azioni dei malviventi. In sintesi, l’opposto di quello che è il senso della Saga. Tale, a nostro avviso, contraddittoria prospettiva è stata poi ripresa nella pellicola “Joker” (2019) di Todd Phillips, lodevole solo per la buona interpretazione nei panni dell’Arlecchino Matto di Joaquin Phoenix. Nondimeno, anche in questo film il crimine viene compreso e non stigmatizzato, in un racconto dal taglio psicologico. Pare proprio che le “ragioni del Male” stiano man mano prevalendo su quella sete di Giustizia che sta al centro delle vicende legate all’Uomo Pipistrello.

Fermo immagine della sigla di apertura della serie tv “Gotham”

Nella Conclusione (Il crimine va perseguitato, non semplicemente condannato) Rosati si congeda dal volume ribadendo il suo concetto chiave: Batman è un vendicatore non dotato di superpoteri, che combatte il crimine con le sue sole forze; rappresenta la forza del Bene e del Giusto contrapposta a quella del Male (che non può mai essere giustificato), e questa posizione non può essere sminuita o troppo stravolta da nuovi sceneggiatori, altrimenti verrebbero minate le fondamenta stesse dell’Universo DC (quello al quale appartengono anche Superman, Flash, Wonder Woman e via dicendo), l’unica casa editrice

che ha tentato, parzialmente riuscendoci, di creare una “mitologia americana”, contrastando la tendenza della rivale Marvel nel voler umanizzare e politicizzare – quest’ultimo aspetto è esiziale – i protagonisti dei fumetti.

“Understanding Comics”

E, citando un fondamentale volume a fumetti sul linguaggio dei fumetti (Understanding Comics, pubblicato da Scott McCloud nel 1993):

Come si spera di aver dimostrato lungo la nostra analisi, “Batman” è stato perlopiù apprezzato per l’aspetto grafico e le atmosfere cupe e gotiche ma, quando alcuni critici hanno provato a decifrarne il significato, questo è stato spesso male interpretato, se non addirittura fuorviato, seguendo le mode accademiche e culturali del momento. Il testo di McCloud si oppone indirettamente a tali manipolazioni, spiegando tutti i piccoli “segreti” tecnici che consentono poi di arrivare a quel “sense of wonder “che, tramite la “sospensione dell’incredulità” di cui parlò Samuel Taylor Coleridge (1772-1834), ha permesso a legioni di bambini di sviluppare “indipendentemente” la propria fantasia. La Saga dell’Uomo Pipistrello ha svolto in questo un ruolo preminente, giacché ha incantato i giovani appassionati di fumetti non solo mediante una innovativa dimensione fosca, a tratti inquietante, ma specialmente per il suo comunicare un recondito e continuo messaggio di Giustizia sinonimo poi di vendetta. Del resto, in numerose occasioni abbiamo affermato precisamente ciò: Batman è un vendicatore, la sua non è la legge dei codici giuridici, bensì quella della rivolta contro un mondo malvagio.

Nella seconda parte del saggio Renzo Giorgetti ricostruisce l’origine storica (o quella che potrebbe essere tale) del mito di Batman, mettendo in campo un eroe letterario del lontano passato e una singolare e fantomatica apparizione della Londra vittoriana. Nell’Introduzione viene chiaramente spiegato il procedimento:

Batman non nasce dal nulla, ma può vantare validi e nobili antenati, misteriosi quanto lui, insospettabili, misconosciuti o semplicemente dimenticati. Cercheremo di scoprire, in questa seconda parte, qualche collegamento, qualche parentela più o meno nascosta che sarà in grado di svelarci i nessi segreti e le forze generatrici che hanno avuto come esito finale la genesi del Vendicatore di Gotham. Tratteremo in queste pagine di Spring-heeled Jack – the “Terror of London” – strano ed enigmatico personaggio che appare improvvisamente nell’Inghilterra della prima Era Vittoriana, turbando la quiete delle sue notti. C’è un filo conduttore comune che lo lega a Batman e anche a Robin Hood, una serie di caratteristiche, attitudini e modi di agire che apparenta questi personaggi, quasi come membri di uno stesso albero genealogico che affonda le sue radici nelle remote tradizioni popolari della cultura folklorica.

Pubblicazione d’epoca con Spring-heeled Jack

Nel primo capitolo della seconda parte (Il contesto storico) emerge l’immagine fumosa della Londra ottocentesca, una metropoli oscura e sovraffollata (per gli standard dell’epoca) che potrebbe rassomigliare alla Gotham di Batman, soprattutto a certe interpretazioni che ne sono state date a partire dagli anni Ottanta in poi, da Miller e Burton in poi: non più la “giungla d’asfalto” degli anni Trenta e Quaranta, ma la megalopoli neo-gotica cui colori predominanti sono il nero, il grigio e il marrone; per chi vuol farsi un’idea di questo nel mondo reale basta osservare una foto del mostruoso nuovo Tribunale di Firenze, non a torto etichettato “Gotham City”. In quella Londra “estrema”, agitata da tensioni sociali, difficile da vivere, calamita di masse umane rurali, qualcosa di nuovo ma collegato ad antichi miti rivisitati in chiave moderna e urbana, sembra emergere. Qualcosa che va oltre la semplice inquietudine “fisica” legata alla “carne”. Spiega infatti Giorgetti:

Le inquietudini possono prendere anche altre forme, e manifestarsi, come vedremo, in modi assai diversi. L’urbanizzazione del folklore contadino sarà da questo punto di vista fondamentale. I cambiamenti nella mente sembrano essere superficiali, pronti a lasciare emergere, al momento opportuno, paure e inquietudini ben più antiche e profonde. In tale scenario emergerà la figura di Spring-heeled Jack.

Non a caso il secondo capitolo (I fatti e la leggenda) si apre con una sorta di breve racconto, una moderna fiaba nera (anche se nere, le fiabe, lo sono sempre state):

Siamo alla periferia di Londra, in uno dei sobborghi che presto saranno inglobati dalla grande metropoli. È una notte autunnale, fredda e umida. L’oscurità avvolge le strade, le abitazioni, i rari passanti. Dal tetto di una casa una figura, immobile, scruta ogni cosa. Accovacciata, come una mostruosa statua di una cattedrale gotica, sembra scolpita nella pietra, ma è invece pronta a muoversi al momento opportuno. Il suo profilo è bizzarro, non si comprende se alterato da una maschera o da una naturale malvagità che ne riflette i tratti più demoniaci. All’improvviso si odono dei passi, qualcuno calpesta veloce il selciato, cercando di raggiungere presto casa. La figura sul tetto si alza, apre le braccia dispiegando un largo mantello nero, o forse un paio di ali, balza a terra sul malcapitato, lo afferra, lo schiaffeggia, gli riduce il vestito a brandelli con i suoi artigli. Fiamme bluastre escono dalla sua bocca, accrescendo il panico dell’aggredito, che urla, si agita, chiede aiuto, cercando di divincolarsi dalla presa ferrea che lo trattiene. Alcuni passanti, richiamati dalle grida, accorrono tenendosi a debita distanza, qualche finestra si accende, i testimoni, impietriti, osservano con terrore la scena. Qualcuno si azzarda a sparare, ma i proiettili non sembrano minimamente preoccupare la creatura che anzi, divertita, dopo avere prestato il petto ai colpi, fissa i presenti con i suoi grandi occhi infuocati come braci ardenti, per poi dileguarsi nell’oscurità con salti inumani, lasciando dietro di sé soltanto l’eco di un ghigno diabolico.

Ancora Spring-heeled Jack in una pubblicazione popolare inglese

In realtà il racconto di Giorgetti è un “condensato”, in chiave narrativa, di tutti i fatti soprannaturali, che hanno avuto come protagonista una spettrale e perniciosa creatura nell’Inghilterra del XIX secolo (a partire dagli anni Trenta) e degli inizi del XX, e che hanno avuto l’onore delle cronache giornalistiche. I resoconti divergono, talvolta paiono contraddirsi, ma la sostanza è quella: un essere misterioso e notturno terrorizza paesi e città. Con il passare del tempo la creatura acquista sempre più corpo e fisicità, distaccandosi dall’essenza fantasmatica degli inizi. Diventa – e finalmente ci avviciniamo a Batman – un vero e proprio personaggio, quasi romanzesco: gli viene dato un nome, Spring-heeled Jack (Jack dai Tacchi a Molla), dove per “Jack” si intendeva in inglese un tipo qualunque ma che aveva qualcosa di particolare o di strano, e comincia ad apparire in commedie teatrali, in racconti e nei penny dreadful (le dispense popolari, assimilabili ai feuilleton francesi e ai nostri “romanzi d’appendice”, dalle quali nacquero capolavori come Varney il vampiro). Nel corso del ‘900 quella figura enigmatica viene continuamente rispolverata (come era accaduto per un altro “Jack”, quello che uccideva le prostitute londinesi, detto appunto “lo squartatore”), in saggistica, in narrativa e nei fumetti (persino in Italia, sulla serie bonelliana di “Martin Mystère”, grazie a quel gran macinatore di leggende urbane che è lo sceneggiatore milanese Alfredo Castelli).

Spring-heeled Jack venne naturalmente sospettato dalla maggioranza degli inglesi di essere un uomo in carne-e-ossa che si mascherava per i propri oscuri fini. È questo il secondo parallelo con Batman messo in campo da Giorgetti, e fra i sospettati ci furono nobili e ricchi personaggi, esattamente come ricco (seppur non nobile nel senso di “sangue blu”) è Bruce Wayne – l’alter ego “umano” dell’Uomo Pipistrello. Niente di certo, però.

Il terzo e ultimo capitolo della seconda parte del volume si intitola Nipote di Robin Hood, nonno di Batman. Giorgetti cerca di rispondere a una domanda cruciale: come ha fatto Spring-heeled Jack, frutto di testimonianze tutto sommato fumose, a creare tanto scalpore nella Londra vittoriana e a sopravvivere intatto nell’immaginario fino ai nostri giorni? La spiegazione non si fa attendere:

Gli eventi contingenti, legati alla realtà di qualsiasi fatto, tendono inevitabilmente a perdere la propria identità e a svanire nel ricordo, per poi seguire diversi cammini: perdersi nell’oblio, fissarsi nella precisione del dato storico, o riagganciarsi a un modello mitico identificandosi con esso. Secondo quanto sostiene Mircea Eliade il ricordo di un avvenimento storico o di un personaggio autentico non sussiste più di due o tre secoli nella memoria popolare. Questo sarebbe dovuto al fatto che la memoria popolare trattiene difficilmente avvenimenti “individuali” e figure “autentiche”. Essa funziona per mezzo di strutture diverse: “categorie” al posto di “avvenimenti”, “archetipi” al posto di “personaggi storici”. Il personaggio storico viene assimilato al suo modello mitico, mentre l’avvenimento viene integrato nella categoria delle azioni mitiche. La memoria collettiva è antistorica e non riesce a conservare gli eventi e le individualità storiche, se non nella misura in cui essa li trasforma in archetipi, ossia ne annulla tutte le particolarità reali e personali. La memoria popolare restituisce quindi al personaggio storico dei tempi moderni il suo significato di imitatore dell’archetipo e di riproduttore di gesti archetipici. (…) La storia di Spring-heeled Jack ebbe facile breccia nell’immaginario dell’Inghilterra vittoriana, materialista e utilitarista, ma anche romantico e gotico, ancora legato ai temi folklorici del passato, che non chiedeva di meglio che proiettare le proprie inquietudini su di un’ombra misteriosa e “soprannaturale”.

Robin Hood, eroe e leggenda

Temi folklorici vecchi di secoli. In tal senso, secondo Giorgetti, Spring-heeled Jack è il “nipote di Robin Hood”, un eroe popolare, anzi, forse una somma di eroi del popolo, del tutto simile come processo narrativo di condensazione alla figura di Re Artù. Giorgetti riporta una testimonianza vecchia di secoli (a sua volta mutuata da Sir Walter Scott):

Reginald Scot, aristocratico e intellettuale del Cinquecento, nel suo libro The Discoverie of Witchcraft, scritto nel 1584, riporta un’interessante testimonianza riguardo alla formazione e alla trasmissione nel tempo di tutto questo patrimonio di conoscenze e superstizioni:

Certamente più di un furfante avvolto in un lenzuolo bianco ha ingannato e deluso molte migliaia di persone, specialmente quando Robin Goodfellow ha suscitato un tale tumulto nelle campagne. Nella nostra fanciullezza le domestiche di nostra madre ci hanno talmente terrorizzato con l’immagine di un orrendo diavolo che aveva corna sulla testa, il fuoco che gli usciva dalla bocca e una coda nel fondoschiena; occhi come due catini, zanne di cane, unghioni di orso, pelle come quella di un negro e una voce che faceva pensare al ruggito del leone, e da allora saltiamo su e abbiamo paura ogni volta che sentiamo uno che grida Boh!. E ci hanno talmente spaventati con storie di spauracchi, spiriti, streghe, folletti, elfi, fate, satiri, Pan, fauni, silvani Kitt col candeliere, tritoni, centauri, nani, giganti, diavoletti, stregoni, ninfe, bambini sostituiti ad altri di nascosto, incubi, Robin Goodfellow, lo Spoorn, l’Uomo della quercia, lo Hellwain, draghi di fuoco, spiritelli, Pollicino, l’uomo nero, Tom il saltimbanco, il Senz’ossa, e altri mostri simili, che abbiamo paura della nostra stessa ombra, al punto che alcuni non temono mai il diavolo se non in una notte buia; e allora anche una pecora tosata diventa una bestia pericolosa…”

Il burlone che terrorizzava le strade della Londra ottocentesca affonda dunque le sue origini nel più antico folklore britannico pre-cristiano, un folklore inizialmente agreste che si trasferisce in città grazie all’immissione di centinaia di migliaia di gente dalla campagna che porta nelle metropoli tutte le proprie tradizioni e leggende: il Piccolo Popolo, Puck (protagonisti della commedia shakespeariana), Robin Hood, l’elementale Uomo in Verde, il Re di Maggio, l’Uomo dei Boschi, il Trickster o il diavolo in persona…

Il Piccolo Popolo

Un altro aspetto che accomuna queste figure, come Robin Hood e l’Uomo dei Boschi, e il loro discendete urbano, è l’estrema agilità nel fuggire dalla “scena del delitto”: se Robin Hood e l’Uomo dei Boschi, essere misterioso coperto di peli (accomunabile, ma non troppo, all’asiatico Yeti e all’americano Bigfoot), si dileguava in tutta fretta nella foresta, sgusciando e immedesimandosi (grazie al mimetismo naturale della pelliccia o artificiale del mantello e cappuccio verdi) fra alberi e cespugli (rimandando per associazione di idee al topos fumettistico del “tarzanide”, come Akim o Zagor), Jack dai Tacchi a Molla spariva nei quartieri e fra le case con rapide corse o addirittura con sovrumani balzi scavalcando muri di cinta e palazzi (nei penny dreadful ha queste abilità di sovrumano “scavalcatore” anche Varney il vampiro, campione di parkour ante-litteram), una chiara premonizione dei personaggi fantastici dotati di superpoteri o comunque di agilità fisiche fuori dalla norma e dotazioni tecnologiche capaci di elevarli al di sopra della “bassa umanità”; i “tacchi a molla” di Jack il Terrore di Londra rimandano direttamente a tutti i gadget maneggiati con estrema abilità dal Cavaliere Oscuro di Gotham.

Attraverso tutta una serie di passaggi editoriali e mutazioni narrative Spring-heeled Jack si trasforma da essere soprannaturale e sostanzialmente malvagio delle prime cronache del 1837/38, a imprendibile furfante dei penny dreadful successivi acquistando caratteristiche positive, come figura fascinosa, fino a diventare un vero e proprio vendicatore mascherato, un nobile che vuole riscattarsi per un torto subito. Con l’arrivo del fumetto e con l’apparire nei primi anni del Novecento di personaggi che si ispirano direttamente o meno a Spring-heeled Jack la strada verso il Batman di Bob Kane del 1939 è già aperta.

Una moderna interpretazione di Perak

L’Appendice di Gianluca Di Fratta (che si ricollega soprattutto al discorso di Giorgetti) si apre con una leggenda moderna: nella Praga degli anni della Seconda Guerra Mondiale sarebbe apparso una sorta di vigilante mascherato, Pérák (ovvero il “saltatore”), che agiva con sabotaggi contro i Nazisti; un personaggio che sembra del tutto vicino caratterialmente sia a Spring-heeled Jack, sia a tutti i suoi precursori e successori, come Robin Hood e Batman. Anche Pérák divenne successivamente – da leggenda urbana – eroe della narrativa popolare, una specie di super-partigiano anti-nazista, protagonista di film e romanzi (ispirandosi molto probabilmente in maniera diretta ai comic books di Batman diffusi in Europa dalla soldataglia statunitense).

Ma come molti altri personaggi carismatici, successivamente immortalati dalla cultura popolare, la forma originale di questo spettro saltatore tradiva in realtà connotazioni per lo più ambivalenti. Bisogna innanzitutto chiarire che, contrariamente allo stereotipo della cultura ceca che lega la figura di Pérák esclusivamente ai territori della Cecoslovacchia (o anche solo a Praga) durante la Seconda Guerra Mondiale, essa è in realtà una versione regionale e nazionale di una leggenda migratoria e del complesso narrativo-culturale a essa associato. Un complesso nato in Gran Bretagna nei primi decenni del XIX secolo, quando nella cultura della classe operaia iniziarono a diffondersi storie di apparizioni di “fantasmi urbani” quali espressione culturale di una società industrializzata. Una fusione di narrazioni orali, ostensiva di pratiche culturali, feste vernacolari e prime forme di cultura di massa, aveva prosperato nell’ambito della classe operaia nella maggior parte dei centri industriali britannici a partire dalla fine del XVIII secolo, dando alla luce il predecessore storico di Pérák, uno spettro saltatore urbano di nome Spring-heeled Jack che fu molto popolare tra il 1837 e il 1877 (…). Dopo il 1904 il complesso narrativo-culturale relativo a Spring-heeled Jack fu ristrutturato diventando una leggenda nazionale che emigrò in diversi territori europei, in particolare Russia, Germania e – appunto – Cecoslovacchia. Qui la leggenda di Spring-heleed Jack si innestò su altri casi più antichi di fantasmi urbani (che, tuttavia, non presentavano il motivo del salto), come il famoso Fantasma di Podskalí (“Podskalské strašidlo”) del 1874, il Fantasma di Holešovice (“Holešovické strašidlo”) del 1876 e il Fantasma di Liben (“Libenské strašidlo”) del 1907 che a partire dalla seconda metà del XIX secolo e almeno fino agli anni Venti del secolo successivo seminarono il panico nell’ambiente operaio di Praga, innescando un processo di risemantizzazione del personaggio che portò alla graduale formazione dello spettro saltatore cecoslovacco.

Giorgetti colloca personaggi mitici moderni come Zorro e Batman a metà strada

tra due tipi ideali di fantasma urbano: lo spettro saltatore, ambivalente e mostruoso, della tradizione orale del XIX secolo (Spring-heeled Jack) e l’eroe mitico, idealizzato e positivo, della cultura popolare del XX secolo (Pérák)

La copertina del libro di Tabula Fati

e trova svariate caratteristiche che accomunano tutte queste spettrali e notturne figure (leggendarie con un fondo di verità o semplicemente inventate, ispirandosi alle leggende) che agiscono prevalentemente con il favore delle tenebre: l’ampio mantello nero e svolazzante che ricorda le ali del pipistrello, la maschera come parte di un costume / divisa, l’invulnerabilità (tale o presunta, magari frutto soltanto della grande velocità fisico / muscolare), le doti acrobatiche (necessarie a fuggire per non esseri presi e ad assalire più efficacemente e inaspettatamente il nemico), la furtività (ovvero la destrezza quasi magica nell’apparire e nello scomparire). Ci sono poi caratteristiche che solo alcuni di questi personaggi posseggono – come la risata diabolica (che nella saga di “Batman” sembra essere stata ereditata dal Joker), il passo di danza (che rimanda però all’agilità fisica), il fuoco e le fiamme (secondo le prime cronache Spring-heeled Jack sputava fuoco come un demonio; e anche Batman ha armi e gadget che potrebbero sembrare “demoniaci”), la metamorfosi animale (Batman non si trasforma, ma comunque si ispira al pipistrello, e altri personaggi del folklore si mimetizzano nel panorama naturale, grazie alla maschera o alla pelliccia).

Un saggio dunque ricchissimo – come abbiamo visto – il Batman di Tabula Fati, nel quale si dimostra come un “semplice” eroe dei fumetti possa essere in realtà il punto di arrivo di una tradizione popolare secolare e porsi come cardine di un nuovo linguaggio narrativo che coinvolge ogni moderno mezzo di comunicazione.

Riccardo Rosati e Renzo Giorgetti

BATMAN – Le origini, il mito

Appendice di Gianluca Di Fratta

pagg. 152 – € 12,00

collana Maschera e Volto n. 27

Tabula Fati, aprile 2022

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