13 Aprile 2024
Attualità Cattolicesimo Identità

Identità vere e false

di Fabio Calabrese
Ne abbiamo parlato più e più volte e non smetteremo di farlo: la più grave minaccia del nostro tempo è rappresentata NON TANTO dall’immigrazione che minaccia di distruggere l’identità dei popoli europei, a cominciare da quello italiano, che non solo si trova in prima linea sul fronte mediterraneo, ed è particolarmente vulnerabile in quanto profondamente INFETTATO da suicide ideologie marxiste e cattoliche, QUANTO PIUTTOSTO DA CHI STA DIETRO il fenomeno migratorio, e preme per sostituire i popoli d’Europa con una turba meticcia facilmente manovrabile e dominabile.

Un altro concetto che è meglio avere ben chiaro in mente, è che bisogna distinguere la globalizzazione intesa come interdipendenza economica che di fatto si è creata grazie allo sviluppo dei mezzi di comunicazione fra le diverse aree del nostro pianeta, e il MONDIALISMO, che non è affatto implicato di necessità dalla prima, ossia la tendenza all’universale meticciato, e/o le ideologie cosmopolite che tale meticciato intendono favorire e favoriscono, in una folle prospettiva che coincide con il suicidio dei popoli europei: marxismo, liberalismo, democraticismo, cristianesimo (quest’ultimo, interpretato come religione e da taluni addirittura come tradizione, è invece un corpo estraneo alle più autentiche radici dell’Europa, e del quale ci dobbiamo del pari sbarazzare).
Questa mancata distinzione ha prodotto un fenomeno aberrante e SINISTRO (ovviamente), il cosiddetto movimento No Global. Che senso ha voler mantenere alcuni segmenti di economia separati dal mercato mondiale se contemporaneamente non ci si oppone al mondialismo e al meticciato? Sarà perché si basa su di un’assurdità logica che il movimento No Global ha dimostrato presto di essere capace di una cosa sola: la violenza più brutale e indiscriminata senza alcunché di neppure lontanamente propositivo.
Un’efficace opposizione al mondialismo non può essere rappresentata dai No Global ma dai movimenti identitari, dalla difesa dell’identità etnica, culturale ma innanzi tutto biologica dei popoli europei. “Nazione” viene da “nascere” e implica prima di tutto l’ascendenza di sangue, e occorre in primo luogo sbarazzarsi delle falsificazioni di “sinistri”, preti e democratici, intesi a bollare come razzismo quello che è naturale istinto di autodifesa.
Io non vorrei rivoltare il coltello nella piaga, ma non è possibile dimenticare che la Chiesa cattolica ci ha recentemente offerto lo spettacolo indecente di un papa costretto ad abdicare perché “non abbastanza” di sinistra e in linea con le pressioni del mondialismo, per essere sostituito da una specie di showman mediatico che fin dal nome adottato sembra mettere in caricatura gli aspetti più esteriori del pauperismo del santo di Assisi pur essendo lontano mille miglia dalla sua spiritualità, un’immagine “testimonial” di un vero e proprio marketing del sacro.
Un concetto che ho ribadito in precedenti articoli (fra cui, appunto “Identità” su “Ereticamente”) è che occorre avere la saggezza di rinunciare a qualcosa per salvare tutto il resto, non fare come chi, quando la casa brucia, lascia morire un familiare per salvare un soprammobile. Il qualcosa a cui occorre saper rinunciare è la tendenza miope a definire l’identità in senso sempre più ristretto, le “micro-patrie” vallona, catalana, ladina, friulana, guardando piuttosto a un’Europa di popoli-nazione solidali e compatti nella difesa della propria identità etnica, culturale, storica.
Qualcuno di voi ricorderà che il mio precedente articolo, “Identità” mi è stato ispirato da una foto scattata al raduno leghista di Pontida, ripreso nel 2013 dopo un “buco” di due anni (ne sentivamo proprio la mancanza!), foto dove si vedono tre tizi, due dei quali mascherati da guerrieri celti (longobardi, vichinghi o magari klingon, fa lo stesso), e il terzo con un costume di gommapiuma da orco dei fumetti, e da bisogno di prendere categoricamente le distanze da simili pagliacciate che hanno l’unico effetto di rovesciare sterco addosso a chi si oppone al mondialismo da una posizione anche vagamente identitaria (se “l’identità” si identifica con carnevalate simili), anche facendo logicamente la tara che i media, TUTTI di sinistra quelli di una certa importanza, abbiano scelto a bella posta delle immagini del raduno di Pontida di mettere in evidenza quella più caricaturale e ridicola.  
Confondere l’identità con il localismo, il municipalismo, il campanilismo, è una scelta suicida, salvare il soprammobile invece del familiare, le micro-patrie che in tal modo si disegnano non sono nemmeno scogli destinati a essere sommersi dalla marea mondialista, ma ghiaia che può essere facilmente sbattuta di qua e di là, senza contare l’inevitabile tendenza di ciascun campanilismo a contrapporsi agli altri.
Un discorso che vale in particolar modo per l’Italia, dove settant’anni di democrazia antifascista hanno provocato nei nostri connazionali un profondo senso di vergogna per ciò che quest’ultima li ha ridotti a essere: ci si dichiara, si vorrebbe essere padani, bi-siculi (delle Due Sicilie), Galli cisalpini, etruschi, magni greci, sardi, friulani, tutto meno che ita
liani.
Noi siamo molto di più di quel che ci hanno ridotti a essere; in “Identità” citavo quattro uomini: Marco Polo, il primo che col racconto dei suoi viaggi ha fatto capire che esisteva un vasto mondo oltre le sponde del Mediterraneo, Leonardo da Vinci, il geniale precursore che ha intuito con secoli di anticipo la scienza e la tecnica della nostra epoca, Cristoforo Colombo che con la scoperta dell’America ha unito la storia umana, svoltasi fino a quel momento nel Vecchio e nel Nuovo Mondo come su due palcoscenici separati, Galileo Galilei, il fondatore del metodo scientifico e padre della scienza moderna. Uno solo di costoro sarebbe per qualsiasi altra nazione fonte di gloria imperitura, ma non c’è solo questo: pensiamo a Roma che per prima ha unito il mondo civile in un unico impero, alla fioritura artistica del rinascimento, all’epopea risorgimentale, un secolo di lotte eroiche, di sacrifici affrontati con stoicismo, dal 1821 al 1918, dalla ribellione dello squadrone di Nola a Vittorio Veneto, di un popolo determinato a ritrovare unità e dignità di nazione, agli eroismi del Carso e del Piave, di El Alamein e Nikolaewka, del valore che ha tanto più brillato quando ci si è trovati ad affrontare il nemico in disperata inferiorità di mezzi.
Noi possiamo essere soltanto fieri di essere italiani: è della democrazia antifascista che possiamo e dobbiamo provare nausea e disgusto.
Pensiamo, tanto per avere un’idea, a quali sono “gli eroi” su cui gli statunitensi basano il loro orgoglio nazionale, la convinzione di un superomismo che li renderebbe superiori al resto dell’umanità: George Armstrong Custer, un fanatico razzista e massacratore di nativi americani (pellirosse) che è stato così abile da portare i suoi uomini al massacro nonostante la superiorità tecnologica sui nativi, Bill Cody “Buffalo Bill”, sterminatore di bisonti (allo scopo di ridurre alla fame i “pellirosse”: il genocidio attraverso l’ecocidio, la distruzione delle risorse, una cosa di cui proprio essere fieri), alcolizzato e omosessuale, Jesse James, un volgare bandito e rapinatore di banche. Come se noi, per intenderci, andassimo orgogliosi di Lutring, Totò Riina e Vallanzasca.
Io non ne ho parlato nel mio articolo precedente in assenza di riscontri, ma ho sempre avuto il dubbio che i sostenitori delle micro-patrie fossero in realtà manovrati proprio da mondialismo come ulteriore mezzo per minare dall’interno gli stati nazionali. Ora questi riscontri li ho trovati.
Per prima cosa, ecco uno stralcio de “Il piano Kalergi in 21 punti” di Gert Honsik. Quello che dà particolare autorevolezza a questa fonte, è proprio il fatto che questo libro è costato al suo autore un lungo soggiorno in carcere, una voce che IL REGIME DEMOCRATICO che grava come una cappa di piombo su tutta l’Europa, ha cercato di impedirci con ogni mezzo di sentire, e che certamente senza l’esistenza di internet difficilmente controllabile dalla censura (ma ci stanno provando), sarebbe certamente riuscito nell’intento:
“Kalergi proclama l’abolizione del diritto di autodeterminazione dei popoli e, successivamente, l’eliminazione delle nazioni PER MEZZO DEI MOVIMENTI ETNICI SEPARATISTI o l’immigrazione allogena di massa”.
Accanto alle parole di Honsik possiamo allineare quelle di un membro della famiglia Rotschild, Edmond de Rotschild che le pronunciò in un’intervista rilasciata alla rivista francese “Entreprise”, pubblicata il 18 luglio 1970. Si tratta di un’incauta ammissione da parte di un nemico, di uno di coloro che hanno deciso l’estinzione dei popoli europei.
«Le strutture economiche seguiranno la stessa evoluzione delle strutture politiche. In questo, l’Europa occidentale, ossia i sei Paesi del Mercato Comune più Gran Bretagna, e forse Irlanda e Paesi scandinavi secondo modalità da definire costituiranno un’Europa politica federale. Ma poiché ogni individuo prova il bisogno di situarsi in un ambiente ristretto, si identificherà ad una provincia, sia il Wuttenberg o la Savoia, la Bretagna, l’Alsazia-Lorena o il Paese dei Valloni. In queste condizioni la struttura che scomparirà, il lucchetto da far saltare, è la nazione, perché inadatta al mondo moderno; a volte è troppo piccola, a volte troppo grande». 
Che la data sia quella del 1970, non ci deve stupire: il piano Kalergi per l’annientamento dei popoli europei ha subito due grandi battute d’arresto, prima con l’emergere dei fascismi, poi con la Guerra Fredda, ma “l’ideale” della distruzione dell’Europa negli ambienti massonici e giudeoamericani del capitalismo finanziario-parassitario è sempre rimasto vivo.
Vi invito a riflettere sulle parole del signor Rotschild: gli stati nazionali sono nel contempo troppo piccoli perché lontani dallo spersonalizzante “ideale” cosmopolita, e troppo grandi perché potenzialmente capaci di una resistenza all’ondata mondialista che le micro-patrie formato giocattolo non possono certo avere.
Poiché non ho cattiva memoria, vi posso dire di aver sentito una ventina di anni fa concetti molto simili in bocca al leader leghista Umberto Bossi: a suo parere lo stato nazionale andava dissolto “verso l’alto” col trasferimento di p
oteri agli organismi sovranazionali, e “verso il basso” in dirazione del regionalismo e del federalismo (non disse “separatismo” ma la parola gli si leggeva sulle labbra).
Bossi e il suo movimento non sono che un pupazzo nelle mani del mondialismo. Che poi questo pupazzo sia rivestito di gommapiuma in forma di orco dei fumetti o abbia altre fogge, è una questione del tutto secondaria.
Oggi anche internet è sottoposta a sempre più stringenti tentativi di censura. Ultimamente ho avuto da Roberto Luccioli, leader di “Civiltà europea” uno dei gruppi virtuali più interessanti della nostra “Area” la notizia che Youtube ha censurato un filmato che presentava reperti dell’Età del Bronzo in Scandinavia con la motivazione che poteva essere “offensivo”.
Chi avrebbe motivo di “offendersi” della preistoria scandinava? Che logica c’è dietro ciò? Le scienze storiche non sono mai neutre e nemmeno l’archeologia lo è, perché dall’idea che ci facciamo del nostro passato dipende in non piccola parte l’idea che abbiamo di noi stessi, e questo settore della conoscenza è oggetto di mistificazioni più di quanto non si creda.
Tutta la ricostruzione del nostro passato compiuta dall’archeologia ufficiale sembra avere un solo scopo, quello di sminuire il ruolo dell’Europa ed enfatizzare quello del Medio Oriente da cui sono arrivati ebraismo e cristianesimo, e oggi ci arriva sulla testa come una pioggia di sterco l’islam.
Oggi noi sappiamo che, per disgrazia di tutti, la Scandinavia è letteralmente SOFFOCATA dall’invasione islamica, ed è ben chiaro chi si potrebbe offendere constatando che nell’angolo settentrionale dell’Europa c’era una cultura notevole già prima dell’invenzione della scrittura, mentre i loro padri e nonni erano fino a ieri beduini poco meno puzzolenti delle loro capre. 
In generale, tutta la storia antica è deformata a scapito dell’Europa e a favore di quel Medio Oriente da cui in realtà non ci sono giunti altro che fermenti di decadenza, COMPRESO IL CRISTIANESIMO, anzi, alla base della mistificazione sta un’immagine della nostra storia deformata per non contraddire le favole della bibbia attribuendo alla regione in cui è stata scritta una centralità in realtà mai esistita. Strano che storici che si dichiarano “laici” e “marxisti” facciano finta di non rendersene conto, o forse non è poi tanto strano, dato che il marxismo non è altro che una versione laicizzata di messianismo giudeo-cristiano che rientra a pieno titolo tra le religioni semitiche.
Per tenere in piedi teorie false, occorre censurare, cioè sopprimere i fatti che le smentiscono. Ne ho parlato più volte, ma forse è il caso di fare una piccola rassegna in estrema sintesi dei fatti che i libri di storia non raccontano:
Primo: Stonehenge e gli altri circoli megalitici delle Isole Britanniche e della costa atlantica del nostro continente, circoli i cui allineamenti in coincidenza dei solstizi, degli equinozi, delle fasi lunari dimostrano una conoscenza astronomica che non smette di sorprenderci, sono di quasi un millennio più antichi delle piramidi di Giza.
Secondo: la priorità europea nella scoperta dei metalli: il più antico attrezzo metallico conosciuto è l’ascia di rame dell’uomo del Similaun, Oetzi, di cinque secoli più antica di analoghi arnesi mediorientali; la miniera più antica conosciuta al mondo si trova a Rudna Glava nella ex Jugoslavia.
Terzo: la priorità europea nell’invenzione della scrittura. Questa è una storia che ha quasi dell’incredibile, o ne avrebbe se non conoscessimo il carattere censorio della ricerca storica ufficiale, che non ha il compito di indagare il nostro passato, ma quello di mantenere la sopravvivenza di lucrose prebende accademiche. Nel 1962, l’archeologo romeno Nicolae Vlassa scopri nel sito di Turda, sempre in Romania, appartenente alla cultura Vinca, una serie di tavolette di argilla ricoperte di pittogrammi da lui chiamate tavolette di Tartaria (sebbene coi Tartari non abbiano nulla a che fare) di almeno mille anni più antiche dei più antichi pittogrammi sumerici. Da allora è passato più di mezzo secolo nel quale si è scrupolosamente evitato che la notizia venisse a conoscenza del grosso pubblico e/o finisse sui libri di storia.
A questo quadro già molto chiaro, si aggiunge ora un altro tassello: europea e non mediorientale come si credeva (chissà perché) è la priorità di un’altra scoperta umana fondamentale, la misurazione del tempo.         
Ecco quanto riferisce il periodico on line di archeologia “Il fatto storico” del 3 agosto 2013:
I ricercatori dell’Università di Birmingham hanno portato a termine l’analisi di una serie di dodici fos
se di età mesolitica risalenti a ottomila anni fa rinvenute nel sito scozzese di  Warren Field, che sembrerebbero costituire un calendario lunare, nientemeno che il più antico calendario conosciuto al mondo, e un calendario notevolmente sofisticato per l’età preistorica.
“La capacità di misurare il tempo è uno dei raggiungimenti umani più importanti, e capire quando il tempo venne “creato” è critico per comprendere lo sviluppo della società.” 
Vince Gaffney, a capo degli scavi, spiega: “Le prove suggeriscono che le società di cacciatori-raccoglitori in Scozia avevano sia la necessità che la sofisticatezza di registrare il tempo negli anni e di correggere lo slittamento stagionale dell’anno lunare; questo successe quasi 5.000 anni prima dei primi calendari noti in Medio Oriente. Ciò mostra un passo importante verso la ‘costruzione’ del tempo e dunque della storia stessa”.
Un po’ come gli allineamenti di Stonehenge, infatti, sembra che le fosse del sito abbiamo una disposizione con correlazioni astronomiche alquanto sofisticate:
“Il sito si allinea anche al solstizio d’inverno, in modo da fornire ogni anno una correzione astronomica al calendario: i mesi lunari sono infatti più brevi di 11 giorni rispetto ai mesi solari, dunque bisognava avere una sorta di Capodanno per far riallineare il calendario lunare con l’anno solare e le sue stagioni”.
Volete scommettere che neppure questo troverà spazio sui libri di storia?
La storia e l’archeologia SONO politica: dall’idea che ci facciamo del nostro passato dipende l’idea che abbiamo di noi stessi, ben lo sapevano i Tedeschi che diedero vita alla Società Ahnenherbe. Tutti questi fatti di cui IL POTERE non vuole veniamo a conoscenza, dimostrano in maniera solare che “il motore” della civiltà umana non è venuto dall’Egitto e dall’Oriente, ma è sempre stato qui in Europa, legato a una precisa sostanza umana, l’uomo caucasico indoeuropeo.
Coloro che oggi aspirano al potere mondiale e che oggi depredano i popoli europei attraverso un sistema di finanza parassitario e vampiresco vogliono sostituire i popoli d’Europa con una massa meticcia perché sanno che non potrebbero dominarci a lungo, perché il nostro lignaggio, la nostra stirpe è più nobile della loro, perché sanno benissimo di non essere altro che dei marrani ripuliti che hanno conservato tutto il livore verso chi è migliore di loro.
Un’Europa di popoli coscienti e solidali potrebbe trovare ancora la via della salvezza se si riuscisse a sgombrare il campo dalle letali suggestioni democratiche, cristiane e marxiste.

4 Comments

  • Accad 4 Ottobre 2013

    <>
    Rabbi Abram , Tseror sez. Sciofrim

  • Accad 4 Ottobre 2013

    <>
    Rabbi Abram , Tseror sez. Sciofrim

  • Anonymous 5 Ottobre 2013

    poi ci sono i biologhi che insegnano che l’uomo si è evoluto dalla scimmia, che il genere umano proveniva dall’africa, dimenticando le fasi delle glaciazioni. Come combattere contro queste idee radicate ,che non ammettono un contradditorio.

  • Anonymous 5 Ottobre 2013

    poi ci sono i biologhi che insegnano che l’uomo si è evoluto dalla scimmia, che il genere umano proveniva dall’africa, dimenticando le fasi delle glaciazioni. Come combattere contro queste idee radicate ,che non ammettono un contradditorio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *