13 Aprile 2024
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Gianfranco Drioli: Ahnenerbe e Iperborea

 

Recensione di Fabio Calabrese

 

Chi è Gianfranco Drioli? Triestino, è quello che io definirei “un ricercatore fuori dagli schemi”, una persona dotata di una viva curiosità e di una cultura vasta, che ha viaggiato in varie parti del mondo, particolarmente in America latina a cui rimane particolarmente legato dal punto di vista affettivo, che sulla base di conoscenze ed esperienze personali ha sviluppato una propria Weltanschauung in modo del tutto indipendente rispetto al paludato mondo accademico dal quale – lo sappiamo – ci arrivano solo interpretazioni tendenziose e di comodo (per il potere politico) sul nostro passato recente e remoto, su noi stessi, sulla nostra civiltà. Io direi che, con tutte le differenze del caso, la persona a cui somiglia di più come atteggiamento mentale, è Silvano Lorenzoni.

Drioli è autore di due libri, entrambi pubblicati dall’editore Ritter nella collana “I quaderni di Thule”. Il secondo dei due, Iperborea, ricerca senza fine della Patria perduta è stato pubblicato lo scorso ottobre, ma è stato oggetto a gennaio di un’interessante presentazione presso la Casa del Combattente qui da noi a Trieste. Ecco dunque l’occasione per parlarne, e visto che ci siamo, sarà bene dare un’occhiata retrospettiva anche all’altro volume, Ahnenerbe. Cominciamo da quest’ultimo che è stato il primo a essere edito.

“Ahnenerbe” in tedesco significa “eredità degli antenati”. E’ questo il nome di una società fondata nel Terzo Reich e diretta emanazione del partito nazionalsocialista allo scopo di ricercare e studiare l’eredità ancestrale germanica e ariana-indoeuropea in generale. Per realizzare questo intento, la società Ahnenerbe ha organizzato spedizioni antropologiche quasi in ogni parte del nostro pianeta, anche se si è concentrata principalmente sull’Asia centrale, a quei tempi considerata primordiale culla dei popoli ariani.

Si cita spesso, e con una sorta di ironico disprezzo, il fatto che i Tedeschi abbiano speso nelle ricerche della società Ahnenerbe più di quanto gli Americani abbiano speso per la realizzazione della bomba atomica. A mio parere, questo atteggiamento dispregiativo del tutto fuori luogo è una vera e propria cartina di tornasole che ci permette di comprendere l’abisso di differenza di mentalità che separa i “democratici” (qualunque significato si pretenda di dare a questo aggettivo bugiardo) USA e i loro manutengoli, servi e imitatori da questa parte dell’Atlantico dal Terzo Reich e dai fascismi in genere. Per gli yankee e i loro servi e scimmiottatori in Europa, l’acquisizione di un bruto potere di distruzione illimitata, evidentemente, era ed è molto più importante rispetto alla riscoperta della nostra storia, delle nostre origini, di noi stessi.

Dirò di più: in democrazia sembra che sia sconveniente e pericoloso interrogarsi sulle origini di qualsiasi cosa. Manifestando un atteggiamento mentale che ancora, per fortuna, in Europa non è completamente penetrato, gli yankee sembra che ci tengano a recidere quanto più e quanto prima possibile il legame coi loro stessi genitori, a cambiare quanto più spesso possibile lavoro, città di residenza, amicizie. Macché popoli, tradizioni, culture o la famiglia stessa, gli yankee pare ci tengano a essere il prototipo dell’individuo anonimo e sradicato che si perde nella massa amorfa dei suoi simili.

Tanto più sarà sconveniente e pericoloso indagare sulle origini di popoli, culture e civiltà, c’è il rischio di scoprire che gli uomini, le culture, i popoli e (diciamola questa parola proibita) le razze, non sono tutti uguali né hanno lo stesso valore, mettendo in crisi il pilastro della menzogna democratica.

In più, se andiamo a fare qualche ricerca in internet, scopriamo che perlopiù l’argomento Ahnenerbe è presentato come una “voce” del capitolo dell’esoterismo nazionalsocialista. Il sottinteso è implicito ma chiaro: le ricerche della società Ahnenerbe erano qualcosa di chimerico, anzi, è chimerico il fatto stesso di voler indagare sull’origine dei popoli europei e indoeuropei, laddove che tutti gli uomini sono uguali e le differenze razziali non esistono, che un uomo forse vissuto in Palestina due millenni or sono (ma forse mai esistito) possa essere il nostro salvatore, che basta abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione per realizzare il paradiso in terra (in altre parole, tutto lo sciocchezzaio di cui si alimenta la triplice menzogna democratica, cristiana e marxista), queste si che sono idee realistiche e concrete!

D’altronde noi sappiamo che proprio quelle regioni centro-asiatiche che furono principalmente oggetto delle ricerche dell’Ahnenerbe dopo la seconda guerra mondiale sono passate sotto il controllo della Cina comunista e in particolare la regione del Lop Nor che fu oggetto delle ricerche dell’esploratore svedese Sven Hedin che lavorava al servizio della Ahnenerbe, è stata trasformata in un grande poligono nucleare. Sembrerebbe che i Cinesi, con un’ottusità e una brutalità tipicamente comuniste, abbiano voluto “punire” il Lop Nor che le ricerche della Ahnenerbe avrebbero in qualche modo trasformato in una “regione fascista”.

Va detto però che tutti i torti questi “nazisti” non li dovevano avere, dato che in tempi recenti poco distante da lì nella zona del Takla Makan, nel bacino del fiume Tarim sono emerse delle mummie naturali risalenti a epoche remote e dalle caratteristiche “stranamente” europidi, (“celtiche” sono state definite) che ancora conservano pelle chiara e capelli biondo-ramati, e in alcune delle quali i globi oculari sono stati sostituiti da pietre azzurre. Queste mummie sembrerebbero riconnettersi ai Tocari, popolo indoeuropeo che un tempo abitava la regione, e di cui ci sono rimaste diverse iscrizioni in una lingua appartenente al ceppo del centum, indoeuropeo occidentale.

D’altra parte, noi sappiamo che senza un paziente lavoro di ricerca in biblioteche e archivi, la documentazione relativa alla società Ahnenerbe, come del resto il Mein Kampf di Hitler o Il mito del XX secolo di Rosenberg non sono facilmente accessibili (e qui viene spontaneo il paragone con un altro testo che ho recensito da poco, Mistica Volkisch, di Prati, Rimbotti e Lorenzoni, che fra le altre cose ci permette di intravedere il contenuto del testo di Rosenberg), ragion per cui il lavoro del nostro Drioli già solo come impegno documentario merita i più ampi elogi, e cosa ne dobbiamo pensare di una democrazia che, nonostante tutte le dichiarazioni TEORICHE di libertà di pensiero, nasconde i testi della parte opposta, palesando così la paura del confronto?

Il libro di Drioli passa in rassegna i vari aspetti e personaggi che hanno fatto la storia dell’Ahnenerbe, il “mago” Karl Maria Wiligut che sulla base della tradizione ancestrale germanica cercò di rifondare un vero e proprio culto neopagano, Friedrich Hieschler, Hermann Wirth, che fu colui che formulò più chiaramente la teoria dell’origine polare dell’umanità ancestrale, Hans F. K. Gunther il cui testo Religiosità indoeuropea rimane un capolavoro ineguagliato, e molto altro.

Non mancano, naturalmente, gli aspetti curiosi. Si può ricordare che, oltre alle ricerche propriamente storico-antropologiche, la Ahnenerbe si dedicò anche alla ricerca di quei simboli di potere, reputati talismani di grande potenza, da sempre cari agli esoteristi. Oltre alla Vehme, che la tradizione (che non può, ovviamente, essere provata) asserisce essere la lancia di Longino che avrebbe trafitto il costato di Cristo, che era conservata a Vienna e di cui il Terzo Reich entrò in possesso al momento dell’Anschluss, l’annessione dell’Austria, l’Ahnenerbe si dedicò anche alla ricerca del Santo Graal e dell’Arca dell’Alleanza.

Questo, lo devo confessare, è un aspetto della questione che mi ha sempre lasciato perplesso, mi sembra un’intrusione nel nazionalsocialismo dei simboli di un’ideologia ebraico-cristiana che non solo non ha nulla a che fare con la Weltanschauung nazionalsocialista, ma è in totale conflitto con essa. Prescindiamo dal discorso del Graal, dove la leggenda cristiana si sovrappone a una più antica tradizione pagana, al “calderone sacro” che serviva per la consacrazione dei re celtici, e anche Julius Evola ha dedicato un libro al Mistero del Graal, ma l’Arca dell’Alleanza, esiste forse un simbolo più squisitamente ebraico? E cosa c’è di più grottesco che immaginare le legioni hitleriane marciare con essa alla loro testa? Naturalmente, questa è una contraddizione che non possiamo pretendere sia Drioli a risolvere. Il nostro non manca di segnalare nemmeno quelli che potrebbero essere stati dei passi falsi della società Ahnenerbe, come l’avallo dato a un documento frisone da parte di Hermann Wirth, di autenticità almeno molto dubbia, la Cronaca di Ura Linda, che sarebbe stata l’ennesima trascrizione di una serie di trascrizioni tramandata in una famiglia, di un documento molto antico, a sua volta trasposizione di tradizioni orali di immemorabile antichità, che ci farebbero risalire a una sconosciuta civiltà dell’Europa preistorica.

Forse la parte più interessante del libro di Drioli riguarda la parte conclusiva del libro, dove l’autore si interroga su che cosa sia sopravvissuto, proseguito alla catastrofe della seconda guerra mondiale, delle ricerche della società Ahnenerbe in un clima culturale imposto dai vincitori, non certo favorevole a questo genere di studi.

Ebbene, la sorpresa è che non tutto quel che la Ahnenerbe ha fatto sembra essere andato perduto. Fra coloro che si sono posti in qualche modo come continuatori del lavoro dell’associazione nazionalsocialista, Drioli cita Jurgen Spanuth, ricercatore che ha proposto la collocazione nel Mare del Nord dell’Atlantide platonica, il francese Jacques De Mahieu che ha indagato sulla presenza dei vichinghi in America, presenza oggi ammessa anche dall’archeologia ufficiale perché testimoniata da reperti incontrovertibili, con buona pace di Colombo, Hermann Munk che ha studiato la civiltà dei Kilmes, singolari “amerindi bianchi” sudamericani sconosciuti alla cultura europea, e poi uno studioso di cui Drioli si è impegnato a non rivelare l’identità, che ha proseguito lo studio delle caratteristiche razziali e che per non essere vittima dell’ostracismo che in democrazia democraticamente perseguita coloro che si dedicano a questo genere di studi, ha pubblicato diverse opere sotto vari pseudonimi, fra cui Claude Soas e N.C. Doyto. Drioli lo definisce “lo sconosciuto De Gobineau del XX secolo. Per concludere, una vera chicca, l’intervista con uno dei conoscitori diretti dell’Ahnenerbe, che Drioli ha potuto conoscere personalmente in Bolivia, grazie ai buoni uffici di Wilfred von Owen, già addetto stampa del Dott. Goebbels.

Per quanto riguarda le ricerche di De Mahieu e i Kilmes, vorrei ricordarvi che io stesso, in vari articoli comparsi su “Ereticamente” della serie Ex oriente lux e Una Ahnenerbe casalinga (tanto per rimanere in tema), vi ho ripetutamente evidenziato il fatto che abbiamo le tracce di antichi popolamenti europidi, “bianchi” sia in Asia centrale che nelle Americhe, e che è del tutto ragionevole supporre che essi siano alla base delle grandi civiltà asiatiche e dell’America precolombiana, dato che là dove una presenza europide non si riscontra (Africa subsahariana, Australia, Nuova Guinea e via dicendo), le popolazioni locali non si sono smosse di un millimetro dal paleolitico, anche se devo ammettere di aver appreso dei Kilmes dalla lettura dei testi di Drioli.

Non è finita, perché Drioli prosegue con una disamina di coloro che hanno raccolto l’eredità spirituale ed esoterica della Ahnenerbe, ma bisogna dire del nazionalsocialismo più in generale. In primo luogo si può ricordare Savitri Devi, “la sacerdotessa di Hitler” come è stata definita. Questa donna ha fatto forse più di chiunque altro per fondere la tradizione europea con quella indiana in modo da ritrovare la primordiale spiritualità indoeuropea. Subito dopo ricordiamo il “nostro” Julius Evola, e quindi uno dei più apprezzati scrittori latino americani (anche se di solito si evita di evidenziarne le inclinazioni ideologiche), il “mago” Miguel Serrano.

In questo testo c’è anche un capitoletto il cui contenuto in realtà ha ben poco a che fare la Ahnenerbe, ma in compenso solleva una questione di estremo interesse, una di quelle che fanno vedere come al di là delle formule teoriche e astratte, la democrazia consideri ben poco i propri cittadini e li consideri a livello di bestiame, si tratta delle ricerche sugli effetti cancerogeni e teratogeni (nascita di bambini malformati) delle radiazioni nucleari, condotte in Israele e negli Stati Uniti sulla popolazione civile costretta a fare da cavia a sua insaputa. Se noi confrontiamo ciò con le ricerche universalmente vituperate condotte dai medici nazionalsocialisti nei campi di concentramento, che almeno hanno fruttato il vaccino contro il tifo petecchiale, e magari nello stesso tempo ricordiamo che mentre tutto il mondo si dispera da settant’anni per il cosiddetto olocausto, nessuno sembra curarsi del fatto che nei campi di concentramento staliniani è stato trucidato un numero di persone dieci volte superiore (per non parlare del genocidio dei nativi americani, i cosiddetti pellirosse, di Hiroshima, Nagasaki e simili amenità), allora è veramente la storia del bue che dà del cornuto all’asino.

Il nuovo libro di Drioli, Iperborea, ricerca senza fine della Patria perduta ci trasporta in un orizzonte temporale molto più remoto. Il tema è quello delle origini, delle popolazioni di ceppo europide e della specie umana in generale (l’uomo europide, infatti, sarebbe quello più vicino al prototipo primordiale della nostra specie, mentre le altre razze sarebbero sorte più tardi come adattamenti locali, o in qualche caso, come alcune popolazioni relitto del sud del mondo: tasmaniani, fuegini, ottentotti, vere e proprie degenerazioni. A questo riguardo, il pensiero di Drioli si incontra pienamente con quello di Lorenzoni).

Come è facile capire dal titolo stesso del libro, l’ipotesi in esso formulata è quella di un’origine della nostra specie settentrionale, artica della nostra specie (“Iperborea” era per gli antichi Greci la terra del lontanissimo nord), in netto contrasto con l’ipotesi dell’origine africana, oggi considerata dai ricercatori ufficiali la teoria “scientificamente” (e soprattutto “politicamente” corretta).

A questo riguardo, mi pare quasi superfluo ricordarvi che io stesso su queste pagine mi sono ampiamente occupato della questione delle origini, e mi pare di avervi già esposto con chiarezza le ragioni per le quali l’ipotesi dell’origine africana deve essere considerata una vera e propria bufala scientifica, ispirata non da prove o dati di fatto, ma dalla volontà di propaganda e catechesi antirazzista (ricordiamo sempre che questa questione dell’origine RECENTE di homo sapiens non va confusa con quella dell’origine remota del ceppo ancestrale degli ominidi, la famosa Lucy e tutti gli altri. I propagandisti democratici travestiti da scienziati giocano proprio su questo equivoco).

Le prove presentate da Drioli a sostegno dell’origine nordica sono archeologiche, storiche, antropologiche ma soprattutto si basano su di un vasto complesso di miti e tradizioni presenti, si può dire, in epoche anche molto distanti fra loro pressoché all’incirca, fra tutti i popoli e le culture che abitano o hanno abitato questo pianeta. Si resta piacevolmente sbalorditi dalla cultura davvero vasta che l’autore possiede sull’argomento, e la casistica riportata è talmente vasta che non tenterò nemmeno di riassumerla, ma vi rimando direttamente alla lettura del libro.

C’è soprattutto una domanda che occorre porre alla “scienza” ufficiale che, come abbiamo visto, si pone su di un asse concettuale opposto a quello di Drioli: se questa ipotesi dell’origine artica non rispondesse al vero, come si spiegherebbe la testimonianza concordante a tal proposito di tanti miti e tradizioni appartenenti a popoli e culture diversissime, separate anche da intervalli enormi di spazio e di tempo, e quindi nell’impossibilità di essersi reciprocamente influenzate? In tutta sincerità, non credo che la “scienza” ufficiale, paludata, democratica, abbia una risposta a questo interrogativo.

Drioli basa la sua tesi anche sulle pezze d’appoggio fornite da diversi autori. Ci sono prima di tutto le ricerche dello studioso indiano Bal Ganghadar Tilak. Tilak si è dedicato a un attento studio dei Veda, i libri sacri della mitologia induista. Questi ultimi rappresentano uno dei complessi di testi più antichi, forse il più antico in assoluto giunto fino a noi, ma a loro volta sono con ogni probabilità la trasposizione scritta di una serie di narrazioni orali molto più antiche, sì che risaliamo a un’antichità estremamente remota, difficile da scandagliare.

I Veda riferiscono chiaramente che la popolazione bianca dell’India, che ne rappresenta le caste superiori, viveva nel lontano nord che godeva in epoche remote di un clima paradisiaco, poi una qualche catastrofe trasformò radicalmente la situazione. In questa lontana terra d’origine vigono attualmente dieci mesi d’inverno e solo due di bella stagione (precisamente le condizioni che oggi si riscontrano nell’area artica), e gli ariani per sopravvivere furono costretti a una lunga migrazione verso sud. Che tutto ciò non sia una pura fantasia, è provato da osservazioni astronomiche, ad esempio i Veda riferiscono di notti in cui le stelle della volta celeste sembrano muoversi intorno all’osservatore in ampi circoli orizzontali, situazione che può essere osservata solo al di sopra del circolo polare.

La stessa narrazione è tramandata nell’Avesta iranica, in cui si afferma chiaramente chel’Aryana Veyo, la terra d’origine degli Aryas, fu invasa dal gelo. Ariani dell’India e iranici sono popolazioni strettamente imparentate. I loro antenati sarebbero discesi quando formavano un unico popolo fino all’attuale Afghanistan, poi si sarebbero divisi, spostandosi gli uni verso oriente, gli altri verso occidente.

Narrazioni analoghe, tuttavia, sono adombrate nei miti di svariate culture e popolazioni anche molto distanti, come diverse tribù di nativi americani.

Un ordine di idee non dissimile si trova in uno dei testi più singolari fra quanti sono stati scritti per scandagliare il nostro passato, Il mulino di Amleto di Giorgio De Santillana e Herta von Dechend. Questi due studiosi hanno notato che nei miti di popoli e culture diversissimi nello spazio e nel tempo: antichi norreni (Amleto, Amlodhi nella versione originale, il cui mulino dà il titolo al libro, era un personaggio molto diverso di quel che Shakespeare ne ha fatto), egizi, antichi cinesi e indiani, nativi americani, ricorrono con insistenza una serie di numeri che rimandano al calcolo della precessione degli equinozi. Tale insistenza sulla numerologia precessionale, osservano i due autori, non avrebbe alcun senso se non fosse un messaggio indirizzato alle generazioni future, il ricordo di una catastrofe legata allo spostamento dell’asse terrestre (a cui potrebbero forse collegarsi la narrazione platonica di Atlantide e quella biblica del diluvio), una catastrofe destinata a ripetersi, perché l’andamento dei moti del nostro pianeta nello spazio è ciclico.

Ancora ritroviamo Hermann Munk e il suo lavoro sui Kilmes. Davvero, quel che ci dice la “scienza” ufficiale sulla preistoria del Nuovo (ma anche del Vecchio) Mondo, è riduttivo e poco convincente.

Non poteva mancare un autore italiano di cui anche noi di “Ereticamente” ci siamo intensamente occupati: Felice Vinci. Certamente, così come Indiani e Iranici, anche gli Achei ellenici erano di provenienza nordica, e così pure tutti i popoli indoeuropei. Noi sappiamo che la teoria di Vinci che vede le vicende omeriche narrate nell’Iliade e nell’Odissea come avvenute nel contesto nordico e solo in un secondo momento ri-ambientate nel Mediterraneo, è stata aspramente contestata da Ernesto Roli, già amico e collaboratore di Adriano Romualdi, ma l’origine nordica degli Achei come di tutti i popoli indoeuropei, è pacifica per entrambi.

Alla fine, sia pure fra mille interrogativi, comincia a delinearsi un quadro delle nostre origini che non è quello che la “scienza” ufficiale ci ha finora raccontato.

Io temo che questa recensione non sarà riuscita a dare un’idea se non molto sbiadita di questi due interessantissimi libri di cui consiglio vivamente la lettura.

 

Gianfranco Drioli:

Ahnenerbe, appunti su scienza e magia del nazionalsocialismo

Ritter edizioni, Milano marzo 2011

Collana “I quaderni di Thule”

. 22,00

 

Iperborea, ricerca senza fine della Patria perduta

Ritter edizioni, Milano ottobre 2014

Collana “I quaderni di Thule”

. 24,00

 

12 Comments

  • Francesco G. Manetti 14 Febbraio 2015

    Ottima recensione, questa di Fabio Calabrese. Di Drioli avevo letto l’interessantissimo “Ahnenerbe” e sicuramente mi procurerò “Iperborea”. C’è da dire che, mentre molte opere dell’epoca capaci di illustrare “in presa diretta” quella che era la Weltanschauung nazionalsocialista sono reperibili in italiano (a partire dal “Mein Kampf”, e poi Rosenberg, Rahn, etc.), purtroppo quella fondamentale di Wirth, ovvero “Der Aufgang der Menschheit” non è mai stata tradotta. O almeno il sottoscritto non è riuscito a reperirla. E nemmeno in inglese… Aspetto fiducioso. I lavori di Drioli (come di altri autori) sono interessanti perché affrontano l’argomento in maniera seria. In questi giorni sto per l’appunto leggendo “Il piano occulto” della Pringle: la messe di notizie raccolte è notevole, ma siamo sul piano opposto rispetto alla serietà di Drioli. Tutti i protagonisti della stagione della SS-Ahnenerbe vengono ridicolizzati come immorali, spendaccioni, lunatici, visionari – e marchiati addirittura sul piano fisico (uno era brutto, un altro sembrava un folletto, etc.)! (f.m.)

  • Francesco G. Manetti 14 Febbraio 2015

    Ottima recensione, questa di Fabio Calabrese. Di Drioli avevo letto l’interessantissimo “Ahnenerbe” e sicuramente mi procurerò “Iperborea”. C’è da dire che, mentre molte opere dell’epoca capaci di illustrare “in presa diretta” quella che era la Weltanschauung nazionalsocialista sono reperibili in italiano (a partire dal “Mein Kampf”, e poi Rosenberg, Rahn, etc.), purtroppo quella fondamentale di Wirth, ovvero “Der Aufgang der Menschheit” non è mai stata tradotta. O almeno il sottoscritto non è riuscito a reperirla. E nemmeno in inglese… Aspetto fiducioso. I lavori di Drioli (come di altri autori) sono interessanti perché affrontano l’argomento in maniera seria. In questi giorni sto per l’appunto leggendo “Il piano occulto” della Pringle: la messe di notizie raccolte è notevole, ma siamo sul piano opposto rispetto alla serietà di Drioli. Tutti i protagonisti della stagione della SS-Ahnenerbe vengono ridicolizzati come immorali, spendaccioni, lunatici, visionari – e marchiati addirittura sul piano fisico (uno era brutto, un altro sembrava un folletto, etc.)! (f.m.)

  • Primula Nera 14 Febbraio 2015

    A parte l’opera di Wirth che non è stata mai tradotta in italiano, molti dei testi”dottrinali”dei tempi del nazismo sono stati tradotti, così come un numero enorme di saggi moderni dedicati all’argomento(con particolare interesse verso i rapporti con L’esoterismo) sia da studiosi di destra che di sinistra.
    Quello che io lamento è invece il disinteresse verso gli scrittori del periodo, soprattutto quelli di area fantastica, e dispiace che a tale mancanza non si siano posti il problema di rimediare le case editrici più o meno di destra.
    Ad esempio, di Blunck abbiamo(dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi), solo “Potere sul fuoco” uscito nel 2000 per la Settimo Sigillo.Questo libro era parte di una trilogia uscita inizialmente negli anni ’30, ma dopo 15 anni dalla traduzione della prima parte, ormai non spero più vengano tradotte le due parti finali.
    Di Ewers esistono due raccolte, una pubblicata negli anni ’70, una in tempi recenti da una piccola casa editrice di Capua, poi Zero.E parliamo di un autore universalmente considerato come uno dei maestri della narrativa fantastica (“Il ragno” è un classico riconosciuto).
    Ancora peggio va con Strobl, che veniva considerato con Ewers e Meyrink, uno dei tre “principi” della letteratura fantastica in lingua tedesca nella prima metà del secolo scorso. Di questo autore non vi è nulla di tradotto, lo zero assoluto.
    Lo stesso può dirsi di un poeta raffinatissimo come Borries von Munchausen, che preferì il suicidio, piuttosto che finire nelle mani degli americani.
    La letteratura è importante quanto può esserlo la saggistica o gli scritti filosofici e politici, per comprendere un certo contesto culturale, anche se agisce ad un livello più subliminale, ma purtroppo la sensazione è che non vi sia molto interesse nel volere recuperare scrittori colpiti da ostracismo (che persiste soprattutto in Italia) dalla fine della seconda guerra mondiale.
    Per quanto riguarda i due saggi invece, ottima come sempre la recensione di Calabrese, riguardano argomenti molto affascinanti, e la mia intenzione è di comprare entrambi i due testi.

  • Primula Nera 14 Febbraio 2015

    A parte l’opera di Wirth che non è stata mai tradotta in italiano, molti dei testi”dottrinali”dei tempi del nazismo sono stati tradotti, così come un numero enorme di saggi moderni dedicati all’argomento(con particolare interesse verso i rapporti con L’esoterismo) sia da studiosi di destra che di sinistra.
    Quello che io lamento è invece il disinteresse verso gli scrittori del periodo, soprattutto quelli di area fantastica, e dispiace che a tale mancanza non si siano posti il problema di rimediare le case editrici più o meno di destra.
    Ad esempio, di Blunck abbiamo(dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi), solo “Potere sul fuoco” uscito nel 2000 per la Settimo Sigillo.Questo libro era parte di una trilogia uscita inizialmente negli anni ’30, ma dopo 15 anni dalla traduzione della prima parte, ormai non spero più vengano tradotte le due parti finali.
    Di Ewers esistono due raccolte, una pubblicata negli anni ’70, una in tempi recenti da una piccola casa editrice di Capua, poi Zero.E parliamo di un autore universalmente considerato come uno dei maestri della narrativa fantastica (“Il ragno” è un classico riconosciuto).
    Ancora peggio va con Strobl, che veniva considerato con Ewers e Meyrink, uno dei tre “principi” della letteratura fantastica in lingua tedesca nella prima metà del secolo scorso. Di questo autore non vi è nulla di tradotto, lo zero assoluto.
    Lo stesso può dirsi di un poeta raffinatissimo come Borries von Munchausen, che preferì il suicidio, piuttosto che finire nelle mani degli americani.
    La letteratura è importante quanto può esserlo la saggistica o gli scritti filosofici e politici, per comprendere un certo contesto culturale, anche se agisce ad un livello più subliminale, ma purtroppo la sensazione è che non vi sia molto interesse nel volere recuperare scrittori colpiti da ostracismo (che persiste soprattutto in Italia) dalla fine della seconda guerra mondiale.
    Per quanto riguarda i due saggi invece, ottima come sempre la recensione di Calabrese, riguardano argomenti molto affascinanti, e la mia intenzione è di comprare entrambi i due testi.

  • Friedrich von Tannenberg 15 Febbraio 2015

    Trovo sempre stimolanti gli articoli di Calabrese, anche quando non ne condivido alcuni punti, non ultimo per il coraggio e l’onestà intellettuali nell’esporre le sue tesi. Naturalmente, poi, non posso non lodarne l’assoluta chiarezza, e coerenza, nel descrivere la societá occidentale in questa fase terminale, se non pure di giá iniziata decomposizione. Si intravedono in filigrana i giudizi di giganti del pensiero antimoderno come Spengler ed Evola. Inoltre, pur essendo poco convinto del razzismo biologico, mi riconosco nella lucidissima osservazione sulle attenzioni fuori luogo dedicate, a volte, dai ricercatori del III Reich a temi ed oggetti chiaramente giudaici che, con maggior coerenza, avrebbero dovuto lasciar spazio ad altro, maggiormente connesso alle radici Arie. Rivolgendomi, invece, ai commentatori che mi precedono, vorrei far notare che l’autore non ha detto che testi fondamentali del pensiero nazionalsocialista non siano affatto reperibili, quanto che la reperibilitá sia difficile. E infatti, se si volesse leggere il testo del Mein Kampf in italiano, bisognerebbe spendere 60€, e cara grazia che, almeno, le edizioni di AR si son prese la briga di pubblicarlo. Stressors discorso per Rosenberg. Se, invece, uno ha la fortuna di leggere in ingles è, su amazon per una decina di sterline si trovano entrambi, in ottime edizioni. Se non fa la differenza questo…

  • Friedrich von Tannenberg 15 Febbraio 2015

    Trovo sempre stimolanti gli articoli di Calabrese, anche quando non ne condivido alcuni punti, non ultimo per il coraggio e l’onestà intellettuali nell’esporre le sue tesi. Naturalmente, poi, non posso non lodarne l’assoluta chiarezza, e coerenza, nel descrivere la societá occidentale in questa fase terminale, se non pure di giá iniziata decomposizione. Si intravedono in filigrana i giudizi di giganti del pensiero antimoderno come Spengler ed Evola. Inoltre, pur essendo poco convinto del razzismo biologico, mi riconosco nella lucidissima osservazione sulle attenzioni fuori luogo dedicate, a volte, dai ricercatori del III Reich a temi ed oggetti chiaramente giudaici che, con maggior coerenza, avrebbero dovuto lasciar spazio ad altro, maggiormente connesso alle radici Arie. Rivolgendomi, invece, ai commentatori che mi precedono, vorrei far notare che l’autore non ha detto che testi fondamentali del pensiero nazionalsocialista non siano affatto reperibili, quanto che la reperibilitá sia difficile. E infatti, se si volesse leggere il testo del Mein Kampf in italiano, bisognerebbe spendere 60€, e cara grazia che, almeno, le edizioni di AR si son prese la briga di pubblicarlo. Stressors discorso per Rosenberg. Se, invece, uno ha la fortuna di leggere in ingles è, su amazon per una decina di sterline si trovano entrambi, in ottime edizioni. Se non fa la differenza questo…

  • Stefano Ferrario 17 Febbraio 2015

    Come sempre un ottimo articolo da parte del professor Calabrese. Tanto per ricordare ai più che la SS fu anche un grande ordine di ricerca e non (per usare le stesse parole del nostro Maurizio Rossi) una “conventicola di squilibrati mentali”. Vorrei inoltre aggiungere, in risposta a Francesco G. Manetti, di lasciar perdere il libro della Pringle, autrice allineata alla vulgata “democratica”, ma piuttosto, se è interessato all’argomento, vorrei segnalare il titolo di un’opera di tutt’altro spessore partorita dallo studioso italiano Marco Zagni, La svastica e la runa.

  • Stefano Ferrario 17 Febbraio 2015

    Come sempre un ottimo articolo da parte del professor Calabrese. Tanto per ricordare ai più che la SS fu anche un grande ordine di ricerca e non (per usare le stesse parole del nostro Maurizio Rossi) una “conventicola di squilibrati mentali”. Vorrei inoltre aggiungere, in risposta a Francesco G. Manetti, di lasciar perdere il libro della Pringle, autrice allineata alla vulgata “democratica”, ma piuttosto, se è interessato all’argomento, vorrei segnalare il titolo di un’opera di tutt’altro spessore partorita dallo studioso italiano Marco Zagni, La svastica e la runa.

  • Primula Nera 24 Maggio 2015

    Ho acquistato il testo di Drioli”Iperborea”.Il testo è decisamente interessante,anche se alcune intuizioni mi sembrano eccessivamente ardite(ad esempio l’identificazione di alcuni”Popoli del mare”con Danesi,Sassoni e Frisoni).
    In generale,il libro è assai consigliato,anche se spero che in una successiva edizione,venga ampliata la bibliografia(che in questo caso è stata ridotta all’essenziale volutamente).

    • Primula Nera 24 Maggio 2015

      Specifico,è ardita ma non è nuova l’idea che vi potessero essere stirpi germaniche tra questi popoli(si dibatte anche su questo tra i vari studiosi),ma al momento non vi sono certezze archeologiche tali da darlo come dato assodato.Dei popoli indoeuropei sembrano comunque esser presenti,dal momento che in alcune rappresentazioni egizie,questi popoli sono presentati con capelli e carnagione chiara.

  • Primula Nera 24 Maggio 2015

    Ho acquistato il testo di Drioli”Iperborea”.Il testo è decisamente interessante,anche se alcune intuizioni mi sembrano eccessivamente ardite(ad esempio l’identificazione di alcuni”Popoli del mare”con Danesi,Sassoni e Frisoni).
    In generale,il libro è assai consigliato,anche se spero che in una successiva edizione,venga ampliata la bibliografia(che in questo caso è stata ridotta all’essenziale volutamente).

    • Primula Nera 24 Maggio 2015

      Specifico,è ardita ma non è nuova l’idea che vi potessero essere stirpi germaniche tra questi popoli(si dibatte anche su questo tra i vari studiosi),ma al momento non vi sono certezze archeologiche tali da darlo come dato assodato.Dei popoli indoeuropei sembrano comunque esser presenti,dal momento che in alcune rappresentazioni egizie,questi popoli sono presentati con capelli e carnagione chiara.

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