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3 Maggio 2025
Appunti di Storia

ALLA RICERCA DI MUSSOLINI – Pietro Cappellari

Per anni il corpo del Duce fu occultato dallo Stato per timore che costituisse un simbolo di riscatto

 

Dopo la “macelleria messicana” di Piazzale Loreto del 29 Aprile 1945 e l’autopsia condotta all’ospedale di Milano, la salma di Mussolini venne seppellita in una fossa anonima del Campo 16 del Cimitero Musocco, per impedire il suo riconoscimento e, di conseguenza, che il sepolcro divenisse meta di pellegrinaggio per i fascisti ancora “a piede libero” o luogo di oltraggio per tutti quegli antifascisti ormai liberi di sfogare il loro odio anche verso i morti.

Ma il mistero ebbe breve durata. Quel cumulo di terra anonima fu ben presto identificato e subito iniziò lo scempio. Si racconta delle donne che non ebbero neanche la vergogna di urinare sul luogo indicato come la tomba del Duce, esibendosi in barbare “danze sabbatiche”. Ha ricordato Arnaldo Giuliani, figlio del martire della RSI Sandro, assassinato dai partigiani, quando il 1° Maggio 1945, si recò al Musocco per inumare la salma del papà: “Assistetti, un po’ attonito, alla danza di alcune decine di persone di gruppo. Ballavano, uomini e donne, al suono di una fisarmonica, sulle tombe di Mussolini, della Petacci e dei gerarchi giustiziati a Dongo. Ma le tombe, in realtà non si vedevano, c’era soltanto una striscia di terra battuta e brulla: una delle donne a un certo momento allargò le gambe e orinò, tra gli applausi dei presenti. Io non capivo ancora bene e corsi via, stupito e spaventato” (F. di Bella, Corriere Segreto, Rizzoli, 1982).

Per molti mesi, lo scempio si ripetette. La misura fu considerata colma e nella notte tra il 22 e il 23 Aprile 1946 – Pasqua di “resurrezione” – un gruppo di reduci della RSI guidati da Domenico Leccisi, a capo del Partito Fascista Democratico, decise di tentare il “colpo del secolo” e mise in salvo la salma di Mussolini (cfr. D. Leccisi, Con Mussolini prima e dopo Piazzale Loreto, Settimo Sigillo, Roma 1991). Fu un’azione clamorosa, gli echi si sparsero per tutta Europa ed oltre oceano, in Italia i fascisti – braccati e perseguitati – non si sentirono più soli. Da quel giorno, il “fantasma” di Mussolini cominciò a comparire ovunque. L’Italia antifascista si smarrì davanti alla propria impotenza e rabbia: il fascismo non era morto.

 

Cimitero di Musocco, 23 Aprile 1946: la fossa vuota, il Duce è “risorto”

 

Mussolini non era stato certamente cancellato in quei mesi, come ci ricorda Vanni Teodorani: “Ho fatto dire delle Messe per il Duce oltre che per altri che ogni tanto sogno. Il Sacerdote mi confida in gran segreto che ne ha già dette tante e con lui i suoi colleghi. Si vede che gli vogliono ancora bene. Mi viene riferito che molti, donne soprattutto, non credono affatto alla morte di Mussolini e che al suo posto si sarebbe sacrificato un Tedesco di simile corporatura. Il Duce sarebbe… ma questo non posso dirlo non si sa mai. I tempi sono strani e potrebbe anche essere verosimile” (Vanni Teodorani, Quaderno 1945-1946, Stilgraf, 2014, pag. 95).

Il corpo di Mussolini trafugato dai militanti del PDF alla vigilia del 25 Aprile 1946 era stato portato dapprima in una casa a Madesimo (Sondrio) e, dopo l’arresto di un attivista, fu trasferito d’urgenza nel Convento francescano di S. Angelo (Chiesa di Santa Maria degli Angeli) a Milano, dove Padre Enrico Zucca diede la sua disponibilità a vegliare sul “grande ricercato”.

 

Madesimo (Sondrio): il primo luogo dove la salma del Duce fu occultata dagli attivisti del PFD

 

Chiesa di S. Angelo a Milano, in Via Moscova:

il secondo luogo dove la salma del Duce fu occultata dagli attivisti del PFD

 

Le serrate indagini della Polizia porteranno ben presto alla scoperta del luogo. Ma la salma non era più lì. Dopo l’arresto del gruppo dirigente del PDF, il Frate Alberto Parini – fratello di Piero, Podestà e poi Capo della Provincia di Miliano durante la RSI – aveva pensato bene di spostarla alla Certosa di Pavia e condizionò la riconsegna del “grande ricercato” solo in cambio della promessa di una sepoltura cristiana.

Certosa di Pavia: dove la salma del Duce fu occultata dai Francescani di Milano

 

Il Questore di Milano Vincenzo Agnesina – che fino al 1943 era a capo della Polizia Presidenziale di guardia al Duce – trattò è, il 12 Agosto 1946, riuscì ad entrare in possesso della salma.

Sorgeva ora un nuovo problema: il corpo doveva sparire. E così fu. A nessuno, tranne che a qualche esagitato antifascista, venne in mente di disperdere i resti – come le “grandi democrazie” avevano fatto per i gerarchi del III Reich – e si decise un occultamento a tempo indeterminato.

La cassa contenenti i resti fu segretamente nascosta nel convento di Cerro Maggiore (Milano). Vi resterà per 11 anni, fino al 31 Agosto 1957, quando il Presidente del Consiglio Adone Zoli decise di “cedere” alle pressioni del MSI e riconsegnò la salma alla famiglia che la poté finalmente inumare – con picchetto d’onore dei Carabinieri – nel cimitero di San Cassiano a Predappio.

Convento di Cerro Maggiore (Milano): dove lo Stato italiano occultò per 11 anni la salma del Duce

 

Gli spostamenti della salma del Duce dal 23 Aprile al 12 Agosto 1946

Predappio, 31 Agosto 1957: la salma del Duce vegliata dal picchetto d’onore dei Carabinieri (Istituto Luce)

 

Oggi non vogliamo narrare le vicende del corpo di Mussolini, ma quello che accadde tra il 23 Aprile 1946 e il 31 Agosto 1957, quando il “fantasma” del Duce venne visto ovunque, agitando i sogni degli antifascisti. Un’intera comunità di fedeli – milioni di persone all’epoca – privata del loro Capo, si mise “in cammino”, alla ricerca dell’Uomo perduto.

Per undici anni le cronache narrarono di avvistamenti, colpi sensazionali di giornalisti d’inchiesta, di testimonianze misteriose di chi sapeva, aveva visto. I fascisti di tutta Italia cercarono e “trovarono” il loro Duce nella piccola chiesetta abbandonata del proprio paese o di quello vicino. Una colata di cemento fresco in un cimitero, una scritta sospetta su una lapide, un muretto alzato improvvisamente, della terra smossa di recente in un camposanto, strani uomini “vestiti di nero”, divennero tutti indizi che fecero nascere leggende… e scaldare i cuori delle persone. I bambini, come ci ha raccontato Anna Teodorani, venivano mandati dai genitori a pregare in quei luoghi dove si sussurrava fosse sepolto Mussolini. E quei luoghi divenivano meta di silenziosi e solitari pellegrinaggi e solo i fiori, che improvvisamente adornavano sepolcri ed altari da anni spogli, testimoniavano il passaggio di “incauti visitatori”.

Uno spaccato di questa Italia in cerca del proprio Capo venne descritta da “Lotta Politica”, il giornale del MSI, nel Dicembre 1954, quando si sparse la voce che la salma del “grande scomparso” era stata sepolta ad una ventina di chilometri a Nord-Ovest di Predappio, nel Santuario di Sant’Antonio di Montepaolo di Dovadola (Forlì), luogo caro alla famiglia Mussolini, per la presenza di una Cappella eretta nel 1932 in memoria di Arnaldo e Sandro Italico Mussolini – rispettivamente fratello e nipote del Duce – e perché Benito in persona intervenne più volte in favore dei Frati, costruendo la strada di collegamento con il paese, il campanile ed una scuola elementare per i bambini delle frazioni vicine.

Vale la pena di rileggere questo articolo per comprendere l’amore che i missini provavano per il loro Duce perduto:

Nel tranquillo Eremo di Monte Paolo sembra di vivere in un’altra Italia. Una strana gettata di cemento. I frati pronunciano frasi sibilline. La Polizia minaccia… e il Governo sta a guardare.

Forlì, 13 Dicembre – Nella macchina che velocemente ci porta lungo la bella strada che mena a Firenze attraverso il valico del Muraglione, nessuno di noi cosa parlare. La notizia – inaspettatamente pubblicata da un noto settimanale di Milano – ci ha sorpresi e turbati: ogni parola, ogni commento, direbbe troppo o troppo poco per questo non parlo neppure quando, abbandonato la statale proprio di fronte al piccolo cimitero di Dovadola, biancheggiante di marmi tra carducciani cipressi che gli fan corona, imbocco la salita di campagna indicata da un cartello stradale ‘Monte Paolo km 7’; ma sono certo che anche i miei compagni di viaggio hanno il mio stesso pensiero, e riflettono su quanto siano veramente molteplici le vie del destino. Perché questa strada che con ripide strette volute si avvolge intorno alla collina, e pian piano ci rivela sempre più ampio il panorama delle valli romagnole, ricche di acqua e di viti, fu proprio voluta da Lui, da Benito Mussolini, per esaudire il desiderio di un segaligno e devoto Frate di Bibiena: fu nel 1931 infatti, che Padre Teofilo si presentò a Palazzo Venezia per sottoporre al Duce un suo progetto stradale. «Quanto ti occorre frate?», interrogò burbero quello. «Ventimila Lire», azzardò titubante Padre Teofilo, forese non uso ai preventivi delle grandi spese. Schietta e chiara fu la risata del grande romagnolo, e chiamato un segretario gli fece annotare uno stanziamento di duecentomila Lire per la strada Dovadola-Montepaolo, che costruita con la rapidità e la serietà propria dei tempi, diede modo al Santuario di Sant’Antonio di ingrandirsi e di arricchirsi di una scuola e di un ospizio per pellegrini. E a questo santuario, non molto distante da Predappio, spesso tornò Mussolini – in quelle sue brevi vacanze trascorse familiarmente tra i contadini di Romagna – e mai si dimenticò di soffermarsi a meditare su un rozzo inginocchiatoio di legno; né ci meraviglia il gesto di questo uomo grande e umile a un tempo, se veramente sua è la frase: «È dolce inginocchiarsi dopo averlo lungo camminato»…

Siamo ancora immersi in questi pensieri, quando ci appare tra i cipressi e gli abeti la bianca mole della chiesa, elevata sul fianco del colle e protesa a guardare laggiù, dove tra i fiumi della nebbia s’intravede Forlì, e Cesena, e Faenza, e fin dove all’orlo dell’orizzonte una sottile striscia dell’Amarissimo si salda al cielo fra un vapore di nubi. E d’un subito il cuore ci dice che sì, anche se non fosse quassù, anche se la notizia fosse errata o falsa, certo questo è un luogo dove Egli non avrebbe disdegnato dormire il suo ultimo sonno, fra il lieve stormire dei cipressi e degli abeti, dominando ancora dall’alto, come negli infuocati giorni della Sua gioventù, gli uomini e le cose di questa Sua Romagna tanto cara al Suo grande cuore e troppo dimentica di Lui in questi anni facili e amari.

I buoni Padri di quassù ci accolgono con malcelata diffidenza: non debbono avere troppo un buon concetto dei giornalisti, dopo quelli di Milano che, con la scusa del pellegrinaggio e delle foto-ricordo personali, han sollevato un vespaio di portata nazionale; ma poi il desiderio di parlare, magari solo per smentire è più forte di loro: sono uomini del resto, gli uomini che talora rimangono soli qua su venti o venticinque giorni bloccati dalla neve, dal fango o dalla nebbia. E così, mentre passo passo ci avviamo per il bosco verso la cappella dedicata ad Arnaldo e Sandro Mussolini, Padre Callisto e Padre Ferdinando ci narrano il fatto della gettata di cemento compiuta da un gruppo di operai la sera del 18 Settembre [1954], sulla scaletta che portava alla cricca sotto il tempietto; ci ripetono che non si trattava dei soliti operai impiegati in quei giorni sui lavori dal Genio Civile; ci dicono delle molteplici visite di forestieri, e soprattutto di romani, compiute dopo il 18 Settembre. Quando però cominciamo a fare le prime domande più particolareggiate, troviamo i Frati sulla difensiva: rispondono a monosillabi, evitano di specificare, esitano; danno l’impressione di non volerci dire la verità, ma ricordano che il loro abito impedisce anche di dire il falso. Infine il Superiore tronca ogni discorso dicendo che egli non può e non deve parlare di nulla perché così lo ha ammonito a fare anche il Tenente dei Carabinieri di Forlì… Al nostro cenno di meraviglia ci spiega che per ben due sere Polizia e Carabinieri si sono arrampicati fin lassù per indagare su chi è venuto e su quel che i Frati hanno detto, e per raccomandare silenzio e descrizione, al fine di evitare spiacevoli fastidi; chissà perché mai mi son venuti subito in mente i ‘bravi’ di manzoniana memoria; ma per fortuna Padre Callisto di tutto ha l’aspetto fuorché di un Don Abbondio…

Così parlando giungiamo al tempietto e ci fermiamo silenziosi e commossi sulla chiara pietra di cemento che racchiude il suo segreto: siamo in piedi, irrigiditi come ad attendere qualcosa, un palpito, un fluido magnetico che ci riveli che il Duce è là, finalmente e per sempre tra noi, restituito alla fede e alla pietà di chi ancora lo ama e lo venera. Nulla! Scattiamo qualche foto e ci allontaniamo, l’animo pieno di dubbi e di speranza. I Frati ci fanno firmare l’album del santuario e Padre Callisto esclama: «Ne farò mettere uno anche nel tempietto: penso che servirà molto in futuro; e noi ci rivedremo ancora!». Lo guardiamo: nei suoi occhi brilla uno strano sguardo, che ci turba e non ci permette neppure di parlare, finché non siamo in macchina sulla via del ritorno.

Quando ormai il santuario sta per scomparire dietro la prima curva, ci voltiamo ancora a guardare, e uno di noi mormora: «Speriamo davvero sia nella Sua terra di Romagna, ma proprio quassù ove c’è ancora qualcuno che lo ricorda per quel che ha dato di buono e di bello e di grande, e dove l’animo degli uomini è così generoso da lasciare intatta dalla lapide su cui è scritto: ‘Aspice munifico Benito Mussolini, Duce d’Italia’».

E neppure sulla strada del ritorno qualcuno di noi pronuncia una parola, timoroso di alimentare un’illusione o di spezzare una troppa bella speranza (L. Fratesi, Sepolta in Romagna la salma di Mussolini?, “Lotta Politica”, a. VI, n. 50, 16 Dicembre 1954).

 

Il Santuario di Sant’Antonio a Montepaolo di Davodola (Forlì) dove, nel Dicembre 1954, si sussurrò fosse stato sepolto il Duce

 

No, Mussolini non era sepolto a Montepaolo. Ma in quegli anni il cuore di milioni di Italiani lo cercò… e lo trovarono accanto a loro.

Ancor oggi, nel Santuario di Sant’Antonio di Montepaolo, nella fascia dei ritratti dei Papi, dei Santi e dei grandi benefattori che percorre tutta la chiesa nel registro superiore, compare il volto dipinto di Benito Mussolini e, in fondo a un maestoso viale di cipressi si erge la “Cappella espiatoria”, dove il Santo di Padova si raccolse in preghiera, costruita in memoria di Arnaldo e Sandro Italico Mussolini.

Nel 2016, vi è stata la triste chiusura del convento in funzione da 800 anni. Poi, da Faenza, fortunosamente sono arrivate le Monache Clarisse. Ma oggi solo il silenzio, interrotto a volte dal “lieve stormire dei cipressi e degli abeti”, custodisce il segreto di una storia ormai dimenticata…

 

Pietro Cappellari

(“L’Ultima Crociata”, a. LXXV, n. 3, Marzo-Aprile 2025)

 

 

 

 

La Cappella espiatoria, dove Sant’Antonio di raccolse in preghiera, dedicata alla memoria di Arnaldo e Sandro Italico Mussolini (1932-X)

 

 

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