9 Aprile 2024
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Vortumno: Il Destino e il Trionfo

 

di Paolo Galiano ©

 

(estratto da: P. Galiano Vortumnus, pubblicato su “Atrium” anno XVI n° 4, 2014)

Tra gli Dèi “minori” di Roma (se mai un Dio può essere definito minore) un posto particolare lo ha Vortumno (Vortumnus o Vertumnus), un Dio così arcaico che di lui poche tracce rimangono sia nell’archeologia che nella letteratura e nella storia di Roma. La sua arcaicità nel pantheon romano è dimostrata dal fatto di essere privo di un corrispettivo nel mondo greco, mentre in quello etrusco trova corrispondenza in Voltumna, il Dio venerato nel Fanum Voltumnae di Volsinii, in etrusco Velzna (città identificata da alcuni con l’attuale Orvieto e da altri, come Bloch e Scullard[1], con Bolsena[2]), da cui si è ritenuto per molto tempo che dipendesse Vortumnus come divinità “importata” dopo la conquista di Volsinii. Ma oggi si può affermare con certezza che “è di gran lunga il pantheon etrusco a mostrare un’impressionante serie di nomi di divinità derivati dal mondo e dalla lingua dei latini, tutti con etimo di chiara origine indoeuropea, a fronte di un unico possibile prestito di origine etrusca fra i teonimi latini: Volturnalia e Flamen Volturnalis, ossia la festa e il sacerdote di Volturnum, ritenuto in genere nient’altro che il nome etrusco del Tevere[3]. In realtà di Voltumna non è nemmeno certa l’esistenza come Dio: Voltumna dovrebbe

Lo “specchio di Tarchies” proveniente da Tarquinia: la figura di destra è Voltumna (Veltune) raffigurato come un Dio giovane armato con lancia
Lo “specchio di Tarchies” proveniente da Tarquinia: la figura di destra è Voltumna (Veltune) raffigurato come un Dio giovane armato con lancia

esser considerato una “funzione” di Tinia, il sommo Dio etrusco, “solo un epiteto, probabilmente di natura gentilizia, di Tinia, lo Zeus etrusco[4]; unica attestazione certa del suo nome la si trova in uno specchio etrusco del III sec. a.C. proveniente da Tuscania noto come “Specchio di Tarchies” (ora al Museo Archeologico di Firenze), dove ha il Dio ha il nome di Veltune, mentre presso i popoli di origine non etrusca “alcune rarissime iscrizioni al di fuori di Roma lo menzionano in Umbria, in Apulia, sull’Adriatico, nella Cisalpina, ma nessuna in Etruria”.

Il nome Voltumna, di origine etrusca per le caratteristiche della sua formazione glottologica ma in modo evidente dipendente dal nome latino, sarebbe entrato in una fase antichissima del protolatino nella lingua dei protoetruschi[5] come attributo di una divinità connessa con il volgere dell’anno e questa arcaicità della trasmissione, a nostro avviso, avrebbe contribuito a mantenere in esistenza in Etruria i caratteri più arcaici del Dio (e in particolare i caratteri di divinità suprema in quanto Voltumna-Tinia), caratteri relegati invece a Roma a livello di favola poetica, con il passaggio di Vortumno a divinità di rango minore, ma conservatici da Orazio e da Properzio.

VORTUMNO: ETIMOLOGIA E FUNZIONI

La conoscenza delle funzioni di questo Dio ci sono state trasmesse in modo poetico da due Autori classici, Ovidio in Metamorfosi XIV e Properzio in Elegie IV, 2, che in questo modo ci hanno conservato particolari molto importanti per comprendere il significato del Dio: Ovidio narra il mito di come Vortumno convinse Pomona, la Dèa dei frutti, ad amarlo trasformandosi in una donna anziana che tesseva le lodi di lui, mentre Properzio fa parlare la stessa statua di Vortumno delle sue origini.

Dal testo di Ovidio sappiamo che il Dio era antichissimo, visto che l’episodio dell’amore per Pomona è fatto risalire al regno di Proca, il penultimo dei re latini padre di Numitore e Amulio e quindi bisnonno dei Gemelli, e che era visto dai Romani come un giovane splendido: “Vertumno riprese l’aspetto giovanile, abbandonando / gli abiti senili, e apparve a Pomona in tutto il suo splendore / come quando il disco del sole, squarciando la coltre / delle nubi, senza che nulla l’offuschi, rifulge luminoso”; la sua capacità di trasformarsi è senza limiti: “Considera poi che è giovane e da natura ha il dono / della bellezza, che ha l’abilità di trasformarsi in ogni aspetto: / ordinagli l’impossibile, all’ordine diverrà ciò che vuoi”, e, indizio molto importante considerata la sua successiva trasformazione in un Dio dell’Autunno, non è una divinità agricola che si occupa di agricoltura o di giardini ma ne coglie i frutti: “Non è il primo a prendersi / i frutti che ti stanno a cuore, a stringere lieto in mano i tuoi doni?

I versi di Properzio ci consentono di conoscere alcuni aspetti del rapporto tra Vortumno e Roma. Il Dio si dice “etrusco, nato da Etruschi” ma poi prosegue: “Il nome mi venne dato dalla lingua dei miei avi, / ispirato dal fatto che rimanendo uno mi mutavo in tutte le forme; / e tu, o Roma, mi attribuisti come ricompensa ai miei Etruschi”; questo potrebbe essere il ricordo di una situazione opposta, se il suo nome è “nella lingua degli avi” Latini e Roma lo ha dato agli Etruschi “come ricompensa” per aver aiutato Romolo nella guerra contro i Sabini.

Egli stesso si dice in origine aniconico: “non m’allieto d’un tempio d’avorio, / è sufficiente per me poter vedere il Foro Romano… / Tronco d’acero ero, frettolosamente sgrossato con la roncola, / un povero Dio nell’amata Urbe già prima di Numa. / A te Mamurio cesellatore della [mia] forma bronzea, / che con facile esperienza hai saputo fondermi, / la terra osca non consumi le mani sapienti”.

È il Dio che rivela il vero significato del suo nome: “Sono chiamato il Dio Vertumno per la deviazione del fiume; / oppure poiché v’è l’uso di recarmi i primi frutti al mutare delle stagioni, / credete che da qui derivi il culto del Dio Vertumno…/ Tu, menzognera fama, mi nuoci; il significato del mio nome è diverso: / credi soltanto al Dio che parla di se stesso. / La mia natura è adatta ad assumere tutte le forme”.

Le parole di Properzio sono confermato dai glottologi: il nome secondo Devoto ha origine dalla radice verbale indoeuropea *wert, che dà in latino vertere e vortere “volgere” (quindi nessuna differenza tra Vertumnus e Vortumnus), e la stessa radice genera in antico indiano parole con significato di “essere” ma anche “esistere”, in armeno “viaggio, emigrazione”, in hittita “confusione, mischia”. Radke[6] fa invece derivare Vortumnus da *vorta,*ur-tā o da *vortus, *or-tu, indoeuropeo *uŏr, *uĕr, che si ritrova in parole aventi significato di “amicizia, sicurezza, unione fra gli uomini e gli Dèi” (greco ϝεϝορτή, ἐορτή “festa” come rituale in onore degli Dèi), quindi “adempiere, esaudimento, cerimonia religiosa”. Vortumnus sarebbe “colui che porta o avvia il *vorta (compimento, esaudimento) del rito”, funzione che lo collegherebbe a Janus, presente per primo all’inizio di ogni preghiera o sacrificio, l’etimologia del cui nome comprende anche il significato di “via” presente nella radice *wert.

Vortumnus in un mosaico conservato presso il Museo Archeologico di Madrid
Vortumnus in un mosaico conservato presso il Museo Archeologico di Madrid

L’accostamento tra Vortumnus e Janus si può vedere nel fatto che Janus, assente nel mese di Agosto, viene “sostituito” da divinità a lui affini come Dèi del “passaggio”: Vortumnus, colui che trasforma ogni realtà e, in un’interpretazione tardiva o comunque parziale, fa volgere le stagioni, Portunus, signore delle porte e dei porti, e Volturnus (nome etrusco del Tevere), il Dio dell’eterno trascorrere come lo scorrere della corrente del fiume.

La seconda parte del nome –umnus può dare origine a due diversi significati: Vortumnus come vortere annus, secondo l’ipotesi di Coarelli[7], e in quanto tale sarebbe il Signore delle stagioni, o come vortere omnia, come dice la stessa statua del Dio a Properzio[8]: “A me che, uno, mutavo in tutte le forme [formas vertebatur in omnis] / il nome venne dato dalla patria lingua per questo motivo”, per cui il nome potrebbe essere interpretato come Vert-umnus = vert-(in)-omnis[9].

L’etimologia proposta è consona alle parole di Servio[10]: “I nomi dei poteri divini [numina] traggono origine dalle loro funzioni”, sistema di interpretazione che gli Autori classici avevano adottato per spiegare le correlazioni tra il nome e la funzione degli Dèi, come ad esempio afferma Cicerone[11]: “Mater autem est a gerendis frugibus Ceres tamquam geres quoque Demeter quasi ge meter nominata est. Iam qui magna verteret Mavors, Minerva autem quae vel minueret vel minaretur… Principem in sacrificando Ianum esse voluerunt, quod ab eundo nomen est ductum, ex quo transitiones perviae iani foresque in liminibus profanarum aedium ianuae nominantur”.

È stato osservato che questa sua capacità di trasformarsi si manifesta solo attraverso metamorfosi umane o divine (può trasformarsi in Apollo e in Bacco, stando alle parole di Properzio[12]), a differenza di Zeus, che può avere forma umana o di cigno o toro o anche pioggia dorata, o del greco Proteo, anch’egli capace di mutare aspetto divenendo animale o pianta o elemento della natura. Questo vertere, il mutare aspetto, fa sì che egli non abbia una sua propria definita forma e quindi la sua statua era originariamente un ceppo appena sbozzato, “tronco di acero ero frettolosamente sgrossato con la roncola”, l’originaria forma aniconica del Dio, precedente il contatto con il mondo e la cultura dei popoli vicini, quando, vista attraverso gli occhi di un artista estraneo all’originaria religiosità romana, la sua figura viene “tradotta” nel modo in cui costui, provenendo da un’altra civiltà, etrusca o greca, concepisce le divinità, come nel caso dello specchio di Tuscania in cui Vertumno è raffigurato come un giovane barbato.

La capacità di Vortumno di “vertere in omnia” non comprende solo la sfera degli esseri umani e divini ma si estende anche ad una funzione più ampia, quella del Destino.

Orazio[13] ci conserva un curioso modo di dire latino: “È nato con tutti i Vertumni sfavorevoli”, chiarito da Elio Donato, grammatico del IV secolo d.C., il quale ci dà un nuovo significato del verbo vertere in relazione a Vortumno nel suo commento all’opera di Terenzio, spiegando che la frase “Di bene vertant”, “che gli Dèi la mandino a buon fine”, si spiega con il fatto che “il potere che gli eventi vadano nell’uno o nell’altro modo era per gli antichi una prerogativa di Vortumno” perché “il Dio che presiede agli eventi affinché vadano secondo i desideri di ognuno è Vortumno”. Quest’azione di tutela sul buono e cattivo andamento delle fortune dell’individuo confermerebbe l’esistenza di un rapporto tra Vertumno e Fortuna (in particolare la Fortuna Virgo del Foro Boario che si trovava topograficamente di fronte al tempio di Voltumna-Vortumno sull’Aventino), rapporto che per gli Etruschi corrispondeva a quello esistente a Volsinii tra il Fanum Voltumnae e il tempio di Nortia, divinità del trascorrere del tempo con caratteri simili a quelli della Fortuna romana[14].

VORTUMNUS E IL TRIONFO

La particolare localizzazione della statua di Vortumnus sulla via triumphalis[15], la posizione del suo tempio in una zona di carattere regale e guerriero (l’Aventino presso la tomba di Tito Tazio e il luogo dell’Armilustrium), le sue funzioni così vicine a quelle di Giano, con il quale condivide l’essere un “Dio del passaggio”, e non ultimo i caratteri del suo analogo etrusco Veltumna, raffigurato nello specchio di Tuscania come un giovane Dio guerriero armato di lancia, consentono di ipotizzare che in una fase arcaica della storia di Roma Vortumno avesse un ruolo particolare nelle cerimonie del trionfo militare, di cui si è poi persa ogni traccia[16].

Ricostruzione del percorso del trionfo a Roma (Galiano)
Ricostruzione del percorso del trionfo a Roma (Galiano)

Secondo il nostro punto di vista Vortumno nella Roma arcaica è il punto di riferimento del trionfo non perché assimilabile al greco Dionysos (come afferma Coarelli con un complesso ragionamento basato sul possibile rapporto tra le tre coppie costituite da Vortumnus e Pomona, Pomonus, di sesso maschile in Umbria, e Vesuna e Vesuna e Fufluns, il Dionysos etrusco[17]), dal quale differisce profondamente fosse solo per il fatto di non essere un Dio che muore e rinasce[18], ma lo è in quanto tale, divinità latina arcaica, il cui rapporto con il trionfo è dimostrato topograficamente dalla presenza della sua statua lungo il percorso della via triumphalis, e, guarda caso, proprio nel punto in cui la via triumphalis deve vertere per scendere in direzione del Circo Massimo[19].

Per comprendere ciò, si deve ricordare che il percorso che seguiva la via triumphalis, dopo che il corteo si era preparato nella zona del Circo Flaminio presso i templi di Bellona e di Apollo, iniziava dal duplice tempio di Mater Matuta e di Fortuna Virgo nel Foro Boario per entrare in città attraverso la Porta Triumphalis[20], risalire il Vicus Iugarius fino al Foro all’altezza della statua di Vortumno, quasi fosse un segno di ossequio al Dio[21], per poi discendere per il Vicus Tuscus e tornare al Foro Boario passando davanti alla statua di Hercules Triumphalis, attraversare il Circo Massimo fino all’inizio della via Sacra e percorrerla fino al Clivus Capitolinus, per completare infine la cerimonia innanzi al tempio di Juppiter O M sul Capitolium.

Il possibile rapporto tra Vortumno e Fortuna[22], sottolineato dalla posizione dei loro rispettivi templi[23], fa di essi l’esempio della coppia prototipica divina cui corrisponde quella umana costituita dalla Sacerdotessa di Fortuna Virgo e dal Rex (storicizzata a Roma nei rapporti che Servio Tullio aveva con Fortuna presso il suo tempio[24]), il quale ottiene per mezzo della Vittoria celebrata nel triumphus la sua divinizzazione con l’atto rituale della ierogamia.

Un’importante precisazione sul triumphus: l’etimologia comunemente accettata della parola triumphus e del grido triumpe! che accompagnava il passaggio del corteo la fa derivare, seguendo la testimonianza di Varrone[25], dal thriambos, il nome del corteo dionisiaco, termine che passando in etrusco e in latino diventerebbe triumphus per motivazioni glottologiche, come afferma Devoto nel suo Dizionario etimologico; però ricerche più recenti fanno derivare ambedue le parole, greca ed etrusca, “da una primitiva forma esclamativa di uno strato linguistico pregreco [da cui] si sono sviluppate indipendentemente le esclamazioni rituali greca, thriambe!, ed etrusca, triumpe!, con le quali si invocava l’epifania di un Dio[26]. A conferma dell’indipendenza a Roma del sostantivo triumphus dal termine dionisiaco dei Greci ricordiamo che il destinatario del trionfo, attraverso la figura del trionfatore umano, è Juppiter, il quale nulla ha in comune a Roma con Dionysos[27] (in Grecia esiste invece uno Zeus Bakchos), così come il triumpe che leggiamo nel Carmen Arvale non ha alcun rapporto con culti dionisiaci, e il tempio di Juppiter Liber citato a tale proposito da Coarelli[28] è probabilmente un errore dei tardivi Fasti Arvales per Juppiter Libertas; per quanto poi riguarda la possibile “importazione” del trionfo dall’Etruria, la celebrazione di Roma è molto più antica della forma propria agli Etruschi, visto che Romolo è il primo a celebrare il trionfo nella sua forma di ovatio[29], precedendo di quasi due secoli l’etrusco Tarquinio.

In conclusione, questo “Dio minore” sembra invece essere stato in un periodo arcaico della religione romana un Dio centrale del pantheon: se estrapoliamo i pochi dati archeologici rimasti e le qualità di Vortumno che ritroviamo negli scritti di Ovidio, di Properzio e di Elio Donato, integrandoli con quelli dell’analoga divinità etrusca, la quale sembra avere mantenuto intatto il ricordo più antico delle funzioni proprie a questo Dio, possiamo affermare che Vortumno è un aspetto di Giano quando era Giano e non Giove il primo Dio del pantheon romano, “specializzato”, per così dire, nei molteplici aspetti del mutamento, che concernono sia la generazione di nuove forme di realtà, in quanto crea esseri divini ed umani cambiando il proprio aspetto, sia la transizione da una fase dell’esistenza ad un’altra, in quanto Dio del Destino inteso non come predizione oracolare del futuro ma come concreta realizzazione di una possibilità diversa (i “Vertumni” favorevoli o sfavorevoli di Elio Donato).

 

BIBLIOGRAFIA

 

AMIOTTI Nome e origine del trionfo romano, in Il pensiero sulla guerra nel mondo (a cura di Sordi), ed. Vita e Pensiero, Milano 2001

BETTINI Vertumnus: a God with no identity, in “I quaderni del Ramo d’Oro on-line” n° 3 (2010), pagg. 320-33

COARELLI Foro Boario, Quasar, Roma 1992

DUMÉZIL La religione romana arcaica, Rizzoli, Milano 1977 (ed. originale: Paris 1974)

FERRI Voltumna-Vortumnus,in Braidotti, Dettori e Lanzillotta Ou pan ephemeron. Scritti in memoria diRoberto Pretagostini, vol. 2, Roma, Quasar, 2009 Roberto Pretagostini, vol. 2, Roma 2009 pagg. 993-1009

GALIANO e VIGNA Il tempo di Roma, Simmetria, Roma 2013

GALIANO Venere, la signora della Grazia, Simmetria, Roma 2014

HARMON Religion in the latin Elegist, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt (a cura di TEMPORINI), De Gruyter, Berlino-New York 1986

PALLOTTINO Etruscologia, Hoepli, Milano 19977

SCULLARD Le città etrusche e Roma, Il Polifilo, Milano 19772 (ed. originale: London 1967)

TORELLI La forza della tradizione, Longanesi, Milano 2011

 

[1] SCULLARD Le città etrusche e Roma, pag. 132.

[2] Città dove vennero deportati gli abitanti di Volsinii dopo la conquista della città: PALLOTTINO Etruscologia pag. 278.

[3] TORELLI La forza della tradizione pag. 39.

[4] DUMÉZIL Rel rom arc pag. 300.

[5] FERRI Voltumna-Vertumnus pag. 994.

[6] HARMON Religion in the latin Elegist, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt parte II vol. 16 pag. 1963.

[7] COARELLI Foro Boario pag. 424.

[8] PROPERZIO Elegiae IV, 2 (“At mihi, quod formas unus uertebar in omnis / nomen ab euentu patria lingua dedit”).

[9] L’interessante etimo viene fatto notare da BETTINI Vertumnus: a God wit no identity pag. 324.

[10] SERVIO Ad Verg Geor I, 21: “Nomina numinibus ex officiis constant imposita”.

[11] CICERONE De natura deorum II, 67 (la sottolineatura in grassetto consente la visibilità delle etimologie ciceroniane).

[12] PROPERZIO Elegiae IV, 2: “Cingimi il capo di una mitra, ruberò la parvenza di Bacco,se però mi darai un plettro, la ruberò a Febo [cinge caput mitra, speciem furabor Iacchi;furabor Phoebi, si modo plectra dabis]”.

[13] ORAZIO Sat II, 7, 24-25. Le osservazioni su Vortumnus come divinità del Destino sono basate sul lavoro di BETTINI Vertumnus: a God with no identity pagg. 326-332.

[14] L’identità tra le due Dèe è sostenuta da COARELLI Il Foro Boario pag. 423.

[15] Vertumno era onorato dal tempo di Numa Pompilio, secondo quanto scrive Livio Hist XLIV 16, con una aedicula ed una statua, di cui era ritenuto autore Mamurio Veturio, nel Vicus Tuscus all’altezza della Basilica Sempronia, sostituita in seguito dalla Basilica Iulia, dove il Vicus Tuscus terminava nel Foro Romano in prossimità del tempio dei Castores, quindi alla sommità della palude del Velabro.

[16] Vortumno è celebrato ad Agosto mentre la fine delle campagne militari si celebrava con l’Armilustrium di Ottobre: la differenza di due mesi può far ipotizzare che ci si trovi dinanzi ad un fenomeno di “slittamento temporale”, più evidente nei cicli agricoli della coltivazione del cereale e della preparazione del vino, di cui si è detto in GALIANO e VIGNA Il tempo di Roma pagg. 30-34, in parte corretto ed ampliato in GALIANO Venere, la signora della Grazia.

[17] COARELLI Foro Boario pagg. 420-437.

[18] Coarelli cerca ovviamente di imporre a Vertumno i caratteri di un “dio che muore”, visto che anch’egli lo interpreta more solito come un “dio della vegetazione”.

[19] Questo rapporto tra statua e via triumphalis potrebbe valere anche per il suo tempio: RICHARDSON A new topographical dictionary, sub voce “Vortumnus, aedes” afferma che la posizione del suo tempio sull’Aventino era tale che “si potesse avere una visuale dall’alto della via triumphalis”.

[20] La Porta Triumphalis si identifica con la Porta Carmentalis (l’antica Porta Ratumena – COARELLI Foro Boario pag. 414), un duplice arco situato nello spazio antistante i templi di Mater Matuta e Fortuna Virgo (COARELLI Foro Boario pag. 371; per l’argomento si vedano pagg. 363–414): l’arco di sinistra, per chi esce dalla città, è la Porta Triumphalis, quello di destra è invece la Porta Scelerata, dalla quale si entra in città e per cui invece passarono i trecentosei Fabii nella sfortunata impresa contro Veio, il cui omen negativo era dato dal fatto che essi uscirono dalla porta sbagliata, quella destinata all’ingresso.

[21] Per Coarelli questo salire e poi scendere per due strade che in fondo erano tra loro parallele era dovuto alla presenza del Velabro che si incuneava tra le due, per cui il corteo era costretto a seguirne le rive: strano però che ancora nell’età imperiale, quando il Velabro era ormai prosciugato da secoli, si fosse mantenuto lo stesso percorso.

[22] COARELLI Foro Boario pagg. 424 ss.

[23] Il tempio di Vortumno, di cui non sono stati trovati i resti, è posto dagli archeologi sul lato nordovest dell’Aventino e quindi di fronte a quello di Fortuna Virgo, situato ai piedi del Palatino nel Foro Boario. Le due divinità  formavano così i due poli maschile e femminile della stessa funzione trionfale.

[24] Su Fortuna, Servio Tullio e la Porta Fenestella si veda GALIANO e VIGNA Il tempo di Roma pagg. 228-230.

[25] VARRONE De l l VII, 7 collega la parola triumpe al greco thriambos, specificando che questo è il nome greco di Liber (più tardi identificato con Dionysos), che per Plinio Nat hist VII, 56 fu l’inventore della cerimonia del trionfo (“Liber pater triumphum invenit”).

[26] AMIOTTI Nome e origine del trionfo romano pagg. 105–106.

[27] I rituali di Juppiter connessi con il vino (Vinalia Priora, Vinalia Rustica, Meditrinalia, forse Quinquatrus Minusculae) nulla hanno a che vedere con il vino come mezzo per raggiungere l’estasi mistica dionisiaca, sono invece segno del potere proprio al Dio ro­mano. Il complesso argomento delle feste del vino a Roma e del rapporto tra Venus e Juppiter è stato esaminato in GALIANO Venere, la signora della Grazia.

[28] COARELLI Foro Boario pag. 421.

[29] PLUTARCO Vita Rom 16. Conferma COARELLI Foro Boario pag. 430: “Il trionfo minore noto come ovatio non è altro, con tutta probabilità, che la cerimonia latina più arcaica, anteriore all’età dei Tarquini e all’introduzione delle forme etrusche”.

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