13 Aprile 2024
Punte di Freccia

Va beh…

Mussolini era uso recarsi a corte, il lunedì e il giovedì mattina, indossando tight e bombetta. Rientrando a casa era solito dire, levandosi il duro copricapo: ‘Questo ormai lo portiamo solo in tre, Stanlio, Ollio ed io’. Lo racconta Dino Grandi e c’è da crederci… Sana autoironia di tempi andati, a noi sempre cari, ma anche consapevoli d’essere distanti anni luce.

Ieri ci raccontavano di statisti che si baciavano con capi della mafia per accattare voti dal serbatoio siciliano (mi diceva Frank Tre dita Coppola, nel cortile di Regina Coeli – ed anche qui n’è trascorso del tempo: ‘Non è la mafia che ha corrotto la politica, semmai è la politica che ha corrotto la mafia’). Erano pur sempre uomini che trattavano, sebbene nella veste di proconsoli dell’Impero (il Male) americano, con i capi di stato del pianeta e, qualche volta, sapevano avere uno scatto d’orgoglio, sempre in Sicilia, come quando Bettino Craxi rivendicava lo stato di diritto all’aeroporto di Sigonella… (Con Valpreda e compagni siamo usciti da sbarre e chiavistelli con l’approvazione di una legge ad hoc dove i comunisti cavalcavano l’innocenza degli anarchici ingiustamente carcerati – ed io? – dando, però, parola di stendere un velo sulle proteste per la presenza dei sommergibili USA a testata nucleare alla Maddalena. E così fu, opera del divino Giulio!). Altre storie, archeologia di uomini e cose… Quando la politica era, magari nostro malgrado e contro di noi, mestiere fine di una classe che veniva fuori da buona scuola.

Ieri, ancora, il Berlusca si metteva in gioco – e giocava nella villa di Arcore a fare il grande seduttore con fanciulle discinte coscia lunga e tette prorompenti – per proteggere i propri interessi ma, al contempo, si accreditava con Putin e Gheddafi. Certo il costo era un paese dove il gossip si elevava a immagine nazionale e, nello specifico, sottraendo alla Destra quel poco di identità e radici d’un passato poi non troppo lontano (i vecchi leader del MSI erano lesti a vendere e vendersi voti, a ridurre ogni battaglia alla ambigua pretesa d’incarnare i valori borghesi e all’anticomunismo, nonostante ciò tolleravano i ritratti del Duce nelle sezioni i saluti romani e si ricordavano d’essere stati nella Repubblica Sociale. Troppo poco e troppi alibi ma, senza volerli assolvere – uno di loro ebbe a promettere la revoca del mandato di cattura a S. se smentiva il mio alibi ed un altro fu il primo a gettare, nero su bianco, fango definendomi uno psicopatico criminale… – erano anch’essi di buona scuola). Del resto se i nuovi dirigenti accettarono il prezzo, vuol dire che erano anch’essi, per dirla con Adriano Romualdi, ‘i figli dell’uovo marcio della borghesia’…

Un sasso dall’alto tende inesorabile a precipitare verso il basso e, sospinto dal principio di gravità, trascina con sé quanto incontra trasformandosi in valanga… Senza voler essere pessimi attori di un film del genere catastrofico, anch’esso superato da troppe onde anomali naturali ed umane. Né, anticipando qualche breve annotazione, tra stati umorali e distante riflessione, è mia la vocazione alla professione del becchino e del beccaio, memore di quanto affermava il principe di Salina che vi fu un tempo dei gattopardi ed uno di poi per gli sciacalletti, a cui credo orgoglioso e fiero.

Qualche giorno fa, su facebook, gli Ianua, in effetti suppongo il cantante del gruppo, Renato ‘Mercy’, ha postato una considerazione di Gabriele D’Annunzio, tratta da La Vergine delle Rocce: ‘Vivendo in Roma, io era testimonio delle più ignominiose violazioni e dei più osceni connubii che mai abbiano disonorato un luogo sacro. Come nel chiuso d’una foresta infame, i malfattori si adunavano entro la cerchia fatale della città divina’. Va da sé che la citazione si fa pertinente del letamaio che invade Roma in questi giorni, da sempre verrebbe da dire, e che riserva certo ulteriori aberrazioni. Non so se, negli intenti di Mercy, vi sia un residuo moralistico, anche se dubito e mi auguro di no. Noi, con Nietzsche, siamo inguaribili immoralisti se, in senso borghese, ci si sofferma su una delle chiacchiere dell’Antico Testamento e di Mosè con due tavole in mano e dieci proposizioni contro natura. Ciò, però, non ci sottrae a difendere l’eticità… là dove è bene tutto ciò che eleva e nobilita, male tutto ciò che degrada e livella.

A Rimini avevo un amico camerata, maresciallo della caserma d’artiglieria Giulio Cesare, che mi ospitava e mi prestava, quando era in servizio, la sua bicicletta. Se n’è andato, non aveva cinquant’anni, nel 2006. Ne faccio cenno in Strade d’Europa. Egli avrebbe voluto, andato in pensione, ritirarsi a Predappio e dedicarsi a curare la tomba del Duce. Animo semplice rigoroso. Sul manubrio della bici aveva incollato un adesivo con su scritto ‘i fascisti non rubano’… Infatti, i fascisti – si può imputare a Mussolini e agli uomini che gli furono a fianco fin lungo le sponde del lago di Como molti errori ed altro ancora, ma appesi a testa in giù a piazzale Loreto non cadde loro dalle tasche un centesimo – sì, ma non la destra becera e infame che s’è partorita dalle ceneri non di una fenice rigeneratrice ma, simile a brulicare di vermi, dalla cancrena del cadavere di un partito nato male vissuto nell’equivoco morto con scarsi rimpianti.

Non ho la vocazione del pubblico accusatore, ma neppure sono un garantista. Non amo chi, con l’arma in pugno o soltanto metaforicamente, punta alla nuca lega a qualche sedia applica, metaforicamente e non, gli elettrodi ai testicoli o, con l’imbuto, ti riempie lo stomaco di litri d’acqua e sale. Non amo, però e allo stesso modo, chi di tutto ammanta di diritti e universali principi perché sospetto la presenza di fregatura e quel complesso di colpa con cui si à svirilizzata la storia d’Europa. Dunque non so quanto e se di fatto le accuse che vengono rivolte ad una parte degli inquisiti corrisponda al vero (dell’altra parte poco o nulla mi interessa perché essi sono immagine di un mondo non mio. Dicevo, recentemente, presentando il bel libro su Giuseppe Solaro che i partigiani che portano l’ultimo federale di Torino alla forca, dai ghigni gaudenti di facili e infami predatori, sono i nonni di coloro che avrebbero voluto fare scempio del corpo del capitano Erich Priebke) e, confesso, infine non ho con loro da spartire fette di torta condivisione politica (?) amicizia privata storia di idee e di battaglie…

Non mi scandalizzo – solo quel tanto che rimanda appunto alla povertà di Nietzsche a quella di Berto Ricci ai tanti amici con cui amo ancora spartire il quotidiano – memore come Stalin rapinasse treni per la causa bolscevica e i Tupamaros in Uruguay e il giovane Franco Anselmi cadere nel tentativo in una armeria. Anche se lucrare su campi rom centri d’accoglienza appalti pubblici e privati non richiede alcun coraggio, la mano ferma con la pistola in mano – e, dentro di me, pur essendo stato sempre ostile al tunnel della lotta armata, so che mi manca la verifica di quella esperienza… No, non mi scandalizzo, sono indignato sono offeso sono incazzato sono umiliato e – lo ripeto – a prescindere d’ogni ragionevole dimostrazione di colpevolezza.

Sento in questi giorni e trovo scritto su facebook come la cosiddetta ‘cupola mafiosa capitolina’ con tutti trattava corrompeva lucrava (già con Berlusconi, se qualche amministratore ‘rosso’ veniva coinvolto per tangenti, qualcuno traeva respiro di sollievo accusando la politica in quanto tale). Già Jean Cau annotava ne Le scuderie dell’Occidente, riferendosi ai dogmi della Rivoluzione del 1789: ‘Se gli uomini sono eguali, non sono più liberi. Se sono liberi, non sono più eguali’. Condivido. Il mio amico Cyrano motteggiava: ‘Perché ce le ho di dentro le mie distinzioni! – Io non mi attillo, no, come uno sfarfallino, – ma sono assai più netto, se son meno carino; – chè io non uscirei, vedi, per negligenza, – con la minima macchia sul cor, con la coscienza – ancora sonnacchiosa, con un onor gualcito, – e con un qualche scrupolo non troppo ben pulito!’. Insomma marcammo sempre la differenza, ne facemmo guanto di sfida, davanti alle scuole all’università nella vita di tutti i giorni al lavoro come in privato. Cos’era altrimenti scendere in piazza fare il saluto romano indossare la camicia nera se non dire agli altri – avversari professori genitori – che noi s’era d’altra e più nobile razza? Certo disincanto, direi orrore, verso il sistema elettorale: una scheda un voto… Io valgo, poco magari, ma io valgo per quel che sono, di più: io valgo perché sono (anarco) fascista. Punto e a capo.

E a capo c’è che la gente, quella che può definirsi opinione pubblica, non conosce le varie sfumature o le difformità nette e inconciliabili del ‘nero’. Altrimenti detto apparteniamo tutti ad un mondo, siamo tutti dei fascisti, della specie peggiore, perché prima ci guardavano storto ci indicavano a dito perché eravamo quelli della spranga della molotov della P38 e, i peggiori fra noi, seminatori di bombe su banche e nei treni, ma nel ‘male’ eravamo temuti e rispettati, oserei dire, con un pizzico di fascino pur se perverso, ora però possono indicarci come ladri, comuni malfattori, bambini maldestri colti con le dita nella marmellata… Di tutti un sol fascio e non della natura, di quell’unità d’intenti che fu idee sangue spirito. Come negli anni di piombo, gli assassini della falce e martello colpivano i ragazzi fuori delle sezioni del MSI perché bersagli facili prevedibili esposti indifesi non perché fossero i più duri i più agguerriti i più capaci di dare risposte ‘militari’. Omologati tutti fascisti, comunque…

Nell’antica Roma: la moglie di Cesare non poteva essere sfiorata neppure dall’ombra del sospetto… Ciò vale anche oggi e non importa se sono accuse fondate o castelli di carte. La legge può essere persuasa, pensava Socrate in attesa di bere la cicuta, i giudici sono altra cosa, una casta intoccabile arrogante presuntuosa. Io non posso non voglio non devo essere confuso, anche solo nominalmente, perché non pretendo d’essere migliore (e lo sono) ma certo essere riconosciuto quale ‘diverso’…

Mario Michele Merlino

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