13 Maggio 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, ventiquattresima parte – Fabio Calabrese

Eccoci di nuovo. Io vorrei dare agli articoli riuniti sotto questo titolo il significato di una rubrica periodica sotto la quale raccogliere le notizie che man mano riceviamo sulla tematica delle origini, questione affascinante in sé, ma soprattutto legata all’idea che ci facciamo di noi stessi, del nostro posto nel mondo, che non è disgiunta dall’agire politico.

Una volta di più, direi, quelle che possiamo registrare attualmente sono una serie di conferme di un quadro che nelle sue linee generali è piuttosto chiaro.

Cominciamo con il segnalare un recente intervento riportato da varie fonti di stampa, di Semir Osmanagic, lo scopritore delle tre piramidi bosniache di Visoko. Questa scoperta, come sappiamo, è ancora molto controversa, e secondo i ricercatori ufficiali le tre piramidi “del sole”, “della luna” e “del drago”, non sarebbero altro che formazioni naturali, colline di forma casualmente piramidale.

Nel suo intervento, Osmanagic mette in relazione le piramidi di Visoko, cui attribuisce un’età fra 20.000 e 12.000 anni con la scoperta del santuario anatolico di Gobeckli Tepe, che allo stesso modo ci suggerisce che la civiltà umana potrebbe essere ben più antica dei cinque millenni che le sono ufficialmente attribuiti, e che potrebbe non essere affatto sorta in Medio Oriente fra la Valle del Nilo e la Mezzaluna Fertile mesopotamica.

“La storia umana”, afferma il ricercatore bosniaco, “Potrebbe essere tutta da riscrivere”.

Di Gobeckli Tepe vi ho già parlato nei miei articoli precedenti, ai quali vi rimando. Per quanto riguarda le piramidi di Visoko, non metterei la mano sul fuoco né in un senso né nell’altro, mi sembra che non vi siano ancora elementi sufficienti per chiarire una volta per tutte l’origine artificiale o naturale di queste singolari colline piramidali. Tuttavia, e questo mi sembra il fatto veramente notevole che occorre rimarcare, è evidente che Osmanagic si è scontrato con un pregiudizio ideologico in base al quale esiste un vero e proprio rifiuto a considerare gli argomenti addotti a sostegno delle sue tesi da parte dei sedicenti scienziati e “ricercatori” (termine che suona leggermente ironico, quando non si ricerca che ciò che si è già deciso in anticipo che sarà trovato) ufficiali.

“E’ impossibile” che la civiltà umana sia più vecchia di cinque millenni, così come per i dotti dell’epoca di Galileo “era impossibile” che la Terra orbitasse intorno al sole perché, essendo il luogo dell’incarnazione di Cristo, doveva essere necessariamente il centro dell’universo.

Il dogma che non può essere toccato per quanto i fatti possano contraddirlo, è in questo caso il dogma progressista; se infatti interi remoti cicli di civiltà possono aver preceduto il nostro ed essere poi scomparsi nell’oblio, non è affatto detto che questa sia la volta buona, e che abbiamo di fronte un luminoso destino ascendente.

Il caso è analogo a quello di Glozel. In una grotta scoperta per caso nel 1924 nei pressi di questa località della Francia da un giovane agricoltore allora sedicenne, Emile Fradin, furono ritrovati oltre 3.000 reperti che risalirebbero all’età neolitica, consistenti in vasi, statuette e tavolette incise con i segni di una scrittura che ancora nessuno è riuscito a decifrare (anche perché nessuno con le adeguate competenze ci si è seriamente provato). Subito, la scoperta fu etichettata come un falso, e condannata all’oblio, da parte di “ricercatori” che non avevano neppure visto, e tanto meno esaminato i reperti, in base al dogma che non sarebbe potuta esistere una civiltà così antica, e non in Medio Oriente, ma nella “barbara” Europa poi, senza neppure porsi il problema di come avrebbe potuto fare un ragazzo di campagna di 16 anni a mettere insieme un falso di quell’entità e di quella complessità.

Visoko formazioni naturali, Glozel un falso; adesso non gli resta che tornare a seppellire il santuario di Gobeckli Tepe sotto la “collina rotonda” dalla quale è emerso, e tanto per prudenza fare legna da ardere dell’altrettanto antico idolo siberiano di Shingir, e poi il trionfo del dogma progressista sarà assicurato.

L’idea che emerge da questi fatti, così come del resto dalle scoperte di Ryan e Pitman sull’ “Atlantide pontica”, ossia che intorno all’antico Mar Nero un tempo un lago di acqua dolce assai meno esteso dell’epoca attuale, dove sarebbe esistita un’antica civiltà, non mettono in crisi soltanto il dogma progressista ma, sia pure in maniera più indiretta, minano un altro dei pilastri dell’idea di noi stessi e del nostro passato che l’ortodossia democratica ci vuole forzatamente imporre, cioè quella “teoria”, ma che sarebbe più giusto chiamare favola, dell’ “Out of Africa”, dell’origine africana della nostra specie in tempi relativamente recenti, che avrebbe come sfondo concettuale l’inesistenza delle razze e l’impossibilità di tracciare confini razziali tra i membri della nostra specie.

Cerchiamo di fissare bene questo punto, che è fondamentale.

Noi pensiamo ordinariamente che l’evoluzione culturale e tecnologica che caratterizza la nostra specie sia un prolungamento dell’evoluzione biologica, ed è logico che sia così, perché uno sviluppo culturale e tecnico non sarebbe potuto innescarsi, o quanto meno oltrepassare il livello delle pietre e delle ossa scheggiate prima che l’evoluzione biologica abbia potuto mettere a punto quel prodigioso strumento che è il cervello di homo sapiens in tutta la sua complessità.

Ora, se la civiltà umana risale non a qualche migliaio ma a decine di migliaia di anni fa, questo è difficilmente compatibile con l’idea che la nostra specie si sia formata dal punto di vista biologico in un’epoca di poco precedente, con l’ “Out of Africa” che ne fissa l’origine a 50-70.000 anni fa e la comparsa sul nostro continente a 30-50.000; semplicemente, VIENE A MANCARE IL TEMPO.

A volte sembra che il dio delle coincidenze faccia gli straordinari. Poco dopo la comparsa sulla stampa dell’intervento di Osmanagic, sono a loro volta comparsi in rete tre articoli che da diversi punti di vista costituiscono altrettante smentite della favola dell’origine africana.

Cominciamo a vedere innanzi tutto come è nata questa favola; essa si basa su una premessa, la non esistenza nella nostra specie di razze (il che è davvero strano, considerando che razze e varietà si trovano in tutte le specie del mondo animale e vegetale, e che i nostri occhi “politicamente scorretti” ce ne attestano l’esistenza anche riguardo alla specie umana).

Questa idea venne formulata in uno “studio” del genetista americano R. C. Lewontin del 1972, e benché fosse palesemente una fallacia, fu subito imposta PER MOTIVI POLITICI, cosa francamente ammessa dai ricercatori più seri, come “l’ortodossia scientifica” dal potere dominante, in palese violazione del principio scientifico fondamentale che una qualsiasi idea o teoria che pretende di essere scientifica, deve essere sempre sottoponibile a nuove verifiche, critiche e revisioni, è diventata un dogma intoccabile perché così faceva comodo al potere che vuole imporre il meticciato a livello mondiale.

Giusto il 3 gennaio il nostro Luigi Leonini ha riproposto in rete la traduzione di un articolo non nuovo, che risale al 2003, ma repetita iuvant più che mai in questo caso, del genetista A. W. F. Edwards che svela “La fallacia di Lewontin”.

In poche parole, costui ha considerato i singoli geni del genoma umano MA NON LE CORRELAZIONI FRA ESSI.

“Questa conclusione … è totalmente inesatta perché viene ignorato il fatto che la maggior parte delle informazioni che distinguono le popolazioni è nascosta nella struttura della correlazione dei dati e non semplicemente nella variabilità di fattori individuali”.

Un singolo gene potrebbe ritrovarsi sparso in tutta l’umanità vivente da un capo all’altro del pianeta, ma questo non ci dice nulla, bisogna vedere come i geni si raggruppano in costellazioni specifiche che determinano le caratteristiche delle diverse popolazioni. Semplicemente, se come Lewontin ha fatto, si guardano solo gli alberi uno alla volta, si può riuscire a non vedere la foresta.

Una volta costruito lo scenario di cartapesta della non esistenza delle razze, si è provveduto a scrivere il copione della sceneggiata, ossia la favola dell’origine africana, partendo da un presupposto: l’uomo della strada è ignorante, soprattutto se ci si sforza di mantenerlo tale, tutto quanto riguarda la preistoria si perde in una nebbia indistinta dove i riferimenti temporali si perdono, e non si percepisce una grande differenza fra i trilobiti di miliardi di anni fa e i triliti di Stonehenge. La questione dell’origine africana degli ominidi milioni di anni fa, può essere facilmente confusa con quella dell’origine africana recente di homo sapiens qualche decina di migliaia di anni fa, le ossa di Lucy emerse dal suolo etiopico nel 1974 sembravano avvalorare le farneticazioni di Lewontin subito trasformate in ortodossia “scientifica” dal potere non solo mediatico.

I sostenitori dell’OOA (l’ipotesi dell’origine africana) si accorsero presto di trovarsi in una posizione imbarazzante: circa 100.000 anni fa il mondo, quanto meno l’ecumene eurasiatico, era abitato da numerose popolazioni umane pre-sapiens o sapiens primitive (fra cui il più noto ma non il solo è l’uomo di neanderthal). Volendo a tutti i costi negare che esse, come è invece sostenuto dalla molto più solidamente fondata ipotesi multiregionale, possano aver dato un contributo di ascendenza all’umanità attuale che si voleva di “pura” origine africana, rimaneva da spiegare che fine avessero fatto, potendo escludere che si siano graziosamente estinte di propria iniziativa per far posto ai nuovi arrivati africani.

Le avrebbe sterminate il nuovo venuto uscito dall’Africa? La cosa non sarebbe a rigore impossibile, ma di certo non fa fare una bella figura a una “teoria” che al di là dei trasparenti pretesti “scientifici” ha palesemente lo scopo di esaltare “l’accoglienza”, anzi da questo punto di vista rischia di trasformarsi in un boomerang, ingenerare il sospetto – tutt’altro che infondato – che magari i figli dell’ondata attuale di immigrazione africana potrebbero sterminare noi.

Ecco che a questo punto qualcuno se ne è uscito con una trovata “geniale”. Circa 50-70.000 anni fa il vulcano Toba nell’isola di Sumatra in Indonesia avrebbe avuto un’eruzione di proporzioni gigantesche. Si è preteso che questa eruzione, immettendo nell’atmosfera enormi quantità di ceneri, avrebbe prodotto un “inverno vulcanico” simile all’ “inverno nucleare” di cui andava di moda parlare anni fa, che avrebbe sterminato tutta l’umanità allora esistente, tranne un gruppetto africano da cui la colonizzazione del nostro pianeta sarebbe partita daccapo.

IL DIAVOLO FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI! Era stata appena messa in piedi la sceneggiatura di questo psicodramma pseudoscientifico, che sempre in Indonesia, nell’isola di Flores sono stati scoperti i resti di un piccolo homo, homo floresiensis o familiarmente “hobbit” come i personaggi di Tolkien. L’ “hobbit” non era un homo sapiens ma una forma nana di  erectus (il nanismo è chiaramente un adattamento a condizioni di vita insulari e si presenta in molti mammiferi che vivono sulle isole), era quindi di origine molto antica ed è sopravvissuto fino a 20.000 anni fa, quindi fino a 30-50.000 anni dopo l’eruzione del Toba, pur trovandosi a due passi dall’epicentro della presunta catastrofe planetaria che avrebbe quasi cancellato l’umanità dalla faccia della Terra. “Cari piccoli hobbit”, per dirla con Gollum, sono la più netta e bruciante sconfessione dell’ “Out of Africa”.

Tuttavia, il discorso non finisce qui, e le prove che confutano l’OOA negli ultimi tempi si sono letteralmente accumulate, al punto tale che per i paladini dell’ortodossia “scientifica” democratica diventerà impossibile continuare a definirsi scienziati piuttosto che i propagandisti di un’ideologia faziosa quali effettivamente sono.

In realtà, le prove che smentiscono l’ipotesi (o la favola) dell’origine africana si sono accumulate negli anni, e sono schiaccianti. L’esame del DNA dei resti degli uomini fossili comparato a quello delle popolazioni moderne ha dimostrato che nelle popolazioni europee attuali vi è una componente di DNA risalente all’uomo di Neanderthal pari all’1/3%. In più, è stata individuata una popolazione umana antica finora sconosciuta, l’uomo di Denisova, che avrebbe contribuito in una misura stimata attorno al 6% al patrimonio genetico delle attuali popolazioni asiatiche e aborigene dell’Australia.

Queste percentuali apparentemente basse non devono trarre in inganno, si pensi al fatto che abbiamo in comune oltre il 90% del DNA con gli antropoidi, nostri parenti biologici più stretti.

Tutto ciò non si accorda con l’OOA, mentre si concilia molto bene con l’ipotesi dell’evoluzione multiregionale. Diciamo pure che LA CONFERMA, e se non fosse cara a determinati ambienti che detengono, oltre al potere politico, il controllo della cultura e della scienza, per motivi che ovviamente di scientifico non hanno nulla, la tesi dell’ “Out of Africa”, sarebbe già stata abbandonata da un pezzo.

Ultimamente, a questo ricco mosaico di evidenze, si è aggiunto un nuovo tassello. La notizia è riportata da “The New Observer” del 10 gennaio che riporta i risultati di uno studio dell’EURAC (Accademia Europea) di Bolzano, un importante centro di ricerche privato sul DNA dei batteri presenti nel corpo di Oetzi, la famosa mummia naturale del monte Similaun, il corpo di un uomo vissuto 5.300 anni fa ritrovato congelato in un ghiacciaio nel 1991. La diffusione e la differenziazione dei ceppi di batteri presenti nell’organismo umano seguono ovviamente quelle delle popolazioni umane. I ricercatori hanno studiato in particolare l’helicobacter pilori, un batterio presente nell’apparato digerente. In base all’ipotesi dell’Out of Africa, si pensava che gli helicobacter europei discendessero dai loro omologhi africani, e ci si aspettava che il DNA di questi batteri nel corpo di Oetzi mostrassero una somiglianza con questi ultimi, essendo di cinque millenni più vecchi di quelli attuali; invece questo non si verifica, e quelli di Oetzi presentano una marcata somiglianza con il tipo asiatico, una prova che al ceppo ancestrale degli Europei si può semmai attribuire una provenienza asiatica.

Caro Oetzi; dobbiamo proprio essergli grati, già il suo corredo di attrezzi, in particolare l’ascia dalla testa di rame, che è il più antico attrezzo metallico conosciuto, ci si era presentato come un forte indizio a favore del fatto che proprio in Europa e non in Medio Oriente o altrove, è verosimilmente iniziata la lavorazione dei metalli, e con essa probabilmente il cammino umano verso la civiltà.

La democrazia, l’antirazzismo (parola in codice il cui significato reale è anti-bianco, tutto ciò che cospira nella direzione dell’estinzione dell’uomo caucasico e indoeuropeo) si basano su di un’immagine falsata dell’uomo e della sua storia. C’è da chiedersi quanto resisteranno ai duri colpi dell’evidenza, e certamente se non fossero sostenuti dal sistema mediatico al servizio del potere, ma fossero i fatti a parlare, sarebbero scomparsi da un pezzo.     

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