13 Maggio 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, cinquantunesima parte – Fabio Calabrese

Cari lettori: vi chiedo di avere pazienza. In questo cinquantunesimo articolo della nostra rubrica, ero intenzionato a concludere il riepilogo iniziato la volta precedente, sulle molte cose che nella cinquantina di articoli stilati in precedenza abbiamo avuto modo di vedere, tuttavia questo sia pure estremamente utile ripasso dei fondamentali lo dobbiamo rinviare, e lo riprenderemo la prossima volta perché in questo periodo di metà 2017 sono emerse una serie di novità sulla ricerca delle nostre origini di cui è impossibile non dare conto.

Una novità che sta accendendo vivaci discussioni sul web, è la scoperta di un ominide europeo, i cui resti sono stati ritrovati in Grecia e Bulgaria, che risalirebbe a 7,2 milioni di anni fa (quindi più antico degli ominidi africani finora noti) ed a cui sono stati dati il nome scientifico di Graecopithecus Freybergi e il nomignolo di “El Greco”.

La cosa davvero singolare, è che la notizia di questo importante ritrovamento che dovrebbe portare alla riscrittura della storia delle origini umane ci arriva attraverso pubblicazioni “di Area”, VoxNews del 22 maggio e “Il secolo d’Italia” del 23 maggio con un pezzo a firma di Anna Clemente, mentre le pubblicazioni “scientifiche” ufficiali nonché i canali di informazione generalisti hanno semplicemente ignorato il fatto.

Eppure non c’è alcun dubbio sul fatto che i resti fossili di questa creatura esistono. Sulle interpretazioni si può sempre discutere, ma cosa dobbiamo pensare di una “scienza” che censura i fatti per essa scomodi?

Il perché di questo atteggiamento censorio che è esattamente il contrario dell’onestà scientifica, davvero non è difficile da capire: “El Greco” costituisce un ulteriore scrollone alla già traballante “teoria” dellOut of Africa che i censori e inquisitorie vestali della democrazia devono difendere a ogni costo, perché costituisce un corollario fondamentale della loro pretesa dell’inesistenza delle razze umane.

Ridotta all’osso, la loro argomentazione si potrebbe sintetizzare così: L’uomo si è evoluto dagli ominidi, gli ominidi erano africani, dunque l’uomo è nato in Africa. Io non vorrei ora riaprire una discussione sul concetto di evoluzione, anche perché si tratta di un argomento che ho ampiamente trattato nei miei scritti precedenti. Diciamo in estrema sintesi che un conto è l’evoluzionismo (o meglio il darwinismo) come griglia interpretativa dei fatti biologici, un altro la sua interpretazione ideologica con l’abbinamento ai concetti di “sviluppo ascendente” e “progresso” e chi più ne ha più ne metta, ignorando aspetti fondamentali della teoria darwiniana quali la selezione, la lotta per l’esistenza, la sopravvivenza del più adatto, che ne fanno in realtà la smentita di tutte le filosofie democratiche, progressiste, buoniste.

Io vorrei ora concentrare l’attenzione sulla seconda premessa di questo sillogismo, l’africanità degli ominidi che questa scoperta viene decisamente a smentire, tuttavia va detto, e l’abbiamo già visto nelle parti precedenti della nostra disamina, che anche questa non rappresenta una novità assoluta. L’elenco degli ominidi non africani era già abbastanza lungo: si va dagli indiani Ramapithecus e Sivapithecus (i cui nomi rievocano due divinità del pantheon induista) all’italiano Oreopithecus Bambolensis, che presenta proprio quelle stesse caratteristiche che hanno fatto attribuire agli ominidi africani la qualifica di precursori dell’umanità, ossia la stazione eretta completamente bipede, e un arco dentario di tipo umano, tondeggiante e privo dei grossi canini tipici delle scimmie antropomorfe, per non parlare qui del misterioso homo di Savona, vecchio di due milioni di anni, su cui non è stata mai compiuta una seria indagine scientifica, ma è stato lasciato in un vergognoso dimenticatoio.

Alla luce di tutti questi atti, che homo sia originario proprio da un ceppo di ominidi africani, quando in passato l’areale di queste creature era verosimilmente molto più esteso, rimane quanto meno un’ipotesi tutta da provare.

E’ tuttavia inutile illudersi: quello cui stiamo assistendo, una volta di più, non è un sereno dibattito basato sull’analisi dei fatti e il confronto delle teorie con essi, ma una disputa ideologica.

Ne è la riprova un articoletto apparso su “Ethnopedia” a firma di tale Kirk (mai che questa gente si indicasse coi propri veri nomi e cognomi, sembra che quella di lanciare il sasso e nascondere il braccio sia una pratica molto diffusa in ambito democratico), che è un vero capolavoro di malanimo e faziosità.

Vediamo dunque cosa ci ammannisce (il capitano?) Kirk:

“Non si parla di Homo Sapiens, la nostra specie, né di un antenato da cui discendiamo, ma di un ominide che si è invece estinto come tanti altri”.

Questo si chiama rivoltare la frittata, fare il processo alle intenzioni o fabbricarsi un avversario di comodo. Chi ha mai sostenuto che questa creatura antica di 7,2 milioni di anni fosse un homo? Il discorso è un altro: l’origine africana della nostra specie è stata sostenuta in base alla presunzione che gli ominidi fossero esclusivamente africani, ora è quest’ultima asserzione che si rivela palesemente falsa.

Si osservi poi l’affermazione sminuente: “un ominide come tanti altri”, come se gli ominidi non africani non fossero oggetto di uno sminuimento o addirittura di un occultamento sistematico.

Ma questo naturalmente è solo l’antipasto, le vere chicche dell’articolo devono ancora venire;  vedete questo passaggio:

“Se l’articolo che linkate proviene da siti notoriamente politici come VoxNews, Il Primato Nazionale ed Ereticamente, vuol dire che esso è intriso di ideologia e propaganda politica”.

Una cosa di questo genere provoca chiaramente disappunto, ma anche una certa soddisfazione. Significa anche che ESISTIAMO e diamo fastidio, che il nostro non è solo un predicare nel nostro cortile (il che sarebbe comunque importante, vista la carenza di formazione ideologica dei nostri ragazzi che si trovano a vivere in un clima ostile a tutto quanto rappresentiamo), ma che anche democratici e antifascisti sono costretti malgrado loro a tenerci in considerazione.

Sui temi della paleoantropologia, delle origini dell’uomo, poi ci siamo occupati su “Ereticamente” soprattutto io e Michele Ruzzai, con una presenza quantitativamente meno massiccia della mia ma sicuramente di qualità, ed è quasi un peccato che “Kirk” non citi anche “MANvantara”, il bel gruppo facebook gestito da Michele.

Anche qui, sul tema della paleoantropologia, l’insinuazione di “Kirk” ricorda molto la storia del bue che dà del cornuto all’asino.

Bisogna ricordare a questo riguardo le parole dello storico australiano Greg Jefferys:

“Tutto il mito dell’Out of Africa ha le sue radici nella campagna accademica ufficiale negli anni ’90 intesa a rimuovere il concetto di razza. Quando mi sono laureato, tutti passavano un sacco di tempo sui fatti dell’Out of Africa ma sono stati totalmente smentiti dalla genetica. (Le pubblicazioni) a larga diffusione la mantengono ancora”.

Dunque a peccare di ideologia non sono coloro che contestano il dogma dell’Out of Africa che sono piuttosto quelli che cercano di ristabilire la verità, ma coloro che lo sostengono. Questa sedicente “teoria” non è nata da fatti scientifici, ma dall’intento propagandistico di distruggere il concetto di razza, cioè come strumento politico. La genetica la smentisce (qui fanno testo le ricerche dei genetisti russi A. Klysov e S. Rozhanskij), tuttavia essa continua a essere propagata dai mezzi di massa a larga diffusione – cioè quelli controllati dal potere – perché è uno strumento ideologico prezioso per chi mira allo sradicamento dei diversi gruppi umani, e a cui della verità scientifica non importa nulla.

Più sotto arriviamo a quello che è il vero nocciolo della questione:

“Sotto la pelle siamo tutti uguali, c’è più diversità genetica tra due italiani che tra un italiano e un nigeriano”.

L’inesistenza delle razze e delle etnie, è questo il discorso sottinteso a tutto l’ambaradan out-of-africano. Qui ritorna una vecchia menzogna della democrazia che abbiamo sentito ripetere fino a farcela uscire dalle orecchie ma che nonostante ciò, rimane un’assoluta falsità, la presunzione dell’inesistenza degli Italiani dal punto di vista genetico, la leggenda che geneticamente noi saremmo non un popolo ma un’accozzaglia disparata al punto che fra uno e un altro di noi presi a caso, ci sarebbero meno affinità che con qualsiasi altro abitante di questo pianeta preso altrettanto a caso. Il sottinteso di questo “messaggio” è estremamente chiaro: dal momento che il popolo italiano come continuità di sangue non esiste, non ci dovremmo preoccupare del fatto che oggi l’immigrazione e la sostituzione etnica lo stanno cancellando. Peccato solo che questa sia una totale falsità, come recenti e seri studi genetici hanno ampiamente dimostrato, e sono tornato con ampiezza su questo argomento nella quarantottesima e nella quarantanovesima parte della nostra rubrica.

Volete che non si usi la parola “razza”? Va bene, non usiamola, ma resta il fatto che i neri subashariani hanno un quoziente intellettivo medio di 70, che coincide con il limite del ritardo mentale, che studi condotti negli Stati Uniti hanno dimostrato, a parità di condizioni economiche e sociali, una propensione al crimine cinque volte maggiore rispetto agli altri gruppi etnici, che qui da noi in Italia gli immigrati (in grandissima parte neri o magrebini) sono i responsabili del 50% di tutti i reati e del 90% di tutti gli stupri.

“Kirk” non manca di dispensarci qualche consiglio:

“Questi siti farebbero meglio ad occuparsi di politica, filosofia, mitologia, esoterismo e quello di cui si occupano quotidianamente”, e non di questioni scientifiche riguardanti le nostre origini per cui, a suo dire, non saremmo tagliati. Peccato solo che per quanto riguarda la politica, il fatto che ci venga gabellata una falsa immagine di noi stessi allo scopo di farci accettare l’invasione di cui siamo oggi vittime senza reagire, è un fatto politico.

Se posso io a mia volta ricambiare (il capitano?) Kirk elargendogli un consiglio, gli direi di riprendersi l’astronave Enterprise e ripartire alla scoperta di “Strani nuovi mondi e nuove civiltà”.

Su tutta la questione varrebbe la pena di riferire l’opinione espressa – per la verità in una conversazione privata, ma non credo di fargli alcun torto riportandola qui – di una persona perspicace e competente al riguardo, come è il nostro amico Michele Ruzzai, secondo cui, certamente la scoperta dei resti di ominidi non africani indebolisce “la teoria” dell’Out of Africa, ma la sua vera confutazione  è data dai fossili di homo vecchi di centomila anni e oltre (cioè ben prima di quanto previsto dall’OOA) che si ritrovano fuori dal continente africano. Ora di questi se ne trovano in buon numero in Asia, Oceania e anche in Europa, ma “la scienza”, o meglio l’ortodossia  “scientifica” dominante evita di parlarne se non per bisbigli e ammissioni a mezza voce che dovrebbero restare confinate entro i circoli degli specialisti.

Tuttavia, le novità che dobbiamo registrare in questo periodo non si limitano solo alla questione di “El Greco” (che però rimane una presenza “scomoda” della paleoantropologia e di cui si dovrebbe parlare ancora a lungo). Recentemente, un nostro corrispondente ha postato un articolo de “Le scienze” risalente al novembre 2015 dove si fa il punto sull’uomo di Denisova. Di quest’uomo vissuto nella Siberia meridionale tra 70.000 e 40.000 anni fa, ci sono rimasti dei denti e minute tracce scheletriche. L’analisi del DNA tuttavia ha consentito di stabilire che si trattava di un homo differente sia dall’uomo di Neanderthal, sia dal sapiens del tipo di Cro Magnon, e che ha lasciato un’impronta genetica importante nelle popolazioni asiatiche, melanesiane e australiane. Tuttavia rimane ancora oggi un uomo senza volto.

Ultimamente, “Il navigatore curioso” ha riportato i risultati di uno studio sul DNA dell’uomo di Neanderthal condotto  nel 2008 da Liran Carmel e Eran Meshorer, biologi presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, dal quale risulta che l’uomo di Neanderthal aveva in comune con noi ben il 99,84% del patrimonio genetico. Viene dunque del tutto a cadere la possibilità di considerarlo una specie separata dalla nostra, e possiamo dire che aveva rispetto all’uomo attuale al massimo una differenza di tipo razziale. D’altra parte avrete senz’altro presente che più volte in queste pagine vi ho sottolineato il fatto che questo antico uomo in passato l’abbiamo gravemente sottovalutato. Vi ho riportato anche un’immagine presa dal “Corriere della Sera” del dicembre 2014 che fa giustizia delle caratteristiche scimmiesche che per lungo tempo gli sono state attribuite. E’ certamente fra i nostri antenati (di noi europei, ma non dei neri sub sahariani).

Tutto questo rimanda al concetto della nostra specie come una specie politipica fra i cui antenati figurano oltre all’uomo di Cro Magnon, i neandertaliani e i denisoviani per non parlare del “quarto antenato” le cui tracce i ricercatori dell’Istituto di Biologia Evolutiva (IBE) di Barcellona  avrebbero trovato nel DNA degli abitanti delle isole Andamane, e del quinto, un homo separatosi dalla linea principale dell’umanità circa 1.200.000 anni fa e con cui le popolazioni africane si sarebbero re-incrociate.

Rispetto a questo mosaico che è la nostra storia biologica, il meno che si possa dire dell’Out of Africa, è che si tratterebbe di una semplificazione fin troppo grossolana, ma una simile ammissione sarebbe già un peccare per eccesso di generosità, perché sappiamo invece che si tratta di un’interpretazione ideologica fortemente tendenziosa, concepita per ispirarci un finto senso di fratellanza verso chi per noi di sentimenti fraterni non ne nutre affatto e desidera solo soppiantarci. Tutto sta a vedere se glielo lasceremo fare.

NOTA: Nell’illustrazione che correda questo articolo, a sinistra il fossile di “El Greco”, a destra la ricostruzione dell’uomo di Neanderthal pubblicata sulla pagina scientifica del “Corriere della Sera” del dicembre 2014, che fa giustizia dei tratti scimmieschi solitamente attribuiti a questo nostro antenato.

2 Comments

  • Giacomo 28 Giugno 2017

    Complimenti, ottimo articolo. Alla luce delle molte novità archeologiche e genetiche emerse negli ultimi decenni, sarebbe interessantissimo rifare una ricerca partendo da zero e svolta da studiosi non di parte. Secondo me già ora ci sono abbastanza tasselli per costruire un puzzle credibile, che ci aiuterebbe a capire – come se servisse – la pericolosità del miscuglio razziale che stiamo per vivere. Intendo un’involuzione dell’intera umanità di centinaia di migliaia di anni, in pratica la definitiva scomparsa dell’uomo come lo conosciamo oggi, o meglio come lo abbiamo conosciuto in passato, come essere semi-divino e prossimamente sostituito da orde scimmiesche senza virtù, umanità, civiltà.

  • Giacomo 28 Giugno 2017

    Complimenti, ottimo articolo. Alla luce delle molte novità archeologiche e genetiche emerse negli ultimi decenni, sarebbe interessantissimo rifare una ricerca partendo da zero e svolta da studiosi non di parte. Secondo me già ora ci sono abbastanza tasselli per costruire un puzzle credibile, che ci aiuterebbe a capire – come se servisse – la pericolosità del miscuglio razziale che stiamo per vivere. Intendo un’involuzione dell’intera umanità di centinaia di migliaia di anni, in pratica la definitiva scomparsa dell’uomo come lo conosciamo oggi, o meglio come lo abbiamo conosciuto in passato, come essere semi-divino e prossimamente sostituito da orde scimmiesche senza virtù, umanità, civiltà.

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