13 Maggio 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, cinquantaduesima parte – Fabio Calabrese

Proseguiamo con la sintesi del lavoro finora fatto che abbiamo visto nella cinquantesima parte. Le due questioni dell’origine dei popoli indoeuropei e della civiltà europea sono strettamente intrecciate e si collegano a una tematica estremamente importante, ossia la scoperta dell’agricoltura. Se questo passo fondamentale dell’incivilimento umano fosse avvenuto in Europa e non in Medio Oriente, allora si capisce bene che tutto il discorso sia di una presunta origine mediorientale degli Indoeuropei, sia della storia che ci sentiamo ripetere da ogni libro di testo, e che sembra un dogma incrollabile dell’ortodossia “scientifica” sulle nostre origini che ci viene imposta, cioè la nascita della civiltà nella Mezzaluna Fertile tra Egitto e Mesopotamia, verrebbe ipso facto a cadere.

Bene, vi sono degli indizi molto convincenti che le cose stiano proprio in questo senso, e che la “vulgata” che viene ammannita al pubblico a cominciare dai ragazzi delle scuole, sia in realtà basata in parte sulla mistificazione, in parte sull’ignoranza deliberata dei fatti. Gli indizi che possiamo considerare sono essenzialmente due: la priorità europea nell’allevamento di animali, in particolare i bovini, e nella scoperta e nell’utilizzo dei metalli.

La priorità europea nell’allevamento dei bovini è chiaramente dimostrata dal fatto che la tolleranza al lattosio, che consente di assimilare il latte di un’altra specie e anche in età adulta, è fra le popolazioni umane, massimamente diffusa nell’Europa centro-settentrionale (e nelle Americhe e in Oceania fra le popolazioni di origine europea), per decrescere man mano che ci si sposta verso il sud e l’est, fino a essere praticamente nulla nell’Africa subsahariana e in Asia orientale. Quest’ultima è palesemente un adattamento darwiniano alla nuova risorsa alimentare che l’allevamento ha messo a disposizione degli esseri umani. Vi sono vari indizi del fatto che l’allevamento brado dei bovini sarebbe stato preceduto da quello delle renne, e ne avrebbe ricalcato il modello.

Per capire la relazione tra l’agricoltura e l’uso dei metalli, occorre tenere presente che le l’alternarsi delle varie tecnologie preistoriche non ci rivela un perfezionamento tecnico quanto piuttosto cambiamenti nello stile di vita. Il corredo di utensili in pietra scheggiata dell’epoca magdaleniana, era pienamente adeguato alle esigenze delle comunità di cacciatori-raccoglitori. Il passaggio al mesolitico, 10.000 anni fa, è caratterizzato dalla produzione dei cosiddetti microliti, dentelli di pietra che immanicati su di un ramo curvo servivano a produrre falci e denunciano l’inizio di un’attività agricola. L’ascia neolitica in pietra levigata non è un perfezionamento di quella paleolitica, ma uno strumento che serve per abbattere alberi, e ci rivela che le comunità umane avevano bisogno di maggiore spazio.

Infine l’utilizzo dei metalli. Produrre un crogiolo dove colare il metallo, poteva richiedere a un artigiano molto più lavoro della creazione di uno strumento litico, ma una volta realizzato, poteva servire per un numero indefinito di fusioni: la popolazione umana era in crescita, e con essa la domanda di strumenti da lavoro, un’esuberanza demografica che, considerate le limitazioni insite nello stile di vita dei cacciatori nomadi, può essere spiegata solo con una sempre maggiore diffusione dell’agricoltura. Quindi il legame tra agricoltura e metalli si può dare per assodato.

Ebbene, il più antico attrezzo metallico conosciuto è l’ascia di rame dell’uomo del Similaun, più antica di cinque secoli di analoghi attrezzi mediorientali, e la più antica miniera che reca segni di sfruttamento umano, si trova a Rudna Glava nella ex Jugoslavia.

In generale, tutta l’archeologia antica sembra affetta di quello che io chiamerei strabismo mediorientale: la scoperta in Medio Oriente di quattro cocci di vaso e due paraventi di canniccio (e non credo esista al mondo un’area che gli archeologi hanno frugato più intensamente di questa, rivoltando, si può dire, ogni pietra) viene regolarmente salutata come la scoperta di “una nuova civiltà”, mentre si ignorano bellamente, si fa finta che non esistano, i grandi complessi megalitici europei.

In Before Civilization, un testo del 1973, l’insigne archeologo Colin Renfrew sottolineava che le nuove scoperte e datazioni consentite dall’impiego di tecniche quali il radiocarbonio e la dendrocronologia, imporrebbero di rivedere completamente l’idea che abbiamo sin qui avuto delle origini della civiltà, del passaggio dalla preistoria alla storia, perché è ormai accertato che i complessi megalitici dell’Europa occidentale sono di un millennio più antichi delle piramidi egizie e delle ziggurat mesopotamiche, che gli antichi europei, molto prima di quel che si pensasse, avevano imparato a coltivare la terra, costruire templi, fondere il bronzo.

Dal 1973 a oggi di acqua sotto i ponti ne è passata un bel po’, eppure della rivoluzione pronosticata da Renfrew non si è vista traccia: certe conoscenze possono essere bisbigliate fra gli specialisti, ma non devono arrivare al grosso pubblico e ai ragazzi delle scuole cui si continua ad ammannire la favola della Mezzaluna Fertile, sono oggetto di un coverage nemmeno si trattasse di segreti nucleari.

Potremmo dire che l’originalità e la creatività della civiltà europea sono deliberatamente sottovalutate in ogni campo. Dodici anni prima della pubblicazione del testo di Renfrew, nel 1961, l’archeologo Nicolae Vlassa aveva scoperto nel sito di Turda in Romania le tavolette cosiddette di Tartaria contenenti i più antichi esempi di scrittura conosciuti al mondo, più antichi di almeno mille anni dei più antichi pittogrammi sumerici conosciuti, e oggi gli archeologi ammettono (solo a livello di specialisti, s’intende) l’esistenza di un’antica e precoce “Civiltà del Danubio”, di cui né sui testi scolastici né sulle pubblicazioni o i programmi televisivi destinati al grosso pubblico, troverete traccia.

C’è una radicale differenza fra le scritture ideografiche o sillabiche (o al caso una mescolanza delle due cose, come quella geroglifica egizia), che richiedono per esprimere un concetto centinaia di segni, e quelle alfabetiche dove ne basta una ventina, e che rappresentano rispetto alle prime un progresso fondamentale, permettendo un alfabetismo generalmente diffuso invece che prerogativa di una casta di scribi specializzati, e anche a questo riguardo c’è da dire che l’alfabeto è da ritenere un’invenzione piuttosto europea che non mediorientale. Comunemente, l’invenzione dell’alfabeto è attribuita ai Fenici, ma questi ultimi non fecero altro che semplificare la scrittura demotica egizia grazie al fatto che le lingue semitiche non danno importanza alle vocali, ma la vera invenzione dell’alfabeto, con la divisione della sillaba in vocale e consonante e l’introduzione dello spazio fra le parole, in sostanza il metodo semplice e pratico che utilizziamo ancora oggi, fu una creazione dei Greci.

Un discorso analogo si potrebbe fare per tantissime innovazioni che hanno letteralmente portato la civiltà umana a un livello superiore. Ormai due generazioni abbondanti di presunti intellettuali presunti anticonformisti si sono sforzati di ridurre a un’origine dall’Oriente (estremo, medio o vicino) ogni invenzione europea, si sono letteralmente compiaciuti di ridurre al minimo o di negare un qualsiasi apporto del Vecchio Continente all’incivilimento umano, con una sorprendente similarità con quegli altri presunti intellettuali tanto anticonformisti da essere uguali l’uno all’altro, che si dilettano di fare sfoggio di antipatriottismo (a prescindere dal sospetto che spesso si tratti delle stesse persone, animate da una sorta di masochismo intellettuale).

Di origine cinese sarebbero ad esempio invenzioni quali la bussola, la stampa, la polvere da sparo. La bussola, le “bussole” cinesi erano praticamente inutilizzabili: un ago di magnetite su un pezzetto di sughero che galleggia in una bacinella. L’idea di incernierare l’ago magnetico su un perno venne ai marinai italiani di Amalfi. La stampa: i Cinesi inventarono e usarono semplicemente timbri inchiostrati, l’invenzione dei caratteri mobili avvenne in Europa con Gutenberg. La polvere da sparo: oltre i petardi e i giochi pirotecnici, il Celeste impero non andò. Le armi da fuoco e l’esplosivo da miniera furono invenzioni europee.

Altre invenzioni innegabilmente legate all’Europa, sebbene anche di esse con zelo degno di miglior causa si siano – invano – cercati antecedenti fuori dal nostro continente, sono la tecnica costruttiva ad archi rampanti e costolature che permise la costruzione di quei prodigiosi edifici che sono le cattedrali gotiche, e il timone posteriore delle imbarcazioni che rese più affidabile la navigazione. Se quest’ultima vi sembra un’invenzione di poco conto, provate a unire il timone posteriore con la nave a sponde rialzate, il koggen inventato in età medioevale dalle popolazioni frisoni, la bussola, le armi da fuoco, e cosa ottenete? Il controllo degli oceani e del Globo terracqueo quale l’Europa ebbe per cinque secoli, fino alle due guerre mondiali.

Sin qui non abbiamo parlato delle eccellenze europee in campo intellettuale e spirituale, anche perché questa tematica implica inevitabilmente il confronto con una religione, questa si mediorientale, che si è infiltrata nella cultura europea provocando una lacerazione profonda con le tradizioni e lo spirito ancestrale del nostro continente, un discorso che ho svolto in più di un’occasione con ampiezza altrove, ma che ora ci porterebbe troppo lontano, ma diciamo almeno questo: quando si vedono gli Europei odierni lasciarsi incantare dall’ultimo guru da supermercato, è palese che costoro ignorano di avere alle spalle una tradizione di pensiero vecchia di tre millenni che comprende nomi come Socrate, Platone, Aristotele, Cartesio, Kant, Hegel.

Veniamo all’ultimo punto: le nostre origini in quanto italiani. Qui da dire non ci sarebbe moltissimo, tranne contrastare l’ennesima menzogna di regime che vorrebbe darci a intendere la non esistenza di una nazione italiana in senso etnico e genetico, la pretesa che noi saremmo un’accozzaglia eterogenea originaria dalle più diverse parti del pianeta, tenuti uniti da una morfologia geografica ben definita della nostra Penisola e da un comune retaggio culturale formatosi nei secoli. Il sottinteso di questa menzogna di regime, è che se noi non abbiamo nessuna omogeneità biologica e genetica, l’immigrazione che oggi si sta riversando su di noi come un’alluvione dal Terzo Mondo, e che una classe politica di traditori incentiva apertamente, in ultima analisi non cambierebbe un gran che.

Queste sono fole, menzogne di regime, menzogne del regime più falso e ipocrita che possa esistere, quello che passa sotto il nome di democrazia. Nella storia umana non è mai esistita una cultura vitale senza il supporto rappresentato da una coerenza etnica e biologica.

Va aggiunta l’altra fola consistente nell’esasperato localismo che spinge molti nostri connazionali a farneticare di inverosimili secessioni, a volersi inventare un’identità etnica diversa da quella italiana, perché – diciamolo apertamente – settant’anni di democrazia antifascista ci hanno portati al punto di avere vergogna di noi stessi, ma non è dell’essere italiani che dobbiamo provare schifo e vergogna, bensì della democrazia antifascista.

Questa tendenza, sebbene oggi si presenti in Italia forse più amplificata che altrove, è oggi in varia misura presente in tutto il continente europeo, e questo per un motivo preciso: quello della disgregazione delle entità nazionali attraverso l’incentivazione dei localismi, dei separatismi, dei secessionismi, è precisamente uno dei punti previsti dal piano Kalergi.

Anche in questo caso, gli studi di genetica hanno chiarito la realtà delle cose: gli Italiani, ma forse sarebbe meglio dire “gli Italici”, termine che sottolinea meglio l’aspetto etnico e genetico in contrapposizione a quello di cittadinanza-appartenenza a un’entità statale, cosa che in ultima analisi vale meno di nulla, esistono, fanno parte con una loro identità ben definita dei popoli della famiglia europea-indoeuropea.

Si tratta, gli studi di genetica l’hanno chiarito, di una realtà non monolitica, variegata da una componente celtica al nord e da una di origine greca al sud, ma non tali da non permettere di parlare del nostro popolo come di un’entità etnicamente coerente, d’altra parte nessun popolo al mondo può vantare una totale uniformità genetica. In particolare si è visto che una componente non-europea, mediorientale a cui vorrebbero oggi rifarsi ad esempio i sostenitori dell’artificiosa leggenda di una “Sicilia araba” non esiste se non a livelli del tutto trascurabili. In questa artificiosa leggenda anch’essa inventata per favorire l’accettazione della sostituzione etnica, vediamo bene come il localismo si saldi ai progetti mondialisti che mirano alla sparizione dei popoli europei, il piano Kalergi si tocca con mano.

Un discorso che ho cercato di sviluppare nell’arco di anni sulle pagine di “Ereticamente”, ma io credo che si capisca bene che qui si tratta di contrapporsi, di svelare la falsità di una “cultura”, di una “scienza” che è per intero un sistema di menzogne il cui scopo finale è l’accettazione rassegnata della nostra distruzione come Italici, come Europei, come Caucasici. A ripercorrere il cammino fatto, sembra strano, ma il primo articolo di questa serie nacque come una sorta di auto-presentazione nella quale raccontavo di come la mia storia umana, le mie vicende personali mi abbiano portato a interessarmi, e sotto l’ottica di una precisa scelta politica controcorrente, della storia dei nostri antenati, articolo che faceva seguito in realtà ad altri in cui avevo affrontato le questioni delle origini, tematiche che sono di una fondamentale importanza per una battaglia politico-culturale, perché se non sappiamo da dove veniamo non sappiamo chi e dove siamo, e se non sappiamo chi e dove siamo, non sappiamo dove andare.

Noi adesso ci siamo dedicati a ripercorrere la strada fatta insieme, ma non ci si ferma a riprendere fiato se non per ripartire di slancio. Il cammino che abbiamo davanti è ancora lungo, e non giungerà al suo termine, probabilmente se non con la cessazione della vita. L’impresa è titanica, si tratta di contrapporsi a un’intera “cultura” il cui scopo è la nostra rassegnazione al destino di morte che il potere mondialista ha deciso per noi e per i popoli europei, ma vi sono sfide che non si possono altro che accettare.

 

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