11 Aprile 2024
Foibe

Sulle Ali della Memoria: riflessioni sull’opera di Maria Cacciola – Alessandra Iacono

« La vita voleva vivere
l’amore voleva amare.
Ma il Tempo
camminò scalzo sulle pietre aguzze.
Scalzo, sanguinante, lacerato dal dolore.
Quanti figli scaraventati nelle foibe!
[…]
La Storia si vestì a lutto.
Fu un pianto disperato
e tra i singhiozzi così parlò: […] »
– G. Mira.

Estate: tempo di vacanze, sole e mare. In queste torride giornate siciliane, i più si ingegnano come possono, per sopravvivere all’insopportabile calura: bagni al mare, passeggiate in montagna, soste ai giardini pubblici, scorpacciate di gelati e angurie, alla peggio barricati in casa col condizionatore a palla… Qualcuno – tanti, per la verità – ripensa con nostalgia al paese natio, alla terra d’origine, ai luoghi della propria infanzia: le magnifiche coste della Venezia Giulia, l’Istria, la Dalmazia, Fiume. Lidi mozzafiato, acque cristalline, città cariche di storia e arte, porti vivaci; mete ambitissime dai turisti di tutto il mondo, gioielli d’Italia. Anche se, oggi, a guardare una qualsiasi cartina geografica, ci sentiamo ammoniti, un po’ sadicamente, che l’Italia, di quei gioielli è stata depredata.

Una storia di predazione travagliata, complessa, delicata, dolorosa, violenta, mortifera. È nota ormai a tutti questa lunga, sanguinosa pagina di storia italiana, seppure in troppi coninuino a chiudere gli occhi davanti all’evidenza. Tra i molti che hanno il merito di aver aperto uno squarcio nel muro di omertà innalzato nel ’45 e ad oggi non ancora del tutto demolito, c’è lei, una piccola grande donna “istro-siciliana” – come ama definirsi. Armata di coraggio, pazienza ed estrema tenacia, Maria Cacciola, oggi settantottenne, combatte la sua guerra da anni. La sua vita ormai è dedicata quasi interamente alla più patriottica delle cause: raccontare l’esodo e il genocidio giuliano-dalmata. E trovare le spoglie del padre, del quale non ha notizie certe da quel maledetto 1945. Maria legge, studia, cerca. Torna più volte alla terra natia. In Sicilia è presidente provinciale (sezione prov. Messina) dell’Associazione Nazionale Congiunti Deportati Jugoslavia. Va in giro per tutta l’isola a raccontare la sua storia, che è la storia di tantissimi italiani, un pezzo di storia patria. Che siano scuole, associazioni, circoli culturali; che si tratti di cerimonie pubbliche o incontri privati; che l’uditorio sia orientato a destra a sinistra o al centro, non ha importanza: Maria parla a chiunque voglia ascoltarla. Si porta sempre dietro un vasetto di terra rossa d’Istria, sigillato con un nastrino tricolore, ricevuto nel 2008 durante un viaggio in Istria. Quando apre il piccolo scrigno e te ne mostra il contenuto, riesce a trasmetterti, se non tutta, almeno una parte consistente dell’emozione provata il giorno del suo primo ritorno in Istria; in qualche centimetro cubico è racchiuso un tesoro di bellezza, di memoria, di attaccamento alle radici, di sofferenza: il rosso della terra istriana, oltre la bauxite, inevitabilmente richiama il colore del sangue versato, lo stesso dei vessilli sotto i quali si stringe – ahinoi ancora oggi – chi è colpevole di averlo versato, quel sangue innocente.

Ho incontrato Maria un paio di volte, sempre in inverno, in concomitanza della ricorrenza del 10 Febbraio, la Giornata del Ricordo, di recente istituzione, ed è merito proprio del lavoro incessante di tutti gli esuli e delle loro associazioni se oggi abbiamo un momento solenne, simbolico, dedicato al ricordo di questa tragedia patria. Tuttavia la strada da percorrere è ancora lunga, la ricerca e la riflessione non possono esaurirsi in fiaccolate e celebrazioni – certamente dovute – incastrate nello spazio di un giorno o una settimana. Parlare delle foibe e dell’esodo è come abbattere il nostro “muro di Berlino”, è come riunificare idealmente i lembi estremi del Paese, è dare voce a chi è stato ingiustamente ammutolito, ricomporre una frattura, restituire giustizia alle innumerevoli vittime e concedere un po’ di pace ai nostri morti. E il processo di abbattimento (e ricostruzione della verità) dev’essere vigile e continuo, in ogni periodo dell’anno, con ogni mezzo.

Maria Cacciola, tra le altre cose, ha curato un bellissimo volume che raccoglie, oltre alla propria testimonianza, quelle di altri profughi istriani, dalamti e fiumani di Sicilia: Sulle ali della Memoria, uscito nel febbraio 2018 dai torchi di Giambra Editori, una giovane casa editrice di Terme Vigliatore, nel messinese, che vanta un catalogo piuttosto originale, con particolare attenzione alla valorizzazione e al recupero della storia e delle tradizioni siciliane. Il risultato di questo connubio è una vera perla: un volume curato nei minimi dettagli, di ottima fattura, ricco nelle appendici e nell’apparato figurativo – specie le foto d’epoca, bellissime, fornite dagli stessi autori -, il tutto a un prezzo stracciato. Da comprare e leggere tutto d’un fiato. Visti l’andamento più narrativo che saggistico e l’inserto storico essenziale ma completo, il testo risulta adattissimo anche ai ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori – confido che gli insegnanti onesti, preparati e coraggiosi non si siano estinti come i dinosauri. Da leggere, perchè no, anche sotto l’ombrellone in una calda giornata agostana…

Tredici esuli, dunque, Maria Cacciola in testa, raccontano l’esperienza totale e totalizzante dell’esodo: la guerra, la fuga, la morte, la sparizione dei propri cari; poi la rinascita nei lontani lidi siciliani, i sacrifici, il dolore del distacco e la fatica dell’integrazione, le umiliazioni, la sensazione di abbandono e l’oblio delle istituzioni; infine il ritorno tanto agognato, sempre e solo sfiorato, la ricerca della verità, il confronto con la cruda, terribile, indicibile realtà degli infoibamenti. Ogni esule interpellato racconta qualcosa di diverso, ciascuno in modo diverso, tuttavia ogni testimonianza è legata alle altre da un filo conduttore: il dolore del distacco e le sofferenze patite, il ricordo che riaffiora pian piano, il parziale sollievo per l’istituzione della giornata simbolica, l’impegno per la diffusione della verità. Ognuno racconta una storia rocambolesca, ciscuno di loro ricorda la fuga, improntata di fretta e furia, su mezzi di fortuna, un disagio durato anni, qualcosa che oggi sembra perfino difficile da credere. Le grandi protagoniste di questa storia – che, lo ribadiamo, è la storia di tutto l’esodo, in definitiva storia d’Italia – le vere eroine, sono le donne. Mogli e madri che hanno perso, quasi sempre in circostanze misteriose, i loro uomini. Padri, mariti, fratelli. Caricate dell’atroce responsabilità di portare in salvo se stesse e i propri figli. Maria non sa ancora dove si trovano le spoglie del padre, le notti di Rosalia sono tormentate dagli incubi; Anna Maria è costretta a mentire sulla morte del padre; mamma Hödl piange ogni volta che vede una stella rossa… E così via tutte quante.

Ricorrono questi traumi in tutte le testimonianze, assieme al dolore e alla sofferenza; ma anche l’attaccamento alle proprie radici e la consapevolezza della propria identità. Unica cosa che non ricorre, è la rabbia. Dalla premessa alla chiosa, l’intento è ben chiarito e il profilo tenuto non sbava mai sopra le righe: «[…] lo sradicamento dalla propria terra, la perdita della propria identità e il dramma subìto con la morte di congiunti atrocemente trucidati dagli occupatori slavi per la sola colpa di essere “Italiani” […] Il filo conduttore di queste storie […] vuole offrire l’occasione per attualizzare e ottimizzare il ricordo, perché possa aiutare a costruire un avvenire migliore». E ancora, a scanso di equivoci e per scongiurare definitivamente moderni e grotteschi paragoni con un tipo di “accoglienza” stracciona, patetica e mendace, sbandierata come unico argomento ideologico-politico da chi ha rifiutato volontariamente qualsiasi sentimento nazionale, identità e amor di sé (prima ancora che degli altri): «Non badate se c’è gente che ignora la storia dell’ISTRIA e svisa la vostra fisionomia morale; se la stampa non sa occuparsi delle vostre lacrime, né interessarsi alla vostra futura sistemazione. LASCIATE FARE AL TEMPO, che è stato sempre maestro impareggiabile e medico esperto. Un po’ alla volta si accorgeranno che voi avete battuto alla loro porta non nella veste di mendicanti, ma con la dignità di chi vuole essere inserito nella vita della nazione ed è deciso a guadagnarsi il pane quotidiano con il sudore della propria fronte». Certo, se non proprio rabbia, almeno un empito di orgoglio e un barlume di speranza saltano fuori leggendo queste pagine. Lo si coglie soprattutto tra i fiumani – impossibile, tra l’altro, non pensare con un po’ di nostalgia alla gloriosa impresa dannunziana, della quale proprio in questo periodo riccorre il centenario -. Dice papà Berdar: «Secondo la modesta opinione del sottoscritto, mai si dovrebbe uccidere la speranza nell’animo di un uomo. Questa speranza è per me un sogno: veder tornare Fiume italiana».

Circola in questi giorni una foto di Matteo Renzi, con famigliuola al seguito, presso la foiba di Basovizza, sul Carso triestino, visitata dopo gli ammolli e i cocktail alla lussuosa area turistica di Portopiccolo… che dire? Speriamo che il pellegrinaggio lo abbia davvero illuminato, e che le sue immediate dichiarazioni sui social – «un Paese che non fa i conti con il proprio passato, non ha futuro. La tragedia delle foibe è stata per troppo tempo ignorata. Gusto che le nuove generazioni sappiano, conoscano, ricordino» – non siano quello che sembrano, cioè un patetico tentativo di sciacallaggio, (male)odorante di campagna elettorale. Gioverà qui ricordare, en passant, che la signora Agnese Landini in Renzi è un’insegnante di lettere: potrebbe cominciare lei ad aiutare le nuove generazioni a “sapere, conoscere, ricordare”.

Alessandra Iacono

1 Comment

  • Gaetano Barbella 16 Agosto 2019

    Può essere di sostegno capire che non tutto dell’Italia è così assente in questi giorni di calura d’agosto, e c’è chi mantiene acceso il fuoco dell’amore in onore di coloro che furono vittime delle foibe. C’è chi è erede di antichi valori patriottici impregnati dei fatti dell’epoca antecedente a quelli che furono avversi e strazianti per Maria Cacciolla.
    In uno scritto pubblicato da me tempo addietro (vedi: https://www.tanogabo.it/amore-e-patria-in-una-lettera-del-1909/) parlo di una lettera d’amore del 1909 in cui è l’amor patrio che fa chiamare a mio nonno paterno la sua Gina (la nonna), Italia. Egli non ebbe buona sorte e morì di polmonite ancora giovane lasciando vedova la nonna Gina con due figli, uno dei quali era mio padre. Toccò al fratello Umberto Barbella occuparsi da milite, nelle vesti di sottufficiale della Regia Marina Militare, a far da simbolica presenza in un eccezionale momento storico dell’Italia da ricordare, del tempo glorioso della presa di possesso della Base del Comando Navale dell’esercito austro-ungarico dislocato ad Abbazia d’Istria. Mai si potevano supporre gli estremi sacrifici cui furono soggetti i residenti italiani ivi dislocati dell’immediato tempo successivo. Eppure fu un gran bel giorno quel 4 novembre 1918, quando il R.C.T. Acerbi della Real Marina Italiana sbarcò ad Abbazia ed un plotone si recò marciando alla base dell’ex Comando Austriaco per issarvi il nostro tricolore. Ma non basta per far evolvere chissà quale disegno progettuale di un’Italia da realizzare poi, perché Umberto Barbella, quattro anni prima si trovò imbarcato sulla Regia Nave Napoli, in concomitanza del perfezionamento degli esperimenti sulle radiocomunicazioni ad opera dello scienziato Guglielmo Marconi, Nobel per la fisica nel 1909. Era il 13 marzo 1914.
    Le foto ricordo della presa di Abbazia e della Regia Nave Napoli fanno parte dello scritto di cui al link sopra citato.
    Saluti,
    Gaetano Barbella

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