11 Aprile 2024
Scienza

Scienza e democrazia, sesta parte – Fabio Calabrese

Questa volta non ci soffermeremo su di un settore particolare della ricerca scientifica, ma affronteremo un discorso più generale, la questione dello scientismo e dell’anti-scientismo, ossia la collocazione del sapere scientifico all’interno della cultura, della visione del mondo di una società.

Nei nostri ambienti, lo sappiamo, esiste un atteggiamento di anti-scientismo diffuso che da un certo punto di vista è del tutto ovvio, poiché l’armamentario delle teorie e dei concetti della “scienza” democratica, dalle interpretazioni buoniste e progressiste dell’evoluzionismo darwiniano all’economia e alla sociologia marxiste, alla negazione dell’esistenza delle razze, all’antropologia culturale di Levi Strauss, alla psicanalisi freudiana, alla manipolazione dell’archeologia e della storia che fanno derivare la nostra specie dall’Africa e la civiltà dal Medio Oriente, negando in ogni caso il ruolo creativo dell’Europa e della sua civiltà, sono altrettante armi puntate contro la nostra visione del mondo.

Tuttavia, credo di averne dato dimostrazione nei miei scritti precedenti, ma è un punto che probabilmente non si sottolineerà mai con troppa forza, questa “scienza democratica”, se per scienza intendiamo l’applicazione corretta e coerente del metodo galileiano basato sullo studio dei fatti, l’osservazione, l’esperimento – e io onestamente dubito che possa esistere un metodo diverso da questo che possa produrre risultati validi nelle scienze naturali – questa “scienza democratica” non è affatto scienza, ma ciarlataneria basata a volte su fallacie concettuali, altre volte su falsificazioni grossolane, perlopiù coperte dal sistema mediatico e da quello educativo che a loro volta dipendono strettamente dal sistema di potere: in poche parole, orwellianamente, una menzogna ripetuta abbastanza spesso e non contraddetta, finisce per diventare “la verità”.

Questo a ogni modo non è certo ancora tutto, se andiamo a esaminare da vicino il concetto di scientismo, ci accorgiamo che si riferisce a qualcosa di francamente inaccettabile: si tratta dell’idea di porre la scienza al centro della visione del mondo, sostituendo la religione anche nel ruolo di datrice di valori in un’ottica prettamente materialista, violando in sostanza quel patto di reciproca non interferenza tra scienza e religione già proposto alla metà dell’ottocento dal filosofo Herbert Spencer e generalmente accettato, si tratta in altre parole della visione marxista.

Sinceramente, all’uomo di Treviri va riconosciuta una punta di perversa genialità: l’ateismo e il materialismo erano già apparsi nella storia del pensiero prima di lui, ma non avevano mai oltrepassato le elaborazioni teoriche di alcuni filosofi, e il motivo di ciò è facilmente comprensibile: dal punto di vista etico una visione atea/materialista indurrebbe a un egoismo individualistico che ben difficilmente potrebbe portare questa concezione a essere un fenomeno di massa: la “genialità” di Marx è stata iniettare in essa uno spirito messianico, con il proletariato come salvatore dell’umanità, la lotta di classe come redenzione, la futura società socialista senza classi come paradiso finale, in sostanza un ricalco laicizzato del cristianesimo, e potremmo tranquillamente asserire che a tutti gli effetti il marxismo è la quarta religione abramitica dopo ebraismo, cristianesimo e islam.

“Troppo bello per essere vero”, verrebbe da dire, ammesso che “bellezza” sia un termine appropriato per descriverne la brutale linearità. Marx, per prima cosa, di scienze naturali non sapeva e non capiva nulla: per lui “la scienza” era null’altro che la dialettica hegeliana mal compresa. Dapprima i movimenti “socialisti”, poi i regimi sovietico e satelliti a partire dalla rivoluzione d’ottobre, si sono trovati a escludere interi settori del pensiero scientifico per la loro incompatibilità con la “scienza” marxista.

E’ nota la vicenda di Trofim Lysenko, l’agronomo e “biologo” sovietico che in età staliniana riusci a ottenere la messa al bando della genetica perché incompatibile con la “scienza” ufficiale sovietica, vale a dire il materialismo dialettico di Marx. Grazie a lui, i genetisti furono spediti nei gulag, e le sue dottrine contribuirono non poco al collasso dell’agricoltura sovietica, la Russia passò dall’essere il granaio d’Europa come era stata nell’età zarista, a una cronica insufficienza alimentare.

Quello che è meno noto, è che Lysenko e il lysenkismo non possono essere semplicemente confinati tra le aberrazioni dell’età staliniana. E’ una vecchia tecnica di intervento a posteriori della sinistra, quella di confinare gli errori e gli orrori del comunismo all’era di Stalin, lasciando intendere che oltre al comunismo “cattivo” rappresentato da quest’ultimo, debba o possa esistere un comunismo “buono”, un “vero” comunismo che d’altronde nessuno ha mai visto applicato in qualsivoglia luogo, ma dovunque si è  realizzato il potere della falce e martello, abbiamo visto sempre la stessa mistura di miseria e oppressione.

In realtà, Lysenko e il lysenkismo rimasero in auge dopo Stalin, per tutta l’era di Kruscev, e Lysenko “cadde in disgrazia” solo con la caduta di quest’ultimo, ma quello che più conta, è che la sinistra, compresa quella che non si dichiara comunista, rimane ancora oggi, anzi oggi forse più che nel passato, fondamentalmente lysenkiana nella sua pretesa che l’eredità biologica di un essere umano non conti nulla, che l’uomo sia unicamente il portato dell’apprendimento e dell’ambiente, pretesa da cui nasce la convinzione assolutamente folle che un immigrato del Terzo Mondo adeguatamente “educato” (o condizionato) potrebbe diventare un “nuovo europeo” più desiderabile di quelli “vecchi”, troppo restii a farsi manipolare per creare la “società perfetta” secondo i gusti della sinistra stessa. Da qui il RAZZISMO della sinistra, il razzismo più assurdo e delirante che si possa concepire, quello contro i propri connazionali. Dietro queste aberrazioni, è sempre Lysenko che parla e – ovviamente – attraverso Lysenko, Karl Marx.

Un concetto che va ribadito, è che UNA COSA è non riconoscersi in quella forma religiosa – un’eresia ebraica – che si è affermata in Europa negli ultimi due millenni, UN’ALTRA è negare a priori qualsiasi apertura verso il trascendente e l’ultraterreno, e lo scientismo, il voler collocare la scienza nel luogo sinora tenuto dalla religione/dalle religioni, va considerato un’appropriazione indebita pur nel pieno rispetto della conoscenza scientifica, quella vera, nell’ambito che le compete. Insomma, non è possibile accettare (qui uso una bella espressione che si trova in un libro che mescola elementi di grande interesse e molto ciarpame, Il mattino dei maghi di Louis Pauwels e Jacques Bergier) “Quel razionalismo fatto più di passione anti-religiosa che di razionalità”.

Questo è un vizio comune alla sinistra non solo a quella marxista, ma anche a quella che si dichiarava liberal già prima della caduta del muro di Berlino. Io vi ho già raccontato anni fa in un articolo (sempre sulle pagine di “Ereticamente”), “Libero pensiero” o pensiero libero, dell’esperienza da me fatta in anni precedenti con il CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale). Io mi ero accostato a questa organizzazione che si propone lo scopo dichiarato di combattere le varie forme di ciarlataneria occultistica e di superstizione, e ne sono rimasto ben presto deluso. Quello che ho trovato e trovo assurdo, è il fatto che mentre costoro esercitano un vivace spirito critico nei confronti dei presunti fenomeni paranormali, quando si tratta di politica, questo spirito critico automaticamente si azzera e si cade nel più vieto dogmatismo, e queste persone si ritrovano perlopiù in massa nel gregge radicale.

A sua volta, il partito fondato da Marco Pannella, e al quale mi auguro francamente che non sopravviva ancora per molto, sembrerebbe essere la contraddizione assoluta: “non violento” e “gandiano” nelle altre circostanze, eccolo di botto sfoggiare un tronfio militarismo tutte le volte che Israele fa un raid nella striscia di Gaza massacrando civili inermi (perlopiù donne, anziani e bambini), una contraddizione che però si spiega, trattandosi del partito che maggiormente incarna gli interessi sionisti in Italia.

Non ufficialmente, ma de facto collegata al CICAP è l’UAAR (Unione degli Atei Agnostici Razionalisti). Io mi sono interrogato in particolare sul significato di quella “R” finale della sigla; dire che atei e agnostici siano razionalisti, è un pleonasmo. Forse una sigla fatta solo di vocali suonava male, oppure…, Oppure ha un significato preciso, quello di escludere quelle correnti di anticlericalismo e non-cristianesimo falsamente indicate come irrazionalistiche, a cominciare dal pensiero di Nietsche, cioè in altre parole, di tenere fuori noi, “Gli anticlericali ci vanno bene, purché di sinistra”.

Ora potrà sembrare strano, ma esiste anche un anti-scientismo di sinistra, solo che le sue motivazioni sono esattamente contrarie a quelle che si ritrovano nei nostri ambienti. Noi possiamo evidenziare la deviazione della sedicente “scienza democratica” rispetto a quella tradizione di pensiero, di lucidità e chiarezza intellettuale che risale alla costruzione di Galileo, ma molto prima di lui, al pensiero filosofico dell’antichità greca. L’anti-scientismo di sinistra, è invece proprio questa tradizione che mette sotto accusa, sulla base dell’ammirazione per il “pensiero selvaggio” e delle “culture” extra-europee.

In realtà, può sembrare la contraddizione assoluta, ma questo anti-scientismo trova le sue basi proprio nel pensiero dello stesso Marx. Definendo il concetto di ideologia, cioè delle idee false che dominano la cultura di una società, Marx aveva affermato “Le idee della classe dominante sono le idee dominanti”. Questo, a giudizio di una parte della sinistra, varrebbe anche per la scienza, costruzione intellettuale – a suo dire – inevitabilmente “borghese”.

A lungo minoritario nella sinistra, questo anti-scientismo è letteralmente “esploso” negli anni ’70. sostanziandosi di umori hippy e di new age, ma i suoi precedenti si possono rintracciare nel Processo a Galileo di Bertold Brecht e nel “rifiuto di distinguere tra le conoscenze e gli usi” che costituisce il dogma dell’antropologia culturale di Levi Strauss, che permette di equiparare la civiltà europea a qualsiasi “cultura” indigena, la scienza a qualsiasi credenza superstiziosa, poi ancora in certe interpretazioni estensive della psicanalisi che allargano all’universo mondo l’irrazionalità che Freud suppone propria dell’essere umano (ma in termini di Weltanschauung Freud era rimasto entro i binari di uno stretto positivismo), nella fenomenologia di Husserl con la sua contrapposizione tra il mondo astratto della scienza e il mondo della vita, nell’esistenzialismo, nella scuola di Francoforte, soprattutto nel Marcuse di Eros e civiltà, e nei nouveaux philosophes francesi.

Tutto questo, mescolato agli umori hippy, alla new age, a un orientalismo di maniera da guru da supermercato, ai paradisi artificiali della “cultura lisergica” finiva per formare un calderone ribollente dove c’era di tutto per tutti i gusti, unificato forse proprio soltanto dal tratto comune dato dal rifiuto della “ragione cartesiana”, bianca, occidentale, europea.

Forse il più coerente e sistematico interprete dell’anti-scientismo di sinistra è stato il “filosofo della scienza” Paul Feyerabend, teorizzatore di una “epistemologia anarchica”. La scienza così come la conosciamo è, a suo dire, troppo occidentale, “bianca”, maschile, eterosessuale, ed egli vorrebbe proporci un modello di scienza allargato alle culture extraeuropee, all’elemento femminile o femminista e a quello omosessuale.

Ora prendiamo una qualsiasi proposizione della scienza, come ad esempio la legge di Newton espressa dalla formula F = Ma, ossia la forza è uguale alla massa per l’accelerazione. Guardatela bene. Vi sembra europea o extraoccidentale? Borghese o proletaria? Maschile o femminile? Etero od omosessuale?

Sono categorie che semplicemente non è possibile applicare alla scienza, e “l’epistemologia anarchica” di Feyerabend resterebbe incomprensibile fuori dal contesto di quel particolare momento di intossicazione ideologica che sono stati gli anni ’70, gli anni della contestazione.

C’è infine un’altra forma di irrazionalismo democratico il cui impatto sulla nostra cultura al di fuori della dimensione politica è certamente sottovalutato: l’antifascismo. L’antifascismo non ha principalmente lo scopo di combattere un fascismo che non esiste più da settant’anni, ma piuttosto quello di legittimare il potere che i vincitori del secondo conflitto mondiale esercitano sull’Europa, ed è questo che spiega ad esempio perché, apparentemente contro ogni logica storica, vediamo a decenni dalla fine di quel conflitto, inasprite le leggi sui “reati d’opinione” contro quest’area politica. Oggi che il potere ha deciso la fine dei popoli europei per sostituzione etnica, è per esso più che mai necessario tappare gli occhi e le bocche, ottenebrare le coscienze, e lo strumento più semplice per farlo, è condannare come “fascisti” tutti i movimenti di opposizione e resistenza all’invasione e alla sostituzione etnica.

Per questo, non deve stupire che l’antifascismo sia una forma di “pensiero” superstizioso e stregonesco che tende a spostare sempre di più il confronto dal terreno dell’analisi storica e politica a quello della demonologia.

Alcuni esempi, tanto per fare chiarezza su questo punto: al termine della seconda guerra mondiale, i reparti dell’Aviazione Repubblicana che avevano combattuto nelle file della Repubblica Sociale (e salvato le vite di migliaia di nostri connazionali, abbattendo i quadrimotori “alleati” che nonostante il voltafaccia dell’8 settembre continuavano a martoriare le nostre città e a massacrare la nostra gente) furono puniti trasformandoli in reparti di artiglieria contraerea. Ma poiché nessun combattente della RSI ha poi militato nelle forze armate postbelliche, a essere “puniti” da questa retrocessione furono le insegne, i simboli di quei reparti.

Un altro esempio più recente: non molto tempo addietro sono stati messi fuorilegge i tradizionali bottoni dei loden, perché il disegno formato dalle striscette di cuoio incrociate ricorderebbe – dicono – la svastica. E’ chiaro che nessuno può o poteva essere sospettato di simpatie naziste per il fatto di indossare un loden, è proprio il simbolo in sé a fare paura.

Un altro esempio ancora: nel dopoguerra in Germania fu impedito all’ex generale Hanns Speidel di occuparsi di politica militando nella Democrazia Cristiana tedesca. Speidel era sicuramente un antinazista, aveva fatto parte della cospirazione del 1944 nota come operazione Valchiria, culminata nell’attentato di von Stauffenberg, ed era miracolosamente sopravvissuto alle “cure” della Gestapo, ma tutto ciò non contava o gli si ritorceva contro: aveva avuto a che fare con Hitler, ed era quindi un uomo “contaminato”.

Siamo, lo si vede bene, a livello di “operazioni magiche” in un universo simbolico. Attraverso l’antifascismo, un altro filone di irrazionalità si riversa a contaminare la nostra cultura.

NOTA: Nell’illustrazione, la dea Atena, il volto sacrale della razionalità, oggi ripudiata dai terzomondisti perché “troppo europea”.

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