19 Luglio 2024
Edizioni di AR

Non ci sono innocenti – recensione a cura di Giovanni Sessa

                                        

                                         Freda e il gruppo di AR

                                            

Gli anni Sessanta rappresentano per l’italiano medio una sorta di “età dell’oro”. Il decennio nel quale il nostro paese subì un’accelerazione verso l’industrializzazione, in particolare nelle regioni settentrionali, e durante il quale si affermò il “moderno” american way of life. Anni di colonizzazione spirituale e politica, in cui si realizzava la tragedia dello sradicamento di milioni di connazionali, forzatamente urbanizzati e reclusi nelle fabbriche o nelle grigie periferie delle città del Nord. Tutto ciò venne tacitato dal nascente narcisismo di massa, imposto a colpi di pubblicità, al ritmo sincopato delle canzonette che, nei testi dei primi giullari e cantastorie del sistema, si ammantavano di toni contestativi. L’Italia del “Mulino bianco” nacque allora. Un paese in svendita, ai saldi di fine stagione, che viveva una sorta di amplificazione del clima esistenziale e delle atmosfere di resa interiore ben esemplificate da Malaparte nelle pagine de La pelle. Alle spalle il dolore e la lacerazione della guerra civile, degli odi politici insuperabili, non ancora mitigati dalla speranza della pacificazione nazionale. Anzi, si era alla vigilia della seconda fase della guerra fratricida, che divamperà nelle strade e nelle piazze d’Italia nel decennio successivo, in cui “rossi” e “neri” si dettero battaglia e il loro sangue, anziché avere una funzione redentiva, finirà per rafforzare il sistema.

   Ecco, è di tale situazione storica che il lettore deve aver contezza, per profittare delle pagine di un recente romanzo che presenta la microstoria di un gruppo politico ed intellettuale, che ha svolto  un ruolo centrale in quegli anni. Ci riferiamo al Gruppo di AR formatosi a Padova, nel Veneto bacchettone e democristiano, attorno a Giorgio Freda e Giovanni Ventura. A raccontarne storia e vicende due sorelle, non nuove alla patrie lettere, Anna K. Valerio e Silvia Valerio, nelle pagine di Non ci sono innocenti, da poco nelle librerie per i tipi di AR (per ordini: 082532239, info@libreriaar.com, euro 20,00). L’antefatto della narrazione va rintracciato nel marzo del 1945, quando nell’ area rurale del vicentino un manipolo di brigatisti neri dissotterrò

Ar 1cadaveri di partigiani gettandoli sul sagrato di un Chiesa. Il sacerdote si era rifiutato di seppellire caduti fascisti, andava punito. La narrazione riparte dal 1967, registrando i fermenti ideali di un gruppo politico, che si riunisce nel centro storico di Padova attorno a Giulio, l’Autocrate. Gli aderenti non hanno nulla a che spartire con i partiti d’area. Sono insofferenti del clima spirituale dell’epoca, non amano i riferimenti “patriottardi” della destra ufficiale e tantomeno quelli moralistici dei baciapile, così numerosi tra i militanti delle organizzazioni missine. Peraltro, l’ambiente “destrorso”, esce dalle pagine del libro, malconcio: composto prevalentemente da “poveri di spirito”. I giovani di AR comprendono che le “destre” dell’epoca, per i retaggi ideali, pur comprensibili, derivanti dalla guerra civile e dalla sconfitta subita, continuavano ad identificare sic et simpliciter il “nemico” nel comunismo. Così, molti militanti “nazionali”, erano incapaci di  comprendere quali spazi politici la prassi antiborghese dei gruppi della sinistra estrema avrebbe potuto aprire, ai fini di una comune azione rivoluzionaria.

   Da ciò la necessità di un confronto esegetico con i pensatori d’area, condotto in funzione della possibile costruzione dell’azione, maturato negli ambienti di AR. Ben presto venne aperta la storica sede della libreria in Via Patriarcato e fondata l’omonima casa editrice, strumento per la realizzazione di una paideia nazional-rivoluzionaria. Il lettore accorto avrà già intuito che, Non ci sono innocenti, è una risposta letteraria a quanti, in modo volutamente pregiudiziale, si sono occupati di AR e dei drammatici eventi che hanno segnato la vita dei suoi fondatori. Si rileva, infatti, tra le righe, come di quegli anni e di quegli ambienti si sia spesso parlato a sproposito, senza sapere. L’incipit della distorsione dei fatti può essere individuato nel romanzo malevolo di Ferdinando Camon, Occidente. Ma lungo lo stesso filone interpretativo si è mossa tanta cronaca giornalistica e la cinematografia in tema. Le due autrici, sia pur in modo romanzesco, danno per la prima volta voce ai protagonisti di quelle storie. Lo fanno in modo diretto e passionale, visti i legami affettivi con personaggi di primo piano di Ar. Inducono il lettore, grazie all’affabulazione della narrazione e soprattutto attraverso la suggestiva ricostruzione delle atmosfere, a diffidare dei consolidati cliché interpretativi in tema.

   Il lettore meno giovane riconoscerà nei personaggi, tutti indicati con pseudonimi, l’Autocrate, Venturelli, Rodigini, il Vecchio, l’ingegner Tollis, Cesare e tanti altri, protagonisti di primo piano   tra i Sessanta e Settanta della destra radicale. Ma è Giulio a dominare la scena, a svolgere il ruolo di polo attrattivo, nel suo tentativo di realizzare in termini politici il cavalcare la tigre teorizzato da Evola. E così lo vediamo sfilare nei cortei studenteschi e dibattere nell’Università occupata con i contestatori, alla ricerca di un coinvolgimento nella comune battaglia antiborghese. Si affacciano, qua e là, riferimenti al nazi-maoismo e alla necessità di trasformare la militanza in militia, al fine di porre in atto la disintegrazione del sistema. Ma il libro presenta anche una sorta di spiegazione in nuce delle scelte radicalmente volitive del protagonista. Lo si evince dai capitoli scritti in corsivo, che intervallano il narrato, nei quali a volte vengono ricordate esperienze che non potevano non segnare la sua vita: ad Adria assistette bambino al pestaggio di suo padre Arcangelo da parte di militanti del Pci, in occasione dell’attentato a Togliatti “Arcangelo era a terra e gli stavano ricacciando indietro il suo fascismo, calciandoglielo in faccia e in testa, sul petto…la faccia di Arcangelo si illuminò di rosso” (p. 195).

   L’attività di Giulio pare muoversi nell’endiadi eros-rivoluzione, anzi la seconda sembra divenire la sublimazione della pulsione erotica che è per essenza spinta conoscitiva, anagogica, dato il tratto, per certi aspetti limitante, o non pienamente soddisfacente, dell’intensa vita sentimentale del protagonista, così come emerge dalle pagine del volume. E così il gruppo si organizza, passa all’azione, mette in atto un attentato dimostrativo, senza vittime, al Rettorato dell’Università di Padova e progetta qualcosa di simile, tra pressapochismo organizzativo e sfortuna, per il 25 aprile del 1969 alla Fiera Campionaria di Milano, simbolo della nascente società consumi. La conclusione è così sospesa, lasciata al lettore: il narrato si ferma prima di Piazza Fontana.

   La passione politica, incarnata da Giulio e da altri suoi sodali, la volontà di tendere agguati alla storia, è sideralmente lontana dal disincanto e dal disimpegno contemporaneo. E’ vero, non ci sono innocenti, anche oggi siamo tutti responsabili del degrado in cui viviamo. Negli stessi anni in cui AR invitava all’impegno estremo, i “contestatori” che pensavano di battersi per liberarci dal capitalismo, lo svincolavano, in realtà, dalle residue tutele etico-politiche, proiettandoci nel regno della mercificazione universale. Forse, qualcuno è più colpevole di altri.

2 Comments

  • Andrea C. 21 Agosto 2016

    recensione molto bella.
    uno dei libri più emozionanti letti negli ultimi anni.

  • Andrea C. 21 Agosto 2016

    recensione molto bella.
    uno dei libri più emozionanti letti negli ultimi anni.

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