13 Maggio 2024
Letteratura

Narrativa fantastica, una rilettura politica, ottava parte – Fabio Calabrese

A differenza di quel che abbiamo visto finora, questa ottava parte della nostra rilettura politica non riguarderà un nuovo ramo della letteratura fantastica, ma proseguirà l’esame della futurologia e dell’idea del futuro caratteristica della fantascienza che abbiamo iniziato la volta precedente e lasciata per il momento in sospeso.

Prima di entrare nel vivo della nostra tematica, sarà forse opportuna una piccola digressione. Nella settima parte vi ho parlato della demolizione che in Introduzione alla cibernetica Norbert Wiener fa del “mito” del pioniere, “eroe” della frontiera del West. Introduzione alla cibernetica è un testo la cui lettura risulta molto interessante anche per un non specialista, nel quale l’autore, oltre a delineare i fondamenti della scienza degli automi, espone la sua visione del mondo trattando temi etici, filosofici e politici, e ci permette di comprendere che Wiener apparteneva a quel sottile strato di americani colti, di cultura di livello europeo, che in ragione di ciò, erano portati a rifiutare i “miti fondanti” della pseudo-nazione yankee, riconoscendoli per quello che sono: menzogne ipocrite, un atteggiamento di cui un Ezra Poud è stato forse l’esempio più chiaro e determinato.

L’edizione italiana di Introduzione alla cibernetica è corredata da un’introduzione di Francesco Ciafaloni. In essa quest’ultimo riporta uno stralcio di un altro scritto di Wiener, Homeostasis in the Individual and Society, che è forse ancor più significativo:

La continuità con il passato che è propria delle regioni abitate da molto tempo, come l’Europa, è fatta non solo dalla conoscenza della storia scritta ma dalla continua presenza delle case, delle strade, delle ferrovie e delle città costruite dalle passate generazioni. Distruggerle o ignorarle sarebbe veramente una morte oltre la morte.

Nelle grandi città o nella civiltà nomade della California meridionale, dove i genitori di un uomo giacciono nella terra dello Iowa o del Nebraska e i suoi vicini inseguono il loro scopo nella vita senza alcun rapporto con lui, sarebbe inutile chiedergli di considerare i propri nipoti qualcosa di più che stranieri. Per rispettare il futuro bisogna essere consapevoli del passato; e se le ragioni [qui c’è forse un refuso, la parola giusta dovrebbe essere regioni] dove questa consapevolezza del passato è reale si sono ridotte a una punta di spillo, allora tanto peggio per noi, per i nostri figli e per i figli dei nostri figli”.

Europa come terra della tradizione, dove l’appartenenza di un uomo a una comunità si fonda sulla continuità con i propri antenati e si prolunga nel futuro attraverso i figli e i discendenti, USA come terra di sradicati senza passato, senza futuro e senza identità (sebbene oggi, rispetto a settanta o anche cinquanta anni fa, l’Europa si sia – sciaguratamente – molto americanizzata). Si vede bene che si tratta della stessa tematica che Sergio Gozzoli ha trattato con ampiezza nel suo stupendo saggio L’incolmabile fossato, ma ciò che dà ad esse ancora maggior valore, è precisamente il fatto che sia stato un americano ad averle scritte.   

Come abbiamo visto la volta scorsa, le prospettive della nuova frontiera e il sogno della fantascienza di fare dello spazio il nuovo luogo dell’espansione umana conformemente all’ideologia progressista della crescita illimitata, si sono rivelati fallaci di fronte alla constatazione che le risorse del nostro pianeta hanno precisi limiti fisici, che gli altri corpi del nostro sistema solare sono privi di vita e inabitabili, del tutto inadatti all’insediamento umano, e che i pianeti che potremmo trovare intorno ad altre stelle, gli altri sistemi solari sono posti a distanze per noi irraggiungibili.

Sembra tuttavia che qualcuno abbia trovato un nuovo modo per continuare ad alimentare comunque il sogno progressista di certa futurologia (La scienza della speranza come l’aveva definita Antimo Negri, che non vuole tenere conto dei Limiti dello sviluppo che il Club di Roma aveva già ben evidenziato nel suo testo del 1970), e di gran parte della fantascienza letteraria.

Nell’ultimo quarto di secolo il settore tecnologico che ha conosciuto il maggiore sviluppo, è stato chiaramente quello dell’informatica. Questo ha spinto molti a vedere nello “spazio virtuale” creato dalle reti telematiche una sorta di alternativa a quello spazio cosmico che ormai si deve riconoscere come negato all’espansione umana.

Su questa base si è sviluppato tutto il filone cyberpunk. In una direzione analoga e ancora più radicale ha poi proceduto il movimento cosiddetto transumanista che ci parla di esseri umani permanentemente connessi in rete spesso con innesti artificiali che li trasformano a tutti gli effetti in abitatori dello spazio telematico, e per questa via adombra la prospettiva della fusione tra uomo e macchina.

In questa direzione si spinge ad esempio uno dei pochi casi relativamente recenti di futurologia ottimista, il libro Gente di domani di Susan Greenfield, pubblicato in Italia dalla Newton Compton nel 2005.

In realtà si tratta di soluzioni illusorie: l’informatica e le reti telematiche non costituiscono un mondo alternativo, ma solo un modo per comunicare. In ultima analisi, non ci sarebbe una grande differenza tra il vivere permanentemente connessi in rete e illudersi di vivere in un mondo diverso perché si passa tutta la giornata attaccati al telefono. Quanto all’idea di trasformarsi poco per volta in o essere gradualmente sostituiti da cyborg informatici sempre meno umani, è difficile capire come la si possa considerare altro che con orrore.

In ultima analisi, possiamo però dire che, se presa per qualcosa di più di un semplice mezzo di comunicazione e di archiviazione di dati, anche l’informatica ha deluso.

Nel 2001-2002 [Il fascicolo ha una doppia numerazione e datazione], il critico Enrico Rulli pubblicò sulla rivista amatoriale “Yorick” I sogni infranti della fantascienza, un bel saggio che avrebbe meritato una circolazione ben più ampia, e soprattutto di diventare il punto di partenza di un dibattito di ampia portata. Riguardo all’informatica osservava:

“L’informatica ha totalmente fallito il suo scopo perché l’uomo si attendeva uno strumento che lo sollevasse dalle sue responsabilità, cioè una macchina che prendesse decisioni al suo posto. Invece si è accorto che l’uso del calcolatore rende più consapevole la sua scelta, mettendo a disposizione un maggior numero di informazioni. Questo non è piaciuto al mercato, che ha completamente pervertito l’uso di queste macchine.

Per conquistare la Luna gli americani impiegarono nel 1968 [in realtà 1969, NDA] un calcolatore che aveva 32.000 byte di memoria, e che sembrarono allora un’enormità. Ancora agli esordi della propria carriera, Bill Gates ebbe a dichiarare: “chi ha bisogno di più di 64.000 byte di memoria?”

Attualmente nelle case si usano personal computer  con processori che hanno oltre 2000 volte la capacità di calcolo degli elaboratori che hanno aiutato a conquistare lo spazio. Eppure queste macchine potentissime servono per giocare, collegarsi alle chat, scrivere testi”.

All’epoca, io presi la palla al balzo e scrissi un articolo dal contenuto alquanto polemico e dal titolo molto esplicito: Il progresso è finito, dove spiegavo che: “Non si può fermare il progresso, si è già fermato da sé”, e facevo un’analisi spietata del fallimento del “mito” progressista nella fantascienza e altrove.

Questo testo non lo riuscii a pubblicare su nessuna rivista, fanzine (pubblicazione amatoriale) o webzine (pubblicazione on line) di fantascienza – evidentemente il suo contenuto non riuscì per nulla gradito agli “esperti” del settore – ma lo feci circolare con mail private presso conoscenti ed “addetti ai lavori”. Le reazioni che ottenni furono unanimemente negative. Solo due autori, nel dibattito che si era acceso, si espressero a mio favore, Mauro Antonio Miglieruolo e Vittorio Catani, non a favore delle tesi che avevo espresso, ma di me stesso come persona, cosa di cui sono loro comunque grato, ma sostenere che avevo semplicemente voluto mettere in atto “una provocazione” significava sminuire le mie tesi. Se dire la verità a chi non la vuole vedere è “una provocazione”, allora si, ero stato provocatorio.

La cosa interessante è che Vittorio Catani è anche l’autore de Il quinto principio, un bel romanzo che non ha nulla da invidiare a quelli dei ben più remunerati e conosciuti autori d’oltreoceano, dove disegna un mondo futuribile alla maniera di Blade Runner ma forse più disperato, in cui il mondo è spaccato fra i pochi privilegiati ricchissimi, e le masse poverissime e senza speranza; eppure nella sua risposta al mio scritto si capisce bene che, nonostante una consapevolezza senza illusioni del futuro, quando il dibattito assume un aspetto “dottrinale”, il dogmatismo progressista rispunta fuori inalterato, è un ottimo esempio di quella che Jean François Revel ha chiamato “La conoscenza inutile”.

L’illusione progressista è dura a morire, come tutti i dogmi di fede, si sottrae al confronto con la realtà. In una delle parti precedenti di questa rilettura politica, vi avevo citato il caso dello scrittore e divulgatore scientifico ebreo-russo-americano Isaac Asimov che in un’intervista che parecchi anni fa (eravamo negli anni ’90) era stata mandata in onda da noi da “Super Quark”. Qui, intervistato sul futuro che a suo parere verosimilmente ci attendeva, non aveva saputo fare di meglio che ripetere tutto lo sciocchezzaio ottimistico in voga 70 anni prima, nell’epoca di Hugo Gernsback e di John W. Campbell, come se nel frattempo non fossero emersi non solo i limiti dell’esplorazione spaziale, ma soprattutto quelli dello sviluppo in un pianeta sovrappopolato, inquinato, con le fonti energetiche e le materie prime in via di esaurimento. Non male per un uomo che si era lamentato più di una volta del fatto che la scala Stanford-Binet non consentisse di misurare quozienti d’intelligenza superiori a 150, come quello che riteneva di possedere.

Asimov era notoriamente ateo, non credeva né nella religione di Mosè né in alcuna altra religione. In uno dei suoi testi (non ricordo in quale, e cito a memoria, ma vi posso assicurare che il contenuto è quello) ha scritto:

“Io sono un ebreo solo nel senso in cui questa parola è intesa da un antisemita. Semplicemente, io sono uno che ha avuto genitori ebrei”.

Sarà anche stato così, ma la presunzione di chi ritiene di appartenere al “popolo eletto” gli era rimasta tutta.

Nel 2011 lo scrittore Tullio Avoledo autore del romanzo L’elenco telefonico di Atlantide fu invitato a ScienceplusFiction, il festival del film di fantascienza triestino, quale ospite d’onore e membro della giuria del premio di quell’anno. In quell’occasione, Avoledo scrisse un articolo per il report della manifestazione, di cui riporto uno stralcio:

La fantascienza è entrata nel nostro quotidiano. Le cronache di economia e di politica del 2011 sembrano uscite dalla penna di Ron Goulart. Certi smartphone farebbero impallidire qualsiasi gadget di Buck Rogers. Sui giornali appaiono normalmente parole e concetti come clonazione, droni, mondi alternativi, pianeti abitabili fuori dal sistema solare, computer quantici, superneutrini che viaggiano lungo un tunnel di 700 km tra la Svizzera e il Gran Sasso”.

Proprio in quel periodo, si ricorderà, fu data la notizia – poi smentita – di un fascio di neutrini che avrebbe viaggiato a velocità superiore alla luce partendo dall’acceleratore del CERN di Ginevra e che sarebbe stato rilevato dal laboratorio italiano. A parte questo, mi sembrò che fosse il caso di dare una risposta all’articolo di Avoledo, risposta che fu a sua volta pubblicata sulla webzine “Continuum” nel n. 36 della pubblicazione on line, risposta che era la seguente:

Certo, se potessimo veramente credere che il nostro mondo sia sul punto di trasformarsi in qualcosa di simile a quello di Buck Rogers o di Star Trek, non c’è dubbio che vivremmo meglio, ma c’è da chiedersi se i super smartphone e gli esperimenti con le particelle elementari permessi da acceleratori costosissimi non siano gli ultimi guizzi di lusso concessisi da un nucleo ancora privilegiato della nostra specie mentre il resto di essa si va sempre più scontrando con la penuria di risorse, e infatti Avoledo (che può non avere ragione in questo caso, ma è fuori di dubbio un uomo intelligente) poche righe più sotto si domanda come mai negli anni ’70 quando si viaggiava sulle FIAT 124 si scriveva di viaggi interplanetari, mentre un quarantennio più avanti nel futuro la fantascienza ha molta minore stima e visibilità.

La verità che abbiamo voluto ignorare è molto semplice, ovvia: il mito di un progresso illimitato si deve necessariamente infrangere contro i limiti fisici ed ecologici di un sistema chiuso quale è il nostro pianeta; eppure l’aveva già chiaramente spiegato nel 1970 il Club di Roma nel saggio/rapporto I limiti dello sviluppo.

Tutte le generazioni che ci hanno preceduti approssimativamente dalla fine del XVIII secolo ai nostri padri, hanno avuto la fondata speranza che i loro figli avrebbero avuto una vita migliore di quella dei propri genitori. Noi oggi questa speranza non la possiamo più avere, anzi è del tutto verosimile che l’avvenire sarà più difficile e problematico del presente”.

In conclusione, non possiamo sottrarci alla consapevolezza circa il carattere utopico della maggior parte dei sogni della fantascienza e del “mito” della colonizzazione spaziale come illusione per far continuare a esistere la favola progressista, e dobbiamo fare i conti con il fatto che viviamo su di un pianeta limitato e sovrappopolato, dove le fonti energetiche e le materie prime sono in via di esaurimento, e in più minacciato di soffocamento dagli scarti tossici delle nostre produzioni industriali e dei nostri consumi – quello che chiamiamo inquinamento – e dove la maggior parte delle specie viventi sono minacciate di estinzione.

In più, oggi è minacciata di estinzione anche la parte più creativa della specie umana, il tipo umano che conosciamo come caucasico, minacciato dalla massa dilagante a causa della prolificità nettamente più alta, di genti “colorate” e, cosa ancora peggiore sotto un certo punto di vista, se vi azzardate a manifestare pubblicamente questa consapevolezza, sarete tacciati di essere “un fascista”, “un razzista”, “un nazista”, l’epitome di ogni male sulla faccia della Terra, e sarete esposto anche a pesanti conseguenze penali. Ma siete semplicemente qualcuno che vede più chiaramente e più lontano degli altri.

L’illustrazione che correda questo articolo riporta le copertine di tre libri citati nel testo: Gente di domani di Susan Greenfield, Il quinto principio di Vittorio Catani e L’elenco telefonico di Atlantide di Tullio Avoledo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *