12 Aprile 2024
Tradizione

Appunti di Impersonalità – Luca Valentini

La società moderna, sorta dalle ceneri del “buio e tempestoso” Medioevo, caratterizzata, oltre che da un progressivo e rovinoso materialismo collettivistico, anche da un fervente laicismo e da un cieco razionalismo alla Descartes, non poteva non fondare il proprio cardine d’esistenza in quel processo degenerativo che, nel corso degli ultimi secoli, ha completamente modificato e sfaldato la diretta relazione, esistente nel passato, tra l’Uomo, tutti gli esseri della Manifestazione ed il Divino. Con un “disegno” mirato e spietato, iniziato con la Riforma Protestante, che pretese di legittimare il “libero esame”. si andò affermando quel modus vivendi che, filosoficamente identificato nell’Individualismo, trasformò la vita umana da mezzo, per la realizzazione spirituale, a fine, per il bruto perpetuarsi di se stessa, mancando oramai ogni contatto con la trascendenza, con l’Essere, con l’essenza più intima dell’interiorità, affermandosi totalmente il dominio del mondo delle forme e del divenire, di quell’egoità che in ogni vera sapienzialità è sempre stata superata e trasmutata in un’alta impersonalità. Analizzando con precisione il valore semantico del termine “individuo”, si può già notare come il suo significato si affianchi ad un’idea di pura astrattezza, di informe massa numerica e come ciò corrisponda ad una vera e   propria atomizzazione dell’esistenza, nella quale gli “immortali principi dell’89” si vengono ad inserire ed a giustificare alla perfezione. In una società (e non in uno Stato!) in cui non vige più la sacralità romana del suum cuique tribuere, in cui si è persa la vera libertà, cioè il dover essere se stessi, l’idea della “natura propria” come la espressero nell’antichità classica un Platone, un Aristotele ed un Plotino e nella Cristianità la tanto deprecata Scolastica, infezioni come il liberalismo, il giusnaturalismo e il collettivismo non rappresentano delle assurdità, ma solo fisiologiche mietiture di ciò che si   è seminato: non è azzardato affermare che l’individualismo è alla base del regno della quantità! La pretesa di costituire un aggregato societario, in cui la norma è un contrattualismo alla Hobbes o alla Rousseau, pone l’uomo in uno stato di promiscuità egualitaria, che gli fa perdere la sua funzione essenziale di “specchio del cielo”, uniformandolo solo per la sua natura biologica: traducendo tale involuzione in termini giuridici, forse si potrebbe affermare che l’essere umano da un’iniziale condizione di vir sia divenuto,   in primis, un homo e adesso sia in cammino per trasformarsi in una res (con tale termine nello ius naturalis venivano identificati gli schiavi!).

E’ d’obbligo, inoltre, come tutto ciò ci riconduca alla radice prima di tale modus pensandi, cioè quella che un Bachofen denomina “civiltà della Madre”, una civiltà ginecocentrica, in cui il culto della Magna Mater attribuisce diritto a tutti, senza esclusivismi o differenze: è il mondo delle divinità femminili che furono legate alle rivendicazioni plebee dell’Aventino, in netta contrappostone con lo stile indoeuropeo dell’uomo romano, che riconobbe la preminenza assoluta alla potenze paterne della Luce. A tal punto è fondamentale rammentare il significato profondo e l’esigenza primaria, espressi da un Evola, di insistere sulla necessità di restare “persona”, secondo il senso dell’etimologia latina, di mantenere una qualifica spirituale, di restare un “uomo differenziato” in una società sempre più massificata, in cui si cerca di far scomparire ogni identità, ogni differenza. Queste nostre considerazioni abbisognano, però, di alcuni approfondimenti per non essere erroneamente interpretate. Quando si erige la personalità a muraglia difensiva contro il dilagare dell’individualismo, non si fa riferimento a quelle forme deviate di soggettivismo quali possono essere l’autismo, il narcisismo o addirittura l’anarchia,   in cui i significati etimologici di personalità ed individualismo, che nella normalità sono agli antipodi, qualificando la prima una forma d’esistenza a base qualitativa e il secondo, come già scritto, a base quantitativa, si ritrovano assurdamente sinonimi. Sembra strano a dirsi, ma la difesa della persona,   di ciò che ha natura propria e qualificata, passa per l’assunzione di un modus vivendi impersonale, ove l’oggettivo ha preminenza assoluta sul soggettivo, il tradizionale sull’originale, l’azione sull’attore. Di tale stile si riscontrano tracce negli infiniti percorsi della Tradizione: si pensi all’anonimato dell’artigianato medievale, agli sconosciuti costruttori delle grandi cattedrali del ciclo gotico, nei quali una conoscenza iniziatica era indiscussa, o alla “civiltà degli eroi anonimi”, come venne definita la Romanità. Quindi, impersonalità come superamento attivo della decadenza individualistica e meccanicistica. Una precisazione va, però, assolutamente posta.

Come in un’organizzazione sociale tradizionale un uomo poteva situarsi in due modi differenti al di fuori del sistema delle caste, cioè o essendo avarna, al di sotto di esse, o ativarna, essendone al di sopra, così allo stato di veglia, alla coscienza attiva, all’individualità si possono contrapporre due diverse vie di trasmutazione, che risultano essere irriducibilmente opposte: infatti, l’estinzione dell’Io può determinarsi sia con una sua sublimazione sia con un suo annichilimento. Ecco ciò che noi definiamo le due vie dell’Impersonalità, la possibilità di un uomo di condurre la propria esistenza, sia dal punto di vista interiore sia dal punto di vista dell’appartenenza sociale, verso mete antitetiche, alla ricerca di una Beatrice o di un Caronte. Vi è la prima direzione, che risulta coincidere con la direzione solare del sovramondo, in cui l’Uomo, dissolvendo i vincoli con il mondo manifestato, cerca di ripristinare la primordiale Unità con il Principio. E’ un vivere, un essere che non è frutto di una cultura libresca o di fantastiche elaborazioni intellettualistiche e filosofiche, ma un mondo organico e luminoso, un Cosmo ordinato da un Logos, da un Dharma, da una Legge Divina applicata e rispettata da tutti gli esseri della Manifestazione, i quali tutti ammirano e aspiranno all’Unità divina ed originaria: quindi, una visione del mondo centrata su principi eterni e solari come la Giustizia, la Gerarchia e l’Autorità, validi sia in un ambito macrocosmico che in un ambito microcosmico, senza dualismi cartesiani o lacerazioni freudiane, tipici della modernità. Intuita questa eterna realtà, divenuta la fiamma ardente del nostro vivere, del nostro credere e del nostro combattere, si potrà cercare la via più adatta alla nostra personalità, affinché qualcosa in verità muti ontologicamente in noi stessi, per non essere incatenati ad un vacuo intellettualismo, senza, però, cadere nelle trappole della fretta e dell’impreparazione, nelle grinfie di quella passività che si voleva superare e sconfiggere, prese le forme del neospiritualismo e della medianità.

Se questa è la via degli Eretici, di coloro che hanno intrapreso la   strada anonima ed impersonale dell’ascesi, le oscure contrade dell’infraumano, della palude psichica segnano la direzione della massa, del demos, della moltitudine che ha completamento annullato ogni singolarità per affogare nella melma dell’eguaglianza, della numericità, dell’indistinto Caos, in cui non vi è più alcuna distinzione qualitativa, non vi è più un limite, una separazione: al lavoro silenzioso, ma sacro, ascetico di un artigiano in una corporazione nell’età di mezzo si è sostituito il lavoro meccanizzato, senza anima, senza né idea né forma, di un operaio ai giorni d’oggi! In entrambi i casi l’egoismo individualista, l’estetismo superomista di un narciso artista viene superato, ma, se nella prima direzione descritta, si dischiudono le porte per le Stelle, per il Sole e per gli Dei, nella seconda direzione ci s’infila nella botola più nera, corpi sacrificali per la più infera animalità.

Ad un’ars sine scientia nihil, che prevedeva una precisa ritualità ed una vera e propria iniziazione ai mestieri, si è sostituita una concezione profana ove gli individui sono solo unità intercambiabili, al centro della quale non vi è un sapere tradizionale, ma l’accumulo indiscriminato di nozioni naturalistiche e quantitative. Tali considerazioni valgono ben oltre il ristretto campo “del lavoro”, ma si realizzano anche nella quotidianità e nella cultura. L’uniformità si attua nel conformarsi, dallo stile della propria abitazione alla moda del vestire, del leggere e del pensare, ai diktat lanciati da chi segretamente completa l’ordito di quel satanico disegno a cui abbiamo accennato all’inizio del presente scritto. Sono sempre più numerosi i casi in cui, ormai sfacciatamente, vengono aperti i tombini dello psichismo, della medianità, dai quali forze oscure possono “democraticamente” e indisturbatamente agire e distruggere ciò che di sano e normale è ancora rimasto: l’impersonalità deviata colloca proprio in queste sinistre regioni il proprio regno, glorificando ad idoli immortali la passività, la soggezione, la promiscuità nei riguardi di un mondo che nel Caos ha il suo centro ordinatore. Tale è la via dei piccoli uomini nella fase finale del Kali-yuga, senza anima, senza la forza di opporre una qualsivoglia negazione, anche di matrice ribellistica o dannunziana che dir si voglia, a tale status di cose, sapendosi solo uniformare, essendo, come ci ricorda Evola, “schiavi senza Signoria”! Infine, possiamo concludere affermando che, se l’individualismo può essere definito tipicamente borghese ed il suo superamento passivo è di evidente matrice collettivistica e marxista, la trasmutazione attiva, tradizionale ed aristocratica potrà attuarsi solo in codesta direzione:

Noi vorremmo far comprendere agli uomini attuali che il ritorno alla Tradizione Romana significa tutto: verità, giustizia, bellezza, felicità…La natura vera dell’uomo non è assolutamente costituita dall’impulso fisico o dal torbido complesso psichico, ma dallo spirito che è luce di Dio, se in Dio si rivela e in Dio si compie. Questa luce è più o meno vivida, più o meno visibile negli uomini e si manifesta in modi vari, in misura differente, contemplativamente o attivamente, in sede di conoscenza o in sede d’azione. Si lasci che i contemplativi svolgano la loro attività, secondo la propria natura, e che gli attivi ugualmente realizzino ciò a cui possono giungere per l’orientamento spontaneo delle loro facoltà…la Verità deve essere contemplata e vissuta seriamente, semplicemente, virilmente, e l’amore che a Lei si porta deve essere profondo, originario, invincibile!”(Guido De Giorgio, La Tradizione Romana, Edizioni Mediterranee, Roma, p. 320).

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