12 Aprile 2024
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L’Identità Sacra di Adriano Scianca – recensione a cura di Luca Valentini

Nell’ambito delle analisi sociologiche e delle discussioni socio – politiche i temi della globalizzazione selvaggia, del mondialismo e dell’immigrazione fuori controllo quasi mai hanno trovato la doverosa connessione con i temi metapolitici e metastorici delle radici ancestrali di un Popolo, della Weltanschauung della propria Stirpe, dell’eterno presente della propria Tradizione, quale bagaglio identitario insostituibile della propria storia. In merito, una delle poche ed apprezzabili eccezioni è rappresentato dal testo “L’Identità Sacra” a cura di Adriano Scianca, direttore della testata online Il Primato Nazionale, già intervistato da noi poco tempo fa. Il libro in riferimento è composto da 13 capitoli, con un prologo ed una conclusione a cui accenneremo, ma a nostro giudizio il tutto è possibile considerarlo nell’ambito di due grandi tematizzazioni di fondo: se nei primi 5 capitoli l’analisi dell’autore si concentra sui temi della grande sostituzione  e dell’immigrazione forzata, i restanti capitoli si focalizzano sul nodo essenziale dell’intera trattazione, cioè la caratura spirituale dell’identità italiana.

Nella prima parte del testo che abbiamo circoscritto è importante notare come Scianca dimostri con armi dialettiche e di interpretazioni antropologica, come i fenomeni di cambiamenti della società contemporanea non si manifestino come eventi naturali, ma siano, ben tristemente in realtà, indotto da una precisa ideologia finanziaria e globalista, la quale usa tutte le armi del potere per sacrificare il cuore sacro dell’Europa sull’altare del modernismo sinarchico, contro un complottiamo senz’anima si rende sempre più sterile:

Esistono certamente delle centrali che gestiscono, indirizzano, ingigantiscono questo flusso, ma la pistola fumante dell’assassinio dell’Europa è nelle nostre mani” (p. 34).

Interessante, di seguito a ciò, è la disamina filosofica che l’autore pone in essere circa la casualità di un’appartenenza di stirpe e di cultura. In tale prospettiva, il rapporto con le espressioni esistenziali di un Heidegger o di un Severino aprono la vexata quaestio circa la modalità di rappresentazione che ogni uomo si costruisce della propria vita, quale mera accettazione di un  dato tratto e non modificali oppure di un seme piantato di un terreno che può o meno verticalizzare le proprie potenzialità: tutte, alcune, in parte, nessuna. Vi abbiamo trovato pagine di una notevole acutezza ermeneutica, in cui lo scenario ontologico non è relativo all’esterno, ma esso è, può e deve essere condizionabile esclusivamente dalla polarità che un determinato popolo, coscientemente, decide di imprimere al proprio destino, nel bene e nel male:

Nella decisione si vive la tradizione come una consegna che raccoglie e rimanda avanti il passato non come dato di fatto di cui limitarsi a prendere atto, ma come qualcosa che è ancora aperto, ancora da decidere” (p. 116).

A nostro avviso, saggiamente Adriano Scianca ha usato la filosofia come transizione modulata tra la prima parte di analisi politica e sociologica per giungere gradualmente alle categorie del Sacro della Tradizione Patria, con un tatto, con una delicatezza da apprezzare, consentendo al lettore un traghettamento consapevole tra tue ordini di considerazioni diversi, seppur  necessariamente contigui.

Iniziando a considerare quei capitoli  (dal n. 6 e seguenti), non possiamo che notare con viva soddisfazione come la visione del mondo che subitaneamente si esprime si realizza tramite un ampio orizzonte interpretativo, allargando il tema dell’Identità quale Idea connessa primariamente all’elemento Terra sia in direzione europea, ancor meglio indoeuropea, quindi nell’ambito di quella civiltà che un Evola avrebbe definito “greco – romano – germanica”, ma anche considerando l’elemento di base non vincolo irriducibile di stesso. Nell’ambito della Tradizione di Roma i riferimenti al Limes, alla Madre Terra, a Terminus non vennero assunti quali limitazioni naturalistiche o di grettezza religiosa o intellettuali, ma, al contrario, vennero concepiti come strumenti inerziali e di partenza tramite cui si attua la cosmo – poiesi del Sacro, cioè la costruzione dell’Ordine del Sacro, cioè il volere degli Dei in terra, Roma.  Tutto ciò, l’autore lo esprime con molto efficacia, tramite il linguaggio della dottrina tradizionale, degli studi indoeuropeistici, tramite le fonti greche, latine, indo – iraniche.

Questa mirabile ampiezza d’indagine, inoltre, conduce l’autore a riferirsi inevitabilmente alla sapienza arcaica degli grandi pensatori, come Celso, come Giamblico, come il Divino Giuliano Imperatore, in quell’ottica tutta sovra – mondana, che non oppone universalità ed identità, ma li contempla, tramite la ripresa idea delle divinità etnarche, nell’Unità metafisica pitagorica, platonica, neoplatonica. In ciò la specificità romana non si sminuisce, ma necessariamente si rafforza, donando al quadro la sua originalità. Scianca, in merito, fa riferimento all’importanza a Roma della Fortuna, assunta quale Divinità, ma che non si è mai configurata similmente ad una provvidenza cristiana, cioè per concessione divina. Quando si evidenzia che la Fortuna si manifesta tramite la realizzazione della Virtus, si riprende religiosamente l’addentato filosofico di Heidegger su ciò che è dato e ciò che è voluto inteso come Esserci. L’originalità dell’Urbe è, pertanto, la propensione attiva nei confronti del Cosmo e del Fato, è la citata Fortuna Caesaris (p. 168), quale determinazione impositiva di un potere, magica diremmo secondo un lessico più appropriato.

Capitoli molto densi e significativi sono, inoltre, dedicati allo spazio sacro, ai confini, al senso della comunità romanamente intesa, della cittadinanza con un approfondimento di spessore circa la Costitutio Antoniniana del 212 a. v., tramite cui si rendevano cittadini romani tutti gli abitanti dell’Impero, e grazie alla quale iniziò il processo di destrutturazione dell’apparato giuridico – religioso della Res Publica, intesa quale Stato platonicamente inteso.

Di seguito, nel capitolo ultimo il n. 13 vengono definiti eroi fondatori tre personaggi fondamentali per la storia di Roma: Romolo, Furio Camillo, Augusto. Se Romolo è giustamente indicato come il primo pater patriae (p. 251), quale “Lar per eccellenza di Roma, ovvero lo spirito guida, il nume tutelare” (p. 256), Furio Camillo è colui che fortifica e difende ciò che Romolo aveva inaugurato, è la stabilità del Genius insito nello Stato, nella famiglia, nella persona interiormente intesa aggiungeremmo noi, è la capacità di vivere la Romanità come un’identità di spirito e di missione, un’identità armoniosa, giuridicamente ordinata, religiosamente sancita. Un paragrafo particolare viene, inoltre, dedicato ad Augusto ed al correlato culto della Vittoria: in esso il nesso tra il compimento di un processo unitivo e la rinnovazione sacrale dei culti si rende evidente ed esplicito, Augusto, tramite un Marte non comune, l’Ultore, realizza la dimensione gioviana nella sua magnificenza … ed appare Apollo. Le interpretazioni che l’autore utilizza (Consolato, Casalino, Del Ponte), oltre le fonti, offrono una prospettiva di grande profondità alla tematizzazione, circa la natura del Divo e della sua Opera:

La nuova fondazione augustea avviene su tre direttrici: la città, l’Italia, l’Impero” (p. 263).

Esiste una dimensione ulteriore che andrebbe indagata su Augusto ed il culto della Vittoria, che va ben oltre la dimensione politica, giuridica, prettamente religiosa, che intende il culto non come una venerazione, ma come una prassi, che intende Apollo, non come un Deus, ma come un Numen, che intende Roma non come una semplice città, ma quale un’Opera da compiere: Scianca lo intuisce, di sfuggita, alla fine “E’ l’essere sulle frequenze spirituali della Vittoria che fa vincere” (p. 267).

Infine, un appassionato epilogo attende il lettore, Ricorda chi sei tu, in cui tre verbi, saggiamente vengono indicati per la comunità di popolo che all’identità tracciata si riferisce ancora: Risorgere, Combattere, Vincere, a cui è necessario che segua un’adeguata applicazione e meno elucubrazioni storicistiche, come l’autore ha ben dimostrato di comprendere.

Adriano Scianca, L’Identità Sacra, Aga Editrice, La Testa di Ferro, Milano 2016, pp. 272. Eu. 18.

Recensione a cura di Luca Valentini

 

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