13 Aprile 2024
Saggio

La guerra contro la conoscenza – 2^ parte

di Fabio Calabrese
Come la storia dell’Asia è molto diversa da quella che di solito ci viene raccontata, la stessa cosa può valere per l’America precolombiana. Secondo la versione ufficiale, le Americhe sarebbero state popolate a partire da 20-12.000 anni fa da popolazioni giuntevi dall’Asia orientale attraverso il ponte di terra emersa che, a causa del più basso livello degli oceani, durante l’età glaciale si trovava dove oggi è lo stretto di Bering; sono state riconosciute quattro ondate; la più antica avrebbe portato nel Nuovo Mondo gli antenati dei Fuegini (gli abitanti della Terra del Fuoco) e dei Pericu della Bassa California. Costoro, incalzati da popolazioni più progredite e dinamiche, si sarebbero man mano ritirati sempre più verso l’estremità meridionale del continente americano e la Terra del Fuoco, con l’eccezione dei Pericu che sarebbero rimasti imbottigliati nel lungo e stretto dito formato dalla penisola californiana.

La seconda ondata sarebbe rappresentata invece dagli Amerindi veri e propri, gli antenati della maggior parte delle popolazioni e delle culture precolombiane. Circa ottomila anni fa, una terza ondata sarebbe stata rappresentata dai precursori del gruppo Na-Dene di cui fanno parte oltre ai Navajo degli Stati Uniti, diverse popolazioni del Canada e dell’Alaska, infine in età ormai storica, non attraverso l’istmo che non esisteva più, ma superando il braccio di mare gelato dello Stretto di Bering, sarebbero giunti nel Nuovo Mondo gli Inuit che noi conosciamo come Esquimesi.
Questa è la versione ufficiale del popolamento dell’America precolombiana; c’è solo un piccolo particolare: i conti non tornano, perché si hanno tracce di popolamento umano nelle Americhe risalenti a 40.000 anni fa, un tempo almeno doppio o triplo rispetto a quello in cui sarebbero iniziate le ondate migratorie attraverso l’istmo o lo stretto di Bering. Chi erano questi paleo-americani che avrebbero preceduto gli Amerindi?
Nel 1999 due archeologi dello Smithsonian Institute, Dennis Stanford e Bruce Bradley, studiando l’industria litica Clovis, la più antica del continente americano, hanno scoperto che essa non presenta nessuna somiglianza con quella della Siberia da cui provengono gli antenati degli Amerindi, ed ha invece una somiglianza spiccata con un’industria litica europea, quella solutreana. Non basta. Sebbene il sito che ha dato il nome a questa cultura, Clovis, appunto, si trovi nel Nuovo Messico, la maggior parte dei siti in cui compaiono questi manufatti si trova nell’est degli attuali Stati Uniti, concentrata soprattutto attorno alla Chesapeake Bay, la grande baia che lambisce tre stati: Virginia, Delaware e Maryland, oltre al Distretto di Columbia: una disposizione che suggerisce una provenienza dal mare ed un irradiamento da est verso ovest.
Nell’età glaciale, argomentano Stanford e Bradley, il livello degli oceani era significativamente più basso di oggi a causa della grande quantità di acqua imprigionata sotto forma di ghiaccio sulle masse continentali, inoltre un’ininterrotta “linea costiera” di ghiacci si estendeva dalla sponda europea a quella americana dell’Atlantico inglobando l’Islanda e la Groenlandia.
Per dei cacciatori solutreani che si spostassero lungo di essa a bordo di canoe dando la caccia a foche ed altri animali marini, ipotizzano i due archeologi, raggiungere il Nuovo Mondo sarebbe stato tutt’altro che impossibile.
Uomini bianchi avrebbero lasciato tracce imponenti nelle tradizioni americane; all’epoca della conquista erano diffuse leggende su uomini di pelle bianca e barbuti che sarebbero comparsi all’improvviso dopo una catastrofe naturale per aiutare i nativi e portare loro una forma più elevata di civiltà; talvolta un uomo solo, più spesso un gruppo comunque identificato con il nome del suo leader: Viracocha in Perù, Quetzalcoatl o Gucumatz nell’America centrale, ed è anche noto come il ricordo di questi uomini divinizzati dai nativi spianò la strada alla conquista da parte degli Spagnoli, la cui invasione fu scambiata per il ritorno di Quetzalcoatl o Viracocha.
Questa è la descrizione di Quetzalcoatl raccolta dal cronista spagnolo Juan de Torquemada riportata da Graham Hancock nel libro Impronte degli dei:
“Un uomo biondo dalla carnagione rubizza e una lunga barba”.
Un’altra fonte, sempre riportata da Hancock, parla di:
“Un individuo misterioso … un uomo bianco dalla corporatura robusta, la fronte ampia e una barba fluente”.
Ma leggende e descrizioni dello stesso genere, di uomini bianchi e barbuti che di volta in volta prendono il nome di Quetzalcoatl, di Viracocha, di Gucumatz, sono frequentissime in tutta l’America amerindia.
Non mancano in tutta l’America precolombiana raffigurazioni di uomini dai lineamenti europidi, come questa, di cui ci parla sempre Graham Hancock:
“La tomba di Pacal [nella piramide di Palenque] aveva almeno mille anni più di tutti i t
esori di La Venta. Tuttavia, adagiata nel sarcofago vicino allo scheletro, era stata rinvenuta una minuscola statuetta di giada, che all’apparenza era molto più antica di tutti gli altri cimeli tombali. Raffigurava un anziano europide avvolto in lunghe vesti e con una barba a pizzo” (6).
Come potevano gli artigiani amerindi aver scolpito una simile raffigurazione millenni prima di Colombo se, come pretende la storiografia ufficiale, non avevano mai visto un uomo bianco?
Tuttavia le tracce di una presenza “bianca” nelle Americhe molto più antica di Colombo ed anche delle spedizioni vichinghe non si trovano solo nelle leggende. gli Spagnoli giunsero in Perù, ad esempio, notarono con sorpresa lineamenti “europei” e carnagione chiara fra i membri dell’aristocrazia incaica. In particolare le “coyas”, le “care donne” scelte fra le più belle ragazze di alto lignaggio per formare l’harem dell’Inca, erano di pelle più chiara di quella degli Spagnoli.
Questo non è certamente tutto: intere popolazioni dai lineamenti inspiegabilmente “caucasici”, “bianchi”, “europei” furono osservate sia nell’America settentrionale che in quella meridionale.
La più nota fra queste, probabilmente, è quella dei Mandan, una tribù di “amerindi” oggi estinta che abitava nella zona del bacino del Mississipi-Missouri che colpì gli Europei per la sua carnagione chiara, i lineamenti di tipo europide, i capelli spesso biondi dei suoi membri.
Su questi strani “indiani” è disponibile on line un articolo di Giuseppe Pirazzo e Francesco Vitale, Il mistero degli indiani Mandan, di cui riporto alcuni stralci:
“A partire dal XVII secolo, vari esploratori vennero in contatto, nella regione dell’America Settentrionale corrispondente all’attuale stato del North Dakota, con una tribù di Indiani, i Mandan, aventi caratteristiche somatiche tipicamente europee (capelli biondi o rossi, occhi azzurri e pelle chiara). Per spiegare tali peculiarità, gli Autori espongono le varie teorie avanzate dagli studiosi, a partire da quelle, coeve con la scoperta di questi Pellirosse, che li volevano discendenti dai Gallesi, fino a quelle, più recenti, che li vogliono discendenti dai Vichinghi”
“All’inizio del 1805 Clark cominciò a contattare questa tribù di Indiani, che non mancò di attirare la curiosità di tutti gli esploratori. Innanzi tutto avevano la pelle chiara; molti avevano gli occhi azzurri o grigi e alcuni avevano i capelli castani o rossi; i vecchi avevano i capelli bianchi, caratteristica insolita tra gli Indiani. (…).
Purtroppo, il mistero non poté essere risolto: alla fine dell’Ottocento, un’epidemia di vaiolo sterminò tutti gli Indiani di quella tribù.
Nello stesso articolo, Pirazzo e Vitale fanno riferimento anche ad altre popolazioni native americane stranamente “bianche”:
“Gli Aracani, Indios della Bolivia, hanno caratteristiche somatiche molto vicine a quelle, indoeuropee, dei “bianchi”. Abitano nella città di Tiahuanaco, ma sono presenti, in minor numero, nelle zone bagnate dal Rio Guaporé, fiume che, presso il confine con il Brasile si unisce al Rio Beni, formando il Rio Madeira” (7).
Notiamo che si parla proprio di una popolazione che abita la zona dove si trova uno dei complessi archeologici in assoluto più antichi e misteriosi dell’America meridionale, Tiahuanaco, la “Stonehenge del Sud America” come è stata definita.
Tuttavia, le prove più evidenti sono i reperti paleoantropologici, ed anche qui le evidenze sorprendenti non mancano. Fra di queste, forse la più notevole è rappresentata dal cosiddetto uomo di Kennewick, un nativo americano vissuto circa 9.000 anni fa, i cui resti furono ritrovati nel 1998, appunto a Kennewick, località dello stato di Washington sulle rive del fiume Columbia, e si tratta di uno degli scheletri meglio conservati di antichi nativi americani di cui disponiamo. Dalle analisi del cranio e dalla ricostruzione dei lineamenti facciali che sono state effettuate, è risultato che l’uomo di Kennewick aveva lineamenti prettamente caucasici.
Perché esiste una censura, un coverage delle informazioni su questi argomenti? Perché qui non si tratta solo della storia delle antiche civiltà, il problema è attuale e politico nella misura in cui la conoscenza del passato determina l’idea che abbiamo di noi stessi: rischiamo di scoprire che alla base delle antiche civiltà dell’Asia come delle Americhe vi potrebbe essere un antico popolamento caucasico, e magari potrebbe venirci il sospetto che l’uomo caucasico/europide sia effettivamente il Leistungmensch, l’uomo creativo, che vi sono popoli creatori, altri portatori ed altri ancora distruttori di civiltà; una consapevolezza che sarebbe estremamente pericoloso che recuperassimo, nel momento in cui si è decisa la sparizione dell’uomo europeo/caucasico nella maniera più indolore possibile nel nostro stesso continente ancestrale. Chissà, in un soprassalto di orgoglio potremmo anche decidere di riprendere in mano il nostro destino.

Fine 2^ parte

Note:

6.     Graham Hancock: Impronte degli dei (Fingerprints of the Gods), RCS libri, Milano 2005.
7. Giuseppe Pirazzo e Francesco Vitale: Il mistero degli indiani Mandan on line, “Episteme” www.volta.alessandria.it/episteme/ep6/ep6-mandan.htm

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