12 Aprile 2024
Punte di Freccia

La ‘bella’ battaglia – Mario Michele Merlino

In uno dei suoi frammenti più enigmatici – e, per questo, più intriganti – il filosofo Eraclito utilizza il termine physis (Natura) ed è l’unica volta. Permettetemi essere civettuolo nell’erudizione scolastica e riportarlo in greco: ‘physis kryptesthai phylei’ (la Natura ama nascondersi). E consentitemi ulteriore sfoggio di cognizioni e di etimi e di glottologia tra intrighi rimandi suggestioni. Martin Heidegger, a me caro, fece discendere il termine ‘physis’ dalla radice pha- ove il richiamo va al significato del mostrarsi dell’apparire, dopo lungo ottenebramento. Affascinante e autorevole il suo proporsi, sempre però con il sospetto di coartare le parole in funzione del suo pensiero alto ed altro. V’è altresì chi intende il medesimo termine e trovi origine da phy- che indica il far crescere il nutrire o, meglio, nutrirsi e crescere… Il primo è un dono dell’Essere, è l’Essere stesso a proporsi; il secondo un esserci nel suo divenire pienezza e complemento.

Andando come se fossi ‘in libera uscita’ mi sento di suggerire come, nel primo caso, vi sia una sorta di principio esterno (ciò che si manifesta è sempre altro rispetto a colui he ne percepisce l’apparire) che, palesandosi, s’impone magari ingenerando confusioni metafisiche e ottenebramenti (è la critica che, partendo dall’idea di verità in Platone, Heidegger rivolge alla metafisica, storia appunto di quel fraintendimento tra l’Essere e gli enti). Nietzsche è, al contempo, colui che disvela la maschera del vero illusorio in nome del diritto dell’opinione (l’idea è una opinione che ha saputo trovare le armi per imporsi) e colui che, tramite il concetto di ‘volontà di potenza’, imprigiona se stesso quale ultimo dei metafisici…

Nel secondo caso, di quale Natura va esplicitando il filosofo di Efeso e qual è il senso del suo nascondersi? Una rosa è una rosa e non altrimenti. In essa, ad esempio, non vi è alcun mistero – petali profumo gambo spinoso le appartengono e la distinguono – e ciò la rende appunto un fiore e non un carciofo (v’è un non so che di richiamo fra loro, vero?). Non chiede altro d’essere ciò che è e, in questo, consiste la Natura sua propria. E ciò vale per ogni rappresentazione con ogni sua determinazione. Può solo ingenerare confusione là dove il complesso degli accidenti si assomigliano. O – e qui si cela il senso del frammento di Eraclito, forse – nel cogliere le differenze si perde il senso originario e unitario della Natura, quell’Ordine che tutte le sovrasta e le rende appartenenti al medesimo disegno. E, soprattutto, l’unità, la connessione tra ciò che è universale ed ogni suo particolare…

Poi se il Principio, trascendente o immanente, le Leggi della Natura, non sono altro che il bisogno, spauriti esseri nella caverna, di dare ordine e darsi ordine di fronte a ciò che ci domina – istinto passioni emozione – e domina improvviso e potente – la terra intorno ad Amatrice continua a tremare – beh, il mio nichilismo ben coabita con il Chaos – senza illudermi che si colgano nell’infinito spazio del cielo e in me ‘stelle danzanti’…

Lungo la Palmiro Togliatti, in vernice nera dall’autobus scorgo rune e la sigla A.N., fresche di vernice e freschi di vernice rossa epiteti ingiurie falci e martelli. L’altra sera, a cena, il senso di rabbia e di delusione della deriva sciatta volgare da ‘basso impero’ in cui tanta ‘nostra’ storia va disperdendosi s’accompagnavano ai toni troppo alti e accesi di due ‘vecchi’ militanti. Tutto vero legittimo comprensibile. Un tempo mi sarei entusiasmato mi sarei fatto partecipe, vorrei ancora, ma non sempre si possono scegliere i compagni di strada. Un sasso caduto dall’alto, nel suo rovinio, trascina con sé e si trasforma in valanga. Più simile, in questo caso, al fiume che si prosciuga e si disperde in rivoli e melma. ‘Umano, troppo umano’, si direbbe, ma Nietzsche l’intende lo dirige là dove va la grandezza, dà ad esso altra direzione. Dio le idee la metafisica sono l’oggetto della sua denuncia, ad essi toglie la maschera per svelarne orbite vuote e brulicare di vermi, qui soltanto la presenza di guitti e di saltimbanchi (altro ancora e ben altro è il funambolo dello Zarathustra!).

Platone, nel Timeo, con visioni letterarie di rara potenza – mi sono sempre più fatto l’idea che egli sia un grande poeta, condividendo poco quanto egli sottintende per delineare un progetto articolato e sistematico tramite distanze iperuraniche aurighi demiurghi e guerrieri ritornati in terra a raccontarci il disagio delle anime tra libertà e necessità (i miti sono storia espressa con il linguaggio del corpo, sono in primo luogo forme di letteratura, di poesia) – rinnova i distinguo uomini bestie piante, i primi dal corpo eretto presi per i capelli da un dio a ricordare loro qual’è il luogo della loro origine.

Non condivido. Gli uomini gli animali le piante appartengono al ciclo delle stagioni, della natura si fanno partecipi ad essa aderiscono, magari accettandone passivi e inconsapevoli i ritmi, gli esseri umani – più inquieti e smaniosi – sgomitano mettono se stessi in gioco e in cammino rovesciano i ruoli e finiscono per credersi, essi, gli artefici del proprio destino capaci di dettare le leggi del mondo… ‘Se io non fossi qui a chi farebbe luce e darebbe calore il sole? E nella notte le stelle a guidare la rotta?’, si dicono altezzosi arroganti. Carne putrescente, comunque. E si nasce e si cresce si matura – pienezza di sé – e si partecipa al declino e ci si accorge come la linfa vitale delle piante va esaurendosi e gli animali perdono il pelo e il tuo sangue scorre pieno di scorie il cuore batte disarmonico e il passo si rende lento e stanco.

Ciò vale per il singolo ciò vale per una comunità ciò conta per istituzioni ed imperi (così rifletteva il protagonista di Volo di notte di Antoine de Saint-Exupery pensando ai sovrani Incas e ai templi edificati sui picchi delle Ande). Perché ciò non dovrebbe valere per la mia storia per la ‘nostra’ esperienza? La risposta dello scrittore francese si risolveva affidandosi al concetto di pietà – la pietas latina non quella cristiana –, in cui ci si rende consapevoli che nulla permane o forse solo nella nuda pietra capace di ridestare, tramite gli occhi, la memoria.

Secondo una tradizione maya, ogni cinquantacinque anni quel popolo abbandonava le proprie abitazioni gli edifici del culto e i magazzini per edificarne analoghi in altri luoghi. Dare volto all’effimero dell’esistenza – ‘Non per sempre sulla terra, solo un poco qui’… Ogni cosa si corrompe; ogni cosa muore. Ogni cosa, con altro volto e altre sembianze, nasce e si dispiega.

La giovinezza di uomini idee formazioni umane. ‘Primavera di bellezza’… Celebre è quanto scrive Menandro, il commediografo greco: ‘Muor giovane colui che al cielo è caro’; lo scrittore Mishima Yukio amava indugiare su come l’età media dell’uomo nel mondo antico si aggirasse intorno ai ventidue anni aggiungendo che il cielo dovesse essere, allora, prossimo alla perfezione…

Quando Mussolini è chiamato a formare il governo mentre gli squadristi bivaccano alle porte di Roma ha 39 anni; Hitler assume la Cancelleria nel gennaio del ’33 e ne ha 43. Rispetto ai loro seguaci, ad esempio, i ras in camicia nera sono da considerarsi già ‘vecchi’. E Léon Degrelle (nato nel 1906) dà vita al Rexismo che non ha compiuto trent’anni; Josè Antonio viene fucilato nella prigione di Alicante e ne ha trentatré e il 30 novembre del ’38, quando Codreanu viene assassinato, non ne ha quaranta. Di questo mito, nobile ed alto, ci siamo nutriti. ‘Gli eroi son tutti giovani e belli’, canta Francesco Guccini ne La locomotiva (parla il mio alter-ego anarchico, si sa!). E un giorno dopo l’altro, mesi ed anni. Giorgio Gaber fa il verso ai ‘compagni’ di Lotta Continua in Caffè Casablanca (sempre il mio spirito libertario!)… Così, vedendo sfuggirci la vita come fosse sabbia fra le dita, tramite l’anagrafe impietosa, sovente ostinati e vili e patetici, sforziamoci dunque di accettare la decadenza la corruzione il disfacimento. Né facciamoci tenere stretti per le palle, tra illusioni e inganni.

Ed Eraclito, in altro frammento, mette i paletti a questo apparente nascondimento: ‘Questo cosmo né alcuno degli dei lo fece né alcuno degli uomini, ma fu sempre, ed è e sarà, fuoco di eterna vita, che si accende con misura e si spegne con misura’. La misura del tempo o altro? Noi prigionieri (il dover scomparire) e signori nel tempo (a riempirne ‘sessanta secondi di opere compiute’); la Natura senza principio né alcun fine essendo essa in noi quale frammento e nel rapporto che d’ogni senso rende il senso universale e necessario…

Ho ritrovato fra i miei primi libri Il Tao tè ching di Lao-tze nella versione commentata da Julius Evola, ed. Ceschina, 1959. Diversi anni fa ho letto – non ricordo dove né chi fosse l’autore – un tentativo di costruire parallelismi tra i filosofi pre-socratici e le dottrine induiste e cinesi, fra cui il Taoismo. ‘Se porti avanti lo sguardo non ne vedi la fine/ se porti indietro lo sguardo non ne vedi l’origine’ (ho tratto dallo scaffale, tra gli scritti di Evola, l’opera di Lao-tze, paragrafo XIV)…

Potrei cimentarmi in analogo tentativo, ma ormai sono un ‘poeta’ e non un ‘filosofo’ – entrambi i termini valgono poco o nulla. Cosa resta, al tramonto, nello splendore del giorno che muore di un’alba a venire, di cui altri beneficeranno del chiarore, se non rivendicare immoti i ricordi della ‘bella’ battaglia? ‘…Ora la luna è su di noi, e il vento/ non porta solo il profumo dei fiori, ma di tutto ciò che è perduto’ (ultimi versi di una canzone tradizionale, mi pare, vietnamita). Orgoglioso d’esserci. Se fossi privo di un inizio e di una fine non vi sarebbe stata battaglia alcuna… bella ai miei occhi, al cuore alla mente. Forse, per altri incerta impervia destinata alla sconfitta.

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