11 Aprile 2024
Punte di Freccia Storia

Eroi – Mario Michele Merlino

Con il 4 novembre si conclude il centenario della Grande Guerra, 4 novembre 1918, l’anno della Vittoria.

Siccome, però, siamo un paese fortunato, secondo l’abusata tiritera di Berthold Brecht di non necessitare d’eroi, giornali libri e televisione hanno privilegiato l’ottusità del generale Cadorna il numero dei disertori la tragedia delle decimazioni la rotta di Caporetto. ‘L’inutile strage’ senza neppure un Alberto Sordi e un Vittorio Gassman a proporci un modello d’italiano un po’ cialtrone ma capace a suo modo di un gesto d’orgoglio e di riscatto. Così meglio poco e male, un silenzio a tranquillizzare le coscienze, evitare virtù ed esempio ché, chissà, qualcuno si commuove gli passa in testa l’idea ormai defunta della Patria e dell’onore e del sacrificio quali suoi corollari. Sic transit gloria mundi… Non ci scandalizziamo, forse solo un po’ da nostalgici ce ne doliamo. Secondo Napoleone ‘in guerra, quelle che mancano sono sempre le scarpe’.

Scarponi di cartone, altro tormentone di storia patria, due guerre mondiali con i piedi a congelarsi sui monti del Trentino e in Carnia poi nella pianura russa con il fiume Don ghiacciata barriera. E il medagliere, così fitto dei simboli di virtù e di valore, nel dimenticatoio; nomi date motivazioni carta ingiallita. Tanto non se ne accorge nessuno. A ben altro ci hanno avvezzi.

E poi, a dirla tutta, le guerre – quelle vinte ma si accolgono anche le perdenti – le fanno gli Stati e con loro la Nazione coesa in armi. Noi non siamo né il primo né la seconda. Ancora una volta mi torna a mente l’urlo libertario ‘né dio né stato, né servi né padroni’. Un ripiego, lo so, povera Patria… La Prima Guerra Mondiale portò prepotente i molteplici nodi intrecciatisi nel corso della metà del secolo precedente. Fra questi lo sviluppo e l’uso della tecnica – significativa la definizione dello scrittore e combattente valoroso Ernst Juenger di ‘guerra dei materiali’ – e l’impegno di inserire le masse nel tessuto politico e culturale della Nazione. Temi questi di esigenza prioritaria in Italia che, raggiunta l’unità con scarso coinvolgimento popolare e monca di ‘Trento e Trieste’, doveva darsi un moderno sistema industriale e rendere la grande parte della popolazione, contadina ed analfabeta, soggetta alla Chiesa (ostile al Risorgimento) e in ascolto del canto tentatore del socialismo e della recente rivoluzione bolscevica, parte integrata dello Stato. Nei mesi che vanno dall’agosto ’14 al maggio del ’15, in cui l’Italia si tenne fuori dal conflitto, il paese si divise tra gli interventisti e neutralisti in una prova di forza carica di passioni che videro la lotta in conquista delle piazze. E furono i primi che si fregiarono del primato e primi partirono volontari al fronte, magari osteggiati dal generale Cadorna e dai tanti che della guerra avevano orrore. E molti, fra costoro la bella figura di Filippo Corridoni, diedero l’esempio e la vita. Un seme che germoglierà nel tempo a venire. Tempo d’eroi, sangue generoso giovinezza ardita… ‘Randagio é l’eroe’, titolo di un libro di Arpino, letto a Regina Coeli. Modesto. Mi è rimasto in mente solo il titolo. Come i Raminghi di Tolkien? Non diamo lustro a ciò che si snoda nella miseria del quotidiano. Eco del Trattato del ribelle di Juenger, quel passare da lupo al bosco? Manca lo spessore. Solo un titolo evocativo, come l’Ulisse di Joyce rispetto ad Omero e Dante… Specchio della misura umana, di un oggi piccino e vile. Eppure. Nell’esangue pallore del tratto la parola permane. In quale recondito meandro della carne si cela il richiamo ad Ettore alle porte Scee o al Corsaro Nero che piange a Manfredi sepolto ‘a lume spento’? Attende, paziente, simile a Federico Imperatore che dorme nella grotta del Kyffhauser in attesa d’essere risvegliato. La testimonianza suscita l’esempio e quest’ultimo determina modelli di vita, ciò che forse enfaticamente amiamo definire lo stile, ma la retorica – come scriveva Aldo Salvo in Mal di Roma e lo ripetette, invitato, ai miei alunni – ci viene ficcata a calci in bocca ed esce pisciando, ma l’essenziale resta dentro ed è per sempre. Un ricordo personale, della mia famiglia. Mio nonno venne a Roma da Torino, con tappa a Firenze dove prese moglie, seguendo la Casa Savoia e il processo di unità del Regno d’Italia. Fedele alla monarchia più che interventista, alla dichiarazione di guerra all’Impero d’Austria-Ungheria, in cucina appese alla parete la carta dell’Italia con i luoghi del conflitto. Nel ’15 mio padre aveva dieci anni. Così, seguendo il bollettino di guerra alla radio, gli affidava spillare le bandierine di carta colorata a indicare le varie fasi di battaglie di avanzate e la ritirata sul Piave. Una esperienza indimenticabile una passione della storia, immutata nel tempo, e trasmessa a noi figli. Una storia che s’incentrava su uomini scelte caratteri aneddoti il loro agire. Come un film ove i protagonisti erano sovente gli eroi – da Goffredo Mameli e i fratelli Bandiera a Enrico Toti e Francesco Baracca, insieme alla lettura del libro Cuore di De Amicis e dei romanzi di Emilio Salgari.

Al bar sfoglio il quotidiano. In prima pagina, articolo di spalla – oltre il 25 aprile il centenario della Vittoria, questo 4 novembre divenga festa nazionale perchè capace di unire e farci sentire tutti dei vincitori. Un segnale? Eroi con sottotitolo ‘ventidue storie dalla grande guerra’ (in copertina un disegno a recuperare il monumento a Filippo Corridoni), Idrovolante Edizioni. Un autore racconta in modo agile e veritiero un eroe per ogni regione d’Italia. Marinetti, in altro contesto, aveva sottolineato ‘musica di sentimenti’. E l’ideazione appartiene anche a mio figlio come due dei racconti – quindi, un buon libro e a me particolarmente caro. Suo nonno sarebbe contento e commosso a leggere ‘il Piave mormorava’…

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