11 Aprile 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, ottantaquattresima parte – Fabio Calabrese

Il compito che mi sono assunto dando a questa serie di articoli sulle pagine di “Ereticamente” la periodicità di una rubrica (e come potete vedere, anche il traguardo della centesima parte non è poi così lontano, ed è facile prevedere che sarà raggiunto entro il 2019), non è poi così semplice come forse potrebbe sembrare a prima vista.

In particolare sta diventando sempre più complesso tenere il passo con l’attività dei gruppi facebook che si occupano della tematica delle origini, lavoro che d’altra parte mi sembra importante fare per offrire a questi gruppi che affrontano con impegno tematiche della massima rilevanza, una cassa di risonanza che permetta a queste ultime di non rimanere confinate in un ambito ristretto. Gruppi che negli ultimi tempi si stanno letteralmente moltiplicando, e questo è indiscutibilmente un sintomo positivo, che dimostra quanto meno la coscienza del fatto che la nostra visione politica ha senso soltanto in quanto radicata nell’identità etnica e storica, ma questo non toglie che l’impegno nel seguire tutte le diramazioni del discorso diventa sempre più complesso.

Poiché succede che i contributori, regolarmente, mettono i loro post su più di un gruppo, e i gruppi si riprendono spesso l’uno con l’altro, io ho perlopiù tenuto come fil rouge MANvantara che non è soltanto gestito dal carissimo amico Michele Ruzzai, ma che è anche il più completo, ma questo naturalmente non basta.

Lo sapete, anch’io ho creato un gruppo FB: “L’eredità degli antenati”. Il mio intento era quello di creare una sorta di archivio dove raccogliere in particolare gli articoli di Una Ahenerbe casalinga. (“eredità degli antenati” è precisamente il significato di “Ahnenerbe”), solo che avendo lasciato il gruppo aperto agli interventi di altri collaboratori, è andato a succedere che i miei articoli a cadenza bisettimanale sono diventati una minoranza tra i post degli altri.

Forse la soluzione migliore, anche perché sarebbe poco simpatico smorzare gli entusiasmi di queste persone, sarebbe di creare un gruppo collegato, qualcosa come “L’eredità degli antenati – archivio”, e probabilmente lo farò a breve.

Tuttavia possiamo analizzare questo materiale come spunto per qualche riflessione. Una cosa che si nota complessivamente da questi post, è che a quanto pare è finalmente tramontata la mania di cercare radici esotiche e tutto sommato improbabili: celtiche, longobarde, magne greche (cose che hanno la loro ragion d’essere se non si pretende di farne una radice, un’identità esclusiva, un modo per negare la radice latino-italica che è quella che fondamentalmente ci caratterizza), ma quello che emerge con forza è piuttosto il legame con l’eredità romana. Noi siamo soprattutto figli di Roma, e le calunnie contro il mondo dei Cesari, e i secoli di miseria impostici dall’oppressione cristiana non devono farcelo dimenticare. Io vorrei in particolare esprimere un pubblico ringraziamento a Claudio Marconi, prezioso contributore, per la qualità e la quantità dei suoi post, sempre intesi a riaffermare la continuità tra il mondo romano e noi.

Io non vorrei dire che la romanità sta tornando di moda, perché il termine “moda” è certamente inappropriato, diciamo piuttosto che sta riemergendo.

Recentemente, Giuseppe Barbera presidente dell’associazione tradizionale Pietas ha annunciato, tra l’altro attraverso “Ereticamente”, l’erezione di un tempio di Giove a Roma e di uno dedicato a Minerva Medica a Pordenone. Non si può far rivivere la romanità senza riaprire i templi degli dei. La romanità è destinata a rimanere qualcosa di esteriore e retorico se non si ha il coraggio di rompere con il cristianesimo, che è l’anti-Roma per eccellenza. Non aver capito questo, è stato un grave errore del fascismo, come aveva ben compreso Arturo Reghini. E’ vero che oggi siamo favoriti nella comprensione di ciò dal fatto che con papa Bergoglio la Chiesa cattolica ha gettato la maschera, svelando il suo volto immigrazionista, pro sostituzione etnica, anti-europeo e anti-italiano.

Un nuovo gruppo che si è venuto ad aggiungere a quelli già esistenti, è “Territorio e spiritualità” gestito da Pierfederico Rocchetti, e mi piacerebbe tra l’altro sapere da dove prende le illustrazioni molto belle e suggestive che compaiono sulla pagina del gruppo.

Una domanda che forse sembrerà banale: che legame esiste fra territorio e spiritualità? Esso può esistere soltanto nel senso che il territorio è il luogo del radicamento di un’etnia con la sua propria spiritualità assolutamente non intercambiabile con quella di altre. Sangue e suolo in poche parole; senza il sangue il suolo è nulla. Guardate cosa è successo negli Stati Uniti dove con la sparizione dell’etnia americana nativa (“pellerossa”), la spiritualità di certo non disprezzabile di quei popoli, è stata soppiantata dal fragoroso nulla yankee.

E l’esperienza ci fa vedere che senza il supporto del sangue, la trasmissione culturale è inefficace. Ne sono, anche qui, un esempio lampante i Paesi ex coloniali nei quali, una volta lasciati dagli Europei, la cultura di tipo europeo che questi ultimi avevano cercato di trasmettere almeno alle loro élite, è rapidamente scomparsa, e sono tornati a quella situazione di arretratezza dalla quale, per la verità, non erano in realtà mai usciti.

Riprendiamo ora il nostro discorso seguendo la traccia di MANvantara. Io dovrò comunque ripetere per l’ennesima volta il fatto che tra il molto materiale pubblicato, traccerò un percorso personale, perché ci sono molti post che non riguardano la tematica delle origini, anche se si occupano di argomenti che sono comunque di grande interesse: esoterismo e spiritualità, soprattutto del tipo presente sul nostro continente prima della diffusione del cristianesimo, poi, a complicare le cose, per quel che riguarda il mese di ottobre, vedo che ci sono molti ripescaggi di post anche recenti di cui vi ho già parlato, e che quindi ora lasceremo da parte.

Con l’aggiornamento precedente eravamo arrivati alla fine di settembre. Il 2 ottobre è stato postato un articolo tratto da “Biorxiv” in cui si parla della genetica dei lupi che traccia la storia del grande predatore più diffuso dell’emisfero boreale. Sembra che le popolazioni attuali, eurasiatiche e americane si siano differenziate a partire dal pleistocene da un ceppo ancestrale posto nella Beringia. Quello che forse ci interessa di più, è però il fatto che ciò evidenzia che la Beringia oggi sommersa che collegava a settentrione l’Asia orientale con l’America occidentale, per poter giocare un ruolo simile non doveva essere un’esigua lingua di terra ma un’area piuttosto vasta, e questo ha certamente influenzato in una maniera ancora tutta da valutare il popolamento delle Americhe anche da parte degli esseri umani.

Il 3 Jason Pickis ha postato un articolo tratto dallo stesso sito. L’esame del DNA di alcuni scheletri rinvenuti in una grotta georgiana e risalenti a 26.000 anni fa, ha portato a una scoperta sorprendente: il tipo umano eurasiatico “di base” che si pensava avesse un’origine molto più recente, era già presente allora. Contrariamente a quanto racconta una certa vulgata “politicamente corretta”, non “veniamo dai neri”, ma il tipo umano caucasico è sicuramente ancestrale rispetto a subsahariani e mongolici, che compaiono più tardi nella documentazione fossile.

Lo stesso giorno, la stessa persona ha postato un altro articolo, stavolta proveniente da Plos Genetics, che affronta un tema di grande interesse: l’influenza della cultura sulla genetica, in questo caso specificatamente considerata nel mondo islamico-mediorientale. La comune appartenenza religiosa sembra aver favorito l’interscambio di geni su di un’area estremamente vasta che va dalla Penisola araba al Magreb, mentre le minoranze religiose, cristiani e drusi, appaiono anche geneticamente segregate. Nella specie umana, le differenze culturali agiscono in maniera simile alle barriere naturali per quanto riguarda la divisione delle popolazioni e dei loro genomi. Vediamo qui un esempio molto chiaro di influenza della cultura sul dato genetico. Se ricordate, questo è un discorso che io ho affrontato più di una volta: è tipico della mentalità di sinistra spiegare tutto ciò che riguarda l’essere umano facendo ricorso esclusivamente all’ambiente e all’appreso, escludendo che la natura e l’eredità biologica vi abbiano un ruolo. Questo non deve indurci a commettere l’errore simmetrico, negando che oltre all’influenza della natura sulla cultura esista anche un’influenza della cultura sulla natura. Il fatto che i sinistri ritengano che due più due faccia tre, non deve indurci a pensare che due più due faccia cinque.

Il 9 ottobre Michele Ruzzai segnala la pubblicazione da parte della fondazione Julius Evola, del quaderno “Il mistero iperboreo, scritti sugli Indoeuropei 1934-70”, a cura di Alberto Lombardo, che appunto riunisce gli articoli di Julius Evola sull’argomento.
Sempre il 9 ottobre c’è da segnalare un post molto interessante, un articolo da “Gene Expression” a firma di Razib Khan. Noi sappiamo che i genetisti per cercare di ricavare l’albero genealogico della nostra specie, hanno analizzato gli aplogruppi del cromosoma Y che si trasmette esclusivamente per via paterna e quelli del DNA mitocondriale che si trasmette esclusivamente per via materna. Il DNA mitocondriale più antico, “aborigeno” d’Europa è il U5, e dove lo troviamo? Soprattutto nel nord della Scandinavia, nell’area lappone, nel Baltico. E’ superfluo aggiungere che questa disposizione è del tutto incompatibile con un’origine africana o mediorientale, mentre è assolutamente naturale nel caso di una derivazione nordica.

Il 13 ottobre Jason Pickis ha linkato un articolo di “Times of Israel” davvero sorprendente, anche considerando la fonte: secondo uno studio compiuto da ricercatori israeliani sul DNA di ossa rinvenute in una grotta nel nord di Israele di età calcolitica (età del rame, 6500 anni fa), la tecnologia dei metalli sarebbe stata diffusa in Medio Oriente da popolazioni con caratteristiche nordiche (“Times of Israel” parla testualmente di “anomalous blue-eyed people”) provenienti dall’altopiano iranico.

Sempre il giorno 13 Michele Ruzzai riporta una frase di Ezio Mauro: “L’uomo bianco è una regressione alla nostra identità primitiva”.

Qui vediamo una tipica ubbia o fissazione della sinistra, secondo la quale il nero sarebbe destinato a essere “l’uomo del futuro”. Beh, il minimo che si possa dire è che dato che il nero subsahariano ha in media 30 punti di Q I in meno rispetto a noi, una propensione cinque volte superiore ai reati violenti, una propensione dieci volte superiore agli stupri, possiamo solo congratularci con noi stessi per la fortuna di essere delle regressioni, ma la realtà dei fatti è che è il nero a essere una regressione, un passo indietro sulla via di homo sapiens. Le ricerche genetiche hanno dimostrato che i subsahariani hanno l’8% di DNA non sapiens, sono il risultato di un incrocio tra i sapiens provenienti dall’Eurasia e un homo più primitivo.

Il 14 ottobre La Sfinge del Sinis (che volete farci, ha questo nickname) ha postato un articolo da GreenMe.it che riferisce i risultati di una ricerca condotta dal professor Francesco Cucca del CNR in collaborazione con l’Università di Sassari. I Sardi sono, a quanto pare, la popolazione più antica d’Europa, il loro DNA risalirebbe ad almeno 7000 anni fa. La popolazione europea con cui presentano le maggiori affinità genetiche sarebbero i Baschi, anch’essi di origine molto antica. A quanto pare, questa affinità non sarebbe dovuta a contatti fra le due etnie ma al fatto che entrambe derivano dalla stessa popolazione ancestrale, entrambe sarebbero relitti genetici, per così dire, dell’Europa pre-neolitica, altrove sommersa dall’arrivo di popolazioni più recenti.

Come vi ho detto, vorrei evitare di parlare di ripescaggi, soprattutto quando si tratta di post troppo recenti e/o da me già commentati su queste pagine, ma una segnalazione la devo proprio fare:parliamo della recensione che Michele Ruzzai ha fatto nel giugno 2017 al libro Il caso e la necessità di Luigi Luca Cavalli Sforza e recentemente “ripescata”, a parte il titolo del libro che parafrasa scopertamente Jacques Monod, era quasi d’obbligo riparlarne dopo la recente scomparsa del celebre antropologo.

Michele fa notare una cosa parecchio interessante: in questo testo Cavalli Sforza attribuisce circa un terzo del genoma degli Europei attuali a un’origine mediorientale connessa con la diffusione dell’agricoltura in età neolitica, mentre due terzi sarebbero precedenti e autoctoni, ma in un volume precedente, La transizione neolitica e la genetica di popolazioni in Europa scritto insieme all’archeologo Albert J. Ammerman, era indicata la proporzione esattamente inversa. Cavalli Sforza è stato uno dei maggiori sostenitori della teoria dell’onda di avanzamento, secondo la quale gli Indoeuropei deriverebbero da popolazioni di agricoltori mediorientali che avrebbero diffuso i loro linguaggi in Europa semplicemente spostandosi man mano alla ricerca di nuove terre da coltivare. Qui Cavalli Sforza recepisce il dato che la presenza di geni mediorientali nel genoma europeo è decisamente minore di quel che aveva supposto, ma evita di trarne la logica conclusione che ciò smentisce la sua teoria. Le ricerche genetiche più recenti (il libro è del 2007) hanno ulteriormente ridotto la presenza di geni mediorientali nel DNA europeo, che non sembra superi il 14%, ma soprattutto vi sono buoni motivi per sospettare che la scoperta dell’agricoltura sia avvenuta proprio nel nostro continente e non nell’area mediorientale, considerando la priorità europea nella scoperta dei metalli e dell’allevamento bovino e nell’invenzione della scrittura, ma non torno ora su di una tematica che ho approfondito ripetutamente.

Abbiamo poi un altro post “ripescato” ma sul quale vale la pena di riprendere il discorso, una recensione di Michele Ruzzai del libro di Georg Glowatzki Le razze umane, origine e diffusione, testo del 1977, che appartiene quindi all’epoca “beata” in cui si poteva ancora parlare di razze, non era, come oggi, ufficialmente proibito. Il trionfo del “politicamente corretto” democratico coincide con la proibizione di pensare. A ogni modo, Michele si sofferma su quanto l’autore ci dice dei Veddidi, popolazione di tipo gracile dell’India, considerata da alcuni di tipo caucasoide, da altri australoide primitiva, un tipo umano un tempo molto più diffuso di oggi, alcuni scheletri riconducibili a esso sono stati difatti trovati anche in Mesopotamia.
Poiché il post non è recentissimo, vi trovate un commento…di Fabio Calabrese. Il veddida potrebbe essere un tipo umano intermedio tra il caucasico e l’australoide, così come l’ainu potrebbe essere intermedio fra il caucasico e il mongolico. In altre parole, non si può per nulla escludere che il caucasico rappresenti il tipo “centrale” dell’umanità da cui gli altri gruppi umani si sviluppano come diramazioni secondarie.

Il 16 troviamo un altro post. Se vi chiedete quale sia la più antica religione d’Europa, la risposta è il paganesimo lettone, tuttora praticato, e che sembra risalire quanto meno all’Età del Bronzo. Poiché siamo in argomento religioni, ne approfitto per dire la mia su di una questione sollevata da un lettore di MANvantara che chiedeva se esistono oggi in Europa tracce di spiritualità pre-pagana. Io vorrei ricordare che il paganesimo non è, come le religioni abramitiche, definito da un corpus di dottrine rigido, è l’espressone prisca e istintiva della percezione umana del sacro, nella natura e soprannaturale, il culto degli dei (senza esclusivismi od odio per chi ha una sensibilità diversa), a cui si unisce quello della stirpe e degli antenati. In questa prospettiva, parlare di pre-paganesimo non ha semplicemente senso.

Un post del 19 riporta un documentario di “Russia Beyond” che ci parla di una popolazione che credo pochi di voi avranno sentito nominare, i Nivkh. Chi sono? Sono una popolazione, oggi rappresentata da poche persone e a forte rischio di estinzione, che vive a Sakhalin, isola a nord di Hokkaido, già giapponese e annessa dalla Russia dopo la seconda guerra mondiale, sono imparentati con gli Ainu di Hokkaido, e come questi ultimi sono verosimilmente una testimonianza del passato caucasico (Jomon) dell’arcipelago nipponico, ma potrebbero anche essere affini alle popolazioni che attraverso la Beringia hanno colonizzato le Americhe. Si tratta dunque di un documento antropologico della massima importanza.

Il 18 l’Amministratore – davvero infaticabile, bisogna dire – ha postato un articolo tratto da biorxiv.org che si occupa di una questione davvero intrigante. Lo studio del DNA sta aprendo nuove prospettive allo studio dell’eredità umana, di quel passato per cui non abbiamo documenti storici né archeologici. Lo studio del DNA mitocondriale ha rivelato che l’aplogruppo L3 da cui deriva la maggior parte degli aplogruppi africani, si è originato circa 70.000 anni fa nell’India settentrionale, abbiamo quindi la prova evidente di una migrazione dall’Eurasia all’Africa.

I sostenitori dell’Out of Africa hanno prontamente elaborato una variante della loro teoria secondo la quale le popolazioni umane sarebbero migrate dall’Africa all’Asia 130.000 anni fa, per poi tornare in Africa 60.000 anni fa portando con sé l’aplogruppo mitocondriale L 3, ma è evidente che non sanno più su quale specchio arrampicarsi per salvare il loro DOGMA.

Per il momento, per non rendere l’articolo chilometrico, ci fermiamo qui, per ora, anche se non abbiamo ancora passato la seconda decade di ottobre. Quel che maggiormente importa, è constatare come l’impegno dei gruppi FB “nostri”. Per chiarire le nostre origini e per combattere le menzogne del sistema, rimane inalterato.

NOTA:
Nell’illustrazione: a sinistra la lupa di Roma, immagine di copertina del gruppo FB “L’eredità degli antenati” (particolare), al centro: il tempio di Giove recentemente inaugurato a Roma. A sinistra, un’immagine tratta dal gruppo FB “Territorio e spiritualità”.

1 Comment

  • Giuseppe Barbera 5 Novembre 2018

    Grazie Fabio per le parole di stima e sostegno. Ad Majora Semper.

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