10 Aprile 2024
Mitologia

Il mito di Medusa – Luigi Angelino

Il termine Medusa, oltre a richiamarci alla mente gli animali tentacolari marini, così nocivi perchè provvisti di sostanze urticanti, indica una delle più famose figure della mitologia greca, appartenente alle tre Gorgoni, figlie delle divinità acquatiche Forco e Ceto. Secondo la narrazione tradizionale, a differenza di Steno ed Euriale, soltanto Medusa non era immortale, pur condividendo il terribile potere delle sorelle di pietrificare qualsiasi persona avesse la sventura di incrociare il suo sguardo (1). Come racconta Esiodo nella sua Teogonia, le Gorgoni vivevano nell’Oceano Occidentale, non lontano dalle Esperidi, oppure presso la città di Tartesso, collocata nella penisola iberica e di probabile origine fenicia, da alcuni esegeti identificata con la misteriosa Atlantide. Soltanto narrazioni successive collocarono le tre mostruose sorelle presso i lidi libici. E’ necessario sottolineare, tuttavia, come alcuni autori parlino dell’esistenza di una sola “Gorgona”, senza specificarne il nome, come ad esempio nei poemi omerici, dove la creatura viene individuata tra le Ombre dell’Ade nell’Odissea oppure scolpita sull’egida di Atena nell’Iliade (2). Analizzando le raffigurazioni più datate nel tempo, le tre Gorgoni erano immaginate come esseri orribili di sesso femminile, con ali d’oro e mani di bronzo e con una tipica fisionomia delineata su un ampio viso rotondo sul quale si distingueva una massa intricata di serpenti come chioma. In alcune rappresentazioni bronzee, le tre sorelle presentano addirittura zanne suine ed una corta barba ruvida, adombrando caratteristiche maschili. Soltanto nelle epoche successive, di pari passo all’evoluzione delle elaborazioni artistiche, le Gorgoni furono delineate come fanciulle bellissime, pur con la peculiare connotazione della capigliatura serpentina. Questo particolare filone artistico si ricollega alle descrizioni di Ovidio (3) e di Apollodoro, secondo i quali Medusa era inizialmente una ragazza di straordinaria bellezza, trasformata in mostro dalla vendicativa Atena, per aver avuto rapporti sessuali con Poseidone in uno dei templi dedicati alla dea. Anche sulla tipologia della relazione della Gorgona con il dio del mare le versioni sono discordanti: per alcuni si sarebbe trattato di un rapporto consensuale, mentre per altri la fanciulla sarebbe stata presa con la forza dal dio.

Dopo un’esistenza tutto sommata anonima, la vicenda di Medusa decolla in realtà con la sua uccisione. Polidette, re di Serifo, avrebbe inviato l’eroe Perseo ad uccidere la Gorgona, tendendogli un tranello, sicuro della sconfitta del giovane. L’obiettivo del perfido sovrano era quello di sbarazzarsi di Perseo, per poter essere libero di sposare sua madre Danae. Polidette non fece i conti, però, con la cospirazione degli dèi, favorevole alla vittoria di Perseo. Egli, infatti, ricevette dei sandali alati ed una preziosa bisaccia dalle ninfe dello Stige, l’elmo dell’invisibilità dall’oscuro Ade ed un falcetto adamantino dall’astuto Ermes. A questi validi strumenti, si aggiunse un ingegnoso indottrinamento ricevuto da Athena. La dea promise di condurre l’eroe a Samo, dove gli avrebbe mostrato tre simulacri delle Gorgoni, affinchè Perseo fosse in grado di distingure Medusa dalle altre due sorelle. Raggiunto il luogo dove i tre mostri dimoravano, Perseo sarebbe riuscito a decapitare Medusa, con la mano guidata sapientemente da Athena e ammirandone il riflesso nello scudo per evitare di essere pietrificato, un altro espediente suggerito dall’astuzia della dea. La ferita fu, comunque, produttiva, perchè da essa emersero il cavallo alato Pegaso ed il gigante Crisaore, come prole che la sfortunata Gorgona aveva concepito nell’amplesso con Poseidone. Invano le due sorelle, una volta svegliatesi, cercarono di inseguire Perseo, per riprendersi la sorella. Questi riuscì a fuggire, montando Pegaso e portando via con sé la testa di Medusa in un sacco. A questo punto della storia, le versioni confluiscono nella narrazione tradizionale, secondo cui Perseo portò con sé la testa di Medusa che, anche dopo l’orrenda morte per decapitazione, non avrebbe perso il potere di pietrificare i malcapitati osservatori con lo sguardo. Il giovane eroe si servì della testa della Gorgona per togliersi parecchie soddisfazioni ed eliminare numerosi nemici (4).

A tale proposito, tra le varie leggende si racconta il passaggio di Perseo in Africa, od in un territorio chiamato “Esperia”, dove Atlante (5), uno dei tanti discendenti di Zeus, avrebbe tentato di ucciderlo. Grazie alla portentosa testa di Medusa, Perseo lo pietrificò, al punto che da questo confronto nacque l’attuale ed imponente catena montuosa dell’Atlante. Ed ancora, il baldo giovane riuscì a pietrificare il mostro marino che voleva sopraffare Andromeda, sfortunata principessa d’Etiopia incatenata dallo stesso padre, che sarebbe poi diventata sua moglie. La testa della Gorgona fu utile a Perseo anche durante il movimentato pranzo di nozze, quando Fineo, lo zio di Andromeda, al quale era stata inizialmente promessa in moglie, entrò con prepotenza nella sala del banchetto accompagnato da un numeroso gruppo di seguaci.
Dopo un sanguinoso combattimento, condotto quasi ad armi pari, Perseo tirò fuori il coniglio dal cilindro, cioè la testa di Medusa, pietrificando gli oppositori superstiti. Rientrato in patria ed avendo scoperto che Polidette stava per costringere sua madre Danae a sposarlo, Perseo pietrificò anche lui e, seguendo alcune versioni, non risparmiò nemmeno il proprio nonno Acrisio, quando il vecchio tentò di bloccare il suo passaggio attraverso i propri possedimenti. Si ignora dove la tradizione collochi con precisione il corpo della Gorgona, ormai privato della testa, anche se i racconti di origine attica lo descrivono sepolto sotto l’agorà di Atene. Quanto alla testa, Perseo, in segno di rispetto e di riconoscenza, la consegnò ad Athena, che ne fece uno dei suoi più potenti ed emblematici simboli, posizionandola al centro della sua egida. La stessa dea avrebbe, in seguito, ceduto parte dei capelli della Gorgona ad Eracle, deponendoli all’interno di un vasetto. I capelli di Medusa avrebbero provocato lo stesso effetto pietrificatore dell’intera testa nei confronti degli sventurati osservatori.

Sull’origine del mito di Medusa sono state avanzate molteplici ed interessanti interpretazioni. Innanzitutto occorre fornire qualche cenno in merito all’etimologia del termine. In greco antico, derivando dal verbo medo (proteggere), il sostantivo Médousa, avrebbe il significato di guardiana, protettrice ed, in maniera traslata, anche di guerriera. Pausania, infatti, nella sua significativa opera Periegesi della Grecia (6), sosteneva la tesi che Medusa fosse stata la sovrana delle popolazioni che occupavano la regione prossima al lago Tritone, dopo la morte di suo padre Forco. Durante una battaglia, Medusa, come condottiera della sua gente, sarebbe stata sconfitta dalle truppe di Perseo che, colpito dalla sua bellezza, o forse, come potrebbe essere più plausibile, per acquistare più prestigio presso i propri sudditi, ne avrebbe staccato la testa per esibirla come trofeo. Seguendo più o meno lo stesso filone, Diodoro Siculo ipotizzò l’origine delle Gorgoni come appartenenti ad una razza di donne guerriere sparse nei territori interni della Libia, contro le quali avrebbe combattuto l’onnipresente Perseo. Nell’ambito artistico, la mitica Medusa è stata da sempre rappresentata, suscitando sentimenti contrastanti di fascino e di repulsione e rivelando le paure ancestrali dell’animo umano, come se si trattasse di un archetipo junghiano. Nelle prime raffigurazioni Medusa presenta una grande bocca in posizione ghignante e provvista di zanne sporgenti, con la grossa lingua vorace ben in vista, gli occhi a mandorla quasi orientali ed i capelli anguiformi, ovvero formati da sottili serpenti aggrovigliati. Se si osservano le più antiche raffigurazioni, risalenti all’VIII/VII secolo a.C., si nota che il volto è scolpito in maniera frontale, mentre il resto del corpo, con l’aggiunta di ampie ali, è ammirato di profilo nell’atto di intraprendere la tipica “corsa in ginocchio” (7). Gli studiosi ritengono che, in epoca arcaica, l’effigie di Medusa, in una consuetudine comune alla maggior parte delle rappresentazioni artistiche, avesse una funzione “apotropaica”, cioè fungesse da protezione contro i malefici. Del resto, come abbiamo già detto in precedenza, la stessa etimologia del nome Medusa si ricollega ai significati di “proteggere” e di ”custodire”. Il principio era quello che “l’orrido scaccia l’orrido” e, pertanto, nell’antichità si tendeva ad esorcizzare le proprie paure interiori, dando forma ad esseri immaginari che racchiudessero aspetti terribili. In tale contesto deve essere considerato il fatto che il volto di Medusa è stato ritrovato scolpito su numerosi templi greci ed entruschi, come “antefissa”, con lo scopo di proteggere dall’alto l’edificio sacro (8).

Nell’arte greca il volto di Medusa era spesso raffigurato sulle ceramiche e “dentro un tondo”, come espressione emblematica dello scudo di Athena. Nel corso del V secolo a.C., non a caso nell’epoca di maturazione classica della cultura greca, il volto di Medusa assume fattezze più decisamente femminili, che accentuano il contrasto con la capigliatura serpentina. In tale versione più addolcita, Medusa diviene patrimonio dell’arte romana, come testimoniano i numerosi, vivaci e colorati affreschi pompeiani, dove la testa della Gorgona è spesso unita alle gesta dell’astuto Perseo. Nei secoli del Medioevo non si attestano raffigurazioni significative della celebre Gorgona, a similitudine di quanto avviene per il resto dei personaggi della mitologia classica. Il potere politico acquisito dalla Chiesa di Roma manipola ed orienta la concentrazione dei prodotti artistici su temi di carattere biblico, considerando blasfema ogni altro tipo di elaborazione. E’ anche vero che proprio nell’età medioevale, non così oscura come vorranno farci credere gli Illuministi, inizia a svilupparsi quel processo di sincretica assimilazione tra la cultura cristiana e quella classica che troverà compimento nell’Umanesimo letterario e nel Rinascimento artistico. Nella capitale europea della rinascita antropologica, cioè Firenze, troviamo infatti la prima rappresentazione moderna rilevante della mostruosa Gorgona. Si tratta del Perseo con la testa di Medusa, il complesso scultoreo bronzeo ultimato da Benvenuto Cellini nel 1554 per arricchire la Loggia dei Lanzi della città toscana (9).

I critici hanno sottolineato come il Cellini abbia cercato di evidenziare il contrasto tra la forza morale dell’eroe vincitore e la ferinità del mostro sconfitto, il cui volto appare dormiente e privo di “pathos”. Nel 1597 il Caravaggio completa una delle più famose raffigurazioni di Medusa, attualmente conservata nella Galleria degli Uffizi. La testa della Gorgona è decontestualizzata dalla tragica vicenda di cui è indicata come protagonista, mentre sembra quasi riaffiorare l’antico fine di stampo apotropaico. L’opera del Merisi, così intensamente intrisa di sensibilità barocca, sembra uscita da una pellicola cinematografica dell’orrore di alcuni secoli dopo: la bocca del mostro in un grido di terrore che sembra quasi sonoro, gli occhi impressionanti, i serpenti che guizzano sul capo ed il sangue che scende abbondante dal collo sgozzato sono tutti elementi plastici di incredibile realismo (10). Quasi raccapricciante è la versione del pittore fiammingo Pieter Paul Rubens che nel 1618 dipinse la testa di Medusa adagiata a terra e circondata da un folto numero di serpenti e di rettili ripugnanti. Rubens collega la sua opera alla leggenda mitologica, secondo cui ogni goccia di sangue del mostro caduta sul terreno avrebbe dato origine ad un serpente, mentre ogni goccia caduta in mare avrebbe generato un ramo di corallo. Raffinato, armonico ed impareggiabile è il busto scultoreo del Bernini eseguito verso la metà del XVII secolo, che sembra come una fotografia di Medusa prima della decapitazione, quando la Gorgona si rende conto dell’astuto e vincente stratagemma di Perseo che la sta per indurre a riflettersi sullo scudo, cadendo vittima del suo stesso maleficio. Negli ultimi decenni del diciannovesimo secolo, artisti come Bocklin, Von Stuck e Klimt esprimeranno un’idea del tutto diversa del mostro, raffigurandola come un essere dal fascino morboso ed inquietante, in un’atmosfera culturale predominata dal Decadentismo. Dell’epoca recente segnalo la suggestiva versione policromatica elaborata da Renato Gattuso nel 1985, come omaggio al grande Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio.

Nell’esegesi del mito, come potremmo non accorgerci che in realtà Athena e Medusa sono le due facce della stessa medaglia? Prima di tutto occorre precisare che i serpenti erano animali sacri alla dea, come dimostra una famosa statua di Fidia e come riportano alcuni poemi orfici che chiamano Athena “la Serpentina”. Inoltre, lo stato ipnotico era costantemente associato alla dea dagli occhi cerulei, definita molto spesso “con uno sguardo che non batte ciglio”, a similitudine di un altro animale a lei molto caro, la civetta. A ciò si deve aggiungere la funzione apotropaica durante le battaglie della testa della Gorgona incisa sugli scudi. Nei momenti di collera, necessari al buon esito di ogni conflitto, la dea Athena doveva assumere proprio le sembianze del mostro per terrorizzare i nemici. Questo indissolubile legame tra le due figure fu ancora più sentito nella religiosità romana, in quanto la testa di Medusa veniva solitamente incisa affiancata da teste di leone o di lupo, per rimarcare la pericolosità e la potenza delle legioni romane, guidate da Minerva (Athena). La dea era vista come l’ispiratrice delle tattiche vincenti che dovevano adottare i comandanti degli eserciti, mentre Marte era per lo più associato alla forza virile dei soldati. Quando si diffondeva il furore della battaglia, si risvegliava la Medusa ed a lei si rivolgeva la truppa nei momenti di panico e di scoraggiamento. Tra i condottieri romani, seguaci di Minerva, spicca l’imperatore Nerva, che si affidò alla Medusa per ottenere le vittorie del suo esercito, attraverso sostanziose promesse votive e suppliche. L’elemento principale che accomuna Athena e Medusa è proprio la testa. La prima nasce dalla testa del padre Zeus, la seconda continua a svolgere le proprie terribili funzioni, anche dopo la decapitazione.

Dal punto di vista simbolico le tre Gorgoni rappresentano il simulacro della perversione: Euriale incarnerebbe la perversione sessuale, Steno quella morale, mentre Medusa sarebbe il simbolo del tipo di perversione forse più pericoloso, quella intellettuale. Nella parte iniziale, tuttavia, abbiamo detto che alcune fonti, in particolare Omero, menzionano l’esistenza di una sola Gorgona, annoverata tra i guardiani più spaventosi dell’Ade, il regno dell’Inferi. Alcuni studiosi hanno rilevato come la Gorgona originaria conservi alcuni aspetti della Dea Serpente dell’età neolitica (11). Il serpente è, in tal senso, un simbolo molto potente del movimento inarrestabile di ogni processo naturale che, mutando di continuo pelle, cambia sé stesso. Pertanto, il serpente ben può essere visto come il sommo conoscitore dei segreti della trasformazione che possono portare all’immortalità dell’anima. Tra i tanti significati attribuiti al serpente, non possono sfuggire i richiami all’erotismo ed alla sensualità, alludendo alla completezza del principio maschile e di quello femminile. Non a caso l’Ouroboros (12), il Sacro Serpente, rimanda alla totalità del cerchio che non presenta né un inizio, tanto meno una fine. Ed ancora, Medusa, unica Gorgona mortale e violata dal dio del mare, appare quasi come la metafora della decadenza del matriarcato a vantaggio del patriarcato. Come abbiamo visto, in molte versioni del mito, Medusa si trasforma da vergine bellissima in orribile mostro. Per alcune fonti la causa del cambiamento sarebbe la sua stessa vanità, mentre per altre la violenza esercitata da Poseidone. In entrambi i casi l’attenzione si focalizza su una delle parti del corpo, considerate più emblematiche dagli antichi, soprattutto nelle donne, i capelli che da strumento di fascino e di seduzione sono catapultati in una dimensione di terrore e di morte.

Il mito di Medusa richiama uno dei temi più cari al mondo intellettuale greco: non fermarsi alle apparenze e cercare di osservare il mondo con uno sguardo nuovo. Nel corso della nostra esistenza siamo portati a considerare la realtà in maniera statica, relegando ogni percezione negli ambiti dei termini e dei giudizi preconfezionati dall’ambiente sociale di appartenenza. Il racconto di Medusa, invece, invita il lettore a non avvicinarsi alla conoscenza della realtà come entità statica, cercando di abbracciarne e comprenderne i misteri. Come dalla decapitazione di Medusa vengono liberati il cavallo Pegaso ed il gigante Crisaore, simboli inequivocabili dell’energia spesso nascosta nella nostra mente, così potrebbe avvenire per l’essere umano che riesce ad affrancarsi dal proprio modo convenzionale di osservare i fenomeni del mondo circostante, aprendosi ad una dimensione spirituale in grado di sublimare quella materiale. Ed in maniera sorprendente, forse non casuale, il mito di Medusa sembra quasi anticipare alcune scoperte della neuropsichiatria moderna. Mi riferisco alla leggenda, secondo la quale, dopo la decapitazione della Gorgona, dalla vena sinistra sarebbe sgorgato veleno mortale, mentre da quella destra un miracoloso liquido capace di resuscitare i morti e di infondere forza e coraggio nei combattenti. Ebbene, la scienza moderna ha associato il pensiero logico e razionale all’emisfero sinistro del cervello, mentre nella parte destra ha collocato la sede del pensiero creativo ed intuitivo, nonché dell’immaginazione. Non vi è dubbio che Medusa, così strettamente legata alla morte, possa essere considerata un simbolo iniziatico. Solo in apparenza la Gorgona racconta una storia di sconfitta e di emarginazione, in quanto nella realtà assume un’alta valenza generativa, quale icona di metamorfosi al di là del contingente. Emblematici sono le parole che Dante mette sulla bocca di Virgilio nel canto IX dell’Inferno: “Volgiti ‘n dietro e tien lo viso chiuso: chè se ‘l Gorgòn si mostra e tu ‘l vedessi, nulla sarebbe di tornar mai suso”. L’espressione del somma poeta, attraverso l’espediente narrativo riferito alla terribile Gorgona, sembra rivolgersi all’essere umano ed al suo mancato incontro con il proprio io interiore, dal quale teme di essere “pietrificato”. In ambito psiconalitico, Freud avanzò un’interpretazione pansessuale del mito di Medusa, indicando la testa mozzata della Gorgona come una raffigurazione emblematica del complesso di evirazione (13). All’opposto, la filosofa femminista Helene Cixous, nel saggio Il riso di Medusa (14), descrive la creatura come vittima del patriarcato, punita con la mostruosità, per essersi ribellata al dominio virile che allora reggeva l’equilibrio tra le leggi divine e quelle umane.

Nella cultura di massa contemporanea, Medusa è stata privata del suo fascino originario, diventando un strumento antagonista in romanzi, film e cartoni animati di serie b e perdendo ogni collegamento con il suo significato mitologico. Molto spesso le creature chiamate “Meduse” vengono sintetizzate come “razza” e rappresentate in maniera del tutto diversa dall’icona di ellenica memoria, riprendendo, in qualche modo, la classificazione della zoologia moderna che ha comunemente denominato con il nome della terribile Gorgona l’animale marino planctonico, a forma di polipo rovesciato, i cui tentacoli sono stati paragonati ai capelli serpentini del mostro. Ed il volto della Gorgona è entrato a pieno diritto perfino nel mondo della Moda, scelto come “logo” della Casa fondata alla fine degli anni Settanta del secolo scorso da Gianni Versace. Secondo la probabile intenzione dello stilista, l’emblema doveva perseguire uno scopo ben preciso: le donne che avrebbero indossato gli abiti prodotti dal suo marchio, avrebbero esercitato un tale fascino che nessuno sarebbe stato in grado di distogliere lo sguardo. L’immagine di Medusa, l’altra faccia di Athena, così somigliante alle raffigurazioni della dea induista Khali, che distrugge la vita per consentirle di rigenerarsi, ci pietrifica con il suo aspetto sconvolgente, come se ci intimasse “Tu da qui non passerai”, ma nello stesso tempo ci invita ad andare oltre le apparenze ed a superare le barriere che ci separano dalla nostra vera essenza interiore, cambiando prospettive e modalità di osservazione.

Note;

1 – Cfr. Andrea Piancastelli, Il fascino di Medusa tra arte, mito e leggenda, Ed, StreetLib, Milano 2017;
2 – Cfr. Jean Clair (traduzione di Valeria La Via e di Giancarlo Ricci), Medusa, Ed. Abscondita, Milano 2021;
3 – Cfr. Ovidio, Le Metamorfosi (IV, 709-801);
4 – Cfr. Sabina Colloredo, La bellezza di Medusa e gli altri volti del mito, Ed. De Agostini, Milano 2019;
5 – Secondo la tradizione mitologica, Atlante fu un titano di seconda generazione, figlio di Giapeto e dell’oceanina Asia. Era considerato sovrano della Mauretania ed il primo ad aver approfondito la scienza dell’astronomia;
6 – Pausania scrisse Periegesi della Grecia nel secondo secolo dopo Cristo. In estrema sintesi l’opera costituisce un trattato di carattere geo-storiografico;
7 – Una delle più celebri rappresentazioni di Medusa, nella posa della “corsa in ginocchio”, fu scolpita sul tempio di Artemide a Corfù, isola greca nel Mar Ionio, risalente al 590 a.C. circa;
8 – Cfr. Autori Vari, Occhi di tenebra- Il mito di Medusa in 26 racconti, Delmiglio Editore, Verona 2015;
9 – La Loggia dei Lanzi è uno dei più famosi monumenti storici del capoluogo toscano, situata in Piazza della Signoria a destra di Palazzo Vecchio ed accanto agli Uffizi;
10 – Cfr. Cataloghi di mostra, Caravaggio-La Medusa, Edizioni Silvana, Milano 2004;
11 – Le immagini della “dea serpente” si diffusero soprattutto nella civiltà minoica, con particolare riferimento ai rituali della fecondità. Molte statuette in maiolica, raffiguranti la dea, furono ritrovate nella camera sotterranea del tesoro del santuario del palazzo di Cnosso;
12 – Cfr. Jeremy Narby, Il serpente cosmico. Il DNA e le origini della conoscenza, Editore Venexia, Roma 2006;
13 – Sigmund Freud scrisse il breve saggio “La testa di Medusa” nel 1922;
14 – Helen Cixous pubblicò il saggio “Il riso di Medusa” nel 1978.

Luigi Angelino

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