23 Aprile 2024
Arte Ermetica

I guardiani della soglia – Walter Venchiarutti

Non solo a Crema, da cui è tratta la seguente campionatura, ma in tutte le città italiane esistono nel centro storico una nutrita serie di particolari, a torto considerati insignificanti, che contribuiscono alla definizione del Genius Loci. Queste piccole specificità, solitamente passano quasi sempre inosservate a causa della frettolosa cecità dei passanti, mentre meriterebbero una pur doverosa attenzione.

I piccoli manufatti che un tempo permettevano l’accesso alle dimore signorili e popolari, denominati picchiotti, batacchi, battiporta, solo apparentemente considerati oggetti di scarso interesse, conservano invece una precisa storia. infatti questi semplici oggetti, dietro un ermetico simbolismo, possono celare complessi messaggi. Se abbiamo la pazienza nel saperli esaminare con attenzione possono raccontare interessanti storie. Parlano della disponibilità, misurano l’arroganza, la serenità o l’irrequietezza, documentano gli stati d’animo, i sentimenti che hanno pervaso i rispettivi abitanti. In passato, come nel presente, questi esemplari d’uso comune, malgrado la sparuta consistenza numerica e le pretese artistiche, offrono la possibilità di poter stabilire il graduale stato di fiducia e la diffidenza che i nostri antenati hanno saputo riservare al loro prossimo.

Gironzolando per le vie di una qualunque città, facendo tappa nelle stradine secolari, anche il più distratto dei visitatori, se sofferma lo sguardo incuriosito ai portali storici, può ancora osservare la singolare varietà degli antichi battenti. L’analisi risulta ancora più sorprendente se paragonata all’anonimato che accomuna i moderni analoghi accessi, dove stazionano alcuni marchingegni frutto della recente tecnologia: quadro pulsanti, videocitofoni, telecamere ecc… La modernità ha da tempo rimpiazzato gli antichi guardiani della soglia. Con tale denominazione non si vogliono indicare speciali entità misteriche bensì le antiche finiture in metallo che un tempo sapevano ingentilire i portali e richiamavano l’attenzione dei padroni di casa quando l’elettricità non aveva ancora sostituito l’abitudinario secolare esercizio manuale. Miracolosamente alcuni “reperti” sono scampati ai restauri degli edifici e alle selvagge ristrutturazioni, spesso condotte in modo irrispettoso e incurante. Così una minima parte dei vetusti cimeli è riuscita a vincere le sfide del tempo e, sfuggendo alle smanie innovative degli ultimi proprietari, ha evitato d’esser relegata nelle vetrine dei musei, esposta alla vendita nei mercatini dei ferrivecchi, in botteghe d’antiquariato o di finire nelle collezioni private di qualche vorace estimatore.

Il loro secco rintocco può ricordare l’eco di inconsuete e perdute sonorità, richiamo a epoche lontane. Pur apparentemente corrosi dal tempo, anche i più modesti batacchi spesso mostrano d’essere frutto di una raffinata abilità artigianale, di aver avuto origine dalla esuberante inventiva raggiunta dai nostri fabbri in quadratura. Alcuni dei manufatti, pur nell’essenziale sobrietà delle forme, suggeriscono l’efficace funzionalità del compito a cui erano stati deputati. Dietro tali silenziose reliquie si celano idee e simboli. L’intenzione è cercare la decifrazione, per quanto possibile, del linguaggio criptico derivato dalle mode e suggerito dai gusti del momento in cui sono stati forgiati. Al pari dei documenti o delle tradizioni orali, per chi antropologicamente sa coglierne il significato originario, rappresentano precisi segni e possono fornire preziosi indizi in quanto sono portatori di credenze, comportamenti, usanze proprie delle passate generazioni.

Non reggono al loro confronto i più recenti apparati, adottati da moderni proprietari in vena di revival. Spesso i vecchi manufatti sono stati trafugati e a loro testimonianza rimangono solo le borchie di sostegno. In altri casi sono stati brutalmente eliminati e sostituiti con nuovi picchiotti, piuttosto anonimi e seriali. Nello specifico, anelli d’ottone similoro fanno bella mostra di sé in ammodernati palazzi dove è prevalso il gusto finto-antico degli inquilini. Resta comunque interessante il paragone con i picchiotti che ornavano le entrate umili o aristocratiche del passato. Gli ultimi arrivati mostrano il distintivo di una ostentata opulenza, sovente riflesso dell’odierna spavalderia economica. I vecchi manufatti, anche quando definivano lo status simbol recano traccia delle primitive prerogative (il buongusto, la discrezione) e delle motivazioni (la funzionalità) che erano chiamati a svolgere. Nessuno sognerà mai di avvalersi manualmente dei recenti prodotti o li utilizzerà per render nota la sopraggiunta presenza. Così vengono preclusi ai posteri i messaggi di una estetica non priva di utilità e di grazia decorativa. La mancanza di buon gusto e la serialità hanno insieme definitivamente obliterato le intuizioni tramandate dal messaggio simbolico, espresse dal richiamo mitico, privandoci di un patrimonio di valori divenuti incomprensibili alla sensibilità dell’utente moderno. La scelta dei casalinghi guardiani, operata nella gamma di animali ferocemente minacciosi, mascheroni spaventevoli, oggetti apotropaici e personaggi benaugurali dipendeva da preferenze in gran parte dovute alla predisposizione psicologica del proprietario. Tali decisioni comportavano problematiche legate all’accoglienza. Erano segni della disponibilità ospitale, sintomi del timore o del piacere verso lo sconosciuto visitatore che si apprestava a varcare la soglia privata e accedeva all’intimità della dimora. A ragione gli antichi campanelli possono essere considerati la primitiva vera protesi, utilizzata dall’uomo per poter comunicare; una sorta di telefonino ante litteram che, a suon di colpi, metteva in relazione gli interlocutori.

Seguendo le leggi di dinamica del pendolo, il battente vero e proprio risulta formato da tre elementi: 1) lo snodo, cioè la parte fissata alla parete 2) il corpo o la parte mobile, 3) la testa, a forma di chiodo, dado o borchia è l’elemento terminale che batte sulla porta. Sono state definite le categorie di questi arredi da porta solitamente in ferro o in bronzo. I picchiotti in ferro di norma compaiono singolarmente sui portali, mentre quelli in bronzo, seguendo canoni estetici figurano spesso accoppiati. Nell’antichità presso Greci e Romani tali manufatti fungevano da vere e proprie maniglie, per aprire e chiudere. Questa deduzione è testimoniata dalla forma dell’impugnatura ad anello, priva di testa rinforzata. Successivamente nel medioevo diventò preponderante la funzione di sicurezza che si concretizzò mediante l’utilizzo di teste a martello o a ricciolo e di battenti costituiti da aste verticali ripiegate in basso. Tale evoluzione venne determinata dalla posizione delle porte che nel mondo classico di solito rimangono aperte durante le ore diurne. Successivamente, per motivi di sicurezza privata, nell’età di mezzo restano chiuse. In periodo rinascimentale ricompare il battente tipo anello nelle tre diverse varietà: il puro anello, di forma rotonda; a staffa o modificato, quando la larghezza supera l’altezza e infine a lira, con la presenza di un dado centrale con le estremità aperte e contrapposte, tipologia riscontrata in area latina (Italia, Francia, Spagna).

Raffigurazioni presenti nei picchiotti

Nel loro insieme le tipologie sono alquanto diversificate. Ai motivi zoomorfi e fitomorfi si assommano gli antropomorfi o quelli legati alla più comune oggettistica. Sono numerosi i soggetti raffiguranti animali, alquanto secondario è l’elemento vegetale, per lo più costituito da palmette, foglioline alquanto indecifrabili e difficili da catalogare.

Figura 1

I delfini (Fig. 1) Nelle raffigurazioni proposte dalla campionatura rilevata per varietà e attrattiva spiccano i battenti che rappresentano coppie di delfini. I mammiferi marini assumono la caratteristica forma a cerchio mentre si congiungono, oppure sembrano baciare la maschera di Poseidone. Questi cetacei fin dall’antichità erano considerati dai naviganti dei buoni compagni di rotta. Ad essi erano attribuite le qualità dell’intelligenza, della velocità, dell’amicizia, ma soprattutto venivano equiparati a protettori della gente di mare, guide sicure per i nuotatori. I portentosi salvataggi di Arione, Taras, Melicerte, narrati nella mitologia classica, vedono protagonisti i delfini. Nel Cristianesimo il mammifero marino assumerà poi il ruolo di pesce per eccellenza allusivo del Cristo (A. Cattabiani, Bestiario Ed. Nuova, Novara 1984, p.59). L’acrostico Icthus (Iesous Christos Theou Uios Soter, Gesù Cristo di Dio figlio, Salvatore) con significato eucaristico diventerà il simbolo stesso del Salvatore, amico dell’uomo.

Figura 2

Il leone, la pantera, il cane (Fig. 2) Tra gli animali più rappresentati e rappresentativi vi è il leone di cui solitamente viene riprodotta la protome con criniera a raggiera, a fogliame, ricciolata e fluente. Il felino è rappresentato mentre morde con le fauci i margini del battente. L’aspetto mansueto si alterna a quello feroce quando digrigna i denti. Spesso in atteggiamento quasi caricaturale appare dimesso e quasi impaurito, mentre aggrotta le sopracciglia e ostenta vezzosi orecchini sferici. A volte è mostrato rampante e il corpo slanciato denota tutta la possente struttura muscolare. La forza e il coraggio sono i distintivi intervenuti nella sua scelta a naturale guardiano della soglia. Nell’antesignano dei bestiari Il Fisiologo (a cura di F. Zambon , Ed. Adelphi, Milano 2002, pp.39,40) al re della foresta sono attribuite tre nature: la prima è la spiritualità vittoriosa, la seconda esser ritenuto campione della vigilanza continua, infatti si riteneva dormisse ad occhi aperti. La terza natura è la ritenuta capacità di poter destare dal sonno della morte. Vi è pure una versione femminile: quella della pantera, animale che in passato ha rivestito funzione di psicagogo, educatore dello spirito, amico della luce, sinonimo di forza e protezione della vita terrena. Tra i tanti soggetti esaminati non manca la figura del cane che in un portale accostato al leone occupa però una posizione subordinata. Nei testi sacri dell’antichità il più sincero amico dell’uomo non ha mai goduto di buona reputazione, basti pensare alla derivazione semantica della parola cinismo. La sua riabilitazione è avvenuta in epoca cristiana.In seguito l’epopea medioevale ha reso giustizia facendolo diventare campione di fedeltà e di custodia.

La salamandra, il serpente (Fig. 3)

Figura 3

Tra i bussarelli a martelletto riscontrati alcuni presentano un terminale non a ricciolo ma rettilinea o leggermente sinuosa, tanto da ricordare lo stilizzato e longilineo corpo della salamandra. Questo animale era ricorrente nei battenti in ferro massiccio del XV secolo. I miti antichi lo celebravano quale creatura incombustibile, capace di uscire indenne da qualsiasi fiamma per merito delle intrinseche virtù ignifughe. Era proposto a simbolo della giustizia, della castità e della verginità perché identificava l’uomo retto, il santo, colui che sa allontanare il vizio. Anche nei blasoni araldici è considerato sinonimo di purezza e integrità del casato (Louis Charbonneau-Lassay, Il Bestiario del Cristo, vol. II, Ed. Arkeios, Roma 1994, p. 468). Nei campanelli manuali a martello è frequente imbattersi nella riproduzione del serpentello. La vipera adornava le tiare dei faraoni e assolveva ad uno specifico compito difensivo. Luce, divinità, spirito degli antenati si riteneva dimorassero in queste creature rispettate e venerate in Africa, in Oriente, nell’Occidente greco e nella Gallia druidica (Louis Charbonneau-Lassay, citato, vol. II, p. 40). La versione negativa giunta fino a noi e che pesa genericamente sugli squamati è iniziata del libro della Genesi, con il racconto del serpente tentatore ed è proseguita nel linguaggio cristiano, quale personificazione di Satana. Quindi i rettili costituiscono un avviso di pericolo e attenzione rivolto a chiunque si avvicina.

Figura 4

Il grifone (Fig. 4)

La nascita del grifone come creatura leggendaria con corpo di leone e testa d’aquila è collegata al simbolismo assiro. Il grifone leonato a forma di rettile assume nell’immaginario antico il significato di potenza ibrida. Conserva la forza della fiera, il coraggio del rapace e appare raffigurato sui grandi portali delle cattedrali gotiche a guisa di dispensatore di saggezza e sapienza ed è custode di tesori (J. Chevalier A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli, Rizzoli, Milano 1989, p. 533).

Il cavallo (Fig.5)

Meno frequente e tuttavia intrigante si presenta la testa del cavallo. In particolare se accompagnata dal relativo ferro scaramantico. La credenza della natura divina di questo animale è accertata presso vari popoli e solitamente si associa al mondo ctonio delle tenebre, ricco di poteri magici (Jean Chevalier, Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli, vol. I, Rizzoli, Milano 1989). Nel cristianesimo viene considerato alternativamente simbolo cristologico dello spirito profetico, che

Figura 5

permette il superamento degli ostacoli costituiti dal tempo e dallo spazio, mentre per l’indocilità e la presunzione è sovente accostato all’immagine di Satana. Nell’esempio locale, a causa della sua certificata eccezionalità, potrebbe indicare una speciale predilezione, riservata dal proprietario della domus. La comparsa aggiuntiva del ferro talismanico conferma lla volontà benaugurale. Il ferro di cavallo deve alla forma di mezzaluna ristretta l’associazione ai culti lunari e la reputazione di qualificato portafortuna (Louis Charbonneau-Lassay, citato, vol. I, p. 330). Per le proprietà scaramantiche veniva appeso ai muri delle case al fine di propiziare la sorte. Frequentemente è stato ritrovato nelle sepolture galliche e in quelle cristiane con il compito di garantire sicurezza al viaggio del defunto.

La conchiglia (Fig. 6)

Figura 6

L’elemento marino della conchiglia può essere abbinato al delfino. Il mitile già nelle civiltà neolitiche veniva equiparato all’essere umano, corrispondente del suo corpo fisico, mentre l’anima era costituita dal mollusco/contenuto. I Latini chiamavano Veneria quel particolare tipo di conchiglia che accompagna le immagini di Venere. La dea restava legata a riti di purificazione-fertilità, ad essa venivano attribuite particolari virtù curative e la forza di poter annullare il malocchio (Paolo Caucci, La conchiglia come simbolo del pellegrinaggio a Santiago de Compostela, in «Vie della Tradizione» n. 1, Palermo 1971, p. 29). La capasanta ha poi assunto nella concezione santiaghista la funzione terapeutica che magicamente protettiva, insieme a quella del viaggio iniziatico porta alla conoscenza, al risveglio, alla salvezza e alla rigenerazione (Angelo Terenzoni, Verso l’estremo occidente: il cammino di San Giacomo, E.C.I.G., Genova 1985, p. 148). La conchiglia di San Giacomo, volta alla parte convessa striata, è diventata sinonimo di riconoscimento dei viandanti che si recavano in pellegrinaggio a Santiago de Compostela e cucivano las vieiras sulle loro cappe. Quando invece ne resta esposto l’interno, la parte concava diventa espressione di benvenuto, disponibilità e accettazione.

Figura 7

La staffa (Fig. 7)

Forse non è del tutto casuale la forma a staffa che distingue moltissimi battiporta. In questo caso la significativa sagomatura potrebbe essere in stretta connessione con il cosiddetto bicchiere della staffa, l’ultima bevuta prima della partenza. La raffigurazione varrebbe ad assumere il sinonimo di approdo o distacco dalla dimora consueta. Sovente questi oggetti sono stati pazientemente intarsiati o si sposano a indefiniti elementi fitomorfi.

I cerchi o torques (Fig. 8)

Figura 8

Alcuni battenti circolari ricordano nella forma, nelle decorazioni (terminanti con teste d’animali o con motivi vegetali) i torques, in uso presso le tribù galliche. Oggetti mistici, distintivo di maturità virile e dignità guerriera (Aa.Vv., Simboli, Garzanti Libri, Milano 2005, p. 548), avvicinavano il portatore alla divinità e lo proteggevano contro ogni nemico.

Elementi antropomorfi (Figg. 9,10.11)

Figura 9

Sono alquanto varie le raffigurazioni umane che appaiono poste a tutela delle magioni e spesso si rifanno a immagini legate a miti dal significato contrastante, riconducibile alle funzioni di sorveglianza o alla disponibilità.

La bella testa di Apollo coronata d’alloro è anch’essa una preziosa testimonianza compresa nei battiporta cremaschi. Il dio, di cui è noto il legame con i delfini, ha tra i tanti epiteti quello di Apotropaeos (colui che scaccia e tiene lontano il male e le malattie). Nel contesto esaminato riveste il ruolo di elemento profilattico, posto alla salvaguardia preventiva della inviolabilità casalinga.

Figura 10

Putti, angioletti e mascheroni spesso figurano insieme e attestano la voluta antitesi tra il bello e l’orrido, il brutto e il cattivo, l’attrazione e la repulsione. Gli amorini alati sono rappresentanti con forme decorative e allegoriche passate dal paganesimo al cristianesimo. In qualità di figurazioni angeliche gioiose annunciano i sentimenti d’amore, tenerezza e disponibilità ai giochi conviviali. I mascheroni pur risalenti all’antica Grecia ebbero fortuna in epoca tardo barocca. Di aspetto anacronisticamente sorridente e beffardamente ostile (mostrano la lingua e le orribili dentature), oltre ad assolvere compiti puramente estetici, lanciano messaggi d’avvertimento volti a tener lontani gli estranei. Fungono da monito a eventuali malintenzionati e con le orribili deformità lanciano inviti all’osservanza delle leggi.

Non manca nella campionatura esaminata l’esotica donna-sfinge di egiziana provenienza, già protettrice delle tombe faraoniche, posta con uguale scopo davanti al portale dei templi. Custode, secondo il credo massonico, dei misteri assume il compito d’avvertire chi penetra nel recinto sacro/privato e tace le conoscenze ai non iniziati. Nel caso specifico comunica un sottinteso invito alla discrezione.

Figura 11

Come è noto la positura della mano può comunicare un vero e proprio linguaggio, si possono tradurre i pensieri in gesti comprensibili e trasmettere stati d’animo, sentimenti d’amore e d’odio, infondere paura o coraggio, esprimere amicizia o avversione. Il dorso che appare adottato nei battiporta casalinghi richiama la sacralità ed è un monito al rispetto e come afferma Louis Charbonneau-Lassay: «In tutto il vecchio mondo, la mano distesa esprimeva la presenza della Divinità» (Louis Charbonneau-Lassay, citato, vol. I, p. 187).

2 Comments

  • Marcus Holder 25 Settembre 2020

    Complimenti.
    Bellissimo resoconto a monito della troppa facilità con cui la modernità recide i fili della nostra memoria storica.

  • francesco zucconi 26 Settembre 2020

    Veramente un bel lavoro che fa riaffiorare il senso di che cosa dovrebbe essere una civiltà.

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