13 Aprile 2024
D'Annunzio Enea Fiume Punte di Freccia

Fiume e la nostalgia per il futuro


di Mario M. Merlino
Cosa spinge tanti di noi a recuperare l’immagine di Fiume dannunziana? E, va da sé, al di là dell’anniversario, pur doveroso, legato alla nascita del Poeta. Scrivevo della ristampa dei libri di Mario Carli e di Tom Antongini, freschi di stampa (aprile 2013), e che contribuiscono a darci la vicinanza a quell’evento di cui abbiamo letto soprattutto sotto le forme del saggio. Io stesso ne ho tratto un breve capitolo in Inquieto Novecento. Ci immergono in atmosfere voci odori pulsioni slanci all’interno della cattedrale di San Vito osservando la Torre Civica sulla cui cupola svettava l’aquila, simbolo della città, e soffermandosi davanti ai banchi di piazza delle Erbe, tipica fra le genti venete sotto la Serenissima,  respirando salsedine al porto con le barche dondolanti e le vele pronte a salpare per la pesca e partecipi al cimitero di Cosala dove il 2 gennaio 1921 lungo la via 30 Ottobre (chissà quale nome impronunciabile e falso l’è stato dato dallo slavo straniero?) si snodò il corteo dei legionari per l’estremo atto d’amore verso i caduti, tutti raccolti sotto il tricolore, la grande bandiera che aveva coperto ad Aquileia il feretro di Randaccio l’eroe che ‘ morì di morte divina’ sulle sponde del Timavo.

C’è l’entrata delle bande titine ai primi di maggio del ’45, gli scannamenti da parte dell’O.Z.N.A., con il compito di eliminare chiunque potesse ostacolare la slavizzazione della città e, al contempo, instaurare un clima di terrore atto all’esodo della popolazione. L’episodio di Vito Butti, Maresciallo di Finanza, di cui credo aver già parlato su Ereticamente e che mi sembra esemplare sotto molteplici aspetti…
Certo il disagio, un legittimo risentimento culturale, di quanto siamo stati costretti a sentire, prima come studenti e poi come professori, su Gabriele D’Annunzio da chi si proponeva depositario della storia della letteratura.
Un D’Annunzio mestatore fin dall’attribuirsi un cognome non suo, con il forte accento abruzzese (tacita spocchia da cattedra verso ‘i burini’!), di aspetto ridicolo e misero, privo di capelli e di un occhio, mitomane vanesio sperperatore di denaro altrui, retorico ampolloso barocco nell’eloquio e nello scrivere, esteta per figli della borghesia di una Italietta provinciale e arrogante, cattivo lettore di Nietzsche (altro esempio del manicheismo ignorante della classe docente!), di cui s’impone sempre e soltanto studiare Il Piacere e qualche poesia, I Pastori e La Pioggia nel pineto, prossimo a Mussolini e in qualche misura suo bardo… Poi arriva Renzo de Felice e ci illumina sul dissidio, il contrasto tra il Poeta e il Politico, il primo in auge, il secondo emergente. E, nello scontro, l’astuzia e la determinazione e il pragmatismo del futuro Duce ebbero la meglio sull’utopia del verso e della musica (tutto possibile, ma è a Mussolini che D’Annunzio scrive all’atto di partire per Fiume e non ad altri, ad esempio, e la scelta di Mario Carli, di cui c’è detto in precedente intervento, d’essere ‘la sentinella del fascismo intransigente’ vorrà pur significar
e qualcosa… per lo meno che la Storia è complessità come ci insegnava Edgar Morin).
Fiume come ‘utopia della realtà’, per citare un interessante documentario (ben interessante visto che ci sono io fra gli intervistati e, diciamolo pure, in estetica dell’esistente e in qualità della parola non mi batte nessuno!), la città ove si sperimentano le formule più ardite di vita politica cultura che torneranno, quelle d’impostazione sociale, nei 18 Punti di Verona, dopo un lungo esilio in patria. Anche se la loro eco attraverserà tutto il Fascismo e forgerà uomini e idee (ad esempio sulla Rivista del Lavoro un articolo di Tullio Cianetti s’intitola Attualità di Fiume, 31 dicembre 1939), uomini e idee che, appunto, faranno parte significativa della Repubblica Sociale (e qui basterà ricordare Fulvio Balisti, legionario fiumano, a Lugano vicino agli anarchici, al comando del battaglione Giovani Fascisti a Bir el Gobi, con lascito testamentario della Piccola Caprera a Ponti sul Mincio).
Di questa utopia (ma senza l’utopia saremmo tutti più poveri inani e tristi!) si nutrono tutti coloro che avvertono nella modernità presente la presenza del Fascismo solo se sarà capace di essere, sempre e comunque, un passo oltre e un passo avanti. L’immagine di Enea in fuga da Troia in fiamme con il vecchio padre sulle spalle e il figlioletto per mano simboleggia bene la necessità a cui questo Fascismo è destinato… abbandonare la difesa di un mondo di vuote formule perbeniste, una mentalità diffusasi e ben spalmata al di là dei meri confini di classe, avvertire ogni confine una prigione e, se occorre e occorre, lasciare la pietrosa Itaca (qualcuno agognava un ritorno ad Itaca, mi sembra, ma con poca fortuna) levare l’ancora e dare vento alla vela per seguire, quale novello Ulisse dantesco,  ‘virtute e canoscenza’…
Fiume come recupero di quella nostalgia per il futuro, rifiutando la lezione di Martin Heidegger che l’intendeva come il tornare a casa con dolore o, se si preferisce, dato che la casa è risultata depredata e vuota, rendere il passo la propria dimora…

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