11 Aprile 2024
Religione

Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?, ventiseiesima parte – Fabio Calabrese

Sarà probabilmente opportuna una precisazione preliminare. Noi spesso parliamo di filosofie orientali in relazione al pensiero indiano ed estremo orientale, si tratta in realtà di una terminologia impropria. Abbiamo in realtà a che fare con elaborazioni di tipo teologico collegate a una visione religiosa, ma manca perlopiù l’elemento tipicamente europeo della ricerca, c’è piuttosto il senso di una conoscenza tramandata da tempi immemorabili (taoismo, confucianesimo) o di una rivelazione improvvisa, di un’illuminazione (buddismo). Questo non significa che queste forme di pensiero non siano da tenere in considerazione o non meritino rispetto, ma semplicemente che sono diverse dal pensiero europeo, e il termine “filosofia” non le descrive in modo adeguato.

Sono in ogni caso parecchie miglia al di sopra delle forme di pensiero abramitico mediorientale, semitico di cui il cristianesimo fa innegabilmente parte. Ricordiamo che Julius Evola ha dedicato uno dei suoi testi più interessanti, La dottrina del risveglio, a uno studio del buddismo, e si è occupato di curare una traduzione corretta del Libro del Principio e della sua Azione, ovvero il Tao Te King di Lao Tze, libro sacro del taoismo, che viene perlopiù erroneamente tradotto come Libro della Via e della Virtù.

Si tratta tuttavia di un pensiero altro rispetto alle nostre basi culturali, al quale è meglio non accostarsi con superficialità.

Una cosa che noi tendiamo facilmente a ignorare è l’esistenza di un analogo “scarto” tra la cultura dell’età classica da cui nasce la filosofia, e il mondo semitico, mediorientale, non-europeo in cui affonda le sue radici il cristianesimo. Quest’ultimo, in effetti, ha avuto due millenni per rubacchiare e manipolare i cascami della cultura classica, sì da presentarsi come l’asino della favola adornato dalle penne dei pavoni.

Nella scuola post-sessantotto cui rimane affidata la (de)formazione dei nostri giovani, sembra essersi instaurata una divisione di competenze fra marxisti e cattolici. Mentre i primi monopolizzano l’insegnamento della storia (e non c’è un testo scolastico storico che non rifletta l’impostazione marxista), quello della filosofia sembra essere diventato appannaggio dei secondi.

Nella maggior parte dei manuali scolastici di filosofia si può leggere che i grandi pensatori dell’antichità, Platone e Aristotele erano giunti all’idea monoteista (Platone l’Idea del Bene, Aristotele il Motore Immobile – ciò che muove tutto e da nulla è mosso), ma mancava loro l’idea di Dio come persona. Per arrivare a questo, occorrevano l’incarnazione e la rivelazione di Gesù.

Davvero? DAVVERO? Questo Dio cristiano è uno strano personaggio che recita contemporaneamente due parti in commedia: da un lato quella di fondo ontologico dell’universo, dall’altro quella di divinità non solo personale, ma nazionale-tribale-totemica di un’insignificante popolazione mediorientale (perciò promossa a “popolo eletto”), davvero umano, troppo umano, ha giustamente rilevato Nietzsche.

La cristianizzazione della filosofia, come di ogni altro aspetto della cultura europea, non è stata uno sviluppo ma un regresso, un balzo all’indietro.

Qui si inserisce bene il discorso su Silvano Lorenzoni. Nei confronti di questo autore, di cui riguardo alla tematiche di cui ci stiamo occupando occorre subito ricordare il libro La figura mostruosa di Cristo e il saggio Origini del monoteismo e sue conseguenze in Europa steso insieme a Gianantonio Valli, io mi sento fortemente in debito. Lorenzoni mi onora della sua amicizia, e io ho avuto il piacere di recensire su “Ereticamente” diversi dei suoi testi, che del resto sono solo una frazione di una produzione davvero ampia, che tocca una sorprendente varietà di generi, dall’archeologia e l’antropologia, alla fisica, alla biologia, alla storia delle religioni.

Recentemente Lorenzoni mi ha inviato il suo ultimo libro dedicato alle Intelligenze collettive. Quelle che noi impropriamente chiamiamo società animali: il termitaio, il formicaio, l’alveare, sono in realtà dei veri e propri super-organismi, delle intelligenze collettive, appunto, dove “l’individuo” non ha per nulla una personalità autonoma né possibilità di sopravvivere staccato dal contesto “sociale”, non più di una cellula di un corpo umano.

Tematica come si vede interessantissima ma che presenta ben poco  aggancio con gli argomenti che di solito tratto su “Ereticamente”, e quindi non sono riuscito a farne una recensione, tranne che per una sorta di mini-recensione che ho inserito nella ottantaduesima parte di Una Ahnenerbe casalinga.

Ultimamente, Lorenzoni mi ha inviato una copia di Mondo aurorale, un suo testo del 2010. Forse farò una recensione cumulativa di entrambi i libri. Ecco dunque la seconda serendipità, stranamente analoga alla comunicazione di Ernesto Roli la prima volta che pensavo di porre fine a questa serie di articoli: a pagina 27 di Mondo aurorale leggiamo:

“La sudditanza di coloro che ancora si incaponiscono a negare l’esistenza degli indoeuropei alla vulgata dell’ex Oriente lux è tanto ovvia da poterli semplicemente ignorare”.

Si tratta di un’affermazione che rappresenta un contributo importante alle nostre tematiche, a patto però di coglierne appieno il significato, cosa che richiede un po’ di analisi.

Per prima cosa, Lorenzoni accenna a un fatto storico che può essere fonte di sorpresa. Noi siamo così abituati all’idea che esistano popoli indoeuropei (semitici, camitici, non caucasici) da ignorare spesso che questa concezione è apparsa in tempi relativamente recenti nella storia della nostra cultura, ad opera dei linguisti tedeschi del XIX secolo che notarono le affinità esistenti fra il greco, il latino, le lingue celtiche, germaniche, slave, indiane, iraniche, ma NON l’ebraico, l’arabo e via dicendo, e postularono l’origine comune dei popoli che le parlavano.

Non solo, ma man mano che si risale indietro nel tempo, le somiglianze fra queste lingue aumentano, testimoniando un’origine comune. Ad esempio, in latino “nido” è “nidus”, ma la forma più antica era “nisdus”, che somiglia maggiormente al germanico “nest” (riprendo quest’esempio dall’introduzione di Adriano Romualdi ed Ernesto Roli a Religiosità indoeuropea di Gunther).

La non esistenza di corrispondenze tra la lingua parlata da un popolo e la sua natura etnico-biologica, è un fenomeno recente che nel complesso degli eventi storici non può non apparire un’anomalia. Pensiamo agli afroamericani degli USA, di origine subsahariana che parlano inglese, cioè una lingua germanica: sarebbe un fenomeno inspiegabile se non conoscessimo la storia dello schiavismo.

Tuttavia, man mano che risaliamo indietro nel tempo, fenomeni di questo genere si fanno sempre più rari, e nella remota antichità e, a maggior ragione nella preistoria, possiamo pensare fossero del tutto assenti.

Possiamo dunque dare per certa l’esistenza di un popolo indoeuropeo primordiale che parlava la lingua indoeuropea delle origini, a partire dal quale, attraverso una serie di migrazioni e conquiste, i popoli e le lingue indoeuropee si sarebbero diffusi in Europa e in vaste zone dell’Asia. L’esatta collocazione temporale e soprattutto spaziale di questo Urvolk (popolo ancestrale) e della relativa Urheimat (patria ancestrale), sono tuttora questioni ancora irrisolte e ampiamente dibattute.

Come fa osservare Lorenzoni, queste idee non sono ancora oggi universalmente accettate, sono respinte dai marxisti in favore di una concezione che privilegia l’elemento culturale-linguistico a discapito di quello etnico-biologico e vuole ridurre la storia all’economia, e dai cristiani-cattolici in quanto mettono alle corde la visione della storia costruita a partire dalla narrazione biblica, ne dimostrano in definitiva la falsità. Dopo il 1989-91, il crollo del muro di Berlino prima, dell’Unione Sovietica poi, le concezioni marxiste stanno subendo una lunga eclissi dalla quale speriamo non abbiano mai più a riaversi, cosicché, come fa notare appunto il Nostro, la negazione degli Indoeuropei oggi viene soprattutto dall’area cristiana e cattolica.

Bisogna complessivamente rilevare, però, che affrontare queste tematiche è diventato oggi più difficile e rischioso che in passato. Poiché, sebbene esista una stretta correlazione tra le due cose, il fatto antropologico va distinto da quello linguistico, un tempo per designare il popolo parlante la lingua indoeuropea delle origini e/o i popoli da esso derivati, supponendo che non avessero subito rilevanti immissioni di sangue diverso, si usava il termine “ariani”, che indicava originariamente le caste alte dell’India, di origine indoeuropea e i cui membri sono ancora oggi facilmente distinguibili dall’elemento dravidico “bruno”. In conseguenza del terrorismo psicologico contro la parte uscita soccombente dalla seconda guerra mondiale, questo è diventato uno di quei termini che non si possono più usare, e quindi forzatamente, bisogna assumere il termine “indoeuropei” anche in senso antropologico.

Il che è come, faceva notare qualcuno, per un qualche motivo non si potesse usare il termine “italiani” e si dovesse dire “siculopiemontesi”. Oggi la democrazia, vale a dire il sistema di limitazioni alla libertà di pensiero impostoci dai vincitori del secondo conflitto mondiale, ha decretato d’ufficio che le razze umane non esistono. Se non esistono, come mai si vedono? Anche un bambino può cogliere a colpo d’occhio la differenza fra un bianco europeo, un asiatico mongolico, un nero subsahariano.

Ma questa sia pur breve frase di Lorenzoni ci dice anche altro: “La sudditanza alla vulgata dell’Ex Oriente lux”, è appunto l’atteggiamento fideista dei devoti alla religione del Discorso della Montagna, non solo cattolici, ma in tutte le varianti, ortodosse, protestanti e via dicendo.

Qui Lorenzoni tocca un punto essenziale che forse finora non ho adeguatamente sviluppato: la prima, il prototipo di tutte le versioni della favola della luce da oriente è rappresentata proprio dal cristianesimo e dalla cristianizzazione che ha stabilito la sudditanza a quella che in origine era semplicemente una setta eretica mediorientale, di un’Europa dimentica dei propri valori ancestrali.

Noi possiamo vedere che questa riflessione si inserisce molto bene nel pensiero di quello che è uno dei più lucidi e coerenti intellettuali dell’Area, laddove si è espresso riguardo alle tematiche religiose. Prima di tutto il fondamentale Origini del monoteismo e sue conseguenze in Europa scritto a quattro mani con Gianantonio Valli, in cui si spiega un concetto di estrema importanza: il monoteismo non è solo estraneo alle originali concezioni europee, ma specie nella sua forma abramitica, appartiene alla patologia del sacro, genera l’intolleranza e il divieto a pensare liberamente, perché chi non si associa ai suoi dogmi viene perseguito come eretico, da qui fortissime pastoie in campo filosofico e scientifico.

En passant sarà il caso di menzionare l’opera più importante di Gianantonio Valli, Holocaustica religio. Razionalmente, possiamo essere consci che le atrocità attribuite ai nazionalsocialisti dal tribunale di Norimberga con tutta l’imparzialità della rappresaglia dei vincitori sui vinti, praticamente scompaiono di fronte agli orrori compiuti dai vincitori, pensiamo alla guerra condotta dagli angloamericani principalmente con bombardamenti terroristici contro le popolazioni civili, culminati nei due olocausti nucleari di Hiroshima e Nagasaki, o alla mostruosità dei gulag sovietici nei quali nel solo periodo staliniano sono scomparse almeno 60 milioni di persone.

Tutto questo non conta nulla, e ricordarlo è una “banalizzazione”, perché alle presunte colpe dei vinti va aggiunto il sacrilegio, l’aver alzato le mani sul “popolo eletto”, il “popolo santo”: la religione olocaustica, beninteso, non è nulla di razionale, ma è costruita, indotta attraverso un continuo martellamento mediatico e ha lo scopo, da un lato di giustificare la permanente soggezione dell’Europa ai vincitori del secondo conflitto mondiale, dall’altro di rendere intoccabile chiunque appartenga al “popolo eletto” e quindi di permettere agli israeliani di portare avanti il genocidio al rallentatore del popolo palestinese senza subire la riprovazione della comunità internazionale, oltre a ottenere di continuo dall’Europa lucrosi “risarcimenti” per quanto si suppone sia avvenuto prima del 1945.

Uno scritto di Silvano Lorenzoni che io giudicherei di particolare rilievo riguardo alle tematiche religiose (e che abbiamo pubblicato su “Ereticamente”) è Cos’è l’islam e dove lo si deve collocare fra i nemici dell’Europa. Nella nostra Area, non ce lo nascondiamo, vi sono alcuni che guardano all’islam con simpatia: i motivi sono principalmente due: l’avversione per il sionismo, e le attestazioni di stima più volte espresse verso questa religione dal fascismo e dal nazionalsocialismo. Riguardo al primo punto, occorre ricordare che in quella realtà certamente non monolitica che è il mondo islamico, in prima fila contro il sionismo vi sono prima di tutto i Palestinesi fra i quali c’è una notevole componente cristiana, poi l’Iran sciita, quindi “eretico”. L’islam fondamentalista non ha mai avversato Israele se non – qualche volta – a parole. Non certo quello wahabita dei sauditi, legati a doppio filo agli Stati Uniti a loro volta legati a doppio filo a Israele, ma nemmeno Al Qaeda o l’ISIS che nei territori che l’entità sionista ha strappato ai Palestinesi non hanno mai sparato nemmeno un petardo, poi quando si scopre che nei depositi dei terroristi fondamentalisti che operavano in Siria contro il regime laico di Assad, erano presenti in notevoli quantità materiale medico e riserve di viveri provenienti da Israele, quando i siriani lealisti hanno catturato addirittura un colonnello israeliano che era lì per addestrare i fondamentalisti, il filo-islamismo per antisionismo, è un palco che dovrebbe cascare da solo.

Sicuramente prima e durante la seconda guerra mondiale, fascismo e nazionalsocialismo hanno guardato all’islam con simpatia, nel tentativo di favorire la rivolta dei popoli arabi e islamici contro i dominatori coloniali inglesi e francesi, ma oggi che siamo in una situazione completamente diversa e l’islam è diventato “la bandiera” dell’invasione allogena dell’Europa, possiamo pensare che il loro atteggiamento al riguardo sarebbe del tutto diverso.

Ma il vero punto che Lorenzoni illustra magnificamente, è che l’islam è niente altro che un prodotto di quello stesso fideismo monoteista abramitico mediorientale che ha del pari generato il cristianesimo, con la differenza che mentre quest’ultimo è un prodotto adattato alle genti europee che anche nel fideismo abbisognano di un minimo di razionalità, quest’ultimo è la versione per genti mediorientali e africane, fanatiche, intolleranti e culturalmente deprivate, qualcosa di profondamente contrario all’animo europeo, al punto che dove esso si espande sul nostro continente, possiamo essere certi che ciò è il frutto dell’invasione allogena e della regressione demografica degli Europei.

Anche Intelligenze collettive tocca in qualche modo la tematica religiosa. Anche nelle società umane si può manifestare qualcosa che ricorda l’intelligenza collettiva del formicaio, un’intelligenza di livello subumano che si manifesta ad esempio nei comportamenti di una folla che sembrano trascendere la volontà e la coscienza dei suoi singoli componenti, trasformandosi in una sorta di animale dalle reazioni elementari.

Questa tendenza all’invasamento che nell’uomo europeo può verificarsi in condizioni estreme di eccitazione o di panico, per il nero subsahariano è la “normale” esperienza religiosa, consistente nel farsi possedere da entità extraumane di natura ovviamente infera.

Questo ci fa comprendere che una religione “cattolica” in senso etimologico, cioè universale, è in realtà impossibile, perché il senso del sacro è etnicamente determinato.

Ci è facile capire allora che “da Oriente” non ci è potuta pervenire alcuna luce che non fosse ingannevole.

 

NOTA:

Nell’illustrazione: a sinistra La dottrina del risveglio di Julius Evola, al centro Mondo aurorale di Silvano Lorenzoni, a destra Holocaustica religio di Gianantonio Valli.

 

 

 

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