12 Aprile 2024
Religione

Ex oriente lux, ma sarà poi vero?, diciannovesima parte – Fabio Calabrese

E’ venuto, probabilmente prima di quanto pensassi, il momento di riprendere in mano la nostra questione. Come avete visto le volte precedenti, ho modificato il senso di questa sezione dei miei scritti. Riservando a “Una Ahnenerbe casalinga” le tematiche propriamente archeologiche, abbiamo visto che la leggenda della “luce da oriente” può essere interpretata anche in un altro senso, ossia quello della luce dell’intelletto. Anche in questo campo, la vulgata corrente, l’ortodossia ufficiale del sistema oppressivo sedicente democratico pretende, infatti, di mettere l’uomo europeo-indoeuropeo in una condizione di inferiorità per diffondere e mantenere uno spirito di rassegnazione al destino di sparizione e morte preparatogli dal piano Kalergi.

Questa leggenda, questa menzogna di stato (per modo di dire, s’intende, poiché tutti gli stati che oggi costituiscono l’ “ordine internazionale” non sono che marionette manipolate da un potere dietro le quinte) si divide in due parti: la presunzione della superiorità intellettuale dei popoli di razza mongolica su quelli caucasici e la superiorità degli ebrei sulle restanti popolazioni “bianche”. Nel quindicesimo e sedicesimo articolo, abbiamo visto che il “genio ebraico”, lungi dal testimoniare una superiorità intellettuale sull’uomo indoeuropeo, sul “goj” tanto disprezzato dai circoncisi, è piuttosto la furbizia di un mercante di tappeti, che in definitiva non è mai stato capace di creare nulla, ma solo di sporcare e far degenerare quanto prodotto dall’uomo indoeuropeo.

I due articoli seguenti li abbiamo dedicati alle popolazioni di ceppo mongolico, e qui il discorso si fa di necessità più articolato; abbiamo visto che in generale c’è una sopravvalutazione degli apporti dati da queste ultime alla civiltà umana, che è simmetrica al deprezzamento dei contributi e dell’originalità creatrice dell’uomo europeo-indoeuropeo.

Per quanto riguarda l’età moderna, è molto chiaro che soltanto il Giappone ha saputo raccogliere adeguatamente le sfide dell’industrializzazione e della tecnologia (altri Paesi asiatici, Taiwan e la Corea del sud hanno oggi quella che possiamo considerare un’ipertrofia tecnologica, acquistata però al prezzo del contenimento dei salari e del benessere della popolazione), ma l’impero nipponico è certamente un caso a sé e, più che un mongolo in senso stretto il giapponese è piuttosto un caucasico mongolizzato dall’influenza e dallo scambio genetico con le popolazioni del continente antistante l’arcipelago nipponico; il giapponese della remota antichità, lo Jomon, infatti, era bianco come lo sono ancora oggi gli Ainu dell’isola di Hokkaido, che sono verosimilmente gli ultimi Jomon. E’ probabile che a dispetto del prevalere attuale di tratti somatici mongolici, la psicologia nipponica sia rimasta sostanzialmente caucasica, e molto più vicina a quella di noi indoeuropei di quel che si direbbe a prima vista.

Questi quattro articoli costituiscono dunque un’esposizione ben strutturata e completa, tuttavia, come vi dicevo, il momento di qualche aggiornamento è arrivato prima di quanto pensassi.

Cominciamo con l’occuparci nuovamente di quello che è ritenuto “il genio dei geni” del mondo ebraico, Albert Einstein. Vi ho già raccontato che su di lui come scienziato e sulla teoria della relatività esistono molti dubbi, a prescindere dal fatto che per la parte matematica della sua teoria, Einstein si servì con disinvoltura dei lavori di un matematico italiano, Gregorio Ricci Cubastro (a differenza della maggior parte dei suoi colleghi tedeschi, Einstein che da giovane era vissuto nell’Italia settentrionale, conosceva bene l’italiano, e questo lo aiutò parecchio nel suo “lavoro scientifico” consistito in una serie di plagi). Anche in seguito, ammetteva di non capire nulla di matematica, tanto è vero che per la stesura del suo lavoro divulgativo sulla relatività, affidò le parti matematiche a un collaboratore, tale Infeld, e questo è molto strano per un fisico.

Fuori dal campo scientifico, Einstein è stato un personaggio assolutamente deteriore, che ha praticamente creato lo stereotipo del “genio” che per essere tale deve essere necessariamente anticonformista, irridere all’ordine costituito, colpire per le sue bizzarrie e per l’eterno senso di rivolta non importa contro che cosa e in nome di che cosa (certamente non contro le aberrazioni del comunismo, tanto che si spinse ad elogiare i processi staliniani, ma la cosa è facilmente spiegabile: all’epoca, in cui le lobby ebraiche non erano negli USA ancora abbastanza forti, l’Unione Sovietica era il principale sostegno internazionale di Israele).

Tuttavia, sembra che io non abbia toccato abbastanza a fondo la ciarlataneria scientifica e la miseria morale di questo personaggio che passa per il genio per antonomasia del XX secolo.

Il 22 ottobre è stato pubblicato sul sito White Wolf Revolution un articolo davvero illuminante, fin dal titolo: “L’ebreo Albert Einstein, un truffatore e un imbroglione”. La concezione della relatività generale si trova formulata in un testo presentato da David Hilbert il 20 novembre 1905 a Gottingen, mentre Einstein presentò il suo “lavoro” il 25 dello stesso mese a Berlino, ma non è tutto, abbiamo una lettera di Einstein a Hilbert del 18 novembre in cui egli ringrazia Hilbert dell’invio del suo manoscritto. E’ evidente quel che è successo: Einstein ha copiato il lavoro di Hilbert e senza ritegno l’ha fatto passare per proprio.

La famosa equazione e = M C alla seconda, che stabilisce un rapporto fra materia ed energia, Einstein l’ha scopiazzata dal lavoro di un fisico italiano, Olinto De Pretto, che l’aveva enunciata due anni prima di lui nel 1903 (approfittando evidentemente del fatto di conoscere l’italiano, mentre i suoi colleghi dell’ambiente tedesco in genere no). Tralasciamo il fatto che la formula contiene un evidente errore, perché C è una velocità, la velocità della luce, mentre lì dovrebbe esserci un numero puro. Un docente triestino delle scuole superiori che scrive per siti dell’estrema destra se ne è accorto, ma una simile scoperta era evidentemente fuori dalla portata del “genio di Ulm” totalmente digiuno di matematica.

Il punto veramente importante è che l’opera “scientifica” di Einstein è interamente basata sul plagio, e in questo trova un preciso parallelo con quella di un suo altro celebre correligionario, Sigmund Freud, che rubò a Pierre Janet l’idea di inconscio, e a Josef Breuer la pratica terapeutica delle associazioni libere sul lettino e il nome stesso di “psicanalisi”.

Un altro punto che l’articolo sottolinea, è che dal punto di vista della vita familiare e personale, Freud è stato un individuo assolutamente spregevole. Prima di sposarsi, Einstein ebbe una relazione con una donna, Mileva Milic, dalla quale ebbe una bambina che il “genio di Ulm” non vide mai e che spinse a dare in adozione. Sposata Mileva un anno dopo, Einstein ebbe con lei due figli, ma intrecciò una relazione con la sua cugina Elsa Lowental. Divorziato da Mileva, si disinteressò completamente di lei e dei due figli, e, sposata Elsa ebbe una relazione con un’altra donna, Betty Neumann, e questa naturalmente sono le storie che si conoscono, quanto basta per capire che a livello personale e familiare, “il genio” era un individuo assolutamente privo di moralità. La prossima volta che cercano di vendervi “un genio”, preferitene uno blu che esce da una lampada, avrete maggiori garanzie che non sia una patacca.

Per concludere il discorso su Einstein, vorrei ricordare che il nostro Silvano Lorenzoni è autore di un saggio “Contro l’einsteinismo” nel quale indica l’errore di base di tutta la concezione relativistica, essa sarebbe basata sulla sistematica confusione tra un oggetto, l’universo, e la sua misurazione.

Dell’altro “grande” intelletto ebraico della nostra epoca, Sigmund Freud, non metterebbe conto di tornare a parlare. Alla luce di quanto racconta  Michel Onfray nel suo “Crepuscolo di un idolo, smascherare le favole freudiane”, è evidente che Freud è stato un ciarlatano oltre che un plagiario, e che nella psicanalisi di scientifico non c’è nulla. Forse, l’unico difetto del lavoro di Onfray è quello di non citare Karl Popper che nel suo saggio “Congetture e confutazioni” ha indicato, oltre all’astrologia,  IL MARXISMO E LA PSICANALISI come esempi di dottrine pseudo-scientifiche ben al disotto dei requisiti minimi di scientificità.

Quello che è però importante aggiungere, è che gran parte di ciò che oggi passa per psicologia, si situa praticamente allo stesso livello delle mistificazioni freudiane, non è scienza, ma preventivo oscuramento della possibilità di fondare una vera scienza dell’essere umano. L’avevo spiegato in un articolo pubblicato anni fa su “Ereticamente”, “La scienza manipolata”.

E’ forse il caso di riproporvi una breve sintesi di quel che ho scritto allora parlando del comportamentismo, che è stato fino agli anni ’60 la psicologia dominante negli Stati Uniti e per riflesso nel mondo cosiddetto “occidentale”:

“Nato nel secondo decennio del XX secolo, il comportamentismo si è basato su di un assunto metodologico giusto e ne ha tratto conseguenze sbagliate, non implicate in esso e fortemente in linea con l’ideologia democratica. L’assunto metodologico giusto era che non si può osservare la mente altrui, e che la psicologia deve dedicarsi allo studio del comportamento osservabile. Da ciò NON SEGUE che tutta l’attività psichica si possa ridurre ai riflessi condizionati pavloviani, che non sia possibile distinguere fra comportamento intelligente e finalizzato a uno scopo e comportamento insensato e non finalizzato, né, infine, che il patrimonio genetico e la storia evolutiva delle specie (uomini compresi) non abbiano alcuna influenza sul comportamento”.

Oggi il comportamentismo come tale è scomparso dall’orizzonte della psicologia, sostituito dalla nuova vulgata detta cognitivismo, poiché l’avvento del computer ha permesso di riparlare in un certo modo di mente anche a proposito dell’uomo e degli animali basandosi sull’analogia con l’informatica e mutuandone il linguaggio (E’ paradossale, invece di considerare il computer, così com’è, una semplice proiezione meccanica di taluni aspetti della mente umana; la capacità di calcolo, ma non quella affettiva o decisionale, si considera la mente umana una sorta di equivalente dei meccanismi informatici), ma resta comunque l’esigenza – esigenza IDEOLOGICA – di ridurre la mente umana, l’essere umano a qualcosa di robotico, di meccanico.

A volte mi capita di provare la tentazione di prendere i miei allievi a sberle, e forse lo farei mettendo a rischio il mio posto di lavoro, se non fossi consapevole del fatto che costoro sono semplicemente le vittime del costante lavaggio del cervello provocato dal sistema mediatico, soprattutto quando li sento parlare di qualche loro compagno definendolo “perdente” o “sfigato”. L’uso stesso di questi termini è una riprova del fatto che il veleno dell’americanizzazione, che sta lentamente corrodendo il nostro modo di essere e di pensare, disgraziatamente funziona.

Da dove deriva questa bizzarra idea che fortuna o sfortuna, vittoria o sconfitta, non dipendono dalle circostanze ma da una sorta di destino intrinseco, che si è “vincenti” o “perdenti” per vocazione dalla nascita e per tutta la vita? A ben guardare, è un’idea assolutamente americana che deriva direttamente dalla concezione calvinista della predestinazione, e a ben pensarci, è l’esatta negazione della morale europea che è figlia – piaccia o no questo agli ultimi epigoni dell’illuminismo – dell’etica cavalleresca medievale.

Ripenso allo splendido motto che è stato dedicato ai caduti di El Alamein: “Mancò la fortuna, non il valore”. Esso per un americano sarebbe del tutto incomprensibile. Pensiamo a quante volte il valore sfortunato ha brillato di una luce più pura di qualsiasi vittoria: Le Termopili, El Alamein, Kossovo Polje.

Il punto di vista americano è esattamente l’opposto: è il fatto materiale di aver vinto grazie a una supremazia di mezzi schiacciante, a giustificare a posteriori la loro causa come “buona”, un punto di vista francamente degno di zombi senz’anima come sono perlopiù gli ipervitaminizzati yankee.

Avete presente la storia che ci ha raccontato il primo “Rambo”, non quelli successivi della serie dove il personaggio interpretato da Sylvester Stallone è stato ridotto una volta di più allo stereotipo eroe americano, che denuncia un fatto assolutamente reale: i reduci dal Vietnam una volta tornati in patria si sono trovati circondati da ostilità e odio: sono stati sconfitti, e quindi hanno smentito clamorosamente la favola dello yankee come superuomo invincibile, la pretesa delirante del “destino manifesto”.

Parlare di ciò in “Ex oriente lux” ha un senso preciso, infatti da questo punto di vista, l’Estremo Occidente è piuttosto una propaggine dell’oriente che dell’Europa. Mi rifaccio a un’osservazione del nostro ottimo Silvano Lorenzoni secondo il quale “Un calvinista è un ebreo in tutto fuorché nel nome”.

Non è difficile vedere che la morale calvinista è un calco della mentalità ebraica. Per un ebreo, il fatto di imbrogliare e turlupinare quegli stupidi “gojm” trova la sua giustificazione morale precisamente nel fatto che l’imbroglio funziona. La cristianizzazione dell’Europa ha dato il via alla creazione di una sorta di ebraismo sintetico. La riforma protestante e il calvinismo hanno portato l’opera a compimento.

Probabilmente, questo argomento si potrebbe inserire in ogni punto di questi miei articoli; il piano Kalergi è una realtà e gli effetti della sua traduzione in concreto, con una politica di genocidio “soft” che porta alla progressiva eliminazione dei popoli europei, alla loro sostituzione con meticce turbe di allogeni, sono tragicamente sotto gli occhi di tutti, e solo i letali lenitivi democratico-cristiano-marxisti impediscono alla gente di rendersene conto, e allora perché non parlarne in questa sede?

Bisogna premettere che lo stesso piano Kalergi non è che una parte di un piano più vasto iniziato ben prima degli anni fra le due guerre mondiali, almeno dal tardo XVIII secolo, teso a sostituire le tradizionali aristocrazie europee del sangue con l’oligarchia del denaro, e a distruggere l’egemonia planetaria europea, facendo prevalere al suo posto quella del plebeo “nuovo mondo” dominato fin dall’inizio da imprenditori e mercanti.

Il massone Robert Coudenhove Kalergi si proponeva di sostituire gli Europei attuali con una razza mista, mulatta, “simile agli antichi egiziani”.

Perché, viene da chiedersi, proprio gli antichi egiziani e non qualsiasi altro popolo antico o recente della storia umana? La risposta, io credo, è abbastanza semplice se avete presente le vecchie stampe che illustrano l’Egitto faraonico e i film hollywoodiani perlopiù di soggetto biblico che ce ne parlano, con le interminabili file di schiavi intenti a trascinare i blocchi di granito da mettere in posa per la costruzione delle piramidi.

L’antico egizio è visto come il prototipo dell’uomo docile, facilmente riducibile in schiavitù, e questo ci mostra chiaramente il volto tirannico e diabolico che si cela dietro la maschera ipocrita delle finte libertà della democrazia.

Per inciso, Kalergi sbagliava i conti, l’idea che aveva era troppo semplicistica, e le piramidi non possono essere state costruite nel modo che i film hollywoodiani ci mostrano. Per spostare blocchi di granito del peso di svariate tonnellate come quelli che costituiscono le piramidi, semplicemente non c’è attorno ad essi sufficiente spazio per tutte le mani che lo dovrebbero spingere o per le corregge a cui avrebbe dovuto attaccarsi un numero sufficiente di persone per trainarli. Come poi possano essere stati innalzati l’uno sull’altro con metodi così rudimentali, questo rimane un mistero assoluto. Ci dicono gli archeologi tradizionali con rampe in terra battuta che venivano innalzate man mano che la costruzione cresceva per essere rimosse a opera compiuta. Con un metodo simile, per raggiungere le parti elevate delle piramidi di Cheope o di Chefren senza una pendenza eccessiva, una rampa del genere sarebbe dovuta essere grande quanto tutta la piana di Giza. Diciamo la verità, a tutt’oggi non abbiamo idea di come siano realmente state costruite le piramidi, e l’idea di Kalergi dell’antico egizio come prototipo dell’uomo docile e facilmente schiavizzabile, era con ogni probabilità una beata illusione.

Con ogni probabilità, gli apprendisti stregoni che stanno dietro le quinte della sedicente democrazia vedranno il loro progetto scoppiare loro in mano, avranno distrutto la civiltà europea per far posto nel nostro continente a turbe barbariche e riottose. Noi potremmo anche essere sconfitti, ma loro non vinceranno mai: il loro progetto equivale a quello di un parassita o un tumore che si illudesse di sopravvivere all’organismo che lo ospita.

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