20 Luglio 2024
Cascioli Cristologia Donnini Tranfo

De Christologicum Quaestio

David Donnini: Gamala

Coniglio Editore 2010,
Giancarlo Tranfo: La croce di spine
Chinaski Editore 2008,
Recensioni di Fabio Calabrese
Questa recensione doppia è un lavoro piuttosto particolare che vuole esaminare i più recenti sviluppi in merito alla questione cristologica da parte di due dei più interessanti autori in questo campo, David Donnini e Giancarlo Tranfo, ma prima vorrei spendere due parole in ricordo di un altro grande cristologo non convenzionale recentemente scomparso, Luigi Cascioli. La prefazione a La croce di spine è probabilmente l’ultimo lavoro di Cascioli. Io ho avuto contatti epistolari sia con Donnini sia con Tranfo, ma Cascioli ho avuto il piacere di conoscerlo di persona, e devo dire che era un uomo cordiale, alla mano, generoso, con una grande cultura e un raffinato senso dell’umorismo ma anche –soprattutto –una grande onestà intellettuale, che mi chiarì subito le idee: affrontare una questione delicata come quella cristologica significa pedalare in salita e affrontare una salita ben impegnativa, attirarsi addosso molta ostilità e ben pochi riconoscimenti, perché chi la verità non la vuole sapere o meglio non vuole che si sappia perché sull’impostura ha fondato il proprio potere, ha un potere enorme: politico, economico, mediatico, una presa enorme sulle coscienze plagiate da due millenni.
Occorre ricordare subito un concetto fondamentale: la questione cristologica è asimmetrica, nel senso che una volta dimostrata l’infondatezza delle presunte prove storiche dell’esistenza di Cristo, degli apostoli, della narrazione evangelica, il “palco”della religione cristiana viene immediatamente a cadere, perché quella che viene a dimostrarsi fallace è ciò che i credenti ritengono nientemeno che “parola di Dio”, ma non vale il ragionamento contrario, se anche la narrazione evangelica si dimostrasse storicamente veritiera, questo non proverebbe per nulla il contenuto del cristianesimo come religione. Noi abbiamo molta maggiore certezza dell’esistenza storica di personaggi che hanno formulato teorie e/o concezioni certamente mendaci, Karl Marx, ad esempio. I cristiani in genere, spesso e volentieri, quando credono di aver dimostrato il primo punto (la storicità della narrazione evangelica), danno per assodato anche il secondo (il contenuto del cristianesimo come “dottrina”), ma questo è davvero troppo comodo.
Rimane comunque il fatto che se non ci si sforza di guardare a questi eventi con l’occhio appannato della fede, ci si rende presto conto che ciò che conosciamo come il “libro sacro” della religione più diffusa nel mondo occidentale, ha un contenuto di una storicità praticamente nulla ed è il frutto di una serie di manipolazioni protrattesi per secoli.
E’ probabile che il nome di Gamala dica ben poco o nulla alla maggior parte di voi. Questa praticamente sconosciuta località della Palestina di cui si occupa David Donnini sarebbe stato il reale luogo d’origine dell’uomo che conosciamo come Gesù Cristo; l’aggettivo “nazareno” infatti, non significherebbe nativo di Nazareth, villaggio che ai tempi di Gesù sembra non esistesse nemmeno, ma una deformazione di “nazireo”. I nazirei (in ebraico nazorai) erano persone che si erano o erano state consacrate con un voto che poteva essere temporaneo o a vita, che includeva il divieto delle bevande alcoliche e di tagliarsi i capelli).
Quanto a Betlemme, non si può escludere che Gesù ci sia passato di sfuggita prima o poi, ma non altro, perché tutta la storia della natività, con la mangiatoia, il bue, l’asinello, i pastori e tutto il resto, è stata palesemente inventata per far realizzare una profezia veterotestamentaria che faceva nascere in questa località il messia atteso dagli ebrei, e fa a pugni con i dati storici (i Romani censivano la popolazione nel luogo di residenza non in quello di origine), e quella che si rappresenta a ogni natale nel presepe non è altro che una favola.
David Donnini, è meglio precisarlo subito, non è un ateo né un anticlericale da quattro soldi, uno dei tanti beceri materialisti formati alla scuola marxista, ma un uomo impegnato in una ricerca spirituale molto personale, e per i cosiddetti “liberi pensatori” non ha parole meno taglienti che per i cattolici.
“Di cosa ha paura”, si chiede, “Questo laicismo idiota, pavido coi minareti e arrogante coi crocifissi?”
Più che giusto, ce lo chiediamo anche noi a cui le ipocrisie del politically correct altrettanto schifose, di certo, mentre cerchiamo le più autentiche radici spirituali europee fuori dal cristianesimo e anteriormente a esso, non abbiamo alcuna intenzione di piegare la testa di fronte all’ultima e più rozza “fede” semitica che ci invade dal sud del mondo, ma di resistere a essa con ogni mezzo.
Ma è meglio raccontare questa storia seguendo il filo logico scelto dall’autore. Se noi andiamo a esaminare il Nuovo Testamento così come ci è stato trasmesso dalla tradizione, osserviamo che l’ordine nel quale sono esposte le parti che lo compongono, è invertito rispetto ai tempi della loro effettiva stesura: si comincia con i quattro vangeli che furono redatti decenni dopo gli eventi narrati, probabilmente dopo la Guerra Giudaica del 66 – 70, mentre gli Atti degli Apostoli e le Epistole, ossia i documenti più antichi del cristianesimo, sono collocati in coda, come una sorta di appendice, quasi per sminuirne l’importanza.
           
        Coloro che hanno redatto il Nuovo Testamento nella sua forma definitiva, che in sostanza hanno fatto del cristianesimo la religione che oggi conosciamo, volevano evitare di richiamare troppo l’attenzione sulle origini della loro fede, c’era qualcosa da nascondere o perlomeno da non rendere evidente, ossia in primo luogo i contrasti fra la Chiesa di Gerusalemme, cioè il gruppo originale degli apostoli e dei discepoli diretti di Gesù, con Paolo e l’interpretazione paolina, che è quella che ha prevalso, sì che molti considerano Saul “Paolo” di Tarso il vero fondatore della religione che conosciamo come cristiana, in secondo luogo le origini stesse di Gesù, che lo collegherebbero in maniera evidente al messianesimo politico e anti-romano.
Per questi motivi, Gamala non è un luogo come un altro, è forse il luogo che cela il segreto delle vere origini dell’uomo che avrebbe fondato involontariamente la religione oggi più diffusa nel mondo occidentale. oggi si tratta di una rovina, la traccia di una città o di una cittadella da tempo scomparsa. nel 1967, diciannove secoli esatti dopo la guerra giudaica, gli israeliani occuparono le alture del golan nel settentrione della Palestina allora in possesso della Siria (che peraltro non ha cessato di rivendicarle) e, raggiunta la sommità di un’altura, si trovarono fra i resti di una cittadella dell’età romana, quasi una sorta di Machu Picchu palestinese in miniatura, che reca le tracce di un assedio e di un furioso incendio. gli scritti di Flavio Giuseppe ne consentono facilmente l’identificazione, perché l’altura ha una forma caratteristica a gobba di cammello che ha dato il nome alla città o insediamento fortificato. <Gamala> significa appunto gobba di cammello in ebraico. non lontano si trova il lago Kinneret, il lago di Tiberiade del nuovo testamento.
Proprio a Gamala, nota Donnini, è legato un episodio chiave della storia della Palestina dei tempi di Gesù, l’ascesa al potere di erode il grande che divenne re prima che i romani assumessero il controllo diretto della regione. erode, che non era nemmeno ebreo ma Idumeo, riuscì a ingraziarsi i dominatori con la cattura di un ribelle, tale Zaccaria, che aveva a Gamala la sua roccaforte. Flavio Giuseppe lo definisce un brigante, ma il contesto lascia capire che era piuttosto il leader di una rivolta messianica antiromana, una rivolta che dopo di lui fu continuata dal figlio, giuda il galileo.
I motivi per i quali Gamala e non Nazareth è da considerarsi la città d’origine di Gesù si ritrovano nella topografia dei luoghi che fanno da sfondo agli eventi evangelici e agli spostamenti dei personaggi. Gamala è l’unica che presenta insieme tutte queste caratteristiche: aveva una sinagoga nel i secolo, si trova in cima a un monte, sorge sull’orlo di un precipizio, si trova a poca distanza dal lago di Tiberiade. ma Gamala aveva anche un’enorme inconveniente per coloro che redassero il canone delle scritture cristiane: era una città strettamente legata al messianesimo insurrezionale antiromano, che durante la guerra giudaica del 66-70 oppose ai romani una strenua resistenza e fu distrutta al termine di un lungo assedio.
Quando si parla di messianesimo, occorre notare, si parla di un movimento insieme politico e religioso, secondo la mentalità ebraica, mirante a compiere le profezie veterotestamentarie, ristabilire alla guida della Palestina un discendente di Davide, e cacciare i dominatori romani.
Noi comprendiamo facilmente perché questa località quasi a ridosso del lago di Tiberiade che fa da sfondo a tanti episodi evangelici, da parte dei biblisti <ufficiali> si è voluta escludere come possibile luogo di origine di Gesù, ricacciandola per la seconda volta nell’oblio; come già avevano fatto coloro che nei primi secoli dell’era volgare hanno steso, corretto, alterato, interpolato, manipolato a loro piacere o in base alla convenienza politica i vangeli, si è voluto mettere quanta più distanza possibile fra Gesù e le origini del cristianesimo e il messianesimo politico antiromano. Gesù doveva cessare di essere il leader di una rivolta contro i dominatori romani per assurgere al ruolo di redentore universale, anche se in tal modo il motivo per cui le autorità romane, così restie a intervenire nelle questioni religiose dei popoli assoggettati, dovevano condannare a morte quello che al termine di questo processo di falsificazione ci viene presentato come un innocuo predicatore, rimane del tutto misterioso.
Ma i <santi> falsari non hanno fatto un lavoro troppo abile.
Lo vediamo in una serie di passi evangelici sfuggiti alle loro cure manipolatorie, ad esempio in Matteo: <il regno dei cieli può subire violenza>, che letteralmente significa: il regno di dio, la restaurazione di Israele sotto una dinastia Davidica, può essere conquistato con la violenza. fino a Giovanni battista ci si è limitati a tramandare le scritture, ora bisogna agire. gli apostoli Giovanni e giacomo figli di Zebedeo sono definiti <Boanerghes>, <figli del tuono>, appellativo più adatto a dei combattenti che a dei miti predicatori. ancora più chiaramente Simon Pietro è chiamato <Barjona>, cioè guerrigliero, che la traduzione convenzionale fa diventare <bar Jona>, figlio di Giona.
Ma soprattutto ci sono le parole pronunciate da Gesù prima del suo arresto nel Getsemani: 
<Ed egli [Gesù] soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una>.
A cosa servivano le spade ai miti predicatori di un regno ultramondano?
Il segreto celato alle origini del cristianesimo, è che esso nasce da una falsificazione: ad opera di Saul – Paolo di Tarso, quella che è stata una rivolta fallita contro il dominio romano è stata trasformata nel germe di una religione universale, e l’esecuzione del suo leader nella gloriosa auto-immolazione di un essere divino per la salvezza del genere umano (in questo, Paolo, per la verità, non si è distaccato dai molti culti soteriologici già diffusi presso i gentili: Orfeo, Attis, Mitra, anzi li ha palesemente ricalcati):
“Le ricerche storiche sul cristianesimo primitivo hanno già evidenziato da tempo che la cosiddetta “chiesa di Gerusalemme”, ovvero la comunità dei fedeli ebrei all’indomani della morte di Gesù, riuniti intorno alla figura di Giacomo, fratello del messia, era in totale contrasto col cristianesimo ellenistico elaborato da San Paolo, cittadino romano che agiva fuori dalla Palestina, di fronte ad un pubblico gentile. I primi restavano nell’ambito del giudaismo e della legge mosaica, ispirandosi alle idee messianiche degli esseno zeloti. Erano i nazorei, o gli ebioniti, che i cosiddetti padri della chiesa, nei secoli II e III EC, descrissero come eretici, distruggendone la reputazione e gli scritti. I secondi erano pagani incirconcisi, affascinati da un monoteismo che prometteva la salvezza attraverso la fede nel riscatto che Gesù avrebbe compiuto ponendosi come agnello sacrificale, sul modello di Mitra, Dioniso, Thammuz, Attis, Adonis, Osiride e tanti altri dei già noti”.
“Al “Figlio di Dio” scaturito dall’accennata ispirazione ad un reale ed “inquieto” discendente dell’antica famiglia degli Asmonei, furono fatti indossare i panni delle antiche divinità pagano- misteriche le cui leggende pullulano di madri vergini, miracoli, sacrifici a scopo salvifico, resurrezioni a tre giorni dalla morte, ascensioni in cielo e promesse di ritorno alla fine dei tempi”.

Le parole di questa seconda citazione potrebbero essere la summa conclusiva del lavoro di Donnini, sono state invece scritte da Luigi Cascioli nell’introduzione al libro di Giancarlo Tranfo, La croce di spine, che in parte si sovrappone alla ricerca storica di Donnini, in parte la completa.

Tranfo riprende in mano la questione cristologica con ampiezza, cercando di rendere conto di tutto quanto è possibile dire sulla base dei documenti a disposizione da chi non sia condizionato dai paraocchi della fede, cominciando con l’esaminare il più famoso dei documenti extraevangelici che si suppongono poco posteriori agli eventi raccontati nei vangeli stessi e culminati con la crocifissione, il Testimonium Flavianum: si tratterebbe di un passo presente negli scritti di Giuseppe Flavio, lo storico della Guerra Giudaica, ed è questo:
<Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, seppure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie (o nuove), maestro di uomini che accolgono con piacere la verità,(o le nuove dottrine) ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente avendo già annunziato i divini profeti questa e migliaia di altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani>.
Cerchiamo di comprendere con chiarezza perché è tanto importante riuscire a stabilire se questo passo è autentico o invece, come vi sono molti motivi per credere, non si tratta altro che di una tarda interpolazione. I documenti, i riferimenti al cristianesimo e alle vicende evangeliche che non siano posteriori di almeno due o tre secoli agli avvenimenti narrati sono pochissimi, quasi inesistenti, e questo depone fortemente a sfavore della storicità dei vangeli. Figuratevi un po’. Il primo secolo dell’Era Volgare è un momento culminante della civiltà romana che continua quella ellenistica: è un periodo di elevato alfabetismo e di cultura diffusa con un solido insieme di relazioni politiche, economiche e culturali che tiene legato ogni angolo del Mediterraneo, vi sono un gran numero di studiosi, uomini di cultura, storici. In questo contesto appare un uomo che compie prodigi incredibili: guarisce i lebbrosi, resuscita i morti, resuscita lui stesso tre giorni dopo essere stato crocifisso, e nessuno o quasi di costoro ci riferisce nulla, si è accorto di nulla! Forse nessuno si è accorto di nulla perché in realtà non c’era nulla di cui accorgersi, e la narrazione evangelica è un travestimento miracoloso di eventi di altro e ben più terreno significato.
           
Date queste premesse, la ricerca e la discussione non potevano non concentrarsi su quei pochi passi nei quali si fa riferimento al cristianesimo anteriormente alla sua affermazione imposta manu militari da Costantino e Teodosio, e fra questi il Testimonium Flavianum è il più ragguardevole. Se esso è un falso aggiunto secoli dopo dalla mani di un copista pio quanto poco scrupoloso, la presunzione di storicità del racconto evangelico ne subisce un colpo durissimo.
In realtà si tratta di un falso e anche piuttosto grossolano, altrimenti dovremmo supporre che un ebreo ortodosso, di stirpe sacerdotale asmonea, mentre sta parlando di tutt’altro se ne esca con un’improvvisa dichiarazione di conversione al cristianesimo, e dopo poche righe riprenda l’argomento precedente come se niente fosse; in più, il testo riprende quasi alla lettera le espressioni del credo, del simbolo niceno redatto un paio di secoli più tardi. Ancora, stranamente, il Testimonium risulta del tutto sconosciuto ai Padri della Chiesa dei primi secoli, che bene se ne sarebbero potuti servire nelle loro dispute teologiche.
Riguardo alla storicità della narrazione evangelica, il Testimonium non testimonia un bel nulla, tranne l’inattendibilità e la disonestà di coloro che si erano arrogati il ruolo di trasmettere, interpretare, inculcare nel popolo volente o nolente “la parola di Dio”.
Confrontando lo stile espressivo, del tutto diverso da quello di Flavio Giuseppe, Tranfo ritiene di poter identificare l’autore del Testimonium in Eusebio di Cesarea, un noto “pio falsario” vissuto nel IV secolo.
Tolto il falso del Testimonium, i pochi frammenti di autori classici sovente citati da coloro che vorrebbero persuaderci della veridicità della narrazione evangelica, Tacito e Svetonio non ci attestano in alcun modo l’esistenza storica di Gesù Cristo, bensì di movimenti che avevano cominciato a definirsi “cristiani”. Quel che invece è attestato in abbondanza è il messianesimo rivoluzionario che portò alla Guerra Giudaica. Le conclusioni di Tranfo concordano bene con quelle di Donnini; infatti – egli nota – gli antichi nel creare i loro miti non avevano l’abitudine di inventare personaggi immaginari, ma di attribuire caratteri fantasiosi a persone ed eventi reali. Gesù Cristo, o un personaggio storico reale che ne costituisce “la base” è verosimilmente esistito, ma per capire chi egli realmente fosse, stante il sostanziale silenzio di fonti extrevangeliche, non resta altro che esaminare il racconto dei vangeli, sapendo che si tratta di testi certamente manipolati, e cercare di distinguere il grano dal loglio, “l’inchiostro vero da quello falso”.
C’è prima di tutto il problema della datazione: noi non disponiamo di alcun frammento dei vangeli databile con certezza al I secolo, e ben pochi al II, è solo a partire dal III e dal IV essi cominciano a diventare copiosi; inoltre sono tutti scritti in greco, nessuno in ebraico o in aramaico, le lingue parlate dai protagonisti degli eventi narrati, inoltre, cosa ammessa anche dagli studiosi ortodossi, verosimilmente nessuno dei quattro vangeli è stato scritto prima della Guerra Giudaica, abbiamo dunque tutti i motivi di pensare che siano stati stesi sotto l’urgenza di mettere la massima distanza possibile tra il nuovo credo e il messianesimo giudaico, anche senza farsi scrupolo di alterare persone e fatti, anzi che siano stati scritti precisamente a questo scopo.
Per portare avanti questo lavoro di copertura e dissimulazione, gli evangelisti si sono largamente serviti del lavoro di adattamento già compiuto da Paolo per “vendere” la nuova religione ai gentili, annacquando il suo significato originale ebraico a prezzo di violenti contrasti con la Chiesa di Gerusalemme, ossia i diretti eredi del pensiero di Gesù, che gli Atti degli Apostoli velano ma non nascondono completamente, e imparentandola con i molti miti soteriologici già diffusi nel mondo gentile (con l’attribuzione al Cristo di molti tratti comuni ai vari Mitra, Orfeo, Attis, Osiride: la nascita da una vergine in coincidenza col solstizio d’inverno, l’auto-immolazione, la discesa agli inferi, la rinascita dopo tre giorni, insomma tutto l’incredibile guazzabuglio sincretistico che ancora oggi conosciamo come cristianesimo), e l’originario messianesimo politico non è stato solo sconfitto, ma espunto dai testi e cancellato dalla storia.
Un altro elemento che ha sempre messo in imbarazzo la Chiesa e che ci si è sempre ben guardati dal rilevare con troppa attenzione, sono le differenze fra il vangelo di Giovanni e gli altri tre, Marco, Matteo e Luca, globalmente conosciuti come sinottici (che possono essere scorsi confrontando capitolo con capitolo). In Giovanni non compaiono le complicate elencazioni degli apostoli, con interpretazione dei loro nomi e appellativi che sembrano fatte per sviare dalla loro reale identità e in compenso vi sono episodi come la resurrezione di Lazzaro assente nei sinottici, ma soprattutto vi è una cornice teorica e simbolica più elaborata che apparenta “pericolosamente” il cristianesimo delle origini con il movimento degli esseni. Peggio che mai, gli Esseni il cui “Maestro di Giustizia” presenta una forte somiglianza con il Cristo giovanneo, erano una comunità purista ebraica connessa con lo gnosticismo, un’eresia che la Chiesa ha sempre particolarmente aborrito. Una situazione che per la Chiesa stessa è diventata sempre più insostenibile dopo che a Qumran e a Nagh Hammadi sono saltate fuori due intere “biblioteche” essene.
“Nella gnosi”, precisa Tranfo, “L’uomo impuro e limitato cerca Dio (luce eterna) dentro se stesso: la fede è vissuta come travaglio interno e ricerca incessante condotta con l’aiuto della fiammella divina che la materia non ha del tutto soppresso.
Non c’è alcun bisogno di “mediazione” umana e ciò significa che la gnosi non ha bisogno di ministri né di templi.
Le liturgie essene, sono ricche di cerimonie rituali nei quali l’officiante coinvolge i presenti con frasi e gesti (il pasto comunitario, il battesimo) ma la funzione dell’iniziato è ben diversa da quella del sacerdote cristiano.
Nella mentalità gnostica l’uomo non può sperare che l’intervento di un altro uomo “investito da Dio” possa sollevarlo dalla ricerca interiore vista come unico, autentico e ben più faticoso mezzo di crescita spirituale.
Nel culto cristiano l’uomo ha bisogno dell’istituzione come di un interprete, di un mediatore tra lui e Dio che, altrimenti, non è pienamente raggiungibile.
Tale dipendenza dell’uomo dall’istituzione, tuttavia, è solo un’apparenza: in realtà è l’istituzione che ha bisogno di esercitare la sua funzione di mediazione con Dio affinché il ruolo svolto le consenta l’affermazione storica, politica e il dominio delle coscienze”.
Si comprende bene allora quanto siano imbarazzanti per la Chiesa questi ritrovamenti che rendono ancora più evidenti le influenze gnostico-essene nel vangelo di Giovanni.
Un aspetto collaterale ma assolutamente non secondario del complesso di vicende che stiamo esaminando, è la singolare “carriera” di Maria. La madre di Gesù, personaggio non molto presente nei vangeli, ha conosciuto una progressiva dilatazione fino a diventare “la Madonna”, una sorta di quarta persona della Santissima Trinità. In tutto il Nuovo Testamento, Maria madre di Gesù è citata solo 18 volte contro le 25 della Maddalena e, fino al V secolo non trova posto nemmeno fra i santi invocati durante le orazioni liturgiche. La prima chiesa dedicata a Maria fu costruita soltanto nel IV secolo.
Il primo promotore del “culto mariano” fu Cirillo di Alessandria che riuscì a farla riconoscere “madre di Dio” nel concilio di Efeso nel 431. Da quel momento l’importanza di Maria nel culto cristiano crebbe in maniera esponenziale, ma – nota Tranfo – non esiste carriera che si sviluppi in un colpo solo Soltanto nel 1854 papa Pio IX proclamò il dogma dell’immacolata concezione e solo nel 1950, praticamente ieri, pio XII proclamò quello dell’assunzione in cielo di Maria anima e corpo. Insieme a questi dogmi si sono gradatamente affermate una serie di idee del tutto estranee al cristianesimo primitivo, la concezione verginale e la verginità sempiterna della madre di Cristo. Peccato che Tranfo non citi una bellissima osservazione di Martin Lutero che faceva notare che se il papa avesse davvero e sulla base di qualcos’altro che un’arroganza autoreferenziale, il potere di proclamare un nuovo dogma, allora renderebbe eretici tutti i cristiani vissuti in precedenza, compresi gli apostoli, che non avendolo potuto conoscere, non l’hanno potuto credere.
Di certo, la progressiva divinizzazione di Maria esprime un bisogno tanto radicato nel cristianesimo, specie cattolico, quanto irrazionale: quello di esorcizzare la sessualità nella figura della vergine sempiterna, ma nello stesso tempo allontana sempre più il cristianesimo dalle sue presunte  basi storiche e i suoi adepti dall’uso della ragione.
Tranfo passa poi a esaminare i motivi per cui è verosimile che il luogo d’origine di Gesù fosse Gamala e non Nazareth, e sono gli stessi indicati da Donnini, ma egli aggiunge una altro elemento ancora, abbastanza sorprendente. Ne Il maestro e Margherita, Michail Bulgakov immagina un dialogo fra Gesù e Pilato nel quale il primo dichiara di essere nativo di Gamala. Poiché il romanzo è stato scritto negli anni ’30/’40 ben prima delle recenti scoperte archeologiche, questo implicherebbe un singolare potere di preveggenza, a meno che lo scrittore, che era figlio di Afanasij Ivanovič Bulgakov, critico e storico delle religioni, non abbia avuto tramite il padre accesso a fonti antiche ancora a noi ignote.
Una riprova della misura in cui i vangeli sono stati ripetutamente manipolati è data dalla lettera di uno dei più venerati Padri della Chiesa, Clemente di Alessandria, in risposta a un suo discepolo, tale Teodoro. Qui non soltanto Clemente sostiene la necessità di alterare la verità storica per far trionfare <la Verità>, ma cita un passo del vangelo di Marco assente nelle versioni successive, si tratta del racconto della resurrezione di Lazzaro che pur essendo uno dei miracoli più spettacolari attribuiti al Cristo, è presente in Giovanni ma è stato del tutto espunto dai tre sinottici. Perché? Forse perché le versioni sinottiche (ed è certamente il caso di quella – censurata – di Marco) lasciavano meglio intendere che non si trattò per nulla di un miracolo, bensì di un rito di iniziazione di tipo gnostico che prevedeva la <morte> e la <resurrezione> simboliche dell’adepto. Abbiamo a ogni modo la prova che i vangeli sono stati censurati e falsati da gente a cui non importava nulla della verità storica, ma solo di ottenere il miglior effetto propagandistico.
In particolare, il resoconto della vita di Gesù e soprattutto quello della crocifissione appaiono costantemente alterati per farli coincidere a posteriori con le profezie veterotestamentarie (<affinché si adempissero le Scritture>), si pensi al racconto degli eventi che intercorrono dall’arresto di Gesù alla crocifissione: il triplice processo davanti a Anna, Caifa e Pilato, la fustigazione, l’appello al popolo che sceglie la liberazione di Barabba, condensando in un paio di giorni avvenimenti che avrebbero richiesto mesi, sempre per ottenere un accordo a posteriori con le profezie veterotestamentarie. 
La storia della crocifissione così come ci viene raccontata dai vangeli è talmente bizzarra da far riflettere sul potere della <fede>, del senso di colpa debitamente inculcato nei confronti di ragionevoli dubbi, di far accettare a milioni di uomini per un lungo arco di secoli le più lampanti assurdità.
Se quello che ci viene raccontato in maniera mascherata fu in realtà un tentativo insurrezionale contro le autorità romane (l’entrata trionfale a Gerusalemme la Domenica delle Palme) concluso poi in maniera disastrosa (la cattura di Gesù nell’Orto degli Ulivi) fino ad arrivare alla crocifissione del leader di questa rivolta, fosse Gesù il suo vero nome, o non fosse piuttosto come Tranfo sospetta seguendo il suggerimento di Cascioli, Giovanni di Gamala, figlio di Giuda il Galileo e nipote di quello Zaccaria la cui cattura aprì a Erode l’accesso al trono, cioè il membro di una famiglia fortemente connessa al movimento zelota e che rivendicava un’origine davidica, allora la vicenda ha un senso preciso che invece non ha se i Romani, che erano estremamente restii a intervenire nelle questioni religiose dei popoli sottomessi, avessero impiegato un’intera coorte per catturare un gruppetto di miti e innocui predicatori, e condannare il loro leader alla crocifissione, ossia la pena più atroce e infamante, che Roma riservava ai malfattori della peggiore specie, agli autori di crimini infami, e soprattutto, per il suo potere dissuasivo, ai ribelli contro l’autorità romana.
Ma soprattutto è assurdo il significato teologico che i fondatori del cristianesimo e la Chiesa hanno voluto dare a questo evento: un Dio che per poter perdonare l’umanità della colpa commessa dai suoi lontani antenati mangiando una mela, ha bisogno di immolarsi o di immolare il suo figlio unigenito in maniera atroce!
<Risulta lampante l’assurdità della <filosofia salvifica> posta quale base logica del mistero ed è straordinario come tale <assurdità> non venga mai rilevata da alcuno.
È come se l’anziano capo di una famiglia di <mafia>, per porre fine ad una sanguinosa lotta tra <faide>, volendosi riconciliare con una famiglia avversaria decida di inviare suo figlio a pranzo nella <tana del lupo>.
La famiglia avversaria, nel bel mezzo del pranzo di riconciliazione, decide di accoppare il rampollo e lo restituisce in <orizzontale> al padre.
Ora l’anziano è felice: suo figlio si è umiliato sedendo nella stessa tavola dei suoi nemici e li ha così riabilitati, poi questi gli hanno <fatto la festa> e dunque… ora si che pace è fatta!>
La realtà storica, naturalmente è un’altra: il cristianesimo germogliò sul tronco del messianesimo ebraico sconfitto e morente:
Di fronte all’irreparabile sconfitta, con la complicità dell’ebraismo ellenistico, prese corpo la riscossa ideologica: quel mondo perdente, incredulo di fronte al fallimento di una profezia ineluttabile, guardandosi indietro volle credere (e fece credere) che le promessa vetero testamentaria era passata senza essere vista, che il Re di Israele era in realtà il Re del Mondo, che il Regno di Dio non era per la terra ma per il cielo e che il messia morto era risorto.
In realtà, grazie al felice riciclo, a risorgere sotto nuove spoglie non fu il messia ma il messianismo che, ora soltanto finalmente poteva chiamarsi cristianesimo!
Dall’unione di Gesù (Yeshua) e del Cristo (Giovanni) nacque Gesù Cristo, in tutto simile alle antiche divinità dei culti misterici e pagani, anche se a tradirne le origini erano il pensiero e la parola, entrambi espressione di pura spiritualità essena.
Il sincretismo tuttavia impose un caro prezzo e l’ideologia insurrezionale giudaica si trasformò in pacifismo universale di stampo antigiudaico, l’odio verso gli oppressori in perdono, la spada in ramoscello di ulivo.
(…).
Nell’ovvio vuoto di testimonianze del tempo, reperti, tracce o prove di qualsiasi specie sull’esistenza del cristianesimo nel I secolo, alla nascente Chiesa, per dimostrare l’indimostrabile, non restò che costruire la propria <letteratura di conferma> attraverso gli Atti degli Apostoli e le lettere paoline. Ma per fare questo dovette spalmare all’inverosimile, nel tempo e nello spazio, l’evangelizzazione di Paolo della quale dilatò gli effetti oltre ogni limite di ragionevole credibilità>.
In altre parole, più sinteticamente, come dice Tranfo più sotto: <La favola aveva rubato il posto alla storia>.
I lavori di Cascioli, di Donnini, di Tranfo, di altri parlano con estrema chiarezza. Il cristianesimo ha preteso di fondare la sua superiorità sugli antichi culti nativi dell’Europa, sul cosiddetto paganesimo, sul fatto di basarsi sulla storicità e non sul mito, ebbene, proprio sul piano della storia, quando non vi si accosti con gli occhi appannati dalla fede, è destinato a subire la più bruciante delle sconfessioni, a sgonfiarsi come un soufflé o un palloncino bucato.

NOTA DI ERETICAMENTE

Proprio stamane in redazione ci è giunto un documento relativo ad una intervista che Giovanna Canzano fece a Giancarlo Tranfo in occasione della pubblicazione del libro che abbiamo commentato.
La linkiamo qui di seguito ‘intervista a Tranfo’ ringraziando Giovanna per l’autorizzazione concessaci

8 Comments

  • Anonymous 27 Agosto 2012

    Molto interessante anche se ero già a conoscenza di quanto scritto. Milioni di “credenti” dovrebbero leggerlo.

    Giancarlo V.

  • Anonymous 27 Agosto 2012

    Molto interessante anche se ero già a conoscenza di quanto scritto. Milioni di “credenti” dovrebbero leggerlo.

    Giancarlo V.

  • N 27 Agosto 2012

    Bravissimo, Fabio!

    L’impresa Yaweh & Figlio (“menzogna degradante” dice il Prof.) è la vergogna dell’uomo bianco.

  • N 27 Agosto 2012

    Bravissimo, Fabio!

    L’impresa Yaweh & Figlio (“menzogna degradante” dice il Prof.) è la vergogna dell’uomo bianco.

  • Milo Dal Brollo 2 Settembre 2012

    Non ho ancora letto tutto l’articolo e non conoscevo i due libri, mi permetto di discutere due punti.

    1) La frase citata durante l’Ultima Cena da Luca, mi fa pensare che gli Apostoli fungessero più da guardie del corpo che da rivoluzionari, senza togliere il fatto che avevano chiaramente il compito di tramandare l’insegnamento di Gesù. Altrimenti dove sarebbero gli altri passi che indicherebbero questa sua identità?

    2) Ma se Gesù era solo un ribelle ebraico antiromano, come ha fatto l’ebraismo a scontrarsi proprio col cristianesimo? Perché l’ebraismo ortodosso, che è sostanzialmente quello sefarditico dei tempi, l’unico sopravvissuto, odia Gesù invece di rivendicarlo o ignorarlo? Nel migliore dei casi, era un rivoluzionario, nel peggiore invece era solo un ribelle come tanti…

    3) Nell’articolo sta scritto: “Una riprova della misura in cui i vangeli sono stati ripetutamente manipolati è data dalla lettera di uno dei più venerati Padri della Chiesa, Clemente di Alessandria, in risposta a un suo discepolo, tale Teodoro. Qui non soltanto Clemente sostiene la necessità di alterare la verità storica per far trionfare “la Verità”, ma cita un passo del vangelo di Marco assente nelle versioni successive, si tratta del racconto della resurrezione di Lazzaro che pur essendo uno dei miracoli più spettacolari attribuiti al Cristo, è presente in Giovanni ma è stato del tutto espunto dai tre sinottici”. Dove si trova questo passo? E’ possibile leggerlo?

    Resta inoltre il fatto che il Vangelo e molti passi della Bibbia – quelli che sono evidentemente poco influenzati dall’epica ebraicoa – vengono troppo spesso – anche dai credenti – interpretati in senso realista. Ma così, parabole e simboli semplicemente non possono essere compresi. Non sono nomi indicanti cose, oggetti, enti materiali o paranormali.

  • Milo Dal Brollo 2 Settembre 2012

    Non ho ancora letto tutto l’articolo e non conoscevo i due libri, mi permetto di discutere due punti.

    1) La frase citata durante l’Ultima Cena da Luca, mi fa pensare che gli Apostoli fungessero più da guardie del corpo che da rivoluzionari, senza togliere il fatto che avevano chiaramente il compito di tramandare l’insegnamento di Gesù. Altrimenti dove sarebbero gli altri passi che indicherebbero questa sua identità?

    2) Ma se Gesù era solo un ribelle ebraico antiromano, come ha fatto l’ebraismo a scontrarsi proprio col cristianesimo? Perché l’ebraismo ortodosso, che è sostanzialmente quello sefarditico dei tempi, l’unico sopravvissuto, odia Gesù invece di rivendicarlo o ignorarlo? Nel migliore dei casi, era un rivoluzionario, nel peggiore invece era solo un ribelle come tanti…

    3) Nell’articolo sta scritto: “Una riprova della misura in cui i vangeli sono stati ripetutamente manipolati è data dalla lettera di uno dei più venerati Padri della Chiesa, Clemente di Alessandria, in risposta a un suo discepolo, tale Teodoro. Qui non soltanto Clemente sostiene la necessità di alterare la verità storica per far trionfare “la Verità”, ma cita un passo del vangelo di Marco assente nelle versioni successive, si tratta del racconto della resurrezione di Lazzaro che pur essendo uno dei miracoli più spettacolari attribuiti al Cristo, è presente in Giovanni ma è stato del tutto espunto dai tre sinottici”. Dove si trova questo passo? E’ possibile leggerlo?

    Resta inoltre il fatto che il Vangelo e molti passi della Bibbia – quelli che sono evidentemente poco influenzati dall’epica ebraicoa – vengono troppo spesso – anche dai credenti – interpretati in senso realista. Ma così, parabole e simboli semplicemente non possono essere compresi. Non sono nomi indicanti cose, oggetti, enti materiali o paranormali.

  • Milo Dal Brollo 10 Settembre 2012

    Comunque non è vero che la Verginità di Maria è estranea al cristianesimo. I Vangeli di ogni tradizione e traduzione la vedono come vergine. Vedi Luca 1:26-27 e Matteo 1:23.

  • Milo Dal Brollo 10 Settembre 2012

    Comunque non è vero che la Verginità di Maria è estranea al cristianesimo. I Vangeli di ogni tradizione e traduzione la vedono come vergine. Vedi Luca 1:26-27 e Matteo 1:23.

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