1 Febbraio 2025
Società

Ci vogliono ignoranti – Roberto Pecchioli

Una giovane universitaria che deprecava giustamente i proprietari di cani indifferenti alla rimozione dei bisognini dei loro animali, ha confuso deiezioni con delazioni. Siparietto divertente, ma è la prova dell’ignoranza che sta privando di parole e conoscenze un’intera generazione, quella detta Z, i nativi digitali, cresciuti a pane, internet e smartphone. L’ignoranza è forza, era scritto sul grande palazzo del partito unico al potere nel romanzo 1984. Missione compiuta, giacché negli ultimi decenni si sta diffondendo un’epidemia contagiosa di asineria. Poiché però le ultime generazioni sono state programmate per credere di essere le più avanzate, sapienti ed illuminate della storia, aveva ragione Goethe: nulla è più terribile di un’ignoranza attiva. E a Montaigne: l’ignoranza che si conosce, si giudica e si condanna non è un’intera ignoranza: perché lo sia, bisogna che ignori se stessa.

Incultura tronfia come quella del signorino soddisfatto intravista da Ortega y Gasset. I asu ‘d Cavour as laudu da lur, gli asini di Cavour si lodano da soli, recita un detto piemontese. Bruttini e sciocchi, lo fanno per narcisismo, presunzione, millanteria. Asino è l’ingiusto sinonimo di ignorante, ma sapere è potere, diceva Francis Bacon, scienziato e filosofo il cui cognome ricorda probabilmente agli analfabeti funzionali un ingrediente del cibo di Mc Donald. Ci vogliono ignoranti, è chiaro. E meno intelligenti, come dimostra la diminuzione del quoziente intellettivo, chiamata effetto Flynn al contrario dal nome dell’inventore del test che misura l’ intelligenza. Dopo la scolarizzazione di massa e la fabbrica di diplomi e lauree voluta da uno sciagurato egalitarismo (l’inclusione che esclude la conoscenza) avanza il semplice addestramento a compiti prestabiliti, scisso da una visione generale, dall’educazione al pensiero e al giudizio personale. Nel mondo di Pinocchio l’omino di burro conduceva i bambini nel paese dei balocchi per farli diventare asini e venderli al mercato. La verità nella fiaba.

Professionisti, medici e psicoterapeuti agiscono per protocolli, ridotti a meri esecutori di istruzioni ricevute, le nuove indiscutibili tavole della legge. Cavalli alla stanga con il paraocchi. La differenza con il passato è che l’ignoranza odierna è dotata di titoli accademici, quindi arrogante, saccente. Con fatalismo contadino un personaggio de La Luna e i falò di Cesare Pavese esclama: gli ignoranti saranno sempre ignoranti perché la forza è nelle mani di chi ha interesse che la gente non capisca. L’astuzia contemporanea è averci convinto di essere diventati sapienti, colti, riflessivi. Le ultime generazioni stanno perdendo non solo saperi, conoscenze, ragione critica, ma abilità antiche come la scrittura.

L’ignoranza deliberata, programmata, perseguita dall’alto – con esclusione dell’esigua minoranza destinata al dominio – è un fatto, un preciso strumento di governo. Non viene percepita dalla massa per un cortocircuito ovvio: crediamo di sapere. Chi sa di non sapere, dal tempo di Socrate si impegna nello studio, nel ragionamento, nel confronto. Il signorino soddisfatto è convinto di sapere tutto ciò che “serve”. Ultimamente basta la capacità di maneggiare lo smartphone e la tastiera del pc. A portata di clic ci sono le risposte, ma mancano le domande.

Il degrado dei sistemi educativi, incentrati sulla formazione strumentale e non sul ragionamento critico, ha prodotto generazioni incapaci di mettere in discussione lo status quo. Tutte le analisi mostrano il deterioramento dell’istruzione e il suo impatto sulla capacità di comprendere informazioni complesse. Centrale è il ruolo dei media, che privilegiano l’intrattenimento banale rispetto al contenuto informativo, contribuendo all’impoverimento intellettuale collettivo. La banalizzazione culturale e la mancanza di un dibattito serio hanno ristretto lo spazio – e l’interesse – per la riflessione. La civiltà dell’immagine, basta sui frame (cornice, ma anche frammento) ha sconfitto la parola scritta. La Generazione Z sta smarrendo la scrittura e in parte la stessa lettura. Oltre alla perdita della capacità di scrivere a mano una lettera, le implicazioni sono enormi anche sul modo in cui si scrive, scarnificato nel lessico, disarticolato nei tempi e nei modi verbali, intriso di riduzionismo, acronimi, segni stenografici.

Enormi sono anche le ricadute sulla capacità di calcolo, di soluzione di problemi matematici e non solo (alla faccia del problem solving tanto apprezzato sul mercato) sulla memoria, incapace di ritenere testi o formule, nonché di comprendere, spiegare, rielaborare quanto appreso. L’era tecnologica ha cambiato tutto, dal modo in cui educhiamo al modo in cui ci relazioniamo. La tecnologia digitale ha trasformato la comunicazione, rendendo la scrittura a mano sempre meno comune. Tutti gli studi confermano che dalle piattaforme di messaggistica alle reti sociali, i giovani preferiscono gli scambi rapidi e brevi, forzatamente superficiali, binari come il linguaggio informatico.

Un problema antropologico, non solo culturale, giacché la scrittura svolge un ruolo chiave nello sviluppo cognitivo. È legata ad abilità come la memoria e la comprensione, poiché impegna il cervello in forma diversa rispetto alla digitazione su una tastiera. Ciò ha profonde implicazioni sul modo in cui le ultime generazioni percepiscono e interpretano il mondo. La scrittura a mano è una forma di comunicazione riflessiva e personale, lontana dagli stereotipi. Uno dei problemi è l’impreparazione crescente di gran parte delle figure professionali. L’ignoranza deliberata ha conseguenze e la difficoltà di lettura, lessico, capacità nel calcolo, memorizzazione, elaborazione delle complessità si sta riversando sul sistema economico. L’imperizia frutto del declino educativo e della prevalenza della macchina sull’uomo diventano concause della più generale decadenza della nostra società.

Il paragone con le condizioni di vent’anni fa è impietoso, le previsioni future severe. Non è colpa dei giovani ma di chi li ha plasmati. Il peggioramento riguarda almeno la metà di chi si presenta sul mercato del lavoro, segno che l’addestramento anziché l’educazione e la cultura non funzionano neppure dal punto di vista della ragione economica. Nondimeno, gran parte dei giovani ha una formazione teorica più solida rispetto ai padri. Mancano l’ empatia e la comunicazione. Ovvio, in una società competitiva in cui l’altro è un nemico, come minimo un concorrente.

Declinano abilità antiche e moltissimi – compreso l’autore di queste note – hanno perso la capacità di scrivere in una grafia comprensibile. Crollano la memoria e la capacità di calcolo. Tutto ciò conduce a un pensiero elementare, incapace di cogliere, elaborare, ritenere la complessità, insieme con il fastidio per lo sforzo mentale, imprescindibile per la conoscenza e per il pensiero astratto, critico e meditante. Effetti di una discesa voluta dall’alto. Al sistema non servono più, come in passato, ingenti masse umane da impiegare nell’agricoltura, nell’industria, nella guerra. Per un secolo era stato indispensabile formare intere generazioni a conoscenze e capacità complesse da utilizzare sul mercato del lavoro, così come alimentare ideologie contrapposte (divide et impera).

Oggi non è più così: le rivoluzioni tecnologiche, la robotica, l’automazione, permettono di prescindere dall’essere umano in moltissimi ambiti, anche di elevato livello cognitivo. Perché dunque impiegare tempo e denaro nell’educazione, nell’istruzione, nella cultura? Meglio mantenere le masse nell’ignoranza, che assicura indifferenza, adattabilità sociale, incapacità di pensare altrimenti. Colse perfettamente nel segno Gunther Anders ne L’uomo è antiquato, oltre sessanta anni fa. Intuì la deriva trans e anti umana della tecnologia e il divario insanabile – lo definì dislivello prometeico – che allontana sempre più l’essere umano dai suoi stessi prodotti, appartenenti al dominio della tecnica.

Ne riassumiamo un brano illuminante, scritto agli albori della televisione, quando ancora la pubblicità non era così pervasiva, Internet non esisteva e la rivoluzione tecnologica basata sull’informatica era lontanissima. Per reprimere preventivamente qualsiasi rivolta è importante non ricorrere alla violenza. I metodi violenti sono diventati obsoleti. Basterà creare un condizionamento collettivo così potente che nella mente degli uomini non sorgerà nemmeno l’idea di ribellarsi. L’ideale è formattare gli individui fin dalla nascita, limitandone le capacità biologiche innate. Il condizionamento continuerà riducendo la qualità dell’istruzione per trasformarla in una forma di apprendistato lavorativo. Un individuo non istruito ha un orizzonte di pensiero limitato e quanto più il suo pensiero è limitato a preoccupazioni materiali e mediocri, tanto meno potrà ribellarsi. Si farà in modo che l’accesso alla conoscenza sia sempre più difficile ed elitario; si approfondirà il divario tra il popolo e la scienza. L’informazione destinata al grande pubblico sarà depurata da ogni contenuto sovversivo (ossia antagonista). Soprattutto, nessuna filosofia. Anche in questo caso bisognerà ricorrere alla persuasione e non alla violenza diretta: saranno diffusi massicciamente attraverso la televisione spettacoli che anestetizzano la mente, lusingando il registro emotivo, istintivo.

Le menti verranno occupate con ciò che è futile e giocoso. I discorsi e la musica incessanti sono utili per impedire alla mente di riflettere. La sessualità sarà al primo posto tra gli interessi umani. Come anestesia sociale, non c’è di meglio. Si farà in modo che venga bandita la serietà dell’esistenza, sia ridicolizzato tutto ciò che ha un valore elevato, si mantenga una costante apologia della leggerezza, affinché l’euforia della pubblicità, del consumo diventi norma della felicità umana e modello di libertà. Il condizionamento produrrà un’integrazione tale che l’unica paura (che dovrà essere mantenuta) sarà quella di essere esclusi dal sistema e quindi non poter accedere alle condizioni materiali necessarie per raggiungere la felicità. L’uomo massa così plasmato deve essere trattato per quello che è: un prodotto, un vitello, e deve essere controllato come va controllata una mandria. Qualsiasi dottrina che metta in discussione il sistema deve essere descritta come sovversiva e terroristica, e coloro che la sostengono devono essere trattati come tali.

Siamo diventati troppo ignoranti per capirlo ?

4 Comments

  • Roberta Minchillo 15 Gennaio 2025

    Non mi meraviglio di nulla, anzi mi dispiace di dover constatare con rammarico che, di asineria, nel territorio dove vivo io c’è n’è tantissima e non riguarda solo le nuove generazioni. Basta pensare che il Sindaco di una cittadina vicina alla mia, ha detto, durante un convegno: “che bella questa sala “grèmita” di gente! E ho detto tutto!

  • Mike 15 Gennaio 2025

    “Siparietto divertente, ma è la prova dell’ignoranza che sta privando di parole e conoscenze un’intera generazione, quella detta Z, i nativi digitali, cresciuti a pane, internet e smartphone. L’ignoranza è forza, era scritto sul grande palazzo del partito unico al potere nel romanzo 1984. Missione compiuta, giacché negli ultimi decenni si sta diffondendo un’epidemia contagiosa di asineria”

    Secondo me ci sono due considerazioni da fare su questo argomento.
    Primo, un conto è l’ignoranza e un altro l’ignoranza esibita. Una volta l’ignorante aveva poche o nessuna occasione di “esprimere le proprie opinioni”, perché c’era la gente che faceva dei “media” un mestiere e tutti gli altri erano solo consumatori. Adesso gli strumenti elettronici creano la “post-verità” che ha due elementi, il fatto che ogni affermazione deve essere vera e falsa e anche il fatto che ogni persona è uguale ad ogni altra (uno vale uno). In altre parole, l’ignorante che una volta non si faceva notare oggi ha la possibilità di sbandierare la propria ignoranza ai quattro venti e, inconsapevole, anche di vantarsene. Ci sono molti “canali Youtube” (io seguo quelli ma chissa quante altre “piattaforme”) dove gente che parla con un italiano stentato e gergale sproloquia di astrofisica o di geopolitica.
    Secondo, l’ignoranza non cala dall’alto, dai “poteri forti”, sale dal basso, dai genitori che non educano i figli oppure li educano secondo criteri controproducenti. Faccio un esempio, tempo fa mi diceva un amico che la moglie voleva portare il figlio dodicenne a fare il piercing alle orecchie, cosi da potersi mettere uno o più orecchini. Non per qualche motivo fondato, semplicemente perché gli amichetti della scuola del ragazzino l’avrebbero discriminato se non avesse portato anche lui l’orecchino. Dopo l’orecchino ci sarà il tatuaggio. Sono i genitori e non i “poteri forti” che danno l’esempio passando tutto il tempo a spippolare il gadget elettronico e che lo mettono in mano ai figli in fasce, incuranti delle conseguenze.

    Tutto questo non appare d’improvviso, è la logica evoluzione degli Anni Settanta, contraddistinti da altri due elementi, il famoso “vietato vietare”, per cui si asseriva che bisognasse non avere nessuna morale o addirittura una anti-morale (in odio all’Occidente, eccetera) e la dualità folle del “giovanilismo” (i giovani come classe sociale, intrinsecamente insieme illuminata e rivoluzionaria) e del “popolare” (tutto per la classe operaia, ovvero tutto deve essere a misura del “popolo” inteso come plebaglia). In conseguenza da allora non esistono più gli adulti, perché lo sviluppo termina con l’eterna adolescenza e la “cultura” è diventata il vicolo, l’osteria, il mercato, la fabbrica. I “modelli” devono essere “giovani” e sguaiati.

    “Ci vogliono ignoranti, è chiaro”

    Direi che è ora di finirla di frignare dando la colpa a qualche satana impersonale. Se mio figlio è ignorante la colpa è mia. Se mio figlio è ignorante e si comporta da delinquente, la doppia colpa è mia. Se io mi comporto come un coetaneo di mio figlio la colpa è mia. Ognuno risponde delle proprie scelte e delle proprie azioni.

    “Professionisti, medici e psicoterapeuti agiscono per protocolli, ridotti a meri esecutori di istruzioni ricevute, le nuove indiscutibili tavole della legge”

    Questo paragrafo non ha alcun senso.
    Per due ragioni.
    Primo, è una contraddizione rispetto al fatto di essere ignoranti. Per conoscere i “protocolli” bisogna studiare. Per diventare, che ne so, ingegnere, bisogna studiare un sacco di manuali di matematica e fisica e poi quelli specifici di certe tecnologie. Sono tutte “istruzioni ricevute”.
    Secondo, per mandare un razzo in orbita bisogna conoscere un sacco di “leggi indiscutibili” e non si possono inventare, infatti sono pochi quelli capaci di mandare un razzo in orbita. Se vogliamo essere precisi, tornando al fatto che si straparla di cose di cui non si capisce il senso, le “leggi” sono “discutibili” ma per “discuterle” bisogna dimostrare che sono false, non basta dire che ci stanno sulle palle. Se io andassi alla NASA a dire che non hanno capito un cavolo coi loro “protocolli” e che si fa in un altro modo, loro mi direbbero “bene, facci vedere”.

    “L’ignoranza odierna è dotata di titoli accademici, quindi arrogante, saccente”.

    Non so di cosa stia parlando. L’ingegnere consegue la laurea risolvendo un tot di esercizi di Analisi Matematica. Quindi si assume che sappia l’Analisi. Se arrivassi io a dire “no, non si fa il calcolo in questa maniera” mi direbbero “bene, facci vedere come si fa”. Significa essere “saccenti”? Direi di no.

    “Chi sa di non sapere, dal tempo di Socrate si impegna nello studio, nel ragionamento, nel confronto”

    No, chi sa di non sapere va a chiedere a Socrate.
    A Platone o ad Aristotele.
    Non è che siccome Aristotele è “arrogante” allora io mi posso inventare la mia filosofia alternativa.
    A meno di non essere al livello di Aristotele.
    Questo è il passaggio che non funziona. Nessuno è obbligato a girare la macina del mulino, il problema è che i genitori non educano i figli o li educano perché siano degli idioti.

    “Il degrado dei sistemi educativi, incentrati sulla formazione strumentale e non sul ragionamento critico, ha prodotto generazioni incapaci di mettere in discussione lo status quo”

    Torno a dire, per “mettere in discussione” bisogna dimostrare di avere qualcosa di meglio.

    “Centrale è il ruolo dei media, che privilegiano l’intrattenimento banale rispetto al contenuto informativo.

    I “media” sono stati inventati per intrattenere, non per educare.
    La gente ha sempre pagato il biglietto per avere in cambio delle emozioni.
    Questo è il trucco che consente la manipolazione, la gente viene portata in giro usando l’emotività che per definizione è irrazionale.

    “La civiltà dell’immagine, basta sui frame (cornice, ma anche frammento) ha sconfitto la parola scritta”

    La parola scritta è un metodo convenzionale per trasmettere un contenuto. Quindi bisogna avere qualcosa da dire. Non è quello il problema, il problema è che con la “post-verità” tutte le cose scritte (e non scritte) sono vere e false, quindi non c’è niente che valga la pena di dire o di fare, perché qualsiasi linea di azione è equivalente a qualsiasi altra. E’ la paralisi per impossibilità di scegliere, di decidere.

    “L’era tecnologica ha cambiato tutto, dal modo in cui educhiamo al modo in cui ci relazioniamo”

    Si lo dicevano quando è stato inventato il fuoco.

    “La tecnologia digitale”

    Ecco, appunto.
    Visto che ne parliamo, il termine “digitale” significa che un certo meccanismo conta per “salti”, come “uno, due, tre”, senza niente in mezzo tra questi “salti”. Si contrappone a “analogico” dove invece si passa in maniera continua da un valore ad un altro, per esempio l’orologio “digitale” che mostra 10:30 e poi 10:31 contro l’orologio a lancette che mostra il movimento continuo lungo la circonferenza, quindi tra 10:30 e 10:31 ci sono tanti (volendo infiniti) stati intermedi.
    Il termine più corretto in questo contesto non è “digitale” ma “elettronico”.
    Incidentalmente sono esistite ed esistono macchine elettroniche analogiche ma è un altro discorso.
    L’elettronica è “digitale” perché il “calcolatore” è in sostanza un interruttore che ha uno stato “1” e uno stato “0”, come “acceso” e “spento” e procede per sequenze di questi due valori.

    La conseguenza più notevole di questi anni della diffusione di apparecchi elettronici è la “de-materializzazione” di beni, stando a significare che si possono riprodurre all’infinito partendo da un insieme di informazioni e regole.
    La de-materializzazioni azzera il valore del bene.
    Pensiamo ad esempio al fatto che l’elettronica può eseguire un qualsiasi brano musicale, simulando gli strumenti e anche la voce umana e una volta eseguito il brano, lo può riprodurre ovunque nel mondo e infinite volte. Significa dire addio a tutta l’industria che partiva dal musicista che adoperava uno strumento musicale, registrava l’esecuzione su un dato supporto di memoria, stampava un certo numero di copie su un altro supporto, distribuiva le copie nei negozi e la gente doveva andare nel negozio, pagare per il supporto e portarlo a casa per metterlo dentro un altro macchinario (da comprare in un altro negozio) per ascoltare la musica.
    All’estremo c’è il replicatore di Star Trek che può convertire l’energia dell’annichilimento materia-antimateria in nuova materia e quindi creare oggetti qualsiasi dal nulla. Una specie di stampante 3D ma di infinita potenzialità.

    “ha trasformato la comunicazione, rendendo la scrittura a mano sempre meno comune”

    Si, lo dicevano anche quando Gutemberg inventò il tornio per la stampa.
    All’epoca tutti i libri erano copiati a mano.

    “Tutti gli studi confermano che dalle piattaforme di messaggistica alle reti sociali, i giovani preferiscono gli scambi rapidi e brevi, forzatamente superficiali, binari come il linguaggio informatico.”

    No, primo, il “linguaggio informatico” non è binario. Al contrario. Si chiama “linguaggio” perché si tratta di “parlare” con l’elettronica usando una specie di “lingua comune”, per esempio “se X è compreso tra 0 e 5 allora esegui l’istruzione alla riga 290, altrimenti vai alla riga 276”. Poi ci sono un certo numero di aggeggi che si preoccupano di tradurre il “linguaggio” umano, usato dal programmatore, nel “linguaggio” della macchina. Idealmente il “linguaggio” del programmatore dovrebbe essere quanto meno “iniziatico” possibile, quindi vicino al linguaggio parlato/scritto. Volendo si può programmare la macchina dandogli istruzioni direttamente ed era quello che si faceva agli albori dell’elettronica.
    Secondo, il fatto che la gente scriva i “messaggini” dipende dal fatto che la gente NON HA NIENTE DA DIRE. La gente “normale” non passa la giornata a pensare ai massimi sistemi, pensa “guarda che tette la barista” oppure “mannaggia ho mangiato pensante oggi”.

    “La scrittura a mano è una forma di comunicazione riflessiva e personale, lontana dagli stereotipi”

    Non so dire, però ripeto, fino ad un certo punto i libri erano tutti scritti a mano. Il mondo era popolato da analfabeti e infatti nelle chiese c’erano i dipinti, gli affreschi, le vetrate e i bassorilievi per raccontare le storie sacre a gente che non sapeva leggere (oltre a non potere pagare la copia di un libro).

    “L’imperizia frutto del declino educativo e della prevalenza della macchina sull’uomo diventano concause della più generale decadenza della nostra società”

    BOOM, questa è una bella sparata.

    “Mancano l’ empatia e la comunicazione. Ovvio, in una società competitiva in cui l’altro è un nemico, come minimo un concorrente.”

    Non c’entra nulla con quanto scritto fino a qui, tutto un altro discorso.

    “Perché dunque impiegare tempo e denaro nell’educazione, nell’istruzione, nella cultura?”

    Domanda ovvia: denaro che appartiene a chi?

    “Intuì la deriva trans e anti umana della tecnologia e il divario insanabile – lo definì dislivello prometeico – che allontana sempre più l’essere umano dai suoi stessi prodotti, appartenenti al dominio della tecnica”

    La deriva dell’ignorante. Non è implicita data la tecnologia. Perché tecno-logia. Logos.

    “limitandone le capacità biologiche innate”

    Le capacità biologiche sono quelle di mangiare e fare la cacca.
    Il pensiero non sappiamo come sia correlato alla biologia, se non che un danno ad una certa parte del cervello può avere certi effetti sulla manifestazione del pensiero, che è come dire che se pigio un bottone vedo che succede una certa cosa a dieci metri di distanza e non ho idea di cosa ci sia in mezzo.
    Questa è la ragione per cui non sappiamo costruire una macchina che pensa.
    Non sappiamo cosa sia il pensiero.

    “si approfondirà il divario tra il popolo e la scienza”

    Mi risulta che all’Unità d’Italia la maggioranza degli Italiani fosse analfabeta. Non parlavano nemmeno la stessa lingua, bisognava inventare l’Italiano convenzionale su modello del Manzoni. Non c’erano i “poteri forti”, il problema era che la gente moriva di fame e quindi l’istruzione non era una priorità per quasi tutti.

    “La sessualità sarà al primo posto tra gli interessi umani”

    Le femmine umane nascondono l’estro per questo motivo, dalla notte dei tempi.
    I maschi non possono sapere quando sono ricettive quindi devono accoppiarsi tutto l’anno e quindi ancora devono cooperare con le femmine tutto l’anno invece di cercarle solo nel periodo dell’estro come altri mammiferi e altrimenti stare per conto proprio.
    Il fatto di partorire di continuo ha consentito alla specie di colonizzare tutti gli ambienti naturali, perché da una parte c’è sempre un ricambio e dall’altra non dipendiamo dalle stagioni.
    Pensare ad altro oltre che alla fica è un comportamento molto “moderno”.

    “consumo diventi norma della felicità umana e modello di libertà”

    No, direi che chi cerca la felicità non è interessato alla libertà. Sono due concetti antitetici. La libertà significa rinuncia perché la felicità implica dipendenza. Tralasciando la domanda se la felicità possa esistere come stato anche solo prolungato e consueto invece che istantaneo, il punto è che se io cerco la droga che mi rende felice non mi importa di niente altro e la mia esistenza dipende dalla droga. Non voglio essere libero, voglio essere schiavo e felice.

    “Il condizionamento produrrà un’integrazione tale che l’unica paura (che dovrà essere mantenuta) sarà quella di essere esclusi dal sistema e quindi non poter accedere alle condizioni materiali necessarie per raggiungere la felicità.”

    Appunto, quindi nessuna libertà. La libertà diventa una devianza.
    Finisco col solito ritornello: bisogna avere qualcosa di meglio per proporre un cambiamento.

  • Vittoria 15 Gennaio 2025

    Anche questo brutto vizio di scrivere di getto un commento e poi non prendersi un paio di secondi per rileggere quanto è stato scritto, diventa veramente snervante per chi legge, per di più se il commento viene postato sotto un articolo che parla proprio di strafalcioni e di ignoranza crassa.

    • Mike 16 Gennaio 2025

      Se avessimo la capacità di leggere centinaia di righe in due secondi saremmo delle macchine a proposito di scrivere senza pensare.
      Se per “due secondi” si intende “tutto il tempo necessario per perdere la voglia di scrivere il commento”, come “conta fino a cento prima di parlare”, c’è un equivoco di base.
      Se io fossi il direttore della rivista, questi articoli non sarebbero pubblicati.
      I motivi sono scritti nel commento, ovvero, l’articolo è sbagliato nella tesi generale, contiene delle affermazioni sbagliate nello specifico della singola argomentazione e oltre ad essere sbagliati questi articoli sono perniciosi perché puntano ad indurre (ironicamente negli ignoranti) una sorta di “ribellismo anti-sociale” senza però proporre una alternativa valida ma ricicciando stereotipi che girano da decenni se non da secoli.
      Si diceva “o tempora o mores” ed è il tipico aforisma di chi poi vagheggia lontane età dell’oro che non sono mai esistite. Nel merito di questo articolo, i ragazzi sono sempre stati ignoranti come e più di oggi perché erano ancora più ignoranti i loro genitori. Non succederà mai che mettendo un gadget elettronico in mano a qualcuno questi diventi più dotto o più ignorante di come sarebbe senza gagdget elettronico, guardando il babbo che si gratta la panza sul divano. La differenza è che se tu la gente non la fai parlare non puoi accorgerti che straparla, se non guardi non vedi. Che comunque, ancora, vedere un problema è il primo passo per risolverlo ma poi servono altri passi, perché se dico “la gomma è bucata” la gomma non si cambia da sola.

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