11 Aprile 2024
Tradizione

Caro Babbo Natale…. Le radici tradizionali di un mito “moderno” – Andrea Marcigliano

Caro Babbo Natale… i bambini che, nelle scorse settimane, hanno indirizzato lettere e sogni al fantastico personaggio vestito di rosso che, nella notte fra il 24 ed il 25 Dicembre di ogni anno, vola “intorno al mondo” su una slitta trainata da renne per portare doni, sono gli ultimi, ormai, a celebrare, senza ovviamente saperlo, un culto antichissimo. Un culto di cui, nelle loro fantasie infantili, nei gesti e nei riti che preparano la  Notte Incantata, è ancora avvolto di poesia e mistero. Non così, ovviamente, per i loro genitori, che vedono in Santa Claus, o Babbo Natale che dir si voglia, per lo più soltanto l’immagine riflessa di una festività ormai completamente laicizzata e trasformata in celebrazione dei fasti del cosiddetto Consumismo. Genitori che, sovente, dimentichi della loro infanzia, si limitano a credere, quando pure se lo chiedono, che il personaggio in questione altro non sia che un’invenzione di qualche pubblicitario più o meno ispirato….nello specifico dei designer dell’americanissima, e modernissima, Coca Cola, la multinazionale che avrebbe lanciato Santa Claus come immagine simbolo delle Festività Natalizie; simbolo globale che, in breve tempo, ha oscurato e sospinto nell’oblio tante altre tradizioni, locali, riguardante portatori mitici di doni collegati alle feste invernali: San Nicola, Santa Lucia, i Magi, la Befana….tutte figure che ormai sopravvivono solo in sempre più ristrette enclave culturali. Mentre la scena globale è ormai dominata solo da lui, da Santa Claus. Potenza della Coca Cola e, più in generale, del pervasivo Soft Power a stelle e strisce…

Eppure, se si osserva con attenzione, dietro le luci scintillanti delle luminarie natalizie, dietro ai Babbi Natale, più o meno credibili, che siedono negli Ipermercati e ascoltano, annoiati, richieste di bambini seduti sulle loro ginocchia – richieste più o meno mirabolanti, che toccherà poi a preoccupati genitori cercare di esaudire – traspare ben altro. L’ombra, lunga, di una figura che si perde nella notte dei tempi. Una figura connessa, ora, con il moderno Natale de-cristianizzato, trasformato in festa laica….ma che, in realtà, riemerge da profondità remote, da epoche di molto precedenti l’inizio del culto cristiano. Cristianesimo che, per altro, ha cominciato a celebrare la festività natalizia solo a partire dal IV secolo, stando al Chronographus di Furio Dionisio Filocalo, e con ogni probabilità per cercare di contrastare la tendenza dei fedeli a partecipare, comunque, alle celebrazioni del Natalis Solis Invicti; celebrazioni particolarmente sentite nella Roma dell’epoca, perché feste splendide, con tanto di addobbi delle case, feste, banchetti… e che seguivano, per altro, ai giorni dei Saturnalia, tra le più antiche ed arcane tradizioni romane, che, però, in età imperiale si configuravano come una sorta di Carnevale – dal quale, poi, vennero in certo senso assorbite – al termine  dei quali era uso scambiarsi doni. Doni in genere decorati con un ramo di vischio colto, in antico, nel bosco sacro alla Dea Strenua – da cui le Strenne di Natale per indicare i regali – portatrice di salute e prosperità.

E proprio al IV secolo risale quel San Nicola vescovo di Myra in Anatolia, che viene in genere indicato come l’archetipo da cui discenderebbe Babbo Natale. L’antico Vescovo è infatti figura leggendaria cui vengono attribuite molte imprese fantastiche. Due di queste in particolare sarebbero all’origine del suo essere divenuto, nei secoli, un Portatore di Doni. La tradizione secondo cui, avendo saputo che in una famiglia vi erano tre buone fanciulle che non potevano sposarsi perché troppo povere e prive di dote, Nicola avrebbe nottetempo portato tre sacchetti di monete sulla finestra di queste, l’altra più complessa, secondo cui il Santo Vescovo avrebbe strappato al Diavolo dei fanciulli che questo aveva trascinato con sé all’Inferno. Di qui il suo essere poi considerato “protettore dei bambini”. Non l’unica categoria, però, devota al Santo, il quale riveste nella tradizione il ruolo di patrono di molti gruppi sociali, tra i quali anche quello delle prostitute. Un fatto non casuale, anzi, particolarmente significativo, visto che al termine dei Saturnalia si celebravano il 23 Dicembre  i Larentialia. Festa di Acca Larentia, mitica prostituta cara ad Ercole; un segno dell’uso arcaico della “prostituzione sacra”, connessa con le Feste Solstiziali.

Il culto di San Nicola come portatore di doni si è poi, nei secoli diffuso lungo i Balcani ed in Europa Centrale, dove ancora, in parte, vige l’usanza di far trovare ai bambini i regali il 4 Dicembre giorno del Santo. Come avviene, per altro, anche a Trieste e in altre località dell’Italia nord-orientale. Giunto poi in Olanda sarebbe divenuto Sinterklaas, e, privato dei vecchi connotati vescovili dalla Riforma, portato in America dai coloni olandesi che fondarono Nuova Amsterdam, poi rinominata New York. E proprio in “Una storia di New York” di Washington Irving del 1908, appare Santa Claus che vola sopra i tetti della città su un carro, gettando doni attraverso i camini delle case. L’inizio della definizione del mito e della moderna iconografia del nostro Babbo Natale. Mito ed iconografia certamente, nella loro definizione e sviluppo, americani, nei quali, però, i famigerati pubblicitari della Coca Cola avrebbero avuto ben poca parte, limitandosi a predare un immaginario che si era già sostanzialmente definito in modo compiuto.

La storia dell’iconografia tutta americana di Santa Claus e di come si è andata definendo nel tempo è, certo, complessa ed ha un suo fascino. Anche perché, a ben vedere, spiega la nascita di un “mito” moderno; oggetto del culto collettivo da parte di una ben precisa categoria di persone: i bambini. Argomento affascinante per studiosi di sociologia culturale, ma non quello che qui ci deve interessare. Piuttosto il nostro oggetto di riflessione sono le radici tradizionali del mito/culto di Babbo Natale, il loro complesso intreccio e, in particolare, come continuino ad affiorare in particolari e gesti ancora in uso.

Babbo Natale veste, usualmente, di rosso. Usualmente perché alcune immagini vittoriane lo rappresentano in verde, sorta di vecchio e gigantesco Elfo, o meglio di <oberon invecchiato ed in versione invernale. Mentre l’immaginario dell’Europa Orientale e della Russia, pur non escludendo il rosso, predilige i toni del bianco, dell’oro dell’argento. Ma è il rosso a prevalere. Ed è abbastanza ovvio, visto che rievoca la luce calda del Sole che risorge nel Solstizio dopo la lunga notte. La sua  slitta – di per sé simbolo dell’Inverno – è trainata da renne volanti. E la renna , come tutti i cervidi, con le sue corna evoca l’immagine della Luna. I culti di Diana e Artemide per noi popoli mediterranei. E questo perché il Vecchio giunge nel cuore della notte. Anzi, esattamente a mezzanotte secondo alcune tradizioni.

Negli States e nel nord Europa vige l’usanza di appendere delle calze al camino perché vengano riempite di doni. Un tempo si ponevano fuori dalla finestra scarpe o zoccoli, con lo stesso scopo. Tradizione legata al mito norreno e germanico della Cavalcata Selvaggia, secondo il quale Odino – Wotan per i germanici – nella notte del Solstizio guida attorno a Mittagard una schiera di cavalieri fantastici, elfi, troll, dei, giganti…e reca doni agli uomini. Narrazione mitica della promessa del risorgere della natura dal gelo, del prossimo ritorno del Sole e dei frutti della terra. Che è poi il simbolismo dei doni che si ripete, in diversi modi, negli usi natalizi di tutti i popoli, e che perdura nell’attesa, fiabesca, di Babbo Natale da parte degli odierni bambini. O per lo meno di quelli che non hanno ancora dovuto subire la delusione del disincanto da parte di genitori o amici privi ormai di ogni…poesia. Ovvero di    ogni forma di legame con la dimensione mitica. Ed altre poi le antiche tradizioni precristiane che si collegano alla figura di Santa Claus. Come quella, di origine celtica, del gigante Gargan, un leggendario pastore che scende dai monti nella note del Solstizio e reca doni. Gargan dal cui nome sembra possa derivare quello del promontorio del nostro Gargano, non a caso, nell’età cristiana poi consacrato a San Michele Arcangelo, simbolo della Luce che sconfigge le tenebre. Gargan che ha subito poi la metamorfosi letteraria in figura grottesca – ma non priva di reconditi significati esoterici – nel capolavoro di Rabelais “Gargantua e Pantagruel”. Dove dominante è l’elemento del cibo, il banchetto, l’abbondanza che tornerà, appunto, grazie alla rinascita del Sole. Immagine che riporta alla mente quella dickensiana dello Spirito del Natale Presente, nel Christmas Carroll. Dove la figura dello Spirito, opulento, gioioso, evoca chiaramente quella del nostro Babbo Natale.

Per altro proprio lo straordinario racconto di Dickens ci introduce all’elemento fondamentale per comprendere la dimensione mitica di Babbo Natale. La sua capacità di governare, anzi dominare il Tempo. Pensiamoci bene: proprio il rapporto con il Tempo rappresenta il carattere fondamentale di Santa Claus. Che viaggia sì nello spazio, sorvolando tutta la Terra, ma lo fa in un’unica Notte. Una Notte magica, che sembra dilatarsi all’infinito, non avere mai termine. Una Notte ove vige una dimensione temporale diversa, un Tempo perpetuo, l’Aiòn della filosofia e del simbolismo neoplatonico, che è ben oltre al Cronos ordinario, al tempo che scorre irrefrenabile, al fluire incessante e sempre mutevole di eraclitea memoria. Tempo Cosmico, dunque, dimensione propria di Esseri mitici che solo in speciali occasioni, Feste, entrano in relazione coi mortali, irrompendo nella realtà ordinaria e sospendendo il flusso del tempo comune.

La dimensione di Saturno, Dio romano dell’Età dell’Oro, è, appunto, quella del Tempo. Del Tempo Cosmico, il piano della perpetuità, nel quale ogni atto diviene assoluto, e si ripete, sempre uguale eppure sempre nuovo, la dimensione spirituale sempre evocata attraverso gesti rituali e sacrali. Saturno che, “cacciato dal regno” si rifugiò, secondo tradizione, in una dimora diversa, un luogo ove l’età aurea perdura perennemente. Il Lazio, Saturnia Tellus secondo Virgilio. Ma si tratta di un’identificazione solo superficiale con l’odierna regione dell’Italia Centrale. Infatti il “Lazio” della tradizione latina rappresenta un “altrove”, una dimensione spirituale diversa,  equivalente all’Eden, al Paradiso Terrestre. Equivalente anche alle “dimore degli Iperborei” ove, nel mito greco, si ritirava Apollo nei mesi invernali. Apollo che è sì il Sole Spirituale, la dimensione fisica, e quindi temporale dell’astro, essendo, invece, rappresentata da Helios. E le Dimore Iperboree sono settentrionali. Anzi, Polari. E, appunto, Babbo Natale risiede, secondo leggenda, al Polo Nord, un luogo incantato popolato da folletti ed altri esseri magici.

Babbo Natale che dimora al Polo Nord e in una sola notte incantata vola, con le sue renne lunari, intorno alla  Terra. E visita ogni luogo, ogni casa. Ogni bambino che lo attende speranzoso. Babbo Natale cui si lascxia, come offerta, un bicchiere di latte, bevanda della Vita, perciò sacra anche ai defunti.

Babbo Natale che una volta all’anno risveglia sogni incantati, evoca, con la sua opulenta e gaia presenza ricordi remoti. La memoria sopita, ma mai cancellata, di antiche divinità. E di un’età aure che ogni anno rivive negli occhi e nelle fantasie dei fanciulli.

 

Andrea Marcigliano

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