9 Aprile 2024
Filosofia

Appunti critici sulla filosofia idealista – Prima Parte – Antonio Filippini

Per il filosofo Emanuele Severino la filosofia esprimerebbe l’amore per la sapienza, ma questo amore si può dimostrare tale solo mantenendo aperto l’orizzonte mentale a 360° gradi, che significa non respingere o rigettare aprioristicamente qualsiasi teoria o punto di vista o orientamento che non collimi con il proprio o che non ci sia simpatico.

Il mito antico non è un semplice racconto fantasioso e inventato di sana pianta, ma è la descrizione cifrata e anche simbolica di eventi o di accadimenti che riguardano le sfere più sottili e superiori dell’essere e della realtà, che riguardano ordini di realtà e valenze non semplicemente umane. Per le civiltà prefilosofiche era quindi più che logico e giusto prendere come riferimento il mito e lasciarsi guidare da esso, perché questo significava seguire influenze di tipo superiore e riferirsi a ordini di realtà sovraumani. Uscire dal mito per guardarlo in faccia, come dice il filosofo Emanuele Severino (La filosofia antica – Rizzoli Ed.), significa anche e soprattutto ridurre il mito a semplice racconto fantasioso e irrazionale, significa chiudere le porte a ogni influenza dell’ordine del sovraumano e fare dell’individuo corporeo umano e di ciò che gli è di più tipico, il mentale, l’unico arbitro e dispensatore di verità. La pretesa poi di elaborare un sapere che sia innegabile, e non perché la società e gli individui abbiano fede in esso, ma perché esso stesso è capace di respingere ogni suo avversario, tale pretesa è oltremodo ingenua, perché tale sapere non può stare in piedi da solo, né è in grado di autoelaborarsi, deve pur essere stato partorito da qualcuno, e allora l’attenzione si sposta su questo “qualcuno” e sulla condizione esistenziale in cui si trova. Quello descritto dal filosofo Emanuele Severino è un sistema autoreferenziale, e tale sistema non può offrire alcuna garanzia di sicurezza per quanto riguarda il giusto e il vero, tanto più che l’autoreferenzialità rimanda al sistema chiuso, e rimanda pure all'”adeguamento a posteriori”.

Come può pretendere il filosofo Severino che si possa stabilire una verità incontrovertibile, innegabile, necessaria senza prima chiedersi la condizione, lo stato esistenziale e la normalità del principale protagonista, cioè del filosofo, dell’uomo che sarà la causa di questa presunta verità incontrovertibile? Per rendere l’idea, c’è un essere in condizioni patologiche immerso in una realtà essa pure anormale. Tale essere vuole costruire da sé stesso e basandosi su sé stesso un sapere e una verità incontrovertibile, che, quand’anche vi riuscisse, finirebbe per confermare e legittimare la sua patologia e anormalità. Si è mai sentito parlare del “dare via del suo”? Quando poi l’uomo si riduce ad essere il semplice mentale e per conseguenza finisce per identificarsi con le sue elucubrazioni filosofiche, accadrà che sarà costretto a sperimentare sulla sua pelle la bontà del suo ragionare e dei suoi filosofemi, con le immani tragedie che questo ha già implicato e implicherà sempre; è ben nota la pesante responsabilità di Hegel a proposito dei totalitarismi moderni.

Ogni sistema autoreferenziale è necessariamente un sistema chiuso a funzionamento dialettico e a base immanentista. La filosofia che noi conosciamo, cioè il mentale umano messo al vertice della piramide e concepito come un assoluto, mentale che pretende di spiegare sé stesso, da se stesso e senza uscire da se stesso, è, di fatto, un sistema autoreferenziale e auto condizionante, perciò sarà anche un sistema chiuso a base immanente.

Il fatto che la religione dominante qui in Occidente si è ridotta al semplice aspetto devozionale, con tanto di caricamento eccessivo del Dio Persona, questo non autorizzava a esagerare nel senso opposto. Alla religione di Dio, i massoni hanno contrapposto la religione dell’Uomo; se si reputa assurda la religione di Dio, la religione dell’Uomo sarà doppiamente assurda. La deificazione dell’uomo e del mentale umano unito al malanimo suscitato dal Dio padre padrone, hanno finito per rivalersi anche sulla possibilità della trascendenza, che è sistematicamente negata, questo è un errore perché tale possibilità è vera e reale anch’essa. Mai porre limiti al concetto di reale, è reale ciò che è reale e non: è reale ciò che è materiale, o manifesto, o visibile, o mentale, o sperimentabile ecc.

La Grande Possibilità non può essere limitata da alcunché, il porgli dei limiti equivale a negarla, purtroppo il culturismo moderno si è appunto specializzato nel porre limiti alla Grande Possibilità Universale.

La filosofia moderna è espressione del “mentalismo” che a sua volta è espressione dell’umanismo, questo limita di molto la sua portata e fa sì che fin dall’origine le sue costruzioni sono inficiate da un’impostazione sbagliata. L’io individuale umano, messo sul trono e concepito come un assoluto, finisce per piegare ogni cosa verso di sé, ne deriva una piccola verità soggettiva e parziale valida solo per tale condizione individuale che non è per niente lecito universalizzare.

L’Anima, l’Uomo, il Mentale, l’Idea, la Tesi, il “Fare”, sono tutti elementi intermediari che come tali, nel contesto universale, non possono essere collocati al vertice, naturalmente mettendo sul trono uno qualsiasi di questi elementi, finiranno per salire sul trono anche gli altri, stante la loro funzione analoga. La funzione di un elemento intermediario è appunto quella di fungere da ponte di collegamento fra due ordini di realtà opposti, e il mentalismo dei moderni, cioè il mentale messo sul trono, implica il pervertimento di tale funzione.

L’intellettualismo illuminista di due secoli fa ha estratto fuori il mentale dal contesto della realtà umana e lo ha isolato in sé stesso e contrapposto ai due altri ordini di realtà: finita e infinita, ne è derivato un modo di vivere artificioso è una realtà artificiale, cioè non naturale; un’altra conseguenza è stata l’esplosione dell’idealismo filosofico, esso pure negatore di ogni realtà oggettiva e naturale, stante il suo mettere sul trono l’idea, vale a dire, lo psichico e il mentale.

La grossolana formula con cui è riassunta la filosofia idealista: “la cosa esiste in quanto io la penso”, si dovrebbe modificare così: “È suscettibile d’esistere solo ciò che può essere pensato”, lasciando campo aperto a ogni possibile pensatore, allora sarebbe senz’altro vera, più che altro perché il mentale è gerarchicamente superiore al materiale, allora vedendo che la forma esteriore per esistere deve prima passare dal mentale, questo ha fatto nascere l’equivoco idealista.

L’ideologismo moderno è conseguenza del mentale messo sul trono, se di là dal mentale non vi è nessun altro principio che possa controllarlo, l’uomo si troverà fatalmente in balìa delle sue produzioni mentali, perciò sarà sempre meglio un essere che ha delle idee piuttosto che un’idea che possiede un essere. Alla fine la filosofia idealista ha messo sul trono l’idea in sé, senza nessun essere che la pensi, perché se questo essere esistesse, la sua stessa esistenza la butterebbe giù dal trono!

Credere che pensare l’infinito o formarsi un suo concetto mentale basti per creare davvero l’infinito, il credere questo significa essere oltremodo ingenui, in realtà succede una cosa stranissima: tu ti formi un concetto mentale che, come tale, è finito, al quale poni il nome di infinito! Pensieri, idee, concetti, sono tutti elementi formali che, come tali, possiedono un limite, sono intelaiature vuote, che per renderle operative, si devono riempire con qualcosa d’altro (l’essenza dell’essere); non si può creare o concepire ciò che sta di là dalla propria comprensione o dalla propria valenza realizzativa, si può solo “dare via del suo”. Ogni cosa esiste in funzione del “ciò che significa” ed è lo Spirito il depositario di ogni significato, il mentale gli dà solo forma.

L’impostazione idealista doveva fatalmente degenerare provocando grossi danni; la negazione della cosa in sé, cioè di una realtà oggettiva che esiste di per sé, si è trasformata nel: “Non ha la benché minima importanza di come stanno veramente le cose, l’unica cosa che conta è come io voglio che stiano” e questo ormai succede in campo politico, sociale e anche scientifico. Era fatale che anche il metodo scientifico classico venisse capovolto; questo una volta partiva da un fenomeno, un dato di fatto, un accadimento, che poi si tentava di spiegare formulando una teoria. Adesso invece, si elaborano teorie scientifiche fantasiose, lo scopo delle quali è di garantire maggiori possibilità di maneggiamento all’uomo e quindi maggior potere, secondo la logica per cui: “è nel mio interesse che le cose vadano così”, poi si costringono i fatti esteriori a confermare le teorie così elaborate. L’uomo occupa un posto tutt’altro che disprezzabile nella gerarchia degli esseri, è quindi immerso in un mare di elementi non qualificati i quali, essendo appunto tali, non possono esprimere giudizi sul suo operato e lo seguiranno comunque, anche quando sbaglia, anche quando elabora vaccate, ed è così che l’uomo trova momentanea conferma alle sue credenze o ai suoi maneggi, fino alla resa dei conti finali, quando questi elementi così alterati, specchiandosi nell’altro universo rimasto normale e non potendo essere riassorbiti, verranno rispediti al mittente e rovineranno addosso al responsabile di tali maneggi. Gli apprendisti stregoni fanno tutti una brutta fine e la fanno nello stesso e identico modo, travolti da un’onda montante che essi stessi hanno suscitato.

Nello sviluppo della filosofia idealista c’è molto del “politico”, nel senso che costoro vedono ciò che a loro fa comodo vedere, ciò che non fa loro comodo, non vedono. Da Cartesio e da Kant fino a Hegel, c’è un unico concatenamento logico, pur con certe divergenze d’opinione, i filosofi idealisti erano obbligati ad arrivare dove sono arrivati, stante l’impostazione data fin dall’inizio. Parlare per questo di elaborazioni geniali, questo è senz’altro esagerato, si tratta in realtà di automatismi logici che procedono da sé, seguendo l’inclinazione data, così come una pallina collocata su di un piano inclinato procede automaticamente seguendo la pendenza. A tanto, si ha tanto; se tu imposti una questione sulla base del 5×5, si capisce subito che tu fin dall’inizio volevi arrivare al 25, variando la logica e l’impostazione, varia anche il risultato. A che giova l’impostazione data alla filosofia idealista ed è nell’interesse di chi? Tale filosofia è nell’interesse dell’umanismo (l’uomo concepito come un assoluto) ed è la conseguenza dell’aver fatto del mentale umano l’estremo limite superiore. È ben noto che quando l’uomo moderno dice “spirito” in realtà si riferisce sempre al mentale, ormai il vero spirito è completamente al di fuori delle sue possibilità, l’uomo moderno si è ridotto ad un essere bifido fatto di psiche e corpo che tenta disperatamente di unificare in un modo alquanto malsano attraverso la concezione immanentista. L’intera filosofia idealista è come se fosse partita da un tema già prefissato in partenza, quasi in guisa di un bel compitino dato da svolgere per casa, tema che dice pressappoco così: “Costruire un sistema filosofico che escluda completamente ogni possibilità di trascendenza e riconduca tutto all’uomo e al suo intelletto”. Naturalmente un “amante della sapienza” che parte da un tema già prefissato in partenza, è in realtà un baro e un disonesto intellettuale. L’idealismo assoluto di Hegel, che è anche un immanentismo assoluto, è appunto la brillante risoluzione del “compitino dato per casa”, e quei filosofi idealisti che si ritengono soddisfatti e anche molto “furbi” per questo loro modo d’agire, in realtà sono alquanto stolti, perché se l’intera catena filosofica idealista può stare in piedi solo escludendo la possibilità della trascendenza, basterà mettergliela tra i piedi per provocarne il crollo. Non a caso certi filosofi immanentisti reagiscono istericamente quando vedono profilarsi all’orizzonte anche solo un piccolo barlume di trascendenza.

Emanuele Severino
Emanuele Severino

Realismo e idealismo sono i due pilastri portanti dell’intera filosofia, isolati in se stessi sono entrambi incompleti e insufficienti a sostenere la realtà, perciò è un errore contrapporli irriducibilmente, vanno invece conciliati e armonizzati. Senza realismo l’io idealista si troverebbe prigioniero delle sue costruzioni mentali, senza alcuna possibilità di liberarsi di esse, l’unica possibilità che ha, è di realizzarle in forma autonoma, facendo riassorbire quel filo che lo lega alla cosa pensata, alla cosa stessa, che così si metterà ad esistere in sé e per sé, questo è appunto realismo. Il realismo serve all’io idealista per mantenersi indipendente dalla cosa pensata. L’edificio, una volta costruito, si mette ad esistere in sé e per sé, in forma autonoma e indipendente dai suoi costruttori, le vicissitudini che subisce l’edificio non si ripercuoteranno sui suoi costruttori e ideatori, né le vicissitudini di questi non si ripercuoteranno sull’edificio, facendo così saltare l’impostazione immanentista, che vuole che creatura e creatore stiano tra loro in un rapporto interdipendente (interdipendenza in “essenza”, invece che “in manifestazione”).

Le scoperte scientifiche così come le elaborazioni dei filosofi, che sembrano soltanto delle semplici modalità interpretative, hanno invece pesanti ripercussioni sul senso della realtà e sulla valenza esistenziale dell’uomo e dell’umanità. Il realismo, cacciato malamente dalla porta, è rientrato in sordina dalla finestra, prendendosi la sua vendetta; difatti scoprire quella cosa, significa darle un’esistenza autonoma e indipendente, indipendente anche da noi, le si è dato un’individualità autonoma che prima non aveva o era solo potenziale.

Prima si scopre l’atomo, poi si scopre che si è fatti di atomi e si finisce per modificare l’intera nostra esistenza in funzione atomista: ma allora è stato l’atomo ad averla vinta! Prima di Freud il complesso psichico non esisteva realmente, era una semplice potenzialità virtuale; scoperto il complesso, tale complesso è stato reso autonomo e allora milioni di persone scoprirono di essere complessate! Le cose scoperte si ripercuotono sul loro scopritore e lo condizionano. Prima di quella scoperta scientifica, la realtà era “anche” questo, dopo, sarà “soltanto” questo.

La tendenza razionale, positivista, enciclopedista, gli antichi l’avevano simboleggiata nel mito dell’Idra, dai mille serpenti per capelli e dallo sguardo pietrificante e non a caso l’Eroe uccide l’Idra evitando di guardarla negli occhi, ma mirando il suo riflesso sulla superficie lucida del suo scudo, un chiaro riferimento alla facoltà intuitiva.

“Fino a tanto ma non più di tanto perché quel tanto in più ti si rivolta contro”, che è la stessa cosa del troppo che nuoce. In una realtà definita bisogna lasciare posto anche all’indefinito, perché si dà il caso che questo indefinito sia il grado di libertà del definito, gli dà possibilità di manovra, senza indefinito, nessuna possibilità di manovra; è in questo senso che andrebbe visto il “principio di indeterminazione”, come un grado di libertà e non certo come un principio dissolutore della certezza del reale.

Dicono che noi siamo esseri trinitari in Spirito, Anima e Corpo, allora bisogna dare a ciascuno il suo, ognuna di queste valenze ha il proprio metodo di conoscenza e un diverso tipo di comprensione: lo Spirito si interessa del significato, l’Anima del funzionamento, il corpo del basamento. Ciò che significa, come fa a funzionare, di che cosa è fatto, questi sono i tre metodi di approccio al reale. Lo Spirito è il depositario del senso e del significato, l’Anima lo rende operativo, Il corpo lo manifesta. Riviste come Scientific American o Focus rendono bene l’idea di che cosa effettivamente sia la scienza moderna: curiosità morbosa e malsana del particolare atomistico, lo scientismo moderno ha rimosso completamente la logica del “senso” e del “significato”, e, dal suo punto di vista, per buoni motivi, perché questa è tipica dello Spirito, riguarda quindi la metafisica e non la fisica.

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