3 Luglio 2025
Filosofia

Andrea Emo nella storia del novecento  – Massimo Pamio

Andrea Emo è tuttora il protagonista di un caso non del tutto risolto, che ancora agita le acque del pensiero filosofico del Novecento e con cui si stanno misurando i maggiori pensatori deli nostri giorni. Egli, in vita, non pubblicò neanche una pagina, sebbene avesse trascritto con minuta grafia in piccoli quadernetti migliaia di brevi riflessioni dal taglio aforistico la cui sistematicità nutriva le linee di un’opera complessa, articolata, notevolissima. Il motivo per cui abbia dedicato tutta la sua esistenza alla scrittura di un’immensa opera filosofica ma non abbia voluto renderla nota, appare un mistero. Scoperto a tre anni dalla morte, nel 1986, da Massimo Cacciari, sono ancora in corso di pubblicazione e di studio le sue opere, di cui solo nel 1989 è uscito il primo volume. Andrea Emo Capodilista, discendente da una nobile famiglia veneziana che contava tra i suoi antenati perfino dei dogi, aveva sposato la nobildonna Giuseppina Pignatelli, trascorrendo una vita negli agi, tra case patrizie e palladiane. Molto riservato, coltivò poche amicizie ma illustri, tra cui Cristina Campo e Alberto Savinio che dipinse un ritratto del filosofo.

Si iscrisse all’università, ma ben presto si ritirò dagli studi. Frequentò le lezioni di Giovanni Gentile, del quale riprese il pensiero, rielaborandolo alla luce di una sua personale visione. Tradizionalista, cattolico a suo modo, si presentò alle elezioni politiche per il MSI, ma poi ebbe da ridire sul fascismo, accusandolo di essere stato un regime idolatrico; non meno delicato si comportò nei confronti del liberalismo e del comunismo, sanzionando infine le democrazie liberali accusandole di aver plagiato i popoli di cui avrebbero dovuto essere i rappresentanti, favorendo invece gli interessi di piccoli gruppi di potere.

Tra gli studiosi che si sono interessati di Emo, Giovanni Sessa, nel libro Le meraviglie del nulla1 ne analizza la vita e le opere. Sessa descrive come Emo abbia rovesciato l’attualismo di Gentile in una sorta di “transattualismo”, in cui l’atto è espressione dell’originario autonegarsi di un Nulla che, più che limitarsi a ‘essere’, esplicita la radicale ‘impossibilità’ del suo stesso porsi. A porsi, dunque, è sempre l’impossibile. Un niente che è salvifico nel suo stesso destinarsi alla perdizione. Egli vede nel cattolicesimo, fondato teologicamente nella morte redentiva di Dio, un analogo del suo pensiero.  Ogni fenomeno è “atto”, atto del nulla, di un nulla che mai riesce a essere quel che non-è, e che sostanzia di sé ogni determinazione, rendendo vano e necessario ogni tentativo di comprenderlo, di concepirlo senza cadere in un’aperta contraddizione. Sapere o cercare di sapere è tensione verso quel nulla, verso quell’assurdo che nessuna conoscenza oggettivante potrà mai testimoniare. Se qualcosa c’è, al posto del niente, l’unico pensiero che possa giustificarne il fondamento risiede nella coscienza del Sacro che, sospendendo ogni cosa a sé, rende capaci di vedere l’autentica realtà, quella dell’impossibile, del paradosso di una conoscenza che, procedendo, lungi dall’arricchirsi, si svuota progressivamente e porta così alla luce l’essenza originariamente negativa della verità. Giovanni Sessa, nel suo pregevole testo, interroga pure il pensiero filosofico dell’arte di Emo e ne analizza il rapporto con Evola e con Cristina Campo. Nelle Conclusioni, poi, sintetizza gli elementi in base ai quali il pensiero di Emo appare fondamentale nell’attuale dibattito filosofico italiano. Sessa inoltre redige due capitoli ulteriori, molto utili e importanti: un’accurata Bibliografia e un’appendice in cui si riporta il Quaderno n. 122 del 1951, 13 -XI, dal titolo: L’Eternità si può amare solo sotto forma di presenza.

 

CONTRIBUTI PER UN DIBATTITO

Il sistema filosofico di Emo non è avulso da quell’hegelismo che nel Novecento viene messo in. crisi dall’attuarsi della filosofia in storia e in ideologia, nell’inverarsi del pensiero filosofico in pensiero storico e ideologico-politico. Il nichilismo tragico e dialettico si realizza nel materialismo postmarxista, nel tradizionalismo, nel fenomenologismo cattolico. La crisi della filosofia idealista va a coincidere storicamente con il fallimento dell’attuarsi di queste ideologie nell’apparato sociale, nel comunismo stalinista, nel nazionalsocialismo hitleriano. Da queste situazioni “traumatiche” esce vincente il pensiero economicista, e la storia si attuerà nel poiein, nel fare. Attualmente, il senso e il destino dell’umanità sono rappresentati dal Capitale, il vero Dio. La storia si è fatta economia, il tempo è quello dell’economico che non è negazione del tempo, bensì è l’attuarsi del tempo umano nella società odierna. Nei suoi scritti, Emo ne prefigura l’accadimento: «La negazione stessa in quanto presente cioè assoluta, diviene divenire attivo, atto positivo, ecc., cioè reale mutamento».2

Nel sovrapporsi al fare, il pensare è diventato pericoloso, essendo tragico in sé, inoltre il fare denuncia il fallimento e il superamento dell’umanità nella moltitudine, già implicito nelle ideologie novecentesche, cancellate dall’Impero capitalista “democratico” e populistico che propone a tutti, indistintamente ed egualitariamente, la possibilità di essere liberi (di consumare).

Il consumo reso accessibile ad ogni individuo appare come una liberazione, come un’apertura “inclusiva” e “sostenibile”, “energicamente pulita”, tendente a una igiene pubblica di natura moralistica (la transizione ecologica!). Le vecchie ideologie non riescono più a recuperare credibilità all’interno di una quantitativa forma di democratizzazione ottenuta globalmente dall’Impero Libertario Capitalista. Il tempo è fermo nell’estasi del consumo e il futuro (il progresso, la libertà, la Divinità) è già qui e ora, tempo negato nell’assolutizzazione del presente. Le nevrosi individuali e l’estetizzazione del sociale sono due degli aspetti di questa normativizzazione del presente in cui passato, futuro, progettualità e azione colano e si annullano. Non è vero che, a fine giornata, dopo aver speso in modo frenetico il tempo, ci si accorge di non aver fatto nulla o di non aver adempiuto ai doveri e ai compiti che ci si era prefissati il giorno prima? Si vive l’estasi del tempo nell’istante del consumo: si produce, si consuma, dunque si è (effimeri), avvicinando in se stessi il tempo zero dello storico – lo storico si è realizzato nel suo non esistere più.

Forse il Capitale è la presenza in cui si negano le ideologie novecentesche, e l’Occidente, invece di fare l’esperienza della gioia, continua ad esperire l’esperienza del tragico (la coscienza di negare sé, di essere presenza del nulla dovrebbe essere gioia, e non tragicità, come lo stesso Emo sostiene, «La felicità della conoscenza matematica o metafisica o esistenziale o quel che vorrete è sempre quella di poter negare il mondo e la realtà e di poter vivere universalmente malgrado questo anzi mediante questa negazione».3 Il Capitalismo, esito di un nichilismo che si invera nel falso benessere materiale, pone l’uomo al centro dell’universo, privandolo però di una coscienza del tempo e soprattutto dell’Assoluto. Quando l’uomo riuscirà a scoprire il pensiero di una gioiosa accettazione dell’esistente e della natura, di un vero cristianesimo dionisiaco in cui tutte le creature si sentano responsabili l’una dell’altra – nel rispetto sacrale del piccolo lume di Divino che è in noi?

L’idealismo emiano nutre nel lettore diversi dubbi, quando ad esempio afferma che il reale (la presenza) è rendere l’Istante Assoluto. C’è da pensare che si sbagli, che non lo sia, perché muta e dunque l’Istante non è Assoluto. Pensare a un Assoluto Possibile e trascendente che non per forza si invera nel suo negativo ma è posto dialetticamente e oppositivamente, dal confronto delle possibilità dinamicamente intese e non rese necessarie dal negativo, ma da un positivo, che non annulla ma fa scaturire e dà origine, è quel che una rinnovata filosofia idealista oggi dovrebbe imparare a sostenere. Un’attualizzazione dell’Assoluto in un punto che è reso singolare dalla gioia.  Secondo Emo, tutto può essere tutto. Nella sua attualizzazione, ogni cosa può rovesciarsi nel suo opposto e in questo percorso identificarsi come presenza. La presenza, però, non può essere trascesa, essendo anteriore a ogni cosa, è Bene e crea il Bene. «La presenza trascende il nulla perché è nulla; dunque il solo modo di essere presenza di comprendere e di possedere la presenza è di essere nulla cioè è il negarsi, la negazione e la coscienza della negazione. Il Sommo bene è la presenza: perché? Perché essa è anteriore a ogni cosa…».4 Alle domande che il lettore si pone, Emo risponde nella pagina immediatamente successiva, come in una conversazione silente:

«il buddismo fu la prima religione negativa, ma poiché la conoscenza del negativo che è di noi che siamo, è necessariamente una fede, questa fede è l’essere e il reale; è essa stessa Dio; e questa fede fu effettivamente adorata come Dio, sotto vari nomi, e fu considerata l’assoluta esistenza; la trascendente esistenza; in realtà era la presenza e l’attualità del negativo che era adorata: la presenza è essenzialmente negazione di sé; è in quanto negazione ed insieme è trascendente, né può non esserlo, perché non può essere conosciuta se non come trascendente. (…) L’attualità è il nuovo dio di cui Zarathustra è il profeta. (…) La trascendenza legittima. Che è divinità perché in essa Dio è morto».5

Dio non è morto ma è Ciò che Opera in negativo e in soccorso del reale. Dio si può solo far scomparire ma arbitrariamente, facendo valere un discorso filosofico che può essere facilmente rovesciato nel suo opposto. Dio e il Nulla sono il Principio e l’Origine e dunque la Verità, che è il fondamento di ogni filosofare. Dio e Nulla come Origine sono anche il punto cieco iniziale che è l’impossibilità della Verità per l’uomo e per ogni scuola filosofica. Il pensiero filosofico – ogni pensiero filosofico – deve essere l’attestazione di una sconfitta, di un tentativo “nullo” del pensiero, il pensiero essendo domanda e non sforzo di contenere il reale, uno sguardo sul reale che non potrà mai essere abbastanza capiente, e dunque potrà percepire solo ombre, apparizioni, miraggi. La filosofia è l’amore per una conoscenza esoterica o essoterica, conoscenza limitata e autolimitante, che limita se stessa nel momento stesso in cui si dà.

Emo non vuole che il suo pensiero venga conosciuto, così mettendo in scena la vera essenza della filosofia: quella di essere la testimonianza di uno scacco, di una sconfitta già sul nascere, l’incapacità di una incapacità strutturale dell’umano, il suo testimoniare un’incapacità di raggiungere l’oltre e di sporgersi al di là se non attraverso barlumi che possono essere solo intuiti. Ciò non vuol dire che la filosofia sia morta, può e deve continuare a interrogare, a dichiararsi sete inestinguibile di Assoluto e amore paradossale dei propri limiti, in vista di un migliore e forse bustrofedica definizione di se stessa.  Scrive Emo che ogni pensiero sfocia in mitologia individuale: «Ogni sistema di concetti alla fine trova in sé il suo mito, si rivela come mito, appunto perché ogni concetto è sempre sostenuto da qualcosa di individuale, irriducibilmente individuale…».6

Il libro di Sessa costituisce un’introduzione generale al pensiero di Emo. Un’opera veramente encomiabile sotto tutti i punti di vista. Mette in opera problemi che a mio avviso vanno affrontati.

La questione attuale, messa in luce proprio da Papa Francesco, è quella dello scarto, di una società che opera in maniera escludente, conformemente a quella che accolse la nascita di Cristo “al freddo e al gelo” e che poi ne decretò la crocefissione, scegliendo Barabba. Lo scarto, l’Escluso è proprio il Cristo e l’Incarnazione è la risposta a ogni domanda sul senso della vita. Il Dio che si umilia riscatta perfino il corpo, lo scarto di una società basata sulla ragione e sulla tecnica come quella di oggi. Il cristiano vive nell’attesa della Resurrezione dei corpi: un paradosso che forse sovverte ogni tentativo di spingere a forza la storia dentro i limiti del pensiero.

NOTE

1 Giovanni Sessa, La meraviglia del nulla. Vita e pensiero di Andrea Emo, Milano, Bietti, 2014.

2 Andrea Emo, ivi cit., L’eternità si può amare solo sotto forma di presenza, Quaderno n. 122, in Appendice, p. 375.

3 Giovanni Sessa, ivi, p. 354.

4 Ivi, p. 388..

5 Ivi, p. 380.

6 Ivi, p. 382.

 

 

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