15 Maggio 2024
Interni Politica Rallo

Abbiamo scherzato: larghe intese forever


di Michele Rallo
Lo confesso: per un momento — quando Berlusconi ha preannunziato la fiducia al governo Letta — ho pensato che il Cavaliere fosse ancora una volta riuscito a cavare il coniglio dal cilindro. E un coniglietto — per la verità — è effettivamente comparso: Berlusconi — infatti — è riuscito ad evitare di essere additato al Paese come il responsabile di tutte le stangate venture, dello sforamento del 3% nel rapporto deficit/PIL e — Dio non voglia — del commissariamento delle nostre finanze a pro della troika euro-americana.

Ma il signor coniglio — quello grosso e bianco che è l’orgoglio di ogni prestigiatore che si rispetti — non si è ancora visto e, forse, non si vedrà mai. Lo si sarebbe visto se Silvio Berlusconi avesse cacciato i frondisti filolettiani e si fosse acconciato a sostenere il governo con molta prudenza, pronto a mollarlo non appena (e non ci vorrà molto) questo si dimostrerà del tutto inadatto a fronteggiare l’aggressione della speculazione finanziaria. Ma così non è stato. Il Cavaliere ha fatto finta di nulla, ha evocato il travaglio (sic) di una decisione difficile, e si è acconciato a prendere ordini nientepopodimeno che… da Angelino Alfano. Incredibile: come se l’esperienza di Fini non ci fosse mai stata, come se Berlusconi avesse dimenticato l’umiliazione di sentirsi impartire lezioni di alta politica da qualcuno dei suoi gregari in cerca di gloria.
E passi per l’umiliazione. Ma l’accettazione della linea Alfano (se così vogliamo chiamarla) comporta ben altro. Comporta la rinunzia — in nome della governabilità — a quel poco di protagonismo antifiscale che, fino a questo momento, ha contraddistinto il ruolo del PDL nella macedonia acida delle larghe intese. Così come comporta l’accettazione pura e semplice della filosofia degli “impegni con l’Europa” prevalenti sull’interesse e sulla sovranità nazionale. Come all’epoca del governo Monti — tanto per non restare nel vago — quando lo zerbinismo larghintesista e il masochismo eurodipendente aveva portato il PDL a guida Angelino ad una previsione elettorale del 15%.
Allora — si ricorderà — Berlusconi era stato costretto a riprendere precipitosamente le redini del partito, ad esautorare di fatto il suo improbabile delfino, a smarcarsi da Monti e ad aggiungere alla politica pidiellina quel pizzico di populismo che ha consentito di sventare la vittoria annunziata del PD di Bersani. Adesso, la ventilata ipotesi di una scissione nel PDL avrebbe potuto determinare uno scenario interessante: una rinata Forza Italia che consente la sopravvivenza del governo ma che conserva una certa libertà di manovra, una pattuglia di transfughi che si costituiscono in gruppo autonomo e si tuffano anima e corpo nel ribollente pentolone governativo, un PD liberato dal fastidio di coabitare con Berlusconi e costretto ad occuparsi di cose serie, e infine un governo obbligato a centellinare i provvedimenti antipopolari per paura di perdere voti in aula. In sostanza, dalle intese “larghe” alle intese soltanto “comode”, con qualche temperamento in più.

 
E invece no. Per Berlusconi non è cambiato nulla. Ma — quel che è peggio — non è cambiato nulla neanche per il Paese, condannato a subire ancora un governo che continuerà a taglieggiarci con il plauso delle due principali forze politiche. Larghe intese forever, insomma. Madame Merkel sarà contenta.

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