13 Aprile 2024
Appunti di Storia

1921: Primavera di Bellezza (terzo capitolo)

5. “Mostruosi e deformi nel corpo…”

Tra febbraio e marzo, il movimento fascista è impegnato in una frenetica attività politica ed organizzativa: ben sette congressi regionali si svolgono nelle regioni a più incisiva penetrazione fascista, e in tali sedi vengono affrontati, in articolate relazioni, i temi più importanti del momento.

Triste, Milano, Torino, Bologna vivono le indimenticabili giornate dei più importanti raduni; si parla e si dibatte con passione sugli argomenti oggetto delle relazioni, che sono stati decisi dal Comitato centrale nella seduta dell’8 gennaio:

  • il fascismo e la politica estera (relatore Mussolini)
  • il fascismo e il regime (relatore Rossi)
  • il fascismo di fronte allo Stato (relatore Marsich)
  • il fascismo di fronte al movimento sindacale (relatore Pasella)
  • la questione agraria (relatore Polverelli)

Si può ben dire che, con queste adunate, il movimento, fino allora turbinoso e disordinato, accentua la sua mussolinizzazione; in un’ottica sostanzialmente gradita al futuro duce, la pregiudiziale antimonarchica non viene più ribadita con vigore, per fare posto ad un agnosticismo istituzionale; la polemica antigiolittiana si sposta prevalentemente sulla politica estera, e, soprattutto, tra le righe, comincia a farsi strada una prospettiva di “tregua” con l’avversario, mentre ancora la battaglia di strada infuria.

Protagonisti ne sono i giovani, ma l’asprezza dello scontro, quando si accende, non risparmia nessuno: a Casale Monferrato, il 1° marzo, in un’imboscata, sono uccisi Antonio Strucchi, di 64 anni e Costantino Broglio, di 69; sono due veterani del risorgimento e tamburini dell’Esercito sardo, che hanno partecipato, con un ruolo evidentemente solo “coreografico” all’inaugurazione del gagliardetto fascista del paese piemontese.

Organizzatore della manifestazione è Cesare Maria De Vecchi, esponente di punta del Fascio torinese, che cerca di sottrarre all’influenza “sinistrorsa” di Mario Gioda; estroverso e “vivace” di carattere, instancabile organizzatore (si definirà “il quadrupede del fascismo”), ha dalla sua il fascino del combattente valoroso e pluridecorato: tre medaglie d’argento, due di bronzo, una croce al merito.

Consapevole di non essere proprio un’aquila, sa ironizzare anche su questo: si racconterà che nel luglio del ’22, al Prefetto di Novara, che cerca di convincerlo a lasciare la città, occupata dai fascisti, per accontentarsi di una soluzione di compromesso, risponderà brusco: “Signor Prefetto, sono nato scemo, sono cresciuto scemo, ma non voglio morire da scemo…”; per ora, è sempre primo nell’azione e sa essere d’esempio: anche a Casale, infatti, viene ferito, sia pure in modo non grave.

Dal susseguirsi di episodi sanguinosi, Mussolini trae indirettamente un vantaggio immediato e personale, per il fatto che l’urgenza dell’azione fa passare in secondo piano le voci di critica al suo operato – a molti apparso incerto e contraddittorio – in occasione dell’epilogo dell’avventura fiumana, e che avevano avuto un’eco al massimo livello durante il già citato Comitato centrale.

E’ per questo che, allo scopo di fugare ogni insinuazione malevola, egli il 5 aprile, dopo il raduno di Ferrara, invitato dal poeta, va a Gardone, con Balbo, Grandi e Marsich, per un incontro con D’Annunzio.

Per un momento, verso la fine di marzo, l’epicentro dell’azione sembra spostarsi dalla Toscana e dall’Emilia alla Lombardia, e precisamente a Milano: il 20 marzo i fascisti festeggiano l’anniversario delle “Cinque giornate” e, al termine, in buon numero, si recano a Greco, per inscenare una manifestazione di forza, in appoggio ai pochi squadristi del Fascio locale, frequentemente vittime di aggressioni da parte dei molti sovversivi della zona.

Nascono incidenti, dalla sede comunista si spara e si lanciano bombe contro il corteo: muore il giovane squadrista Aldo Sette e, in serata, un’altra bomba lanciata contro la sede fascista causa il ferimento di una bambina.

La reazione squadrista provoca a sua volta una vittima e ne nasce la reazione poliziesca, che porta all’arresto di diciassette fascisti, in una città sconvolta dalle esplosioni di bombe anarchiche in segno di solidarietà al detenuto Malatesta.

In questo clima esasperato, per la lunga detenzione del popolare leader anarchico, matura l’ipotesi di un attentato che “ripaghi la borghesia con egual moneta” e suoni di monito al Questore Gasti: il 23 marzo, infatti, una bomba anarchica al teatro Diana provoca diciotto morti e un centinaio di feriti innocenti.

Tutta l’Italia è sconvolta dalla gravità del gesto, e la condanna è unanime; solo i comunisti, sull’Ordine Nuovo, si provano a fare qualche distinguo:

L’attentato contro il pubblico raccolto al teatro Diana di Milano è un altro episodio del periodo di caos e di barbarie in cui è stata piombata l’Italia dalla crisi economica e sociale generata dalla guerra imperialista. Prima di assolvere o condannare, bisogna comprendere lo spirito dell’umanità… Chi potrebbe pensare ad inveire contro un vulcano o contro un terremoto che avesse diroccata una città e sanguinosamente mescolati nell’orrore della morte vecchi, donne e bambini?

I comunisti si sono ufficialmente affacciati alla scena politica nazionale a seguito del congresso socialista di Livorno, all’inizio dell’anno; il “congresso delle volpi” come lo hanno definito i fascisti, che si è svolto “tra scene e scenette di dramma e di commedia”, ma che Mussolini ha dato ordine di non disturbare in alcun modo, forse prevedendo la scissione che ne sarebbe nata, con conseguente indebolimento di quel Partito socialista che fino ad allora è stato il suo principale avversario.

La “gaffe” comunista, nel commento all’attentato del Diana è evidente: i fascisti hanno buon gioco a dimostrare che la violenza sovversiva è assurda, indiscriminata e cieca, si rivolge spesso contro gli inermi e gli innocenti, a differenza di quella squadrista, che è una dura necessità, che si attiene, finchè possibile, a codici di comportamento, che non riguarda terzi, e rispetta i nemici coraggiosi.

Coraggiosi non sono, invece, nella stragrande maggioranza, proprio i comunisti “mostruosi e deformi nel corpo e nell’anima”, come li definirà Mussolini, con una spietata allusione a Gramsci: essi, con agguati, imboscate e aggressioni in dieci contro uno, attentano giornalmente alla vita della migliore gioventù italiana, fiera di aspetto e di sentimenti, che quando sfila in parata, attira i commenti ammirati del pubblico, e che sa dare, appena può, anche esempio di moderazione.

Infatti, nonostante il giorno dopo dell’attentato, appaia sui muri di Milano un manifesto firmato dal Comitato d’azione, formato da fascisti, nazionalisti e Arditi, che chiede: “Bisogna vendicare. Solo in tal modo si ristabilisce la giustizia. In tal modo soltanto la pietà può essere placata”, le reazioni alla strage sono composte, prive di episodi di particolare violenza, e non fanno alcuna vittima.

Lo stesso Popolo d’Italia ammonisce i fascisti a non prendere nessuna iniziativa individuale, a non fare del “pussismo a rovescio”; cortei ordinati percorrono la città che, quasi spontaneamente, si imbandiera a lutto e sospende per mezza giornata ogni attività.

I funerali, qualche giorno dopo, si svolgono imponenti, con una grande partecipazione di popolo, accompagnato da squadre fasciste, inquadrate in cinque compagnie di quattrocento uomini ciascuna, guidate da Attilio Teruzzi; in testa al corteo Mussolini, Pasella, Freddi, Rossi, e con loro le rappresentanze di trentasei Fasci di combattimento e di sette Avanguardie, oltre ad una Compagnia di nazionalisti ed una di Arditi.

La dimostrazione di forza è imponente: la gente è ammirata dalla disciplinata organizzazione dei fascisti, mentre, ad avvalorare l’immagine conciliante del movimento, nell’edizione supplementare del Popolo d’Italia del 28 marzo, subito dopo i funerali, Mussolini parla di “tregua” e riafferma che la battaglia squadrista è, innanzitutto, una battaglia di libertà.

Alla contemporanea apertura fatta verso i socialisti, purchè disposti a liberarsi della zavorra leninista, corrisponde una netta chiusura verso comunisti ed anarchici, solidali con i terroristi, o addirittura corresponsabili dell’attentato; i fascisti sono pronti a modificare i loro comportamenti, perché non pensano alla fazione, ma alla Nazione ed al suo avvenire, e la Nazione ha bisogno di pace per riprendersi ed andare avanti.

Il giorno dopo, nell’edizione ordinaria, il giornale ripubblica l’articolo, ma al titolo: “Tregua”, fa seguire un punto interrogativo, giustificato dalle notizie di aggressioni giunte nelle ultime ore: in particolare, a Ponte a Moriano, a Portomaggiore, ad Alessandia, si sono ripetuti agguati ed imboscate, con morti e feriti di parte squadrista.

Ai primi di aprile, per il raduno regionale, Mussolini è a Bologna, “purificata e ritornata per volontà di popolo la più italiana e la più guelfa delle città italiane”, come dice Grandi nell’indirizzo di saluto al Congresso; davanti a decine di migliaia di fascisti, in gran parte lavoratori della terra, il capo del movimento propone , per la prima volta, la celebrazione dl 21 aprile come giornata del lavoro fascista, e ribadisce il vecchio concetto che “la Patria non si nega, si conquista”.

Successivamente è a Ferrara, dove davanti a lui, su un palco sovrastato da settanta bandiere rosse tolte ai socialisti, sfilano alcune decine di migliaia di rurali, inquadrati nelle organizzazioni sindacali fasciste, che vanno reclutando iscritti in grande numero, anche grazie all’adesione di intere leghe, prima timidamente, e poi sempre più impetuosamente, fino ad arrivare al record di diciassette leghe “travasate” in un giorno di marzo nella sola provincia di Ferrara.

Il primo sindacato fascista è stato costituto ufficialmente, il 28 febbraio, sempre in provincia di Ferrara, a San Bartolomeo in Bosco, da un ex combattente, Alfredo Giovanni Volta, contro il quale la lega socialista aveva decretato il boicottaggio totale, fino alla morte per fame, per lui e per la sua famiglia “per quattro generazioni di seguito”. Dopo un alternarsi di violenze fatte e subite, finalmente il Volta, con un esiguo numero di seguaci, riesce ad impadronirsi della sede della lega dove insedia il neocostituito sindacato fascista, con voluto simbolismo, quasi a voler dimostrare, con la continuità fisica, una continuità di azione nella tutela dei lavoratori, sia pure in nome di ideali nuovi.

Stessi, infatti, sono gli aderenti, stessa è la battaglia; cambia, però, la prospettiva di fondo: se prima la classe prevaleva sulla Nazione, ora non è più così; la Nazione tutte le classi comprende e supera, ed è solo nel suo nome che vanno condotte le lotte, anche le più estreme, solo apparentemente legate all’esclusivo raggiungimento di obiettivi materiali.

6. Il 18 BL

L’azione squadrista, che ormai non conosce soste, viene frattanto evidenziando alcuni caratteri costanti, sia nel comportamento che nelle tecniche, da parte dei fascisti così come dei loro avversari: fra il 1° gennaio ed il 7 aprile del ’21, negli scontri tra le opposte fazioni si hanno 102 vittime (di cui 25 fascisti e 41 socialisti) e 388 feriti (di cui 108 s 123 socialisti); dall’8 aprile al 14 maggio, in coincidenza, cioè, con lo svolgimento della campagna elettorale, i morti saranno 105 e i feriti 431.

Tra i motivi alla base di una così estesa conflittualità, che praticamente interessa tutto il Paese, vi è, come già accennato, la grande capacità di movimento delle squadre fasciste; la guerra è stata in gran parte – salvo che per piccoli gruppi – guerra di posizione, con lunghe permanenze nel fango delle trincee, in attesa di un attacco; naturale caratteristica dello squadrismo è, invece, il “movimento”.

Sono gli Arditi “velocizzatori e recordmen della guerra”, a portare nella pratica attivistica di ogni giorno il gusto, acquisito in battaglia, per il colpo di mano e l’azione rapida e veloce; le avventure del dopoguerra seguiranno così la stessa tecnica delle azioni al fronte, condotte in pochi, oltre le linee nemiche, e concluse, dopo la distruzione di un nido di mitragliatrici, con un rapido e veloce rientro alle proprie basi.

Mario Carli ha giustificato la superiorità dell’azione ardita con valide motivazioni:

Il nostro organismo militare… tendeva soprattutto a separare nettamente la massa combattente in due categorie: quella che aveva più attitudine per l’attacco, e quella che meglio si adattava alla resistenza. Da una parte i più giovani, gli spensierati, gli scapigliati, gli spregiudicati, gli irrequieti, i violenti, gli scontenti, i superatori, i passionali, i frenetici e gli sfrenati, i ginnasti e gli sportmen, i mistici e gli sfottitori, gli avanguardisti di ogni campo della vita, i futuristi di cervello o di cuore o di muscoli.

Dall’altra, gli anziani, i padri di famiglia, i lenti, i pesanti, i passivi, gli sfiduciati, i pigri, magari in gran parte buoni soldati, ma più adatti all’obbedienza che all’iniziativa, più fermi al loro posto che impazienti di scattare, ottimi puntelli per le trincee, ma poco idonei allo sbalzo in avanti.

I primi venivano in generale dalle città, gli altri più specialmente dalle campagna.

E’, singolarmente, una situazione che si ripeterà all’interno del Paese, in questi primi mesi del ’21: gli squadristi, esuberanti ed irrequieti, provenienti in gran parte dalle città, muovono all’attacco dell’organizzazione sovversiva “paesana”, lenta e pesante, buona a muoversi “a massa”, ma incapace di fronteggiare l’attacco diretto e violento di pochi elementi decisi e spregiudicati.

Veramente si confrontano sul campo, due “tipi umani” diversi:

Ma, in fondo, le due violenze (proletaria e fascista) sono diverse perché diverso è il substrato umano da cui scaturiscono: saturo di senso razionale ed antiretorico della vita – che è soltanto dura, faticosa ascesa il proletariato; imbevuto di superomismo – che è precipitosa fuga dalla realtà quell’uomo nuovo fascista di cui abbiamo parlato. Comprendere la vittoria del fascismo significa appunto, per concludere, più che guardare alla debolezza proletaria o alla connivenza dell’Autorità… comprendere bene quell’uomo nuovo che bastona, incendia ed arriva ad uccidere, sempre irridendo alla morte, perché senza sfidarla non trova però ragioni per vivere.

Su un piano più generale, la contrapposizione è quella tra il camion e la Casa del popolo:

Trenta, cinquanta fascisti armati sono, in ciascun paese, al momento in cui arrivano, più forti dei lavoratori locali. I fascisti sono quasi tutti degli Arditi e degli ex combattenti, guidati da Ufficiali, sono spesso trapiantati, come lo si è al fronte, e possono vivere ovunque. I lavoratori, al contrario, si agglomerano intorno alla loro Casa del popolo, come altra volte le capanne dei contadini intorno al castello: ma il castello difendeva, sia pure angariando, il villaggio: la casa del popolo, invece, ha bisogno di essere difesa. I lavoratori sono legati alla loro terra, ove hanno, nel corso di lunghe lotte, realizzato conquiste ammirevoli. Questa situazione lascia al nemico tutte le superiorità: quella della offensiva sulla difensiva, quella della guerra di movimento sulla guerra di posizione. Nella lotta tra il camion e la casa del popolo, è il primo che deve vincere e vincerà.

Nella primavera del ’21, la spedizione fascista si irradia dai centri capoluogo ai paesi minori, ha per scopo primo quello di propagandare l’idea per ogni dove, anche in vista delle elezioni, che devono assicurare il miglior successo ai candidati mussoliniani.

Nello stesso tempo, però, l’arrivo dei camerati in un borgo di provincia serve a ridare coraggio ai simpatizzanti della causa nazionale, da troppo tempo sottoposti all’offensiva sovversiva e senza vera tutela da parte dell’Autorità latitante; sta di fatto che la richiesta di intervento parte dal piccolo nucleo locale e viene propagata dal tam tam della solidarietà fascista; la capacità di concentrare uomini al momento voluto nel posto voluto diventa componente essenziale e determinante del successo, così come l’uso sapiente del telefono e del camion è l’arma segreta della vittoria.

Il protagonista principale delle avventure squadriste rimane il camion, visto come il Carroccio intorno al quel costruire la nuova libertà d’Italia; Pavolini nel ’31 gli dedicherà addirittura un lavoro teatrale, presentato ai littoriali fiorentini e intitolato appunto “18 BL”:

E’ di Maccari, però, la rievocazione più affettuosa e spiritosa:

Dalla fine dl ’20 a tutto il ’22, furono di gran moda in Italia, specie fra la gioventù, alcuni oggetti caduti ormai totalmente in disuso. Fra essi, si notava un macchinone fragoroso, a nome camion, che nulla potrebbe avere a che fare con l’odierna buicche.

Capace di contenere una quantità immensa di gente in camicia nera, ma non mai quanta desiderava di montarci, aveva la messa in moto a manovella, e richiamava spesso Diciotto BL. Amava molto il fascismo, e lo serviva, senza null’altro chiedere che un po’ di benzina e di olio. Infiammatosi d’amore per una vaga donzella chiamata Spedizione Punitiva, s’unì con essa in vincolo di matrimonio, e quando quella morì, il povero camion, vinto dalla disperazione, si mise a trasportare legnami, balle di gesso e altro materiale. Un giorno del 1924 la Spedizione Punitiva ritornò su questa terra, e, per qualche mese, il camion filò con lei il vecchio amore.

Egli si rammentava sempre di aver trasportato in quell’epoca all’Abbadia San Salvatore molti baldi giovanotti che andarono là a salutare il duce, e a fargli atto di dedizione e di affetto. Quando ricorda quel giorno, il povero camion non può frenare una lacrima sul ciglio del carburatore. Agonizza ora in un buio garage, consumandosi d’odio verso l’infame buicche e si duole che i giovani l’abbiano tradito per quella civettaccia straniera.

Muori in pace, vecchio camion, e non te la pigliare! Chi ti conobbe e potè apprezzare la tua fede fascista disinteressata e pura, non ti dimenticherà mai, e tu vivrai nell’affetto e nella memoria di tutti gli squadristi.

Il camion, benché non sia scicche, è più fascista della buicche”

Pure il treno, anche se più di rado, è talvolta usato come mezzo di trasporto per questi spostamenti rapidi:

Se le partenze avvenivano in treno, allora i fascisti diventavano la “gioia” dei viaggiatori. Perché, il più delle volte, non tardava ad echeggiare lo squillo assordante del campanello d’allarme, e il treno si fermava in piena campagna, per qualche scaramuccia con gli avversari e relativo scambio di cortesie.

Altre volte i ferrovieri, troppo delicati per non turbare i viaggiatori della loro presenza, se ne andavano per i fatti loro, e allora i fascisti intervenivano, per invitarli cortesemente a rimanere. E, quasi sempre, imparavano a loro spese, poveri ferrovieri, che nella vita è meglio non usare certe “attenzioni”.

Nell’andata vi era la delizia dei preparativi con abbondanza di pronostici, più o meno ottimisti.

I quali preparativi erano del pacifico viaggiatore bastevoli per conoscere le attrattive e le sorprese d’un vero viaggio d’avventure. Non mancava mai la lite con il sovversivo racimolato nel fondo di qualche scompartimento, con il lettore toppo assiduo di giornali “infetti”.

Il ritorno, poi, era ancora più movimentato. Nell’andata occorreva esser cauti per non correre il rischio di non giungere alla meta, al ritorno, invece, il compito era stato assolto, e i fascisti potevano pure imbastire qualche “numero fuori programma”.

I fascisti, poi, avevano il cattivo vizio di non poter riposare, neanche di notte. Cosicché passavano il tempo cantando e stonando le loro canzoni, con abbondante ripetizione di bombe a mano e pugnali, e creando chissà quali paurose visioni nei sonni beati dei viaggiatori. I quali, poco per volta, erano tutti svegli, e allora dovevano sorbirsi il racconto dettagliato della spedizione, con relativo assalto alla Camera del lavoro e bastonatura del sindaco bolscevico.

D’altronde, come si poteva fare a non ascoltare quei “bravi ragazzi”, tutti infatuati delle loro gesta e più lieti che nel ritorno da qualunque viaggio di nozze?

Finalmente l’arrivo é vicino. Ultimi alalà. Il treno è giunto, e allora scendono di corsa, s’ordinano per tre, gagliardetto in testa, e scompaiono cantando…

Il dovere della giornata è compiuto.

Alla sede, ove pochi compagni di fede attendevano impazienti, sono accolti con canti di gioia e abbracci.

Le spedizioni in provincia si susseguivano. Più simpatiche quelle eseguite sui camions polverosi. Sui quali si stava tremendamente male, ma dove si poteva fare intiero il proprio comodo, senza importunare la signora che vuol dormire, che le dà noia il fumo o che soffre d’emicrania.

Vi era, però, un inconveniente.

In ferrovia si partiva in venti e si arrivava in quaranta, perché quelli in soprannumero si nascondevano in qualche bagagliaio, e comparivano solo quando non era possibile la via del ritorno, e si noti bene che quelli in soprannumero non mancavano mai; colle partenze sui camions, la cosa presentava le sue difficoltà.

Erano sempre litigi, pugilati per poter salire. E, anche quando il camion preso d’assalto era stipato fino all’inverosimile, vi erano sempre quelli col naso in aria, che protestavano perchè erano rimasti a terra, e non sapevano decidersi di tornarsene a casa.

Magnifico slancio di gioventù, incurante del pericolo e sempre pronta ad ogni evento. E, in un nuvolo di povere, partivano i fortunati, cantando, felici, insensibili ad ogni disagio, ad ogni privazione; mentre quelli rimasti a terra, con gli occhi arrossati e il pianto alla gola, seguitavano a sventolare i loro fazzoletti, fino a perdita d’occhio.

Sui treni, può capitare anche di incontrare qualche “conoscente”, come accade nell’agosto del ’21, quando alcuni squadristi, incrociato l’onorevole socialista Bosi, prima lo “puniscono”, e poi canticchiano:

Viaggiavam sul tren del Casentino

Quando scorgemmo in Prima un deputato

Sapevamo che era il Bosi sor Gigino

Nel socialismo molto addottorato

Che a fare propaganda era stato

Andammo a lui di botto

Chiedemmo spiegazioni

Gli facemmo il capo rotto

A colpi di bastoni

Alloro si rifugiò

Tra le gambe di un Generale

Quando giunse ad Arezzo

Lo portammo all’Ospedale

Poco mal…

Le Autorità cercheranno di porre un rimedio a questo stato di cose e di bloccare gli spostamenti dei fascisti; la misura però di questi tentativi può essere ricavata dal risibile provvedimento di Taddei, Ministro degli Interni nel Governo Facta, che, ancora nell’ottobre del ’22, crederà sufficiente dare disposizioni ai Prefetti perchè gli squadristi, in occasione delle “spedizioni” per treno, la smettano di non pagare nemmeno il biglietto dato il grossissimo danno che da tale abuso deriva all’Erario”.

Più efficaci avevano voluto essere le misure contro la circolazione dei camion, carichi di uomini armati, che era stata denunciata –sia pure con qualche ingenuità- da più parti:

Quelli che entrano alla Camera del lavoro di Ferra sono perquisiti, quelli che entrano alla sede del Fascio, mai. Quando da Ferrara partono dei camion di fascisti armati, nessuno li ferma, per vedere se sono in regola col fisco, che vuole che i camion non portino persone. I camion scorazzano, dicono tutti i giornali, non sono fermati.

Corradini, dopo questa denuncia, telegraferà allarmato al Prefetto di Ferrara:

Ci risulta da telegrammi Ferrara che spedizione fascisti che dettero luogo incidenti 18 corrente Lendinara provenivano da codesta provincia e da altre limitrofe. Queste spedizioni armate, da città a città, con camion, devono essere assolutamente impedite, e Vossignoria provveda con ogni energia impedire formazione ed esecuzione spedizioni che si organizzassero codesta provincia. Ove siano tentate, Vossignoria provveda perquisizioni, sequestro armi e mezzi locomozione. A parte che camion carichi passeggeri non sono consentiti, ordinariamente camion diventano, in queste condizioni, un indubbio mezzo per compiere un’azione non legittima. Questa deve essere direttiva azione Vossignoria in confronto di questi tentativi assolutamente inammissibili e criminosi. Gradirò assicurazioni e comunicazioni al riguardo.

Il 4 marzo sarà ordinata una guardia armata permanente ai ponti sul Po, per vietare l’acceso ai mezzi che trasportano squadristi , e, contemporaneamente, sarà vietata la circolazione di tutti i camion nella provincia di Ferrara.

Anche il Prefetto di Firenze, il 15 giugno, lamenterà che:

Nonostante precedenti tassative disposizioni, spedizioni fasciste in provincia e limitrofe continuano a verificarsi, anche mezzo camion. Rinnovo, anche nome Ministero, raccomandazione perché, ogni giorno più, siano prese tutte le misure per impedire che le spedizioni di tale natura abbiano ripetersi. Ciò potrà ottenersi più facilmente ricorrendo, senza riguardi ed esitazioni, a fermo e sequestro, emanando ed applicando rigorosamente divieto circolazione autocarri.

Sempre in Toscana, e più o meno nello stesso periodo, Corradini sarà drastico anche con il Prefetto di Pisa:

quel che non si comprende est come si consentano queste scorribande di camion con gente armata, mentre si è detto e ripetuto che dovrebbero essere colpiti di contravvenzione i camion che trasportano viaggiatori, peggio se armati, poichè in tali casi, oltre i provvedimenti fiscali, ci sono sempre quelli di polizia e dell’azione dell’Autorità giudiziaria, che dovrebbe essere immediatamente provocata. Raccomando a Vossignoria di agire in tal senso energicamente. Intanto, poichè in tutto questo periodo sottoprefetto Volterra non ha dimostrato iniziativa ed energia sufficiente, ed è sospettato di soverchia acquiescenza verso atteggiamenti fascistici, provveda sostituirlo. Raccomando di nuovo assoluta energia contro tutti e contro tutto, in modo da creare assoluta convinzione che Autorità intende reprimere con fermezza ogni tentativo di questa natura.

I rischi ed i pericoli maggiori, per gli squadristi, non vengono però dalle ripetute iniziative poliziesche, ma sono una conseguenza implicita di questo sfrenato correre su e giù per l’Italia: in qualche occasione, essi sono coinvolti, durante i trasferimenti per strade mal tenute e viottoli di campagna, in incidenti stradali mortali; talora la panne ad automezzi di incerta affidabilità motoristica è la circostanza che propizia l’imboscata sovversiva; talora ancora il camion è fatto oggetto di attacchi in stile western.

A Ponte a Moriano, il 25 marzo, succede proprio che, guastatosi il camion squadrista e allontanatisi gli occupanti per cercare aiuto, la violenza avversaria si scatena contro i pochi rimasti di guardia all’automezzo, e fa una vittima, Tito Menichetti; a Valdottavo, invece, il 22 maggio, su un camion con 22 squadristi, guidati da Carlo Scorza, vengono fatti rotolare cinque o sei grossi massi, ciascuno del peso di vari quintali, che provocano lo sbandamento del mezzo, con due morti e vari feriti.

In qualche caso è l’uso dell’aereo che provoca vittime: a Signa, il 3 aprile, precipita il velivolo con a bordo due fascisti fiorentini, Gigi Pontecchi e Vasco Magrini, impegnati in un giro di propaganda; il primo muore, mentre il secondo resta ferito, in un’azione che, influenzata dal dannunziano volo su Vienna, ha dalla sua i fascistissimi caratteri della modernità e della spericolatezza.

Vagamente minaccioso, però, il testo deli volantini che dall’aereo piovono sui contadini in rivolta:

Contadini, lavoratori! con questo mezzo che fu già strumento di morte e di rovina, vi gettiamo oggi un invito di pace. Non più competizioni, non più lotte fratricide, ma solamente l’amore nel lavoro giusto e fecondo regni tra voi. Non prestate ascolto agli incitamenti di rivolta… tornate ad amare la Patria, noi combattiamo per essa… Nessuna bandiera sventoli sulle vostre case, sulle vostre piazze, sui vostri campanili, che non sia il tricolore italiano. Queste parole di pace vi gettiamo dal cielo: ascoltatele perché con questo mezzo dal cielo oltre che dalla terra vi getteremmo la morte se esse dovessero rimanere inascoltate…”

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