9 Aprile 2024
Tradizione Primordiale

STRADE DEL NORD. Il tema delle Origini Boreali in Herman Wirth e negli altri – Parte 6 – Michele Ruzzai

(alla fine dell’articolo, prima delle Note, sono presenti i link dei cinque articoli precedenti)

 

3 – La terra artica

 

3.1 – Nord-Ovest, America artica, Beringia

 

Partiamo quindi da quest’ultimo punto, cioè dell’espressione “nordico-atlantico” tanto cara a Herman Wirth.

Analizzandolo con più precisione, potremmo dire che se il primo termine (nordico) nella sua accezione più radicale può arrivare ad alludere addirittura al Polo, ed il secondo (atlantico) ha una connotazione chiaramente occidentale (o, al più, nordoccidentale), appare evidente come tra questi due estremi vi sia uno spazio molto ampio per contemplare una posizione intermedia: quella più genericamente definibile come artica e subartica. Possibilità dunque correlata ad un momento che non è più polare, ma non è ancora occidentale: ed è più o meno qui che va cercata quella che per Wirth è la terra primordiale dei suoi Prenordici.

Se, come ricordato sopra, diverse furono le direttrici migratorie partite dall’Artico e non tutte, necessariamente, dirette verso il quadrante atlantico, probabilmente ne consegue che anche diverse dovettero essere le aree nordiche anticamente popolate, e quindi riteniamo utile fare una rapida carrellata sul “dove” potrebbero essersi presentate le condizioni per un antichissimo popolamento boreale.

Propendendo per una localizzazione sostanzialmente nord-occidentale della “culla” iperborea, Wirth menziona territori periferici come l’Islanda e la Groenlandia (190), ma anche la Terra di Grinell (che corrisponde all’isola di Ellesmere dell’arcipelago artico canadese) dove il Nostro segnala la presenza antica di una ricca flora, del tutto incompatibile con le attuali condizioni climatiche. In effetti, non è un caso se il suo famoso “cuneo della razza prenordica”, menzionato anche da Julius Evola (191) viene a coprire soprattutto il nord-ovest del pianeta; e si tratta di aree non distanti dal quadrante nordatlantico, il che può già farci intuire le prime basi della summenzionata commistione fra il tema artico e quello oceanico, come già visto anche in rapporto alla sovrapposizione Iperborea / Thule, nonché – confusione nella confusione! – alla doppia posizione (polare prima, nordoccidentale poi) attribuibile a quest’ultima. Un equivoco che, come abbiamo visto, ha attraversato tutta la Classicità ed il Medioevo, giungendo fino al XX secolo dove influenzò non solo Herman Wirth ma anche studiosi successivi, ad esempio quel Jean Richer che connette la mitica terra iperborea alla direzione di nord-ovest (192).

Sovrapposizioni probabilmente giustificate dal ricordo di terre al tempo emerse in area nordatlantica (193) e tramandate fino a tempi molto più tardi, ad esempio nella già menzionata mappa di Nicolò Zeno. Si tratta di ricordi peraltro confermati più di recente da studi di carattere geologico secondo i quali la soglia nordatlantica, collocata tra la Scozia e la Groenlandia, a suo tempo doveva essere decisamente meno profonda degli attuali 600 metri (194), con la concreta possibilità che, anche in concomitanza con il più basso livello marino collegato al fenomeno glaciale, potessero sussistere diverse aree emerse tra Groenlandia, Islanda ed Isole Faroer (195), se non addirittura la piena continuità territoriale fra Europa ed America costituita dal ponte continentale subartico immaginato da H.E. Forrest negli anni ‘30 (196). Lembi emersi che forse raggiungevano pure la Scandinavia (197) – elemento da tenere presente per quanto verrà segnalato più avanti – quindi anche, presumibilmente, all’incirca nel settore dove oggi si trova l’isola di Jan Mayen, tra Mar di Groenlandia e Mar di Norvegia. Senza considerare che le stesse terre nordoccidentali ancora oggi emerse presentano comunque elementi di grande interesse, come la Groenlandia settentrionale (198) e l’isola di Baffin (199) che rispettivamente 50.000 e 30.000 anni fa non sembrerebbero essere state coperte dalla calotta glaciale.

Più ad occidente, lo Yukon e l’Alaska evidenziano inoltre l’interessante aspetto che, durante il Wurm, non vennero coperte da una coltre continua ma solo da sporadici ghiacciai montani (200), aspetto che è di particolare interesse soprattutto in relazione alle condizioni climatiche che dovettero albergare nella vicina area, al tempo emersa, che fu la Beringia. Questa, infatti, è ormai assodato che non ebbe solo le dimensioni di un sottile istmo fra la Siberia orientale e l’Alaska occidentale ma doveva essere enormemente più estesa, forse partendo già dalla penisola centro-siberiana del Tajmyr per arrivare fino alle coste artiche del Canada nordoccidentale (201): ciò a causa della ridottissima profondità di tutta la piattaforma continentale nord-siberiana, che, nel mare dei Ciukci e nello stretto di Bering, oggi non supera i 45-55 metri ed tempo doveva essere emersa per un’ampiezza di migliaia di chilometri (202). Inoltre, le condizioni climatiche della zona sarebbero state sorprendentemente migliori sia di quelle attuali (203) che di quelle al tempo rilevabili addirittura nella maggior parte della Siberia meridionale (204), come attestato dai reperti faunistici rinvenuti in zona che, evidenziando la presenza remota di specie quali volpi, lupi, cavalli ed addirittura cammelli (205), testimoniano un lungo periodo di condizioni climatiche quasi temperate. Nella stessa direzione è stato rilevato che durante il Wurm, come per i settori nordamericani, anche nell’area tra il fiume Lena e lo stretto di Bering non esisteva una calotta continua ma solo ghiacciai montani e di modesto spessore (206) che probabilmente non impedirono l’insediamento umano ma anzi poterono favorirne il temporaneo isolamento in qualche enclave stretta tra essi ed il mare (207). In effetti di recente è stato formulato il modello “Out of Beringia” secondo il quale l’area in questione avrebbe rivestito una funzione ben più rilevante di mero, e relativamente rapido, punto di passaggio tra i due continenti, perdurando invece per un notevole lasso di tempo – una delle sua fasi di abitabilità si sarebbe estesa tra 70.000 e circa 35.000 anni fa (208) – e dunque accogliendo per molti millenni popolazioni stanziali che poi, a scansioni diverse, sarebbero partite verso mete più meridionali, sia in direzione orientale che occidentale. Tale datazione, inoltre, sembrerebbe abbastanza coerente con  alcuni ritrovamenti in zona, come ad esempio quelli canadesi di Old Crow nel nord dello Yukon, risalenti forse addirittura a 50.000 anni fa (209) e suggerirebbero di non escludere a priori l’ipotesi di cronologie analoghe per il primissimo popolamento di tutto il continente americano (210), come vedremo più avanti.

 

 

3.2 – Nord eurasiatico

 

Nel nostro cammino verso ovest, altre sorprese ci arrivano anche dal settentrione siberiano. Sembra che soprattutto la sua parte costiera abbia beneficiato di diversi periodi relativamente caldi indotti da analoghe condizioni del Mar Glaciale Artico, in un contesto che lo ha visto comunque registrare, negli ultimi 50.000 anni, almeno sei importanti modificazioni climatiche (211). Ma, paradossalmente, è la stessa esistenza dei ghiacciai nordici sulla terraferma che rendono fortemente improbabile la contemporanea presenza del pack sulla superficie marina, perché in tal caso non vi sarebbe stata la necessaria evaporazione acquea che avrebbe alimentato le precipitazioni nevose e, appunto, i ghiacciai costieri (212). In ogni caso più nell’entroterra, nel bacino del fiume Lena, sono noti da tempo i siti di Ezhantsy, Ust-Mil e Ikhine testimonianti un chiaro insediamento umano databile fino a 35.000 anni fa (213), ma ancora più notevole è il recente ritrovamento, nella stessa area però a maggiore latitudine – in prossimità di Verkhoyansk in Jacuzia, nel cratere Batagaika chiamato anche “la porta dell’inferno” – di resti perfettamente conservati di un puledro (214): estremamente significativo ci sembra il fatto che un animale dalle caratteristiche non certo adattate all’odierno clima artico sia stato rinvenuto al livello del Circolo Polare e che risalga ad un periodo stimato fra 30 e 40.000 anni fa, quando evidentemente le locali condizioni climatiche ne permettevano ancora un normale vita. Ancora più antichi, risalenti cioè a circa 46.000 anni fa, i resti di un’allodola cornuta rinvenuti a Belaya Gora, località della Siberia nord-orientale a più di 68° di latitudine nord, dove le condizioni climatiche sono oggi chiaramente molto diverse dal consueto habitat di questa specie aviaria (215). Geograficamente non distante e di datazione vicina – attorno a 45.000 anni fa (216) – è il celebre ritrovamento del mammuth congelato, avvenuto nel 1901 sulla Berezovka (un affluente del Kolyma), località anche questa sul Circolo Polare Artico ma che anticamente doveva, in tutta evidenza, godere di condizioni nettamente migliori delle attuali (217) per consentire il sostentamento di erbivori di tale taglia. E’ peraltro significativo che, paradossalmente, il numero dei mammut ritrovati aumenti man mano che si procede verso nord, raggiungendo un picco massimo nelle isole della Nuova Siberia, tra il mare di Laptev e il mare della Siberia Orientale (218), fenomeno osservabile anche per altre specie animali tipiche delle regioni temperate (219), come ad esempio rinoceronti, antilopi, cavalli, bisonti, tigri dai denti a sciabola e molte altre, sia erbivore che carnivore (220).

In definitiva, dalla densità dei reperti animali rinvenuti, emerge chiaramente come l’intera Siberia settentrionale sia stata anticamente caratterizzata da una biomassa faunistica e da una produttività vegetale che, anche a queste latitudini, erano sorprendentemente vicine a quelle della savana africana (221), quindi evidenziando come l’antico ecosistema nordeurasiatico doveva presentare delle condizioni assolutamente favorevoli, se non addirittura ideali, per il sostentamento umano basato sulla caccia-raccolta. Ed in effetti un insediamento Sapiens pare riscontrabile a Sopochnaia Karga, nei pressi della foce dello Yenisej, dove i famosi ritrovamenti di Vladimir Pitulko attesterebbero un’attività umana databile 45.000 anni fa (222).

Al di qua degli Urali, piuttosto interessanti appaiono i resti di orsi e lupi rinvenuti nella Norvegia artica e risalenti a circa 42.000 anni fa, che testimonierebbero al tempo un’assente, o comunque molto ridotta, glaciazione dell’area (223) ed un clima sensibilmente meno rigido rispetto a quello odierno. Inoltre, nella non lontana Repubblica dei Komi della Federazione Russa, già a suo tempo si era ipotizzato che il bacino del fiume Pechora potesse aver ricevuto una colonizzazione umana fin da circa 40.000 anni fa (224) e successivamente i ritrovamenti del vicino sito di Mamontovaya Kurya sembrerebbero confermare questa stima (225). Visti i dubbi sul tipo umano che ne sarebbe stato artefice, è interessante rilevare come i ricercatori, partendo ovviamente dal presupposto convenzionale che le condizioni climatiche del tempo fossero rigide come, se non più, di quelle odierne, abbiano valutato estremamente improbabile l’ipotesi che gli occupanti fossero neandertaliani, propendendo invece per i Sapiens. Posizione in verità piuttosto curiosa sia perché, innanzitutto, non contempla la possibilità che la situazione ambientale del sito potesse esser stata meno problematica di quanto immaginato ma, soprattutto, perché evidenzia anche una chiara contraddizione di fondo: gli Homo Sapiens, teoricamente provenienti dall’Africa da soli pochi millenni, secondo i ricercatori si sarebbero trovati più a loro agio tra i rigori dei climi nordici rispetto ai Neandertaliani che, sempre in teoria, avrebbero dovuto esservi adattati molto meglio e da molto più tempo… A meno che, appunto, l’intero quadro della provenienza umana dal continente africano non vada radicalmente rivisto (ma come detto non è questa la sede per farlo, avendovi dedicato degli scritti specifici) e Homo Sapiens venga finalmente sganciato dal dogma di un’origine necessariamente tropicale; come anche, analogamente, che venga rivista la prospettiva che inquadra il Neanderthal nei termini tradizionali della popolazione ben adattata ai climi glaciali in quanto ivi residente da molto prima di “noi”. Ed in effetti possiamo dire che anche quest’idea sta mutando, sia sulla base di sporadiche valutazioni espresse già da diverso tempo (226) ma anche a seguito di osservazioni man mano accumulatesi su vari versanti: dal punto di vista archeologico, ad esempio, non è sfuggito il fatto che mentre i siti dove sono stati rinvenuti reperti tipici del Paleolitico Superiore (cioè riconducubili a Homo Sapiens) sono presenti anche oltre il Circolo Polare Artico, quelli invece evidenzianti tecnologie mousteriane (legate al Neanderthal) non superano la latitudine di 45-48° nord (227). Ma anche osservazioni dirette sulla stessa struttura fisica neandertaliana, ad esempio sulla particolare conformazione del volto e delle ampie cavità nasali, suggeriscono che ciò non possa essere interpretato nè come il risultato di una maggiore pneumatizzazione, né come adattamento allo stress da freddo (228).

In definitiva, sembrerebbe quindi emergere che, al contrario di quanto ipotizzato fino a tempi relativamente recenti, Homo Sapiens fosse più attrezzato del Neanderthal a fronteggiare temperature particolarmente rigide (229).

 

 

Link articoli precedenti:

 

Parte 1

Parte 2

Parte 3

Parte 4

Parte 5

 

 

 

NOTE

 

190.  Marco Zagni – Archeologi di Himmler – Ritter – 2004 – pag. 49

 

191.  Julius Evola – Il mito del sangue – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 154

 

192.  Jean Richer – Geografia sacra del mondo greco – Rusconi – 1989 – pag. 183

 

193.  Charles H. Hapgood – Lo scorrimento della crosta terrestre – Einaudi – 1965 – pag. 210

 

194.  Edith Ebers – La grande era glaciale – Sansoni – 1957 – pag. 168

 

195.  Alberto Malatesta – Geologia e paleobiologia dell’era glaciale – La Nuova Italia Scientifica – 1985 – pag. 78

 

196.  Bruno Martinis – Continenti scomparsi – Edizioni Mediterranee – 1994 – pag. 31; Lyon Sprague de Camp – Il mito di Atlantide e i continenti scomparsi – Fanucci – 1980 – pag. 329

 

197.  Charles H. Hapgood – Lo scorrimento della crosta terrestre – Einaudi – 1965 – pag. 283

 

198.  Charles H. Hapgood – Lo scorrimento della crosta terrestre – Einaudi – 1965 – pagg. 188, 189, 282

 

199.  Graham Hancock – Impronte degli Dei – Corbaccio – 1996 – pag. 602

 

200.  Charles H. Hapgood – Lo scorrimento della crosta terrestre – Einaudi – 1965 – pagg. 188, 189

 

201.  Alfonso de Filippi – La “Patria Artica” degli Ariani – Algiza, n. 10 – Luglio 1998 – pag. 18

 

202.  Alberto Malatesta – Geologia e paleobiologia dell’era glaciale – La Nuova Italia Scientifica – 1985 – pag. 247

 

203.  Renato Biasutti – Alcune considerazioni sul primo popolamento del continente americano – in: Scritti Minori, Società di Studi Geografici, 1980, pag. 143

 

204.  AA.VV. – Evidence of Ice Age humans in eastern Beringia suggests early migration to North America – Quaternary Science Reviews, Volume 205 – 01/02/2019 – https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0277379118307716?fbclid=IwAR2kKjB9J5lCsU9KRtkRajJdfeE6LYPBLDqJDjJ3lgNqRTDZMmjr8LqDKII

 

205.  Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag. 318

 

206.  Alberto Malatesta – Geologia e paleobiologia dell’era glaciale – La Nuova Italia Scientifica – 1985 – pag. 55

 

207.  Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag. 74

 

208.  Fiorenzo Facchini – Il cammino dell’evoluzione umana. Le scoperte e i dibattiti della paleoantropologia – Jaca Book – 1994 – pag. 174

 

209.  Fiorenzo Facchini – Il cammino dell’evoluzione umana. Le scoperte e i dibattiti della paleoantropologia – Jaca Book – 1994 – pag. 176

 

210.  Jean Guilaine – Preistoria dell’America – in: AA.VV. (a cura Jean Guilaine), La preistoria da un continente all’altro, Gremese Editore, 1995, pag. 116; Luigi Luca Cavalli Sforza – Geni, popoli e lingue – Adelphi – 1996 – pag. 106

 

211.  Charles H. Hapgood – Lo scorrimento della crosta terrestre – Einaudi – 1965 – pagg. 210, 283

 

212.  Antonio Bonifacio – L’Egitto dono di Atlantide – Edizioni Agpha Press – 1998 – pag. 16

 

213.  Richard G. Klein – Il cammino dell’Uomo. Antropologia culturale e biologica – Zanichelli – 1995 – pag. 304

 

214.  Scientists find perfectly preserved ancient foal in Siberia – Phys.Org – 23/08/2018 – https://m.phys.org/news/2018-08-scientists-perfectly-ancient-foal-siberia.html

 

215.  Resti congelati di allodola cornuta vissuta 46.000 anni fa trovati in permafrost siberiano – Notizie scientifiche.it – 26/02/2020 – https://notiziescientifiche.it/resti-congelati-di-allodola-cornuta-vissuta-46-000-anni-fa-trovati-in-permafrost-siberiano/

 

216.  Paul Jordan – La sindrome di Atlantide – Newton & Compton Editori – 2003 – pag. 180

 

217.  AA.VV. (a cura di Fiorenzo Facchini) – Paleoantropologia e Preistoria. Origini, Paleolitico, Mesolitico – Jaca Book – 1993 – pag. 352

 

218.  Charles H. Hapgood – Lo scorrimento della crosta terrestre – Einaudi – 1965 – pag. 224

 

219.  Antonio Bonifacio – L’Egitto dono di Atlantide – Edizioni Agpha Press – 1998 – pag. 17

 

220.  Charles H. Hapgood – Lo scorrimento della crosta terrestre – Einaudi – 1965 – pag. 229

 

221.  AA.VV. – Mammoth steppe: a high-productivity phenomenon – Quaternary Science Reviews, Volume 57 – Dicembre 2012 – https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0277379112003939?fbclid=IwAR00ON7jk6mwcbA_evPpgECIfccpwHZUSejk1924DjWerPAKj7kk_9wdqD4

 

222.  L’homo sapiens abitava il Polo Nord 45 mila anni fa, prima della glaciazione: ecco le prove. Gli iperborei di Evola – Saturnia Tellus – 08/02/2016 – http://www.saturniatellus.com/2016/02/lhomo-sapiens-abitava-il-polo-nord-45-mila-anni-fa-prima-della-glaciazione-ecco-le-prove-gli-iperborei-di-evola/; Gli esseri umani cacciavano mammut nell’Artico 10.000 anni prima di quanto si credesse – 15/01/2016 – http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/gli-esseri-umani-cacciavano-mammut-nellartico-10-000-anni-prima-di-quanto-si-credesse/; Paolo Casolari –  Gli iperborei di Evola – Centro Studi La Runa – 08/02/2016 –  http://www.centrostudilaruna.it/gli-iperborei-di-evola.html; Giovanni Monastra – Rileggere l’antropologia della preistoria europea – in: Julius Evola, Il mistero dell’Occidente. Scritti su archeologia, preistoria e Indoeuropei 1934-1970, a cura di Alberto Lombardo, postfazione di Giovanni Monastra, Quaderni di testi evoliani n. 53, Fondazione Julius Evola, 2020, pagg. 174, 175

 

223.  Rand e Rose Flem-Ath – La fine di Atlantide – Piemme – 1997 – pagg. 100, 101; Colin Wilson – Da Atlantide alla Sfinge – Piemme – 1997 – pag. 113; Luigi Bignami – 10.000 anni fa, alla fine dell’ultima glaciazione – Focus – 02/07/2017 – https://www.focus.it/ambiente/natura/10000-anni-fa-alla-fine-di-ultima-glaciazione?fbclid=IwAR03IJeE6Pum81vGRYkqOeWOKnqXp0TeexG9X7U_MOYyBA79OOJZgeeFyL8

 

224.  Janusz K. Kozlowski – Preistoria – Jaca Book – 1993 – pag. 65

 

225.  Gli uomini del nord – Le Scienze – 6/9/2001 – http://www.lescienze.it/news/2001/09/06/news/gli_uomini_del_nord-590786/; Giovanni Monastra – Rileggere l’antropologia della preistoria europea – in: Julius Evola, Il mistero dell’Occidente. Scritti su archeologia, preistoria e Indoeuropei 1934-1970, a cura di Alberto Lombardo, postfazione di Giovanni Monastra, Quaderni di testi evoliani n. 53, Fondazione Julius Evola, 2020, pagg. 172-174

 

226.  Kurt Pastenaci – La luce del nord. Le fondamenta nordiche dell’Europa – Editrice Thule Italia – 2018 – pag. 16

 

227.  Richard G. Klein – I cacciatori dell’età glaciale in Ucraina – Le Scienze – Ottobre 1974 – in: AA.VV. (a cura di Francesco Fedele), Le origini della civiltà europea, estratti da “Le Scienze”, 1981, pagg. 24, 25; Giovanni Monastra – Rileggere l’antropologia della preistoria europea – in: Julius Evola, Il mistero dell’Occidente. Scritti su archeologia, preistoria e Indoeuropei 1934-1970”, a cura di Alberto Lombardo, postfazione di Giovanni Monastra, Quaderni di testi evoliani n. 53, Fondazione Julius Evola, 2020, pagg. 173, 175

 

228.  Todd C. Rae, Thomas Koppe, Chris B. Stringer – The Neanderthal face is not cold adapted – ScienceDirect.com – Febbraio 2011 – https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0047248410002198?fbclid=IwAR1NbMGDa2yo7HTjSxNMNbFtrsjr0jqkO6b8QG0FcPXblxRKZW6bXPZ0GtE

 

229.  Luca Sciortino – Una grotta per due – in: Le Scienze – Ottobre 2005 – pag. 33

 

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