9 Aprile 2024
Tradizione Primordiale

STRADE DEL NORD. Il tema delle Origini Boreali in Herman Wirth e negli altri – Parte 15 – Michele Ruzzai

(alla fine dell’articolo, prima delle Note, è presente il link dell’articolo precedente)

 

7.7 – La fine del Treta Yuga ed il secondo pleniglaciale

 

La conclusione del Treta Yuga – che, in chiave biblica, da qualche autore è stato messo in relazione all’uccisione di Abele da parte di Caino (637) – segna un momento di particolare importanza per la storia umana ed in particolare per le genti a noi più prossime, in quanto deve aver significato un deciso riorientamento culturale e spirituale della Razza Eroica. In questa, cioè, inizia a farsi largo la chiara presa di coscienza di un nuovo ruolo da recitare, segnando una netta discontinuità rispetto a precedenti commistioni, “fusioni” e “promiscuità” di vario tipo: ora invece si propone con forza il tema della rivivificazione della primordiale “Luce del Nord” che, seppure parzialmente oscurata, come ricorda Julius Evola, diviene oggetto di una parziale restaurazione (638) ed emblema di una reazione ad ogni pretesa di predominio ginecocratico e di supremazia dell’elemento femminile (639). La spiritualità eroica giunge quindi a percepire l’antica tradizione nordico-solare come un’eredità (640) della quale farsi cosciente portatrice dopo il tramonto delle precedenti genti “adamiche” che l’avevano incarnata durante il Krita Yuga nella Terra Iperborea; d’altro canto, è pure evidente che si tratta di un lascito, per forza di cose, derivante da altri, come appare chiaro – in un passaggio che ci sembra davvero cruciale – quando Evola ricorda l’ideale eroico essere, appunto, quello della signorìa sulle forze originarie, non della corrispondenza con queste (641). L’identificazione diretta non è infatti più possibile, vista ormai la distanza temporale che separa gli Eroi dagli albori del ciclo manvantarico: ed infatti, come ricorda lo stesso René Guénon (642), gli Eroi non sono Dei essi stessi, ma piuttosto loro figli.

In questo quadro generale, significativamente proprio verso il termine dell’Età della Madre appare il sesto Avatara di Vishnu, Parashu-Rama (643), ovvero colui il quale è stato anche accostato al Perseo greco (644), figura dai connotati chiaramente eroici (645) che nel Mito interviene per reprimere una rivolta della casta guerriera: la deviazione di questa – che spesso, secondo Guénon, paradossalmente si accompagna all’uso ipertrofico di simbolismi di tipo femminile – nel corpus ellenico viene ricordata dall’episodio dalla caccia al bianco cinghiale calidonio, al quale il primo colpo viene significativamente sferrato da Atalanta (646), personaggio il cui nome chiaramente rimanda all’ecumene occidentale.

Quest’ultimo elemento è molto interessante, perché ci permette di passare da un’interpretazione di tali eventi in chiave spirituale ad una lettura di tipo etnico.

E’ stato infatti osservato come l’epopea del sesto Avatara di Vishnu riveli anche lo scontro ad un certo punto verificatosi tra le popolazioni atlantiche “rosse” e quelle nordiche “bianche” (647), con Parashu-Rama che, brandendo l’ascia iperborea (648), si pone alla guida di queste ultime; Julius Evola sottolinea la similitudine tra la scure bicuspide dell’Eroe e la folgore scagliata da Zeus contro i Giganti occidentali che tentano di impadronirsi delle sedi olimpiche (649), ed infatti nel Mito non sembra casuale che il nemico sconfitto da Perseo – ovvero la gorgone Medusa – abiti il nord-ovest del mondo (650), quindi senz’altro ben più ad Occidente rispetto alla sede dei “bianchi”. In relazione ai quali, oltretutto, paiono coerenti i tratti sciamanici – quindi tendenzialmente più nordorientali e di lontana connessione con il mondo siberiano – che Perseo sembra presentare (651): ma su questo specifico punto e sui relativi significati etnici torneremo più avanti. In ogni caso, possiamo dire che la lotta ricordata in questo ciclo sembra più attinente alla vicenda che nel Mito ellenico viene tramandata nella “Gigantomachia” (652).

Avevamo già evidenziato il parallelismo tra i Giganti e i Fomori del Mito celtico, ma se ne può senz’altro individuare un altro tra questi ultimi e i Vani della Mito norreno (653) anche in virtù della loro signoria sull’elemento acqueo (654), che oggettivamente sembra richiamare molto da vicino la connotazione di “abitanti del mare” che Wirth sottolinea proprio per le genti fomoriane. Se dunque i Vani possono rappresentare la parte “rossa” ed occidentale (655) del mondo caucasoide, la vetustà della loro origine si evidenzia anche nella relativa natura titano-argentea (656) e – pur in un quadro cronologico che non ci convince (quello relativamente recente di Marija Gimbutas: affronteremo più avanti il tema degli Indoeuropei) – anche nell’accostamento che può esserne operato con le divinità indigene dell’Europa (657) cioè più antiche rispetto a stratificazioni giunte in tempi successivi.

L’epopea di Parashu-Rama appare dunque molto significativa sia sul piano simbolico che sul piano storico, dove potremmo azzardare qualche ulteriore ipotesi. La nostra idea è che appunto verso la fine del Treta Yuga, una corrente cromagnoide-WHG – i “Giganti” dell’Occidente europeo – da latitudini medie e da aree culturalmente gravettiane, possa essersi spinta particolarmente a nord, avvicinandosi se non addirittura entrando nella penisola scandinava (658), peraltro proprio dove Wilser, anche se per tempi forse meno remoti (659), aveva ipotizzato una migrazione residuale di quelle genti. Non è improbabile che nell’ovest della Fennoscandia possano esservi state limitate nicchie libere dai ghiacci forse oggi sommerse dal Mar di Norvegia (660), bacino che, sorprendentemente, in tempi wurmiani pare godesse di una temperatura relativamente calda (661): e quindi non sarebbe da escludere che questo potè costituire un ambiente ideale per sviluppare con il tempo, come ipotizzato da Poesche (662) e da Paudler (663), anche una varietà cromagnoide più chiara grazie a un certo grado di deriva endogena rispetto al nucleo sudatlantico di provenienza.

Dunque è questo il modo attraverso il quale, con ogni probabilità, a partire dal Cro-Magnon nacque l’imponente razza falica (664) – che antropologicamente è un tipo fisico ben preciso e sulla cui specificità morfologica vi è un consenso quasi generale (665) – non a caso da Gunter accostata ai “giganti della preistoria” e da Lenz definita “razza atlantica” (666); tuttavia è anche possibile che nella sua formazione sia concorso pure un fattore meticciatorio con elementi più settentrionali (667) portatori di uno stock genetico discretamente diverso, cioè quello più “bianco” e depigmentato ricordato sopra ed imperniato soprattutto sulle più boreali componenti autosomiche ANE ed EHG. Fu un incontro/scontro che dovette essere fortemente condizionato, a nostro avviso, dai movimenti e dalla posizione della calotta glaciale, come vedremo nei suoi risvolti geografici e, conseguentemente, anche in quelli temporali.

René Guénon infatti ci ricorda (668) che gli scontri tra “rossi” e “bianchi”, iniziati nell’epoca di Parashu-Rama, trovarono la loro definitiva conclusione con la fusione delle due stirpi nel periodo di Ramachandra – il settimo Avatara di Vishnu, giunto verso la metà del Dvapara Yuga, e cioè appena 13.000 anni fa (669): da cui la sensazione che tale fase, altamente dinamica, dovette protrarsi per un periodo piuttosto lungo, almeno 6-7.000 anni, e quindi non fu un evento isolato ma rappresentò piuttosto un contesto generale nel quale andrebbe collocata tutta una serie di avvenimenti che, lo vedremo più avanti, si dispiegarono nel quadrante euro-nordico del tardo Pleistocene. Come dicevamo, l’aspetto geografico dovette rivestire un’importanza assolutamente primaria perché, in rapporto alla dislocazione dello scudo scandinavo, i summenzionati anfratti liberi dalla calotta – forse prossimi alla costa norvegese – rappresentarono per diversi millenni un “cul de sac” accessibile solo da sudovest ai WHG cromagnoidi, mentre invece altre aree periglaciali – più ad est, ad esempio nell’attuale territorio russo – dovettero risultare molto più libere ed esposte a flussi migratori di passaggio ed al conseguente incontro di stirpi diverse.

E fu probabilmente lungo tale itinerario orientale che, almeno nella prima parte di questa fase, massicci movimenti umani vennero indotti da una potente spinta climatica: l’Ultimo Massimo Glaciale (LGM) di circa 20-22.000 anni fa, che generò un primo flusso verso meridione di popolazioni nelle quali le componenti autosomiche ANE / EHG dovevano essere ben attestate ed evidenti in fenotipi già chiaramente depigmentati (670). E’ plausibile che la direttrice più importante di tali migrazioni si sviluppò soprattutto lungo l’asse nordest-sudovest, perché fu soprattutto la costa atlantica ed in particolare l’area attorno al Golfo di Biscaglia che rappresentarono un importante refugium per molti Europei del tempo (671); così anche sembrerebbe per il settore balcanico e quello ucraino, anche se è probabile che vennero popolati in minor misura e densità (672).

Tale andamento, inoltre, ci è sembrato sovrapporsi in modo estremamente suggestivo a un’evidenza molecolare individuata da Cavalli Sforza, ovvero la “seconda componente principale” delle popolazioni europee (673) e che secondo il genetista potrebbe effettivamente essere collegata a una o più migrazioni di popolazioni di lingua uralica provenienti dall’Asia nordoccidentale (674); le due polarità estreme di tale componente risultano infatti collocate una in Lapponia e l’altra attorno al golfo di Biscaglia, come se quest’ultima potesse aver rappresentato il punto di arrivo di una migrazione paleolitica, il che appunto è del tutto plausibile. Un po’ più problematico invece potrebbe sembrare l’assegnazione dell’attuale Lapponia al ruolo di punto di partenza di tale movimento, dal momento che essa fu in buona parte glacializzata fino quasi al termine del Pleistocene. Ma, a ben vedere, si può osservare come alcune aree marginali, lungo la costa e soprattutto sul versante della penisola di Kola, sembrano essersi liberate dalla coltre fredda con qualche millennio di anticipo rispetto alle zone più interne e quindi possono essere state abitate fin da allora. Inoltre, non vi sono ragioni invalicabili per escludere anche la possibilità che in Lapponia, in tempi meno antichi, siano lentamente venute a concentrasi quelle particolari frequenze molecolari delle popolazioni vicine – rappresentati la “retroguardia” rimasta nel nord-est europeo rispetto ai gruppi già migrati verso sud-ovest – a seguito del progressivo ritiro della calotta dal nord scandinavo. Si sarebbe trattato di un’infiltrazione forse lenta ma costante, proveniente soprattutto da est (675), ovvero dalla vicina Russia settentrionale, e che sarebbe perdurata per diversi millenni: cioè fino ai tempi relativamente recenti collegabili alla nascita del Finnmarkiano epipaleolitico del settentrione norvegese (676) e dai quali, come avevamo ipotizzato in precedenza, potrebbe essere derivata l’uralizzazione linguistica dei proto-Lapponi.

Tale ipotesi potrebbe rafforzarsi anche alla luce del fatto che la traiettoria di popolamento della Penisola di Kola, partita dai settori costieri del Mar di Barents (l’attuale Distretto Autonomo di Nenezia della Federazione Russa), al tempo può essere stata molto più diretta di quanto imporrebbe l’attuale conformazione geografica, che oggi renderebbe necessario un ampio giro per superare l’insenatura del Mar Bianco ed il transito attraverso la Carelia orientale: infatti  durante l’LGM, e non solo, estesi settori della piattaforma continentale nord-russa sembrano essere stati emersi anche per alcune centinaia di chilometri al largo rispetto all’attuale linea di costa, tanto da ispirare ricordi piuttosto specifici (cioè molto più precisi rispetto a quelli genericamente collegabili a Thule o Iperborea), quali ad esempio le menzioni sulla favolosa isola di Tazata, forse collocabile nel vicino Mar di Kara ed anche rappresentata nella celebre mappa di Mercatore del XVI secolo. Inoltre, recenti indagini geologiche effettuate sul fondale marino, ben addentro al bacino del Mar Glaciale Artico (ad esempio, al largo della costa norvegese; ad occidente della linea tra Capo Nord e le isole Svalbard; a nord della terra di Francesco Giuseppe e di Severnaja Zemlja) hanno riscontrato vastissime aree denominate “TMF” (“Trough Mouth Fans”), cioè contraddistinte da nettissimi solchi scavati dall’attrito e dal peso della calotta direttamente sulla piattaforma continentale, rivelando quindi una situazione ben diversa da quella di una sottile banchisa galleggiante sulla superficie oceanica.

Ma l’aspetto particolarmente interessante della questione è che, oltre a risultare emerse, sembra che durante l’LGM molte di queste zone non siano state nemmeno glacializzate. Ciò avrebbe riguardato sia le attuali penisole di Jamal e di gran parte del Tajmyr (677), sia l’ampia area costiera della Nenezia, sulla cui attuale terraferma già da tempo si supponeva che il fronte scandinavo non era mai arrivato a congiungersi ai ghiacciai sviluppatisi a nord degli Urali, principalmente sulla Novaja Zemlja (678): ipotesi confermata anche da più recenti acquisizioni, che avrebbero stimato tale contatto protrattosi fra circa 25.000 e 16.000 anni fa (679) – sul quale torneremo più avanti – però verificatosi molto al largo rispetto all’attuale profilo di costa, cioè nei pressi dell’estremità settentrionale della penisola di Kanin e lungo quella “linea Kolguev” oggi cadente in pieno Mare di Pechora, così evidenziando anche settori poco o per nulla glacializzati sia a Severnaja Zemlja che sulla piattaforma continentale più ad est (680).

Dunque – addirittura durante, o in prossimità, dell’LGM – vi è una chiara evidenza di vastissime aree nordeurasiatiche emerse, non glacializzate, e probabilmente anche ben adatte all’insediamento umano: ciò, almeno, a giudicare dalle stime sulle antiche temperature dell’Oceano Artico che, in particolare nel lasso collocabile grossomodo tra 32.000 e 18.000 anni fa, dovettero attestarsi su livelli relativamente caldi (681). Impressione confermata anche dal ritrovamento di zanne di mammuth a nord della penisola del Tajmyr e risalenti ad un periodo tra i 25.000 e i 19.000 anni fa (682), dal sito di Byzovaya di circa 25.000 anni fa (683), o dai reperti della penisola di Kola rinvenuti dalla spedizione di Valerij Diomin nel 1997 e stimati a circa 20.000 anni or sono (684), probabilmente accostabili alle risultanze, emerse nella stessa area, a seguito della spedizione che Alexander Barchenko condusse nei primi anni ’20 del secolo scorso.

Ma l’individuazione della “seconda componente principale” di Cavalli Sforza è estremamente interessante anche perché viene avanzata l’ipotesi che essa rispecchi, a livello genetico, la differenziazione tra popolazioni di lingua indoeuropea e quelle di lingua uralica (685). Assumendo che queste ultime – significativa ammissione dello stesso genetista – possano essere state originate ai confini tra Europa ed Asia ed in prossimità della regione artica, la sua componente relativamente “orientale” (ma, come detto in precedenza, difficilmente gli “orientali” del tempo potevano già essere dei mongolidi specializzati e molto probabilmente si collocavano ancora nel più arcaico contesto “pre-europide”) influì soprattutto sulle genti del settentrione scandinavo e ne facilitò l’adattamento biologico e culturale al clima polare (686): da cui ne potrebbe essere derivata la decisiva “spinta molecolare” che i proto-Lapponi, assieme all’adozione di una lingua di tipo uralico, ricevettero per specificarsi come gruppo a sé. Il tutto, però, senza che ciò arrivasse a sommergere la parte più occidentale del loro stock genetico, di profondissima radice paleolitica ed intercettato come un flebile, ma ancora percepibile, “eco” nelle componenti principali di grado più elevato, in assonanza con le popolazioni più conservative del nostro continente: Baschi, Caucasici, Sardi ed alcuni valligiani liguri (687).

E’, questa, una chiave di lettura che ora ci introduce alla questione indoeuropea, le cui radici – come avremo modo di vedere – potrebbero affondare molto in profondità, cioè a livello di quella che nella terminologia indù viene rappresentata come terza fase del nostro Manvantara: il Dvapara Yuga.

 

 

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Parte 14

 

 

 

NOTE

 

637.  Fabio Ragno – Iniziazione ai Miti della Storia. Frammenti di una storia perduta – Edizioni Mediterranee – 1999 – pag. 76

 

638.  Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 280

 

639.  Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 278

 

640.  Giandomenico Casalino – Il nome segreto di Roma – Edizioni Mediterranee – 2003 – pag. 26

 

641.  Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 279

 

642.  René Guénon – L’archeometra – Editrice Atanòr – 1992 – pag. 41

 

643.  Giuseppe Acerbi – Introduzione al Ciclo Avatarico, parte 1 – in: Heliodromos, n. 16, Primavera 2000, pag. 18; L.M.A. Viola – Religio Aeterna, vol. 2. Eternità, cicli cosmici, escatologia universale – Victrix – 2004 – pag. 128

 

644.  Giuseppe Acerbi – Il mito del Gokarna ed il drammatico agone tra Perseo e Medusa – Alle pendici del Monte Meru – 17/01/2013 – http://allependicidelmontemeru.blogspot.it/2013/01/il-mito-del-gokarna_17.html; Nuccio D’Anna – Parashu-Rama e Perseo – in: Arthos, n. 33-34, 1989/1990, pag. 162; Geticus – La Dacia iperborea – Edizioni all’insegna del Veltro – 1984 – pag. 96

 

645.  Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pagg. 249, 300

 

646.  Nuccio D’Anna – René Guénon e le forme della Tradizione – Il Cerchio – 1989 – pag. 63; René Guénon – Simboli della scienza sacra – Adelphi – 1990 – pagg. 148-150

 

647.  Bruno d’Ausser Berrau – La Scandinavia e l’Africa – Centro Studi La Runa – 1999 – pag. 30

 

648.  Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 300; René Guénon – L’archeometra – Editrice Atanòr – 1992 – pag. 47

 

649.  Julius Evola – Simboli della Tradizione Occidentale – Arktos Oggero Editore – 1988 – pag. 56

 

650.  Christophe Levalois – La terra di luce. Il Nord e l’Origine – Edizioni Barbarossa – 1988 – pag. 82

 

651.  Felice Vinci – I segreti di Omero nel Baltico. Nuove storie della preistoria – Leg Edizioni – 2021 – pag. 412

 

652.  Bruno D’Ausser Berrau – De Verbo Mirifico. Il Nome e la Storia – pag. 34 – https://fdocumenti.com/download/de-verbo-mirifico-il-nome-e-la-storia-prf-u-viewlapproccio-al-problema-partendo

 

653.  Lorenzo Valle – Miti nordici e miti celtici – Il Cerchio – 2001 – pag. 35

 

654.  Renato Del Ponte – Un “consigliere” di Himmler sconosciuto (in Italia) e J.Evola – Arthos n. 7/8 (nuova serie), 2000, pag. 245

 

655.  Bruno d’Ausser Berrau – La Scandinavia e l’Africa – Centro Studi La Runa – 1999 – pag. 25

 

656.  Giuseppe Acerbi – L’Isola Bianca e l’Isola Verde – Simmetria Associazione Culturale – pag. 18 – http://www.simmetria.org/images/simmetria3/pdf/Rivista_41_2016_A5_booklet.pdf

 

657.  Anna Riboldi – Al cuore dell’Europa. Una rilettura dell’opera di Marija Gimbutas – Mimesis – 2015 – pag. 196

 

658.  Oswald Spengler – Albori della storia mondiale – Ar – 1999 – vol. 2 – pag. 44

 

659.  Julius Evola – Il mito del sangue – Edizioni di Ar – 1978 – pagg. 152, 153

 

660.  Charles H. Hapgood – Lo scorrimento della crosta terrestre – Einaudi – 1965 – pag. 283

 

661.  Deswell, Helveroi, Siegert, Svendsen – La lezione dell’Artico – in: Le Scienze, Dicembre 2002, pag. 48

 

662.  Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pag. 381

 

663.  Giacomo Devoto – Origini indeuropee – Sansoni – 1962 – pag. 52

 

664.  Julius Evola – Ricognizione nella preistoria. Il mistero del Cro-Magnon – in: Julius Evola, Il mistero dell’Occidente. Scritti su archeologia, preistoria e Indoeuropei 1934-1970, a cura di Alberto Lombardo, postfazione di Giovanni Monastra, Quaderni di testi evoliani n. 53, Fondazione Julius Evola, 2020, pag. 112; Federico Filiè – La rivista “Germanien” organo ufficiale dell’Ahnenerbe 1935-1943 – Mursia – 2019 – pag. 74

 

665.  Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 2 – pag. 44

 

666.  Julius Evola – Il mito del sangue – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 117

 

667.  Renato Del Ponte – I Liguri. Etnogenesi di un popolo – ECIG – 1999 – pag. 57

 

668.  René Guénon – L’archeometra – Editrice Atanòr – 1992 – pagg. 46, 47

 

669.  L.M.A. Viola – Religio Aeterna, vol. 2. Eternità, cicli cosmici, escatologia universale – Victrix – 2004 – pag. 128

 

670.  Nicholas Wade – All’alba dell’Uomo. Viaggio nelle origini della nostra specie – Cairo Editore – 2006 – pag. 155

 

671.  Mario Alinei, Francesco Benozzo – Origini del megalitismo europeo: un approccio archeo-etno-dialettologico – in: Quaderni di Semantica, 29, 2008, pag. 6, http://www.continuitas.org/texts/alinei_benozzo_origini.pdf; Colin Renfrew – Origini indoeuropee: verso una sintesi – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici, Mondadori, 2001, pag. 125; Nicholas Wade – Una scomoda eredità. La storia umana tra razze e genetica – Codice Edizioni – 2015 – pag. 80; Luigi Luca Cavalli Sforza – Un approccio multidisciplinare all’evoluzione della specie umana – in: AA.VV (a cura di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti), Le radici prime dell’Europa. Gli intrecci genetici, linguistici, storici, Mondadori, 2001,  pag. 21

 

672.  Antonio Ivan Pini – Le grandi migrazioni umane nell’antichità e nel Medioevo – La Nuova Italia – 1969 – pag. 14

 

673.  Luigi Luca Cavalli Sforza – Geni, popoli e lingue – Adelphi – 1996 – pagg. 174, 175; Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 550

 

674.  Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 551

 

675.  Mario Alinei – Etrusco: una forma arcaica di ungherese – Il Mulino – 2003 – pag. 404 (cartina)

 

676.  Frank C. Hibben – L’Uomo preistorico in Europa – Feltrinelli – 1972 – pag. 88

 

677.  Deswell, Helveroi, Siegert, Svendsen – La lezione dell’Artico – in: Le Scienze, Dicembre 2002, pag. 45

 

678.  Alberto Malatesta – Geologia e paleobiologia dell’era glaciale – La Nuova Italia Scientifica – 1985 – pag. 48

 

679.  Luigi Bignami – 10.000 anni fa, alla fine dell’ultima glaciazione – Focus.it – 02/07/2017 – https://www.focus.it/ambiente/natura/10000-anni-fa-alla-fine-di-ultima-glaciazione?fbclid=IwAR03IJeE6Pum81vGRYkqOeWOKnqXp0TeexG9X7U_MOYyBA79OOJZgeeFyL8

 

680.  Valery Gataullin, Jan Mangerud, John Inge Svendsen –  The extent of the Late Weichselian ice sheet in the southeastern Barents Sea – ScienceDirect – Novembre 2001 – https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0921818101001357

 

681.  Graham Hancock – Impronte degli Dei – Corbaccio – 1996 – pag. 602; Charles H. Hapgood – Lo scorrimento della crosta terrestre – Einaudi – 1965 – pag. 284; Mario Giannitrapani – Paletnologia delle antichità indo-europee. Le radici di un comune sentire (parte 2) – in: Quaderni di Kultur, n. 4, 1998, pag. 88

 

682.  Deswell, Helveroi, Siegert, Svendsen – La lezione dell’Artico – in: Le Scienze, Dicembre 2002, pag. 45

 

683.  Alberto Broglio, Janusz Kozlowski – Il Paleolitico. Uomo, ambiente e culture – Jaca Book – 1987 – pag. 248

 

684.  Claudio Mutti – Gentes. Popoli, territori, miti – EFFEPI – 2010 – pag. 23; Claudio Mutti – Hyperborea – in: Vie della Tradizione, n. 125, Gennaio/Marzo 2002, pag. 36

 

685.  Luigi Luca Cavalli Sforza – Chi siamo. La storia della diversità umana – Mondadori – 1993 – pagg. 226, 227

 

686.  Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 566

 

687.  Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pagg. 556, 557

 

2 Comments

  • Daniele Bianchi 23 Giugno 2023

    Una serie di articoli estremamente interessante! Grazie e complimenti all’autore.

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