9 Aprile 2024
Segnali di Luce

Acque di luce – Rita Remagnino

Alla ricca cosmologia acquatica corrisponde la credenza secondo cui il genere umano sarebbe nato dalle Acque, divenute per tale ragione il simbolo della somma universale delle virtualità. In tutte le tradizioni del mondo le Acque sono font et origo e precedono la Creazione, nel senso che ogniqualvolta l’uomo finisce sott’acqua (dall’inabissamento di continenti ai bagni lustrali, fino al battesimo) le forme precedenti si dissolvono e ne nascono di nuove.
Simbolicamente l’immersione è un tornare indietro alla condizione paradisiaca primordiale, ovvero alla situazione «atemporale» delle Origini, mentre l’emersione ripete il gesto cosmogonico della manifestazione formale che ricade sotto le leggi del Tempo e della Vita.
Storicamente il passaggio da uno stato all’all’altro s’identifica con la separazione tra il Cielo e la Terra (l’inversione magnetica dell’asse), dopo la quale il «tramite umano» si trovò letteralmente ripiegato su se stesso e nel tentativo di «raddrizzarsi» elaborò religioni e istituzioni regali, creò leggi e regole, trasformò il dio celeste in deus otiosus, salvo poi ammalarsi di nostalgia.
Fisicamente la dinamica della vita emerge dal ritmo oscillatorio dell’acqua e dalle manifestazioni ad esso connesse. Quella che coinvolge l’acqua biologica (l’acqua dentro di noi) cattura i campi elettromagnetici, le cui vibrazioni generano la luce visibile. Non è dunque accidentale la presenza dell’acqua nell’etere dei tre Cieli inferiori fatti di luce, musica e movimenti impercettibili; al contrario, il Primo Elemento si addice al «ritorno al Paradiso», fine ultimo di ogni vita.
Quassù l’ombra lunga della Terra ancora si percepisce, i Cieli inferiori riguardano infatti eventi tangibili come ad esempio i viaggi e i movimenti (Luna), la scrittura e i calcoli (Mercurio), i matrimoni e le associazioni (Venere). Tuttavia proprio qui Dante vuole ricucire il dialogo con dio, e a tale scopo traccia una linea lunga e spessa tra le religioni istituzionali (essoteriche), che propongono il conseguimento della «visione di dio» dopo il trapasso, e gli insegnamenti spirituali (esoterici) che insistono sull’hic et nunc.
Il rapporto con il divino va messo in chiaro fin tanto che si è vivi e non dopo la morte. Il tema è ricorrente anche nella dottrina: bisogna compiere le opere di colui che ci ha mandato quaggiù finché è giorno, perché poi viene la notte e non si può più operare (Gv 9,4). Per quanto lo riguarda lui è arrivato a buon punto, e se ne vanta con un’immagine acquatica: “[…] l’acqua ch’io prendo già mai non si corse” (Pd II 7).

 

Da sempre le Acque simboleggiano la reintegrazione nell’indistinto a cui segue una nuova creazione, una nuova vita, un essere umano rinato. Nessun altro elemento potrebbe raccontare con maggiore espressività il «ritorno» all’Origine, e dunque al Paradiso. Nel Primo Cielo i beati appaiono simili a volti riflessi su un vetro, o su uno specchio d’acqua tersa, evanescenti come una perla sulla fronte bianca. L’immagine non è casuale: prima nelle speculazioni orientali, poi nel cristianesimo e nella gnosi, la perla nasce dal lampo che penetra l’ostrica e dunque è il risultato dell’unione del Fuoco con l’Acqua. Lo sprofondamento della luce rappresenta il dramma spirituale della caduta dell’uomo, anticipa tuttavia la sua salvezza: tuffatevi nell’oceano, dice sant’Efrem, insieme alla perla nascosta ritroverete la vostra divinità.
Sotto l’influenza dell’acqua Beatrice parla delle varie nature che si muovono secondo la loro inclinazione “a diversi porti / per lo gran mar de l’essere” (Pd I 112-113). Dal canto suo Dante avvisa il lettore che la risalita del Paradiso è un pericoloso viaggio per mare, per cui lasci perdere chi dispone di una “piccioletta barca” (ha scarse nozioni di dottrina), intanto non riuscirà a tenere dietro alla sua ammiraglia che cantando sfiderà il mare aperto (Pd II 1 e ss.). Picarda intona l’Ave Maria mentre svanisce come un oggetto che affondi nell’acqua profonda (Pd III 121-123).
Insomma, nelle prime fasce di luce paradisiaca c’è acqua dappertutto. Persino i mercuriani vanno incontro a Dante simili ai pesci di una peschiera che si avvicinano al pelo dell’acqua per prendere il cibo (Pd V 100-105); un’allusione all’esperienza dell’esilio del poeta, agli anni in cui ridotto in miseria dovette mendicare l’aiuto dei potenti. Solo chi ha subito simili umiliazioni può capire cosa si prova a cadere in disgrazia.
Principalmente per questo motivo Dante si sente a casa tra i beati di Mercurio, la “picciola stella” (Pd VI 112), tra i quali arriva sfrecciando nell’iperspazio in modo impercettibile, senza neppure accorgersi del cambio di dimensione. Capisce di essere tra i mercuriani vedendo Beatrice accrescere la propria letizia e aumentare il proprio splendore.
Va detto comunque che la simpatia del poeta per Mercurio non dipende solo dalle cause sopraddette ma anche dal fatto che questo pianeta governa il «suo» segno zodiacale, i Gemelli, al quale gli influssi del Secondo Cielo donano (nel bene e nel male) intuito, arguzia, industriosità, curiosità intellettuale, doti comunicative e «ingegno». Acqua e luce.

 

Su Mercurio le sagome vaghe nel “folgór chiaro” (v. 108) ripropongono un altro tema caro all’autore: la decadenza politica causata dall’assenza di un potere imperiale forte e giusto. Secondo Dante potrebbe risultare determinante l’istituzione dell’Impero Universale, ovvero la creazione di un’autorità unica capace di imporre il rispetto delle leggi e di assicurare la giustizia, ponendo fine alla situazione di instabilità dei vari staterelli europei e in particolare dell’Italia.
Questa visione oggi troverebbe ben pochi sostenitori, in particolare tra noi figliastri della matrigna UE, il Trecento europeo però non conosceva l’economia predatoria e vedeva nello Stato il termine ultimo della realtà politica. Si trattava chiaramente di puro ottimismo, già allora la Storia mostrava in modo inequivocabile che sopra lo Stato c’è un soggetto di gran lunga più potente e importante, la Civiltà, normalmente espressa da un «sistema di Stati» che condividono un patrimonio comune di valori accumulato nel tempo.
Come si vede l’errore di credere che l’Uno/Unico sia la panacea che guarisce tutti i mali viene da lontano, e persiste nonostante tutto. Può darsi tuttavia che proprio l’esasperato XXI secolo cambi rotta; o, forse, lo ha già fatto. Sostenute da un gigantesco «Stato-Civiltà» come la Cina (Alexandr Dugin) le potenze eurasiatiche eredi di grandi civiltà sono in marcia sulla via del multilateralismo e procedono contromano rispetto all’egemonia mondiale statunitense (ex-aspirante Impero Universale).
D’altronde se la Verità è una, i modi di coglierla sono diversi ma non per questo devono contrastarsi l’un l’altro. Anzi: coesistendo nella molteplicità essi finiranno per fondersi in un’unità di scopo che andrà a vantaggio di tutti; non dimentichiamo che la religione e la cultura delle più straordinarie civiltà hanno sviluppato una propria originalità creativa partendo dal basso, gli ordini perentori provenienti dall’alto sono serviti solo a fomentare le guerre.

 

Della necessità imprescindibile della condivisione parla anche Giustiniano; in vita noi mercuriani siamo stati posseduti dal desiderio di primeggiare e abbiamo ricoperto ruoli di comando, dice, ma adesso ci sentiamo pienamente appagati dalla nostra modesta posizione di abitatori del Secondo Cielo. Già Picarda, comunque, aveva spiegato che la condizione di beatitudine consiste nell’avere accettato di uniformarsi alla volontà divina. Ogni Anima è consapevole di avere meritato il Cielo che le è stato assegnato e non desidera altro. Come si raggiunge questo stato di libertà? Comportandosi onestamente, da cittadini dotati di senso civico, facendo valere la propria opera.
Lo stesso Mercurio è la dimostrazione plastica del fatto che non è necessario cavalcare la Storia come protagonisti, diventare re o capi religiosi per abitare in Paradiso. Offuscato dai raggi del Sole lui è il pianeta più piccolo del sistema solare, “la spera / che si vela ai mortai con altrui raggi” (Pd V 128-129), ciò nonostante dispone dell’influenza necessaria a sconvolgere il mondo producendo venti disordinati, tuoni, uragani, fulmini, voragini e terremoti.
In linea con l’insegnamento aristotelico Dante tiene tuttavia separati i fenomeni sismici: c’è il nefasto «terremoto terrestre», generato dai vapori secchi e densi sprigionati dalla Terra (“Trema forse più giù poco o assai; / ma per vento che ’n terra si nasconda”), ma c’è anche il provvidenziale «terremoto spirituale» che segnala in Purgatorio l’ascesa dell’anima ripulita (“Tremaci quando alcuna anima monda / sentesi, sì che surga o che si mova / per salir su; e tal grido seconda”).
Proprio un sisma del secondo tipo terrorizzò i terrestri in occasione della crocifissione di Cristo. Più avanti il poeta avrà modo di tornare sull’argomento, riaffermando per bocca di Beatrice che quel terremoto (spirituale) fu giustissimo in quanto necessario a redimere l’umanità, che, date le sue limitate capacità, non sarebbe stata in grado di riparare da sola al peccato originale.

 

Scoccato nello spazio come una freccia dall’arciere, Dante si ritrova dunque con Beatrice nel Terzo Cielo, quello di Venere. Guardando la sua guida, sempre più radiosa, si lascia attraversare dagli influssi venusiani che diffondono sulla Terra l’Amore puro e celeste, ovvero l’”ardore virtuoso per lo quale le anime di qua giuso s’accendono ad amore, secondo la loro disposizione” (CV II 5-13).
Evidentemente i popoli della classicità che fecero di Venere il simbolo del “folle amore”, cioè dell’amore sensuale, avevano male interpretato il messaggio ricevuto in dote dalle generazioni precedenti. In sintonia con la visione tradizionale Dante afferma invece che l’Amore “de la divina grazia surge” (CV IV, XXII 5), ne consegue che dio è Amore e di questo Amore informa il cosmo, il quale, amato, a sua volta ama dio.
Se prima lo intuiva, ora ne ha la certezza: il Creatore dà l’impulso agli Angeli di Venere, i quali, poi, muovono la naturale disposizione ad amare dell’uomo. Se ne deduce che la personificazione più prossima all’Amore capace di manifestarsi nel mondo umano non è una dea prosperosa bensì l’Angelo, il quale in qualità di spirito luminoso posseduto interamente dal divino ardore di carità indirizza l’umanità verso la via della virtù. Come del resto sta facendo l’Angelo/Beatrice, che «spreme» da lui l’essenza affinché il suo fine nel mondo, stabilito dalla Provvidenza, raggiunga lo scopo per cui è stato creato.
Chiaramente non tutti hanno al proprio fianco dei custodi altrettanto zelanti, sappiamo che la virtù dei Cieli non è neutra quando ricade sulla Terra ma opera distinzioni. Non in base al censo, precisa Carlo Martello, ma secondo le inclinazioni personali di ciascuna anima. Uno può nascere legislatore (Solone), uno re (Serse), uno sacerdote (Melchisedech) e un altro ingegnere (Dedalo). Se la Provvidenza divina non operasse in tal senso i figli sarebbero la copia dei padri e ciò non risulterebbe di alcuna utilità all’evoluzione della specie, e quindi del cosmo intero.
Qualcuno dovrebbe sottoporre questa semplice osservazione ai fautori del livellamento, i quali, non distinguendo il primitivo dal primordiale, credono sul serio che la Predestinazione e il Destino siano antiche superstizioni. E comunque il genio di Dante aveva previsto anche questo degrado morale e spirituale: a furia di rincorrere il maledetto fiorino (il danaro) le pecore (i fedeli) saranno sviate dalle cose importanti e il pastore (la Chiesa) si trasformerà in lupo.

 

Torna un altro tema caro all’autore: per eccesso di materialismo il papa e i cardinali sono venuti meno al loro ufficio e hanno tradito il messaggio di Cristo. Non osiamo immaginare la tempesta di fulmini che il poeta avrebbe scagliato sull’odierna «mafia di Sangallo» (dal nome dell’abbazia svizzera in cui si tengono gli incontri annuali degli affiliati), che lavora alacremente per trascinare il messaggio dottrinale e morale nell’orbita del globalismo neoliberale.
Dalla cacciata dei mercanti dal Tempio siamo passati al Tempio cacciato dai mercanti, ma forse doveva andare così, il cerchio può chiudersi soltanto con un violento colpo di mano. Nel frattempo i malesseri e le incertezze aumentano, e sale in parallelo la nostra simpatia verso i beati dei primi tre Cieli che in odore di Terra «volteggiano in ordine sparso» formando geometrie incomplete.
Neppure i beati sono tutti perfetti; certo loro se ne stanno in Paradiso, ma a livelli di beatitudine che variano a seconda del «grado di grazia» raggiunto da ciascuno, come Dante capisce prima ancora che Beatrice apra bocca. “Chiaro mi fu allor come ogne dove / in cielo è paradiso etsi la grazia / del sommo ben d’un modo non vi piove” (Pd III 88-90).
Insieme alle invettive contro il clero il tema della Grazia è tra i più frequenti, con la differenza che ogni volta alza l’asticella perché la poesia è commisurata al grado d’iniziazione raggiunto dal poeta. Ovviamente le parole ancora legate alle emozioni terrene (Inferno e Purgatorio) hanno un peso minore rispetto a quelle eteree pronunciate in un’atmosfera priva di solidi manufatti, nonché assente di santi da venerare.
Con il Terzo Cielo si chiude la prima fase del «ritorno al Paradiso». Sul Sole la musica cambia. Il nostro ritorno, invece, è sempre fermo alla ricerca dell’«intuizione dinamica», ossia della capacità di trasformare ciò che il pensiero razionale pensa in modo statico (a tavolino) in esperienza vivente capace di pensare in movimento.
Sarà dura rimettere in moto la macchina, stremati come siamo dalle difficoltà di una quotidianità assurda e insostenibile viviamo ormai nella rassegnazione. L’oscurità assorbe interamente la forza creatrice dei nostri pensieri, che, incapaci di agire sulla realtà, si aggrappano al corpo inciampando e cadendo in continuazione. Ma proprio il buio dell’abisso alimenta il desiderio della luce, attivando la capacità dell’Anima di estrarre dall’informe ciò che ancora non si vede. Magari non sappiamo di essere partiti, e, come Dante ci accorgeremo di stare nel Cielo superiore quando saremo arrivati.

 

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (ed. Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (ed. Audax Editrice). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

3 Comments

  • Francesco Maggi 20 Giugno 2023

    “…il buio dell’abisso alimenta il desiderio della luce…” Quanto è vero!
    Leggerla è sempre un piacere!

    E siamo qui
    nel buio dell’attesa
    come crisalidi
    di voli trasparenti,
    nella solitudine dei corpi,
    immersi in ricami di silenzio.
    Un giorno avremo urgenze
    di spazi e di colore,
    e sensi per la gioia
    nuovamente umani.

  • Rita Remagnino 20 Giugno 2023

    Il piacere è reciproco, e non lo dico per cortesia.
    Se ancora la poesia non ha un titolo mi permetto di suggerire “I prigionieri del XXI secolo”, siamo tutti lì dentro.

    • Francesco Maggi 20 Giugno 2023

      Credo sia il titolo giusto!
      La chiamerò così. Grazie

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *