12 Aprile 2024
Punte di Freccia

Rimini, i miei libri, Amor Fati… – Mario Michele Merlino

L’unica volta che sono stato a Torino – invitato a presentare E venne Valle Giulia al pub l’Asso di bastoni, credo, nel 2010 – ho percorso i portici fino a piazza Carlo Alberto, al cui angolo, fu apposta la seguente targa, opera dello scultore Edoardo Rubino su testo di Concetto Pettinato, direttore de La Stampa dal 1943, e per volontà della Federazione del P.F.R., guidata da quella straordinaria figura che fu Giuseppe Solaro. Atto doveroso per chiunque si sforzi di pensare – e dare significato alla propria esistenza – in modo alto ed altro. Se con Rodolfo si è scritto Inquieto Novecento, libro atteso e necessario, secondo il giudizio benevolo di Giano Accame, lo si deve ‘all’ombra di Nietzsche, del Nietzsche della grande politica e dell’avvento del nichilismo’ (come si legge nella quarta di copertina). Ecco perché ho sostato, in muto raccoglimento, di fronte alla lapide in marmo, quel tanto che si necessitava per rispetto devozione e forse arbitraria filiazione. Io, nichilista; io che mi definisco anarco-fascista.Ereticamente_ValleGiulia

‘In questa casa – Federico Nietzsche – conobbe la pienezza dello spirito che tenta l’ignoto – la volontà di dominio – che suscita l’eroe – qui – ad attestare l’alto destino – e il genio – scrisse Ecce Homo – libro della sua vita – a ricordo – delle ore creatrici – primavera autunno 1888 – nel I centenario della nascita – la città di Torino – pose – 15 ottobre 1944 a. XXII e.f.’ (Varrà la pena ricordare che è stata l’unica del periodo fascista non scalpellata ed abbattuta).

Poi, uscendo di casa, al terzo piano di via Carlo Alberto 6, una stanza d’affitto per 30 lire al mese, in quel mattino fatidico del 3 gennaio 1889, e vedendo un cocchiere maltrattare il cavallo, abbracciò l’animale e precipitò nel buio di un altro mondo – avvolto in quali tenebre in quale nulla non è dato sapere –, sottraendosi alla fama prossima, tanto auspicata e al contempo forse tanto temuta. Lapidario il poeta Gottfried Benn: ‘… das sind die Tage von Turin’ (questi sono i giorni di Torino).

Fu proprio nel giorno del suo compleanno – compiva, allora, quaranta quattro anni – che Nietzsche avvertì ‘il bisogno, improvviso ma non nuovo in lui, di raccontare a sé e agli altri la sua vita … Il giorno stesso incominciò a scrivere: tre settimane dopo, il 4 novembre 1888, l’Ecce homo era compiuto’. Salgo sulla scala traggo dallo scaffale è la prima edizione del 1910, stampato dai Fratelli Bocca Editori, il tempo e la lettura hanno ingiallito e reso fragili le pagine slabbrato il dorso. Anche questo è vita penso. Ricordo il titolo di un capitolo: Perché scrivo così buoni libri. Anche io, con civetteria, scrivo buoni libri penso. Ed anche io ‘non voglio essere confuso con altri, perciò non mi confondo io stesso’. Per cui come posso dolermi se ‘qualcuno’, sgrammaticato in se medesimo già ben prima d’esserlo nella parola chattata, considera i miei libri ‘di merda’? (D’altronde sono certo che non ne ha mai sfogliato alcuno, evitando così di balbettare compitando la lettura e insudiciarne le pagine).

Ereticamente_LaGuerra-C3-A8FinitaE sempre, nel medesimo capitolo, in qualche rigo più sopra, Nietzsche si poneva la domanda se e quanto fosse possibile intendere i suoi scritti, quell’essere attuale e inattuale di cui poi s’è fatto tesoro nello studio della critica letteraria nell’animo di colui che scrive e nel nostro vissuto. E riconosceva come ‘io stesso non sono ancora d’attualità; alcuni nascono postumi’ (Ed io, amante di ‘bastoni e barricate’, di quello squadrismo del ’19, tanto caro all’amico Giacinto, medio il titolo di Marcello Gallian Il soldato postumo a mio uso tutto personale e personale vanto…). Ulteriore libertà dal peso, che per inerzia spinge verso il basso e si omologa alle altrui parole.

E ancora: dopo la premessa, nel medesimo capitolo si snodano ‘agili’ (per quanto si possa attendere dal filosofo che, unanime gli è riconosciuto, è grande poeta. Alcuni affermano essere i più grandi, lui e Lutero, in quanto vi è in loro la creazione. Come del resto è Platone, facitore di miti)paragrafi – capitoli nel capitolo, potremmo dire – ove riassume titoli intuizioni finalità annotazioni contenuti delle sue opere.

Basterà questa breve trascrizione, dopo aver ricordato come il Così parlò Zarathustra era stato concepito ‘a 6000 piedi al di là dell’uomo e del tempo’ e il cui fondamento è il pensiero dell’eterno ritorno: ‘Andavo, quel giorno, lungo il lago di Selvapiana, attraverso i boschi; presso un masso imponente che si ergeva a piramide non lungi da Surlei mi fermai. Lì mi venne questa idea’. A chi possiede vista aquilinea, il dono della profondità e di quell’andare oltre, non appare in forma immediata e compiuta l’immagine di Nietzsche, solitario, lo stormire del vento ad agitare alberi secolari, il verde cupo e placido delle acque del lago e la nuda roccia a ergersi a sfida contro il cielo e monito agli dei gelosi e irosi? Questa è poesia.

I miei libri, una copia di ciascuno, sono allineati su un tavolino basso all’ingresso del locale, il cui nome mi risulta ostico pronunciare e averne memoria. Sabato, nel tardo pomeriggio, del 17 dicembre. Rimini. La sala va riempendosi di giovani e di meno, le realtà delle comunità di Romagna. Un numero discreto, compatto attento partecipe.

Non è poco per questa terra, dove i ‘rossi’ l’hanno fatta sempre da padroni e dove ancora, pur con altri strumenti più sofisticati e subdoli rispetto ai bastoni, continuano a credersi potenti. Poi il sabato antecedente il Natale invita più a cercare pacchi doni vetrine mercatini che ascoltare storie esemplificanti il concetto di militanza. Eppure essi sono qui, io sono qui, i miei libri sono qui.

Da Così parlò Zarathustra ‘Ed allora vi ordino di perdere me e di trovare voi stessi; e, soltanto allora, quando voi tutti mi avrete rinnegato, ritornerò a voi…’. Intanto, oggi, mi trovo a parlare di militanza. E se il termine riconduce all’esortazione di Seneca di tradurre in prassi ‘vivere militare est’, allora militante lo si è oggi ieri sempre, pur con i tempi e le mutevoli circostanze. In tempi ordinari si vanno a cercare esempi in tempi straordinari si necessita diventare esempi. Credo sia un pensiero di Codreanu.Atmosfere in nero

Nella pur finitudine d’ogni divenire, ecco che sempre Nietzsche, concludendo con un canto Ecce Homo – sottotitolo ‘come si diventa ciò che si è’ – ‘perché io t’amo, o Eternità!’. Allora perché dolersi di ciò che s’è abbandonato lungo il cammino, in uomini e parole e gesti ed emozioni e sentimenti quando lo sguardo si posa oltre ed altrove, e qui ed ora? Rimini… Rimini… Grazie, Ludovico, grazie a Fortezza Identità e Tradizione…

 Sono cresciuto sulla costa adriatica. La casa, un villino a due piani il tetto su modello alpino con fregi stile liberty, il giardino il pino dal grosso tronco reciso dal fulmine il nespolo e i cespugli di bambù. Lungo il viale Maria Ceccarini. In un primo pomeriggio di piena estate il gatto della Valentina venne a nascondersi e morire tra l’edera fitta. Il corpo andò presto in putrefazione. Fetore. Vennero a prenderlo due impiegati del comune con una pala, simile a quella per infornare la pizza. Davanti ai miei occhi di adolescente si scompose cadde a brandelli. Per una vita ho sofferto di fobia. Ognuno si porta dietro tanta storia, prigioni. Solo da pochi anni me ne sono liberato. E’ in ciò la metafora di quella inversione dei valori, ‘della degenerazione e della contraddizione degli istinti’ di cui il padre di Zarathustra lascia a monito in questo estremo libro, al confine esilissimo, forse inesistente, tra la consapevolezza e la follia?

I miei libri sono in mostra e a disposizione. Osceni e inutili, dicono guitti e pretoriani. La sala è in penombra. Fuori cala l’umidità; stringe i corpi patina gli oggetti; freddo di autunno prossimo a cedere il passo all’inverno. Il 21 dicembre è stato il solstizio, che Adriano Romualdi ci insegnò a pensare quale mito fondante le genti arya e che Pep-pe volle amassimo recandoci, piccole comunità, in qualche luogo aspro ed elevato e, qui, accendere il fuoco e in cerchio cantare canzoni in attesa dell’alba. Al contrario di fuori la sala emana calore solidarietà senso di appartenenza. Avverto l’eco, ronzio di oscuri meandri del cuore nella mente, ossa carne sangue, di un destino…Brasillach

Nietzsche era consapevole del proprio destino. ‘Un giorno – scrive – si riconnetterà al mio nome il ricordo di qualche cosa di terribile, d’una crisi come non ce ne fu mai, del più tremendo urto di coscienza, d’una sentenza pronunciata contro tutto ciò ch’era stato creduto, preteso, santificato fino allora. Io non sono un uomo: sono della dinamite’. Io, no. Quando Peppe venne meno quando il suo cuore si fermò all’improvviso, i camerati vollero ricordarlo, fra l’altro, affiggendo a Roma un manifesto raffigurante un albero innevato e la scritta ‘combattere è un destino’. Ho chiesto essere cremato privo d’ogni rito e le ceneri disperse. La mia causa è fondata sul Nulla? ‘E i miei libri, le mie visioni – possono essere dispersi al vento: – amore e coraggio – non sono soggetti a processo’, da Il testamento di un condannato, 22 gennaio 1045. Grazie anche a te, Robert Brasillach, il mio fratello più caro. I miei libri, il destino, Rimini e la militanza ieri oggi domani…

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