17 Luglio 2024
Filosofia

Dalla distruzione dell’Occidente al trionfo della società della stanchezza: apocalissi profane da Nietzsche a Han – Cristiano Turriziani

 “ Tutto quello che è profondo ama mascherarsi: le cose più profonde odiano l’immagine e la similitudine  “

(Al di la del Bene e del Male, F.W.Nietzsche)

 

Il disincanto è l’ultimo grido; il canto del cigno della nostra Epoca. Epoca in quanto epochè; non sospensione volontaria di giudizio ma sospensione forzata, obbligata. Dittatura del dire in eccesso  che si risolve con il non-direo con l’accettare. Accettazione sorella più intima e prossima della sopportazione la cui radice viene nel tempo dell’ eterno presente fatta passare per tolleranza.

Una volta vi era un senso lato di comunità; esisteva infatti nella Grecia antica nelle società classiche l’idea di Polìs: il cives-cittadino non ne era parte integrante ma era la stessa. “ Dentro e fuori di se” avvenivano le trasmutazioni della vera democrazia; poi arrivò Hegel e ahinoi niente fu come prima. La democrazia divenne demagogia sino a divenire il diritto di essere ciascuno il proprio oppressore[1]. Ma coloro che furono rinchiusi in carcere o in manicomio da buoni profeti delle apocalissi profane ce lo avevano predetto donandoci a mezzo di aforisma anche un viatico, una guida contro quella che sarebbe stata di natura più grave, la post modernità. Il “matto di Rocken” nei suoi primi saggi contrappuntistici in cui mescolava volentieri con una metodica del tutto nuova e sicuramente più accattivante per quei tempi filologia e filosofia con la sua “nascita della tragedia dallo spirito della musica” aveva già abbondantemente predetto chi e come si sarebbe salvato. Ma gli ominidi ancora una volta, preferirono le loro tenebre alla sua luce; e l’apollineo diventò il più vecchi e debosciato dionisiaco che loro stessi potessero abbracciare; iniziarono lì e nella storia i guai anche nella nobile lotta del sangue contro l’oro i reflussi Kantiani uniti a certo tipo di imbecillità Marxista probabilmente de-generata dalla necessità terapeutica dell stesso di non finire come chi gli assomigliava, perché il Capitale – scritto oltremodo evangelico e ammirevole nella sua esegesi – altro non era che la potenziale esperienza di chi vuol mettere in guardia il soldato dalla sua stessa pistola. Esperienza che rappresentava e rappresenta ad oggi una serie di fallimenti ognuno dei quali insegna all’ uomo qualcosa di saggio, cioè che egli probabilmente fallirà di nuovo e ancora la prossima volta[2]. E venne quindi Max Stirner con “ L’Unico e la sua proprietà” e lo stesso  Petr Alekseevic Kropotkin. Ma ancora non solo di pane (di per se stesso) poteva vivere questa disgrazia della natura che era ed ‘è l’Uomo, doveva per forza di cose “ essere superato”. Sono gli anni del raggiante Zarathustra: condensazione di una costellazione di pensiero che metteva insieme il “sentire” stesso di un’epoca sospesa tra  la conservazione del patrimonio della tradizione ( in verità solo in parte e per di più esso-terica quindi relegata anche a pochissimi soggetti) e la voglia di rinascita e di gettare l’àncora ad un porto aperto sui mari della storia.

Ma Zarathustra fu anche l’abisso; la solitudine ed i deserti. La timidezza imposta dalla profonda rigidità di una educazione familiare esplosa poi in una forma di manifesta introversione mascherata da estroversione avvolgevano l’esistenza di Fritz in quella inquietudine che Freud nella sua psicoanalisi chiamò “unheimliche”: il perturbate, lo spaesante. E Nietzsche divenne l’apolide viandante del pensiero dello stesso che cercava “in una stella danzante” ciò in un qualcosa che noi vediamo nel cielo ma per via dei suoi anni luce essa ancora non è o è stata la “metodo” al viatico dei viandanti come lui. Lo trovo ? In parte può darsi: “Jenseits von Gut und Böse[3]in parte no. Nacquero Aurore di altri Spiriti e nuove Genealogie delle morali più o meno tutte già abbondantemente sviscerate e per questo motivo anche scartate; Casa e Patria erano sentimenti che già la storia aveva fatto suoi e che servivano ad implementare il gioco nelle scacchiere del vecchio ancient regime che cambiava pelle ma restava nel midollo e nella muscolatura ciò che sempre era stato e donava all’ Europa delle Intese e delle Alleanze future regimi nei quali purtuttavia si sarebbe riconosciuto e avrebbe iniziato una davvero nuova ventura l’Uomo nuovo se solo avesse osato. -diciamo così –  meglio senza perdite di tempo e di vite in “operazioni finali”.

Furono gli esperimenti di Fiume e anche la società Thule poi culminata nelle ricerche storiche e ancestrali della stessa Ahenenerbe; da Karl Maria vonWiligut fino alle ultime rivelazioni di Miguel Serrano: li ci sarebbe stata l’Europa di Vera Luce, quella del Sonnenrado Schwarze Sonne dei popoli Arii  – ed individuali si badi –  e non individualisti come invece oggi abbiamo. Lasciamo per ora però di occuparci di antropologia o di storiografia strictu sensu e non nel senso impudico delle Università di pseudo regime odierno e riprendiamo invece il filo di Arianna.

Dicevamo però, che la flebile vittoria dei risvegliati fu purtroppo l’abisso; si incanalarono infatti nella dimensione della specie e lì trovarono profonde le radici del nichilismo contemporaneo. Nietzsche lo espresse nel paragrafo 40dell’ Al di la del bene e del malequivi riportato:” 40. Tutto ciò che è profondo ama la maschera; le cose più profonde hanno per l’immagine e l’allegoria perfino dell’odio. Non dovrebbe essere soprattutto l'”antitesi” il giusto travestimento con cui incede il pudore di un dio? Una domanda problematica: e sarebbe curioso che un qualche mistico non avesse già osato con se stesso qualcosa di simile. Ci sono eventi di specie così delicata, che si fa bene a seppellirli e a renderli irriconoscibili con una grossolanità; ci sono azioni compiute dall’amore e da una traboccante magnanimità, a seguito delle quali non ci sarebbe nulla di più consigliabile che prendere un bastone e caricare di legnate i testimoni oculari, e così offuscare la loro memoria. Taluni sono capaci di offuscare e bistrattare la propria memoria, per vendicarsi almeno di quell’unico testimone – il pudore è ingegnoso. Non sono le cose peggiori quelle di cui ci si vergogna nel peggior modo: dietro una maschera non c’è soltanto fraudolenza – c’è molta bontà nell’astuzia. Niente mi impedisce di pensare che un uomo, il quale abbia da nascondere qualcosa di prezioso e di facile a guastarsi, rotoli attraverso la vita tondo e rozzo come una grande, vecchia botte di vino pesantemente cerchiata di ferro: così vuole la finezza del suo pudore. Un uomo che ha una profondità nel suo pudore incontra anche i suoi destini e le sue delicate decisioni su strade alle quali sono pochi a giungere, e la cui esistenza neppure agl’intimi e ai più fidati è dato sapere: si cela ai loro occhi tanto il repentaglio cui egli espone la propria vita, quanto la sua riconquistata sicurezza vitale. Un tale uomo riservato, che istintivamente si serve delle parole per tacere e per celare ed è inesauribile nello sfuggire alla comunicazione, “vuole” ed esige che al suo posto erri nei cuori e nelle menti dei suoi amici una sua maschera; e anche ammesso che egli non voglia tutto questo, un bel giorno gli si spalancheranno gli occhi sul fatto che a onta di ciò v’è laggiù una sua maschera – e che è bene le cose stiano in questo modo. Ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera: e più ancora, intorno a ogni spirito profondo cresce continuamente una maschera, grazie alla costantemente falsa, cioè superficiale interpretazione di ogni parola, di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà[4].” .

La sintesi sulla irreversibilità della maschera è nel primo e ultimo capoverso; alfa ed omega di un “preludio all’ inattuale” Tutto ciò che è profondo ama la maschera; le cose più profonde hanno per l’immagine e l’allegoria perfino dell’odio […] Ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera: e più ancora, intorno a ogni spirito profondo cresce continuamente una maschera, grazie alla costantemente falsa, cioè superficiale interpretazione di ogni parola, di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà” perché l’eterna calibrazione è adducibile sempre ad una fenomenologia dell’ Essere di cui la maschera – ci dice ilo nostro – probabilmente è la parte più genuina. Vengono infatti alla memoria le trasmutazioni metafisiche di certa filosofia che avendo negato a priori la metafisica stessa poi l’accetta nel noumeno. E che cos’è questo artifizio in molti sensi speculativo se non l’ennesima maschera per conservare “ciò che non si è “? Si ricade continuamente (nella asserzione di Spazio e Tempo) in quell’ eterno ritornodell’ uguale che sembra essere al di fuori del tempo perché insito nella maschera (e solo la maschera forse il suo superamento? ) La maschera morale, la maledetta maschera Socratica: quella riconducibile alla conoscenza; a chi conosce cosa e come si conosce.

“Su verità e menzogna fuori del senso morale“,  Nietzsche scrive a chiare lettere: “in qualche angolo remoto dell’ universo, riverso nello scintillìo d’innumerevoli sistemi solari, c’era una volta un astro, sul quale degli animali intelligenti inventarono la conoscenza. Fu il minuto più presuntuoso e più bugiardo della “storia del mondo”: tuttavia fu soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura l’astro si rapprese, e gli animali intelligenti furono costretti a morire. – Qualcuno potrebbe inventare una favola di questo tipo, eppure non avrebbe illustrato abbastanza il modo deplorevole, oscuro e fugace, senza scopo e causale, con cui l’intelletto umano eccelle nella natura; ci furono eternità, in cui esso non c’era; e quando sarà finito di nuovo, non sarà successo nulla. Difatti non c’è per quell’intelletto una missione ulteriore, che conduca alla vita umana. Piuttosto esso è umano[…] come se su di esso ruotassero i cardini del mondo “.

E continua in questa metafora che è già se attuazione della maschera: “Se potessimo però intenderci con la zanzara, apprenderemmo, che anche essa nuota nell’ aria con questo pathos sentendosi in sé il centro volatile di questo mondo. Non v’è niente di cosi ributtante e scadente in natura, che non venga subito rigonfiato come un otre da un leggero alito di quella forza della conoscenza; e come ogni facchino vuole avere il suo ammiratore, così l’uomo più tronfio, il filosofo, si crede di vedere gli occhi dell’ universo telescopicamente puntati da tutte le parti sul suo agire.  E’ sorprendente che sia l’intelletto a portare a questa condizione, esso, che è concesso agli esseri più infelici, delicati e caduchi, unicamente come aiuto, per sostenerli almeno un minuto nell’ esistenza, della quale altrimenti, senza quel supporto, avrebbero tutte le ragioni per fuggirsene tanto in fretta come il iglio di Lessing”.  E infine conclude: “il suo effetto più generale è l’inganno (Täuschung). L’intelletto, che è uno strumento di conservazione dell’ individuo, dispiega le sue forze maggiori nella finzione;[…] Nell’ uomo quest’ arte della finzione giunge al suo apice: qui è l’inganno, la lusinga, la menzogna e la frode, il parlare alle spalle, la recitazione,il vivere nello splendore preso a prestito, il mascherarsi (Maskirtsein), la convenzione affettata, la sceneggiata  davanti agli altri e davanti a se stessi; in breve, il continuo svolazzare qua e di là intorno alla sola fiamma della vanità […]”

Si può evincere, avendolo nel testo riportato, come il senso ermeneutico della preconsiderazione inattuale e del suo svolgersi è tutta insita in questo Maskirt-sein( essere maschera) L’indossare non è un semplice “metter-si su” ma è essere; consumarsi nell’ interno verso l’esterno di quel “profondo che ama la maschera” (Alles, wastiefist, liebt die Maske) non solo come unico escamotage della sopravvivenza stessa ma come superamento di quel declino insito nella dis-persa e spaesante civiltà occidentale. Chi dopo le rovine raccoglie queste redini? chi riesce a salvare la naufragata maschera gettata sulla battigia di un’ isola che non c’è ? Favola delle nichiliste favole, la stanchezza di Han non può che recuperare il mito di Prometeo; tra i primi errori di Ybris : “divenire ciò che NON si è “ perché finto tentativo di trasformazione nella perenne  cristallizzazione della es-istenza; scrive il filosofo Byung-Chul nella Società della stanchezza[5]in merito al Prometeo stanco:

Il mito di Prometeo si presta a essere interpretato anche come una rappresentazione dell’apparato psichico dell’odierno soggetto di prestazione,il quale usa violenza a se stesso, fa guerra a sestesso. Il soggetto di prestazione, che s’immagina libero, in realtà è incatenato come Prometeo. L’aquila, la quale si ciba del suo fegato che ogni volta ricresce, è il suo alter ego con cui egli è in guerra. Cosi inteso, U rapporto tra Prometeo e l’aquila è una relazione con il sé, un rapporto di auto-sfruttamento. Il dolore al fegato, di suo incapace di dolore, è la stanchezza. Prometeo viene colto cosi, come soggetto di auto-sfruttamento, da una stanchezza senza fine. Egli è l’archetipo della società della stanchezza. In un racconto estremamente criptico, Prometeo, Kafka offre un’interessante reinterpretazione del mito: “Gli dei si stancarono, le aquile si stancarono, la ferita si richiuse stancamente”. Kafka intende, qui, una stanchezza che cura, una stanchezza che non apre ferite ma le chiude. La ferita si richiuse stancamente. Anche il presente saggio culmina nella trattazione di una stanchezza che cura. È quella stanchezza che non deriva da un riarmo sfrenato, bensì da un cordiale disarmo dell’io[6]

Questo cordiale disarmo dell’ Io non solo rappresenta la fine di ogni psichismo (vi  una morte della stessa memoria mnestica) ma è ancora principium individuationis presente in quell’altra colossale considerazione della filosofia Nietzschiana che è Su verità e menzogna fuori dal senso morale  dove si ha forse il secondo incipit di questo avvicinamento a quei deserti che la filosofia di Han consolideranno. Il passaggio avvenne probabilmente in quell’ opera mastodontica degli Holzwege (sentieri interrotti) Heideggeriani quanto intercedevano i passi dello stesso verso la “non- dimora” del Da-sein. Non trovammo nulla anche se ci sentivamo vivi ma di una vita che respirava ancora del niente in cui eravamo avvolti; scrissi in gioventù un piccolo scarabocchio sugli stessi figlio a sua volta di  lezioni, frasi incursioni ermeneutiche tra lo stesso e quella società dello spettacolo di Debordiana memoria cui mi rifacevo nei miei dis-astrosi studi. L’Occidente era oramai per sempre irreversibilmente destinato all’ Occasum; lo “spettacolo” di quel tramonto è  stata la foto scattata nella filosofia di Han che come un osservatore delle rovine cammina sulle stesse stancamente quasi a riconoscere nelle stese l’impossibilità di trarne profitto persino  come guida. E’ il Magus che perde i suoi poteri; l’aruspice del nulla; è il ni-ente storico che non trasmuta ne alchemicamente ne biologicamente: non è la morte di Dio  teorizzata ma la consapevolezza del bruco che non diventerà farfalla e sarà degradato a verme. Putrefatta, la società, sarà quella dei romanzi neri di Chuck Palaniuk immersi nelle droghe di Irvine Welsh senza più la bellezza ne di Hoffmannn e di Aldous Huxley. Nichilismo senza redenzione? non di certo; perché lo scherzo della Natura è tutto in ciò che traspare. La trasparenza è una condizione della simmetria. Ne consegue che la società della trasparenza aspira a cancellare tutte le relazioni asimmetriche, tra le quali rientra anche il potere. Di per se il potere non è diabolico, in molti casi è produttivo e creativo. Genera uno spazio di libertà e un margine per l’organizzazione politica della società. Il potere prende anche parte, in misura notevole, alla produzione del piacere. L’economia libidica segue una logica economica di potere. Alla domanda sul perché l’uomo tenda ad esercitare il potere, Foucault risponde rinviando all’economia del piacere.[7]Quanto più gli uomini nel loro rapporto sono liberi l’uno dall’ altro, tanto maggiore è il loro piacere nel determinare il comportamento degli altri. Più è aperto il gioco,, più sono vari i tipi di gioco nei quali si governa il comportamento degli altri, maggiore sarebbe il piacere.[…]Anche il potere è un gioco strategico. Per questo gioca in uno spazio aperto[…] quel “piacere” Nietzschiano, che anela all’ “eternità”, nasce a mezzanotte. Nietzsch direbbe che non abbiamo abolito dio, fin quando crediamo nella trasparenza. Contro lo sguardo inopportuno, contro il generale rendere visibile, Nietzsche difende l’apparenza, la maschera […][8]

Di qui, una lunga serie di parallelismi che prendono le mosse da quel  vivere-per-la-morte il cui gioco/giogo è l’eterna “coazione a ripetere” nel tentativo invano di andare “al di la del principio di piacere “ stesso. Una vana fuga dagli Dei in realtà; nel tentativo di una vana “fuga dagli dei “ che in reltà forse è mytos-logòs nascondimento. L’Occidente qui si trasforma in luogo; ma è un luogo ricco di deserti perché come la maschera che è atto del re-citare l’eterna pantomima di se stessi fino alla completa deflagrazione del Se, ance questo luogo rende i suoi abitanti apolidi. E’ quella caverna che contiene ma nello stesso tempo è de-narrativizzata dalla luce scoperta dallo schiavo che – rompendo le catene –  esce sulla “linea” del mondo cercando quell’ oltre visibile solo come epifenomeno. Perché il sole annienta l’apparenza mentre il gioco della nimesis e delle metamorfosi cede al lavoro per la verità.[9] La maschera non è animata da trascendenza metafisica; nell’ atto di mostrarsi annienta lo stesso IO da cui è agita in quanto sebbene sberleffi quella che potrebbe rappresentare una esistenza autentica in un modello bi-logico Matte Blanchiano ripete ossessivamente il mito dell’ auriga alata sospesa tra il non esserci (DaSein) e coscienza che non sa di se.

Ecco dunque perché la risoluzione di un annichilimento universale trova il suo solidificarsi, il suo soffermarsi nella a-temporalità nella ferita che si chiude stancamente. Quella ferita è l’unica ad essere passaggio non poi così obbligato; è un lupo che ulula alla luna ancora non splendente in cielo e il cui atto è quello di esplodere in mille scintillanti supernove per poi morire nel freddo vuoto del buio universo. Lì dove la maschera è gettata, l’apolide si perde nella stanchezza e l’Occidente tutto declina. E’ ciò che profeticamente sta accadendo oggi a distanza di 100 anni dal “ matto di Röcken”; una eredità raccolta da una tradizione di rovine e di ghiacciati deserti: immobili, inutili, spenti. Non è un caso forse che l’Ultima Thule dello stesso fosse Weimar (25 agosto 1900) con un passaggio obbligato nella esoterica Torino a “guarire la follia” senza che la stessa potesse essere accolta dall’Umanità tutta migliorandola. E allora disperdendosi la stessa “ha gettato” gettato lo sguardo ad oriente dove il sole tempo addietro nasceva; si è rifocillata di quelle acque ma subito dopo ha trovato superstiti distrutti dalla “altrui razionalità vincente”  di Hiroshima e Nagasaki. Per questo motivo forse caduto anche l’ultimo dei Samurai Yukio Mishima, è stato necessario che la stessa si “nascondesse”  dal Luogo di Kitaro Nishida dovesi dovrebbe distinguere anche tra ciò che unifica le relazioni e ciò in cui le relazioni sono. Continua il nostro: “Anche se proviamo a prendere in considerazione gli atti, si può pensare qualcosa come un Io in quanto pura unificazione degli atti., e insieme, dato che l’Io viene concepito di contro ad un Non-Io e lascia che al proprio interno si costituiscano i cosiddetti fenomeni della coscienza.  Rifacendomi alla terminologia del Timeo[10] di Platonem io chiamo “luogo” un tale qualcosa, di cui si potrebbe anche dire che è ciò che riceve le Idee. Va da se, però, che non ritengo che lo “spazio” o il “luogo che riceve” di cui parla Platone sono la stessa cosa di ciò che io chiamo “luogo”. Un modo estremamente semplice di considerare è quello per cui noi riteniamo che i corpi materiali esistono nello spazio, anche nella fisica fino ad oggi si è pensato così. Per altri invece  non c’è spazio senza cos, lo spazio non è altro che le relazioni tra i corpi materiali, o ancora, come Lotze[11], si può ritenere anche che lo spazio sia nelle cose. […]quando noi pensiamo le cose, deve esserci qualcosa come un luogo che le rispecchia. E un tale luogo può essere considerato innanzitutto “il campo della coscienza”[12]. Per avere coscienza di qualcosa, questo qualcosa deve essere rispecchiato nel campo della coscienza. Inoltre devono essere distinti tra loro il fenomeno di coscienza rispecchiato e il campo della coscienza rispecchiante. […]oppure forse si potrebbe pensare il campo della coscienza anche come un punto detto “io”.

La necessità quindi di incanalare questa universale coscienza al di fuori dell’ io nel Io stesso è sicuramente la maschera; ma essa ancora una volta no è e non può essere mero oggetto soggettivante ma –semmai – pantomima della stessa. Ecco perché la risoluzione di una autenticità nel periodo storico della post-contemporamneità quando “sia dei che dio chiudono baracca e lenti si sospendono e si abbattono i Riti “ non può che trovar-si( esserci- da-sein)  nella società sospesa del filosofo Byung-Chul Han. Lo stesso luogo di certa filosofia esistenzialista rapportato a ciò che Nishida scrive non è che un moderno tsunami durato meno di un secondo; quel battito d’ali di farfalla ha fatto rabbrividire la stessa scuola Zen perché incapace di trovare il prima del battito.  Nessun rumore per foreste che crescono, molto rumore per alberi che vengono abbattuti: molto rumore per nulla. Il sodalizio tra la follia e una ragione melanconica si risolve appendendo perfino la stessa maschera ad un chiodo avulso dalla universale coscienza disperso tra la  “fine della storia” e il mancato ritrovamento di quell’ l’IO de-terminato dall’ ES. Una apocalisse rivelata, a cui nessuno ancora oggi vuol credere, trasforma nel frangente quel poco che ancora vive di persona in individuo all’ interno della società tecnicamente organizzata; la stessa che mentre muove veloci passi su Marte abbandona la terra da dove opera e dove vive e si abbandona all’ atto della sua stessa autodistruzione stancamente; complice la parte più brillante e vuota di pensiero …

Note:

[1] Henry Louis Mencken (12.09.1880-29.01.1956) “La democrazia è la forma di governo che da ad ogni uomo il diritto di essere il proprio oppressore”.

[2]Sempre da un’ aforisma di H.L.Mencken

[3]F.W.Nietzsche “Al di La del Bene e del Male, Preludio ad una filosofia dell’ avvenire, introduzione, traduzione e note di Sossio Giammetta,Milano,Rizzoli,1996.

[4] Alles, was tiefist, liebt die Maske; die allertiefsten Dinge habensogareinen Hass auf Bild und Gleichniss. Solltenichterst der Gegensatz die rechteVerkleidung sein, in der die SchameinesGotteseinhergienge? EinefragwuerdigeFrage: eswaerewunderlich, wennnichtirgendeinMystikerschondergleichenbeisichgewagthaette. EsgiebtVorgaenge so zarter Art, dass man gut thut, siedurcheineGrobheitzuverschuetten und unkenntlichzumachen; esgiebtHandlungen der Liebe und einerausschweifendenGrossmuth, hinter denennichtsraethlicherist, alseinen Stock zunehmen und den Augenzeugendurchzupruegeln: damittruebt man dessenGedaechtniss. Mancherverstehtsichdarauf, das eigneGedaechtnisszutrueben und zumisshandeln, um wenigstens an diesemeinzigenMitwisser seine Rachezuhaben: – die Schamisterfinderisch. Essindnicht die schlimmsten Dinge, deren man sich am schlimmstenschaemt: esistnichtnurArglist hinter einerMaske, – esgiebt so vielGuete in der List. Ichkoenntemirdenken, dassein Mensch, der etwasKostbares und Verletzlicheszubergenhaette, grob und rundwieeingruenesaltesschwerbeschlagenesWeinfassdurch’sLebenrollte: die Feinheit seiner Scham will es so. Einem Menschen, der Tiefe in der Scham hat, begegnenauch seine Schicksale und zartenEntscheidungen auf Wegen, zudenenWenige je gelangen, und um derenVorhandensein seine Naechsten und Vertrautestennichtwissenduerfen: seine LebensgefahrverbirgtsichihrenAugen und ebenso seine wiedereroberteLebens-Sicherheit. EinsolcherVerborgener, der ausInstinkt das RedenzumSchweigen und Verschweigenbraucht und unerschoepflichist in der AusfluchtvorMittheilung, will es und foerdertes, dasseineMaske von ihm an seiner Statt in den Herzen und Koepfen seiner Freundeherumwandelt; und gesetzt, er will esnicht, so werdenihmeinesTages die Augendarueberaufgehn, dassestrotzdemdorteineMaske von ihmgiebt, – und dasses gut so ist. Jedertiefe Geist brauchteineMaske: mehrnoch, um jedentiefen Geist waechstfortwaehrendeineMaske, Dank der bestaendigfalschen, naemlichflachenAuslegungjedesWortes, jedesSchrittes, jedesLebens-Zeichens, das ergiebt. –

[5]Byung-Chul Han, La società della stanchezza, traduzione di Federica Buongiorno, Edizioni nottetempo, 2012,Milano

[6]Ibidpg 5-6

[7]B.C.Han, La società della trasparenza, traduzione di Federica Buongiorno, Ed.nottetempo, 2018, Milano pp 34-35

[8]Ibid pg 35

[9]Ibid pp. 66 e ssg

[10] Platone, Timeo 52 a-b. I termini greci cui Nishida si riferisce sono chora e hypodoke.

[11]H.Lotze, GrundzuegederMetaphysik, §44, Hirzel,Leipzig,1901, p.57 “ Detto in breve: le cose non sono nello spazio, bensì lo spazio è nelle cose”.

[12] Nishida potrebbe aver tratto questo termine da W.James, Un Universo pluralistico,Marietti,Torino,1973, quinta lezione.

Cristiano Turriziani

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