11 Aprile 2024
Punte di Freccia

Nostalgia canaglia: 1 marzo 1968… – Mario Michele Merlino

Premessa. Diversi anni fa, mi sono cimentato con interventi brevi e provocatori su Il Territorio, modesto quotidiano di Littoria (oggi Latina e, fra breve, visto il processo di degrado, Latrina). Fu esperienza limitata nel tempo, gradevole comunque. Porto particolare affetto alla città della Fondazione, ai suoi camerati, alle tante iniziative condivise. Il solstizio d’inverno sui monti Lepini, ad esempio. Nell’occasione firmavo con lo pseudonimo di Bastian Contrario (non ricordo il perchè e se fui io a tirare fuori dal cappello a cono del Mago l’ideuzza). Da poco l’ho rispolverato per dei ‘pezzi’ di cultura (?) che appaiono on-line. Fedele all’affermazione di Albert Leo Schlageter nel dramma a lui dedicato da Hans Johst – ciò vale per gli ‘indecenti e servili’ a cui vanno gli strali di questi miei ultimi ‘pezzi’ sullo stile e dintorni – non mi crogiolo ad essere considerato un intellettuale sebbene sia privo della sicura di un revolver…

Bastian Contrario non ha alcuna intenzione di entrare a gamba tesa nell’agone delle elezioni, della loro povertà di contenuto dei volti che si stampano, parodia di icone, di sigle reiterate o nuove di promesse e di bla-bla-bla di un teatrino abusato dove i guitti e i saltimbanchi trovano palcoscenico. E non intende entrarvi con un sussurro in punta di piedi educatamente chiedendo ‘permesso’. Non oso dire per stile, no, un po’ di buon gusto tanto basta. E, poi, mi trattiene uno dei miei eroi fin dall’infanzia, lo spadaccino dal gran naso, abile nel battersi e comporre versi. E me lo ritrovo con la testa bendata esangue fiero e disperato in quell’ultima scena ove duella trasognato e visionario contro Menzogna e Viltà e Compromessi e Pregiudizi e la Stoltezza… ‘Io venga a patti? Mai! … Io so che al fine sarò da voi disfatto; – ma non monta: io mi batto, io mi batto, io mi batto’. Me lo ritrovo, magari con le parole e la musica di Francesco Guccini, lo sguardo e il dito e il pennacchio levati verso la luna sono d’ammonimento.

L’unica affermazione decente, contraddetta nei fatti (gli uomini e le parole viaggiano sovente come rotaie in parallelo e per incontrarsi solo in immaginario infinito, ottico inganno…), che conservo volentieri di P.R. è ‘la democrazia è infezione dello Spirito’. Compreso il votare perché, suppongo, essa s’intendesse riferire a quella liberale, di stampo borghese, con illusioni di rappresentanza e inganno partecipativo. Se, però, vi sono uomini e realtà che si adoperano, anche in questa attuale competizione, ad esserne tentati e contare, al contempo, d’esserne immuni, vada loro il serto e l’alloro. Anzi, magnanimo, vengo loro incontro con autorevole richiamo.

In un articolo apparso su Il Popolo d’Italia, in data 26 aprile 1921, a proposito delle elezioni e della partecipazione ai Blocchi Nazionali, dove i legionari su indicazione di Gabriele D’Annunzio avevano rigettato, Mussolini scrive: ‘Riserve sui Blocchi vengono anche dagli elementi che chiameremo i ‘puri’. Sono le più disinteressate. Ma la vita, per chi non voglia trascorrerla nella solita remota torre d’avorio, impone certi contatti, certe transazioni e, diciamola la parola terribile, certi compromessi. Pagine di compromesso sono nella vita di tutti i grandi uomini, dagli antichi ai recenti e non sono pagine di vergogna, sono pagine di saggezza. Un conto è fare del compromesso un sistema di politica e un conto è accettarlo quando si presenta come una necessità In tal caso non si tratta di seguire o ripudiare dei ‘principi immortali’, ma si tratta di valutazioni di ordine pratico’.

(Purtroppo a troppi e troppo proibitivi compromessi il Fascismo si adattò per realizzare la conquista del potere e per costruirsi il consenso e la Storia ne pretese il conto nel momento più drammatico. Il 25 luglio prima, l’8 settembre quarantacinque giorni dopo rappresentano ben più di una disfatta. E il riscatto della RSI, nobile negli intenti e generoso per il tanto sangue versato, fu ulteriore tragedia a cui va rispetto e affetto. Questo, però, conta poco o niente perchè ogni generazione pretende essere immune da errori e inganni).

E intorno a quello che un tempo dispregiavamo con il termine ‘ludi cartacei’ e che il nostro disprezzo dovrebbe mantenersi integro nonostante le circostanze e il contingente richiamo di eterne e malefiche incantatrici (al canto delle sirene Ulisse rispose con cera nelle orecchie ai suoi marinai e saldi legacci a vincolarlo all’albero della nave, ma va aggiunto per correttezza volle pur tentare udirne l’armonia), credo, abbia esaurito il caricatore… E, siccome oggi sfilano i figliocci di Soros quei centri sociali, a mascherare dietro un becero antifascismo, il lucro e le connivenze, ancora una volta figli di quell’uovo marcio della borghesia, come li definì – altra generazione – l’amico Adriano Romualdi, a maggior ragione chiudiamola qui. Qualcuno si potrebbe confondere con scene da film di pistoleros e affini…

Ormai sono cinquant’anni, e, andando a votare (una delle poche volte, lo confesso), introdussi nell’urna la scheda, con gesto un po’ stronzo ed esibizionista, e su scritto ‘Viva Hitler viva Mao viva la rivoluzione!’. Qualche giorno dopo, una delle scrutatrici – ci si conosceva fin da ragazzi –, incontrandomi, con una risata mi disse che solo io potevo aver avuto simile pensata. E una mattina, sulle scalinate del Rettorato, lo ripetemmo, Tonino Fiore (il guerriero) ed io (il filosofo), sfrontati e spavaldi. Era il ’68 o l’anno successivo. L’anno in cui esplose la contestazione giovanile con le facoltà occupate e della cosiddetta battaglia di Valle Giulia, ma a seguire anche, livido e feroce, l’anno dell’autunno caldo e della strage di Piazza Fontana.

Già, quel 1 marzo del ’68, a Valle Giulia, di fronte la facoltà di Architettura, la celere i carabinieri i manganelli i lacrimogeni. Una icona, un poster a firma della rivista Quindici, di studi e analisi marxista. Potersi vantare, dire ‘io c’ero!’, mostrando in prima fila un ragazzotto esile occhialuto i capelli lunghi con una bottiglia in una mano e nell’altra ciò che restava dell’asse di una panchina. (La riproduzione ingrandita fa mostra di sè nel mio rifugio, branda e libri). Mattina di primavera annunciata, inno alla gioia sulle note delle sirene urla slogan scalpiccio concitato e febbrile, la grande illusione, e come cantava Battiato si respirava ‘aria di rivoluzione’…

E venne Valle Giulia fu un buon libro, scrivo sempre buoni libri (come Nietzsche dice di se stesso in Ecce Homo), edito dieci anni fa. Tutto o niente, allora; con cinquanta anni di distanza da quel ‘68, amletico dubbio (!): si va a votare oppure si resta alla finestra? ‘Prendere le distanze’, sempre Nietzsche docet. Ed io. Chissà…

Lasciate a un vecchio l’onda lunga dei (sterili) ricordi, forse imperfetti e ingranditi da nostalgia canaglia. Ecco Piazza di Spagna, e noi raggruppati a un lato della scalinata – duecento circa (non la ventina per chi vuole sminuire la nostra presenza). D’accordo i rossi e i neri, rivolta generazionale; niente bandiere rosse; nessuna bandiera nera; nessun striscione; la nostra presenza legittima richiesta condivisa (in un certo senso potremmo definirci una sorta di ala militare del movimento, quelli che dell’attivismo hanno fatto misura e i ‘compagni’ l’hanno sperimentato negli anni precedenti); si sfila modello serpentone cinese e si lanciano contro i borghesi, pavidi sui marciapiedi, i rossi ‘Mao Guevara Ho-chi-Minh!’, i neri ‘Europa Fascismo Rivoluzione!’.

Ecco la facoltà di Architettura lo schieramento di polizia e carabinieri lo sferragliare del tram il verde dei prati i rami degli alberi mossi dal vento il sole a baciare i ‘belli’ (noi) e… poi, ad ognuno il singolo e, al contempo, collettivo episodio, il momento di gloria (sono troppo modesto per narrare i miei!). Ascesa e declino di un sogno. Mi tornano a mente le immagini così fascinose di Drieu la Rochelle in Gilles. 6 febbraio del 1934, Parigi. Ultima settimana di campagna a procacciare consensi, contare sugli indecisi, tutta incentrata sull’alibi dell’antifascismo. (Bravo Marco Rizzo e la nostalgia rigorosa del vecchio partito comunista. Non l’uno contro l’altro armati ma contro chi è ‘in alto’) E ovunque ti giri riconosci nuovi ‘indecenti e servili’. Stessa genia di razza bastarda. Dove ho messo la scheda elettorale? Chissà…

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