17 Aprile 2024
Narrativa

Narrativa fantastica, una rilettura politica, decima parte – Fabio Calabrese

Prima e seconda parte: fantasia eroica (il fatto di aver dedicato due numeri a questo sottogenere della narrativa fantastica non ha corrisposto soltanto all’importanza a esso accordata nei nostri ambienti come strumento di rinascita di antichi valori e ideali che l’uomo moderno sembra avere perduto, ma anche alla circostanza che il secondo dei due articoli è stato il testo della conferenza da me tenuta la scorsa estate a “Magmatica”), terza parte: fantascienza e horror, quarta parte: utopia e antiutopia (utopia negativa, soprattutto Orwell e Huxley), quinta parte: ucronia, storia alternativa (c’è da sottolineare il fatto che questo sottogenere ha avuto uno sviluppo minore e un significato diverso nel mondo anglosassone rispetto a quanto hanno fatto gli autori italiani spesso molto meno conosciuti di quanto meriterebbero. In particolare, negli Stati Uniti la storia alternativa sembra avere il compito di rassicurare che qualunque svolgimento storico diverso da quello che conosciamo e che li ha – immeritatamente – portati a essere i signori di questo pianeta, sarebbe stato qualcosa di negativo; per l’Italia, che ha conosciuto quindici secoli di dominazioni straniere, un lungo, faticoso e incompleto percorso per ritrovare la sua identità nazionale, la sconfitta nella seconda guerra mondiale, vale letteralmente la considerazione opposta); sesta parte: alcune forme “minori” di fantastico, fra cui soprattutto il fantastico metafisico di Jorge Luis Borges, settima parte: la futurologia e il mito kennediano della “nuova frontiera”, ottava parte, il cyberpunk e la “realtà virtuale”, nona parte: gli outsiders, cioè quegli autori che sono approdati al fantastico da campi diversi: André Maurois, Bertrand Russell, Nevil Shute.

Una panoramica, come si vede, piuttosto articolata, tuttavia ripercorrendo il cammino fin qui fatto, non è difficile notare che di cose meritevoli di un ulteriore approfondimento, ne sono rimaste parecchie. George Orwell, ad esempio, non è certo un caso che sia ancora oggi un autore poco conosciuto e poco capito. Inizialmente di sinistra, volontario repubblicano nella guerra di Spagna, ebbe modo di sperimentare tutta la falsità e l’animo tirannico dei comunisti che combattevano una guerra civile doppia contro i franchisti e contro le altre formazioni repubblicane, e uscì da quell’esperienza con una forte convinzione anticomunista che non era certo quella che poteva renderlo gradito alle “democrazie” postbelliche.

Il particolare, che considero una mia piccola scoperta, che 1984, il capolavoro di Orwell, non può essere stato scritto, come asserisce la vulgata corrente, nel 1948 (la prima edizione inglese è del 1947, e il libro dunque sarebbe stato pubblicato un anno prima di essere scritto) e che la collocazione temporale e il titolo del romanzo sarebbero stati ottenuti invertendo le ultime due cifre dell’anno di stesura, è un falso, e che invece risale al 1944 e l’autore avrebbe semplicemente spostato in avanti nel tempo di un quarantennio la sua fosca predizione, in realtà non è un particolare affatto marginale per interpretare correttamente il significato di questo testo.

Non solo è probabile che la censura abbia bloccato la pubblicazione del libro fino alla fine del conflitto (che diavolo, non si poteva parlar male dello “zio Joe” mentre l’Armata Rossa stava massacrando mezza Europa!), ma il mondo di 1984 è esattamente quello che ci sarebbe potuto aspettare prima dello sbarco in Normandia, con un’Eurasia che altro non è che l’Unione Sovietica che dopo aver travolto l’Asse si è estesa fino a Gibilterra, un’Estasia che è la Cina che si è estesa a tutto il continente asiatico tranne la Siberia, e l’Oceania, cioè l’America con l’Inghilterra diventata propaggine davanti alle coste europee, della sua antica colonia.

Le due previsioni, che l’Inghilterra sarebbe diventata sempre più una colonia degli Stati Uniti invertendo il loro antico rapporto, e che la democrazia sarebbe diventata essa stessa sempre più totalitaria fino a non potersi distinguere sostanzialmente dai regimi comunisti sovietico e cinese, le possiamo considerare entrambe azzeccate nella sostanza al disotto delle apparenze formali.

Un particolare che viene a rafforzare questa interpretazione mi è stato raccontato da un collega molto competente in fatto di storia e appassionato di letteratura fantastica: i primi esperimenti di trasmissioni televisive del periodo bellico erano basati su apparecchi che “funzionavano nei due sensi” (tipo videocitofoni), proprio come la TV del mondo orwelliano dove gli spettatori sono costantemente spiati, salvo che poi questo sistema è stato abbandonato perché si è dimostrato molto difficile da gestire.

Scorrendo la scaletta delle parti precedenti, salta subito agli occhi un punto a cui avrei dovuto dedicare un maggiore approfondimento: la fantascienza e l’horror sono “compressi” in un solo articolo nella terza parte, una decisione che avevo preso al momento della stesura di quel pezzo soprattutto perché “contagiata” com’è dall’utopia progressista, proprio la fantascienza fra tutti i generi fantastici è forse la meno interessante dal nostro punto di vista, e perché per quanto riguarda l’horror, avevo dedicato già in precedenza su “Ereticamente” un paio di articoli (compreso uno, Politicamente scorretto, in occasione della rimozione della sua effigie come simbolo del World Fantasy Award in seguito all’accusa di “razzismo”) al grande maestro dell’horror moderno Howard Phillips Lovecraft.

Ora però, mentre comunque la fantascienza “ritorna” di continuo (ad esempio nel settimo articolo, il mito kennedyano della “nuova frontiera” ha implicazioni strettissime con essa), il discorso sull’horror è rimasto incompleto, e vedremo ora di riprenderlo.

Per prima cosa, io penso, sarà tuttavia necessario dissipare un diffuso equivoco. Se noi abbiamo in mente la produzione letteraria di autori come Mary Shelley, Edgar Allan Poe, Robert Luis Stevenson, Bram Stoker, Howard Phillips Lovecraft, e poi spostiamo l’occhio soprattutto sulla produzione cinematografica horror degli ultimi decenni coi suoi zombi truculenti e l’esibizione di bassa macelleria, ci rendiamo conto che non si tratta affatto della stessa cosa.

Riguardo all’horror soprattutto cinematografico degli ultimi decenni (che poi è un autentico orrore), sembrerebbe che non sia necessario andare oltre il mero dato sociologico: specialmente oggi, più che mai istupiditi dal dilagante e onnipervasivo sistema mediatico, gli Americani amano le grossolane esibizioni di violenza perché sono un popolo grossolano e violento, e il loro cattivo gusto poi lo esportano anche da noi.

Per questo “genere” cinematografico che corrisponde a quello che un tempo veniva chiamato grand guignol, gli Americani hanno inventato un bel termine: splatter, che è un’onomatopea, da “to splat”, che dovrebbe indicare lo sprizzare del sangue, oppure, in alternativa ad esso blood and gore, dove “blood” indica il sangue liquido e “gore” quello rappreso, un’espressione che forse potremmo tradurre come “sangue e sanguinacci”.

Non occorre altro, credo, per capire che ci si muove in un orizzonte mentale che non ha proprio nulla a che spartire con l’inquietudine metafisica delle opere di Mary Shelley, Edgar Allan Poe, Robert Louis Stevenson, Bram Stoker, H. P. Lovecraft.

Tuttavia va rilevato almeno un elemento che differenzia l’horror “moderno” da quello “tradizionale”, ed è la rimozione dell’elemento soprannaturale. Gli zombi non sono creature ultraterrene, sono il risultato di un’epidemia causata da qualche virus sfuggito a un laboratorio dove si allestiscono segretissime armi biologiche, una sorta di mega-idrofobia, nemmeno It di Stephen King è un essere soprannaturale, ma un alieno dotato di poteri ipnotici. All’uomo di oggi non va detto nulla che possa suggerire l’esistenza di un trascendente, di dimensioni “altre”.

Noi sappiamo che il tipo di cultura che si è imposta come dominante nel mondo cosiddetto occidentale e che controlla il sistema mediatico, in Italia più che altrove si presenta come cultura dichiaratamente “di sinistra”. Altrove le cose sono presentate in maniera più “soft”, ma la sostanza non è gran che diversa. Vi sono diversi autori “scomunicati” perché non rientrano nei suoi schemi di pensiero, e fra questi, gli autori fantastici non sono pochi: Howard P. Lovecraft, George Orwell, Jorge Luis Borges, una lista di reprobi cui è andato in tempi recenti ad aggiungersi anche uno scienziato, Konrad Lorenz. Tuttavia diciamo pure che la messa all’indice e la damnatio memoriae sono una sorta di extrema ratio quando risulta impossibile assimilarli al pensiero “politicamente corretto”, spesso attraverso un’interpretazione falsata. L’esempio più estremo è forse rappresentato da John R. R. Tolkien, l’autore del Signore degli anelli, verso il quale la sinistra e “i democratici” hanno alternato in misura quasi uguale scomuniche e tentativi di annessione ideologica, dandone una lettura anarcoide, interpretando la lotta contro l’Oscuro Signore non come lotta contro un potere brutale e tirannico in nome di un potere giusto e legittimo, ma come lotta contro il potere tout court, confondendo volutamente gli elfi coi figli dei fiori e via dicendo.

Per quanto riguarda l’horror, che ora considereremo nell’accezione “tradizionale” e “alta” lasciando perdere la bassa macelleria a base di zombi, il discorso è analogo, cioè da parte dei “democratici” e soprattutto della sinistra, di farlo rientrare nel politicamente corretto fornendo chiavi di lettura falsate. Un concetto che si fa risalire a Sigmund Freud (come scienziato il padre della psicanalisi con valeva praticamente nulla, era più che altro un ciarlatano, ma aveva una cultura letteraria e filosofica discreta, era tra l’altro un cultore di Schopenhauer) e di cui la sinistra e i democratici si sono serviti per un’interpretazione “politicamente corretta” dell’horror e altre forme di letteratura fantastica, è il concetto di “perturbante”, a cui lo studioso ebreo-moravo ha dedicato un saggio, appunto Il perturbante (il che non sarebbe poi molto, essendo Freud un grafomane con una produzione enorme di scritti che hanno riguardato l’universo mondo).

Fermatevi un attimo a riflettere quali connotazioni si legano a questa parola: la trasgressione di un ordine costituito, i surrealisti che facevano sberleffi alle mostre d’arte, le varie forme di ribellione più o meno anarcoide a un ordine esistente, magari la ricerca di realtà alternative attraverso sostanze psicoattive, al limite bestemmiare in chiesa (e guardate a cosa sono ridotte oggi soprattutto le arti figurative, proprio l’equivalente di una bestemmia in chiesa), cioè la maniera in cui la sinistra intende l’arte e la letteratura, compresa quella fantastica, che sarebbe una perturbazione addirittura delle costanti cosmologiche.

Ebbene, la cosa interessante è che in questo caso, per dare una giustificazione “ideologica” a questo tipo di concezione, si è dovuto fraintendere (volutamente o meno) persino Freud con un errore di traduzione (casuale o intenzionale) perché il termine usato dal padre della psicanalisi ha tutto un altro significato, Freud usa i termini unheimlich (aggettivo) e Unheimlicheit (sostantivo) che si dovrebbero tradurre piuttosto come “estraneo” ed “estraneità”.

In tedesco “un” è il prefisso privativo (l’equivalente di “non” in italiano), “Heim” ha il valore di “casa”, “luogo familiare”, ed è la stessa radice dell’inglese “home”, “Heimat” è “patria” nel senso di “casa”, “luogo d’origine” (mentre “patria” nel senso di nazione è Vaterland), quindi il significato letterale sarebbe “non familiare”, “non familiarità”.

In questo caso, mi sembra che Freud abbia visto giusto, l’estraneità, il non riconoscersi parte del mondo che ci circonda, e il mondo che ci circonda come il “nostro” mondo è forse l’ubi consistam della letteratura horror, compreso il non riconoscere se stessi, da qui il tema del doppio (il William Wilson di Poe, il Dorian Gray di Wilde, il dottor Jekyll di Stevenson). Non a caso L’estraneo, (The Outsider) è uno dei più noti racconti di H. P. Lovecraft.

Questa estraneità, questo senso di non appartenenza al mondo che ci circonda e dove si vive, non è sempre solo una posa letteraria. Ricordiamo per esempio H. P. Lovecraft che si impose una vita “da recluso” evitando quanto più possibile tutti gli aspetti della modernità a cominciare dalle grandi città popolate da una folla multietnica, ricercando invece appassionatamente le tracce architettoniche e di altra natura del periodo coloniale della Nuova Inghilterra.

 Un esempio ancor più paradossale fu forse Jan Potocki, l’autore del Manoscritto trovato a Saragozza, che dedicò decenni a limare il pomello del coperchio di una teiera d’argento, fino a dargli le dimensioni e il calibro di un proiettile di pistola, usandolo poi per suicidarsi.

L’estraneità alla vita, la sensazione di trovarsi “sull’orlo del mondo” in qualche caso trova una localizzazione quasi fisica, si pensi ad esempio a La casa sull’abisso di William Hope Hodgson.

Solo che a questo punto si aprono due possibilità del tutto diverse. Ci si può sentire estranei al mondo che ci circonda perché ci si sente (o si è) al di sotto di esso, un sub-umano, un insetto (esemplare in questo senso La metamorfosi di Franz Kafka dove il protagonista si trasforma in un grosso scarafaggio), oppure perché ci si sente o si è al di sopra di esso, perché lo si riconosce come un mondo sterile, privo di finalità e di valori, e qui tutto il tema dell’eroe solitario, titanico o prometeico.

L’uomo dotato di una sensibilità superiore e perciò incompreso dai suoi prosaici contemporanei, intento a sognare o a proiettarsi con la mente in un mondo di meraviglia e gloria, è un tema ricorrente ad esempio nella narrativa di H. P. Lovecraft, basta pensare ad alcuni racconti come Celephais, La ricerca di Iranon, o a quelli che compongono “il ciclo” di Randolph Carter.

Un passo, solo un passo più in la e il discorso si completa e il circolo si chiude, perché basta cercare di descrivere il mondo nel quale i valori in cui l’eroe si riconosce, sono in vigore: onore, coraggio, lealtà, fedeltà, dedizione, e non siamo più nell’horror, siamo nell’heroic fantasy.

Un passaggio che potremmo interpretare anche come la prefigurazione di un cambiamento meta-politico, perché l’eroe che è giunto al totale distacco dal mondo grigio e freddo, privo di valori e di ideali della modernità, è giunto al limite del Kali Yuga.

Al di là risplende il sole del Satya.

NOTA

Nell’illustrazione di questo articolo, le copertine di 1984 di George Orwell e It di Stephen King citati nel testo, e de I mostri all’angolo della strada, una delle più note antologie di racconti di H. P. Lovecraft.

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