23 Aprile 2024
Tradizione

LA VISIONE, LA FESTIVITÀ DEL POLITICO E LA VITA COME MILITIA – Giandomenico Casalino

Colui che ha la Visione, è la Visione ed è visionario; la Visione è la potenza dello Spirito che apre le cateratte del Cielo e consente l’Irruzione dello stesso sulla Terra, consente la creazione della Civiltà che, nella spiritualità indoeuropea, è il Tempio della Luce e della chiarezza del Cielo diurno; è la Res Publica che è Juppiter Optimus Maximus in Idea manifesta. Secondo la natura naturans dell’uomo indoeuropeo, il Politico come categoria dello spirito, è, pertanto, la luminosità ed il chiarore festivo del giorno, è la festività perenne del Flamen Dialis, che non viene chiamato Jovialis ma Dialis, cioè il Sacro Giorno (“id est Dies Pater”, precisa Varrone!); lo Stato, cioè la Cosa di tutti, la Res Publica Romanorum è, quindi, il chiarore e la luminosità del Giorno e del Cielo diurno, per la ragione che i Riti giuridico-religiosi e la vita stessa del Popolo Romano, che è il Popolo degli Dei, i suoi Comizi, le sue convocazioni del Senato, i suoi Concilia Plebis, si celebrano, rite et auspicato, solo sotto il Cielo luminoso del Giorno che è Juppiter Optimus Maximus! Il Politico, la Res Publica, cioè quello che noi impropriamente chiamiamo Stato, è quindi il festivo nella perennità poiché è il più-che-vita, è l’oltrevita, nel senso dell’andare al di là della generazione e della riproduzione, quindi della dimensione strettamente biologica del Jus Gentium e quindi della familia, per entrare nella dimensione del Jus Civile che è quella superiore dello Spirito, dell’Ordine, della Gerarchia, dell’Autorità, della virilità sapienziale e della Comunità quale mannerbund, Bersekir, Compagnia di uomini armati scelti: Legione; dove l’etimo di “Comunità” è “cum munus” cioè “unione in forza dell’obbligo”: ed è l’origine guerriera dello Stato. La festività del Politico, della Res Publica, non può che essere pertanto la conseguenza della sacralità medesima del Pubblico che è come dire del Popolo (Populus e Publicus derivano ambedue dall’arcaico pòplikos; vedi G. Casalino, Sigillum Scientiae. L’essenza vivente ed ermetica della Romanità e il Platonismo, Taranto 2017, pp. 38 e ss.); nel Digesto si afferma: “sono sacre quelle cose che sono state consacrate pubblicamente: non le private” (1,8,6); “è ritenuto sacro solo ciò che è stato consacrato per iniziativa del Popolo Romano, sia mediante legislazione che Senatoconsulto” (Gaio, 2,5). Se nella Romanità il Pubblico si identifica ab origine con il Sacro ed il privato con il profano, allora, poiché il Pubblico si identifica con il Popolo medesimo, quest’ultimo è Sacro: in questa immensa verità rivoluzionaria, per il mondo antico e per tutta la vicenda umana nella intera storia delle Civiltà, risiede in Roma la festività del Politico, cioè la sua appartenenza alla dimensione sacra che, interrompendo, fermando la serialità profana cioè privata degli eventi umani, eleva la Comunità verso la dimensione dell’Alto nella quale si decide, nel Popolo e per il Popolo, su ciò che si confà alla Legge dello Spirito e non a quella del Sangue. Se ciò è vero, l’intera linea di pensiero della nostra Tradizione dello Stato, quale Idea dell’Ordine, è quella che risiede nella Visione dello Juppiter Optimus Maximus quale Cielo luminoso del Giorno, come in tutti gli Dei sovrani del mondo indoeuropeo dalla Scandinavia all’India e che, secondo Altheim, equivale al Principio Luce che è Apollo (ed è ciò che intuì Augusto…!) che è tutt’uno sia con la stessa natura cosmica della Res Publica, che è Res Populi e quindi Res Sacra, che con l’esoterica e potentissima, poiché magica, natura del Flamen Dialis quale sacro, vivente e visibile legame mistico, continuo e perenne, tra il Popolo Romano e la dimensione più Alta dell’Invisibile, garanzia suprema della Salus Rei Publicae (tanto che nel periodo più buio delle guerre civili della tarda età repubblicana, per quasi ottant’anni, l’Officium del Flamen Dialis restò vacante…!). Identificare, coniugando, il Pubblico, il Popolo con il Sacro, coniugando cioè l’inconiugabile secondo la cultura politico-religiosa di tutti i tempi, e fondando su tale identificazione, i tre pilastri della Norma, quale Rtà cosmico, Ordine divino del Mondo che è la Res Publica stessa, pilastri che sono: Religione, Politica e Diritto, fonte, gli stessi, della Majestas Populi Romani, seconda solo a quella di Juppiter, e della Auctoritas del Senato, significa, sostanzialmente, superare e vincere il relativismo agnostico ed ateo della oclocrazia greca, la perfidia della plutocrazia mercantile e talassocratica cartaginese nonché la stessa tirannide plebiscitaria sia etrusca che dei regni orientali ellenistici,  ed instaurare la Virtus indiscutibile, immodificabile e quindi oggettivamente valida, efficace e potente, cioè assoluta, della Legge che, provenendo dal Popolo e quindi dal Sacro, è tanto carica di tale energia da garantire e conservare la Aeternitas medesima della Res Publica. Nella miktè politèia romana cioè nella sua Costituzione mista, nella Libertas dei Cives nei loro Ordini, nel bilanciamento reciproco dei poteri istituzionali che, provenendo dal Mos Majorum e quindi dagli Avi e cioè dal Tempo degli Dei, sono Sacri e pertanto immodificabili, consiste ciò che stupidamente noi definiamo “conservatorismo giuridico e politico” dei Romani, quando, invece, è solo, per quel santo Popolo, venerazione religiosa e pietas reverenziale nei confronti delle sacre Origini che sono la base del Cosmo romano. Ciò ha consentito alla Romanità ed alla sua Idea di Res Publica di creare, nel tempo, la Comunità mondiale delle diverse Genti che sono un unico Popolo che è quello Romano (Constitutio antoniniana del 212 d.C.) e che, quindi, sono il Sacro: prende forma e vita, pertanto, il miracolo, unico nella storia dell’umanità, della Sovranità del Popolo universale fondata e legittimata dal Sacro e che si identifica con lo stesso e tale Sovranità universale della Sacertà dei popoli che sono il Popolo Romano, dialoga e riconosce, come suo Ponte (Pontefice Massimo) con il Divino, che ha tanti volti, nature e tradizioni quante ne conservano dignitosamente e liberamente le varie e diversificate culture dell’immenso Ecumene romano, il Principe  ed essenzialmente il suo Genio, alla cui Salute e Vittoria tutti i cittadini dell’Urbe universale bruciano grani di incenso sull’Ara, in segno di religiosa gratitudine e pia devozione.

Poteva tale potenza spirituale cadere e scomparire tra i flutti della vicenda umana dopo la tragedia di Canne? Certamente no! Polibio, infatti, profetizzò che Roma, poiché aveva superato Canne, era destinata al governo del Mondo! Con giustizia, saggezza e lungimiranza nella venerazione religiosa e nel rispetto secolare delle sacre istituzioni dei Padri, tanto che ancora in piena età bizantina i vescovi dalmati invocavano la restaurazione della Sancta Res Publica!

Con la sciagurata legislazione di Teodosio, la quale recise il coniugio tra Stato e Sacro, tra Impero e Religione, riducendo così lo Stato ad amministrazione agnostica ed arida (dalla stupidità contemporanea definita “laica”) priva di qualsiasi legittimazione da parte di principi oggettivi assoluti, metafisici e quindi riconosciuti e osservati da tutti, come sola può essere la potenza intoccabile del Sacro, degradando il Pubblico a privato e quindi a profano che è il campo individualistico del relativismo etico, e la religione a vicenda intima, psichica e personale e non più comunitaria, oggettiva, rituale e tradizionale in quanto intellettiva; la credenza venuta ad avere la prevalenza in Occidente, inaugurò così il lungo dominio dell’impotente giaculatorio sacerdotale in uno con i primi vagiti di quel mostro che sarà poi l’astrazione moderna del cosiddetto “Stato di diritto” di cui vaneggiava Kelsen, sorta di tautologico strumento (il Diritto) che vorrebbe essere al contempo fine di se stesso e quindi nullità assoluta, vuota crisalide da riempire con il puro tecnicismo economicistico del mercante e della sua “etica” dell’utile, come iniziò ad apparire già con il cosiddetto rinascimento. È, pertanto, l’Era dell’acosmismo che equivale allo strappare ogni presenza del Sacro tanto dal Politico quanto dalla Natura, relegando tali dimensioni dello Spirito nel materialismo meccanicistico che, scomparsa di poi la pervadenza della dogmatica fideistica, con il tramonto del cosiddetto evomedio, diveniva la “nova religio” della modernità, apparentemente nata in opposizione al cristianesimo ma, in vero, figlia dello stesso e “conflittuale” con il medesimo tanto quanto lo sono da sempre i figli con i padri…! Chi ha osato pronunziare, in questi lunghi e oscuri quindici secoli, le Parole di potenza quali: “Casa divina dei Cesari”, “Imperator et sacerdos”, “Sacralità e funzione soteriologica dell’Impero, quale strumento divino  per la Salus dei Popoli” se non la Teologia imperiale ghibellina del divino Federico II e del sommo Dante? Esplicitando così, sia al colto che all’inclita, che l’ “alternativa” al cosiddetto evomedio  non possono mai essere né l’umanesimo né il rinascimento poiché essi non sono altro che un “rivoltarsi nel medesimo giaciglio di una lunga malattia”; né tantomeno il cosiddetto illuminismo può mai essere considerato, da coloro che hanno visto il Logos, “alternativo” all’ottusità pragmatistica, quale unica ragione di esistenza delle entità sedicenti statuali dell’Europa moderna, lacerate da interminabili, stupide e folli guerre “religiose”, prodromi dell’avvento definitivo e totale dell’era liberale e della sua atea ragione economicistica.

Dinanzi a codesto abominio della desolazione ed al suo deserto dell’anima, così come visto da Nietzsche, la Visione non può che essere ciò che passa i secoli ed i millenni e misteriosamente riappare, come “traditio” della Romanità e del Paradigma platonico della Politèia, comunitaria, gerarchica e misticamente sapienziale, all’alba del XX secolo ed in piena ed assiale Età Oscura, in una esplicita, terribile e barbara rivendicazione di “qualcosa” di primordiale che ha il sapore di  una Rivolta immunitaria della gioventù d’Europa: è la inaudita e blasfema, secondo i dogmi delle tre religioni dominanti: cristianesimo, liberalismo e marxismo, identificazione dello Stato con il Sacro, del Popolo con lo Stato e, quindi, del Popolo con il Sacro, in una gioiosa renovatio della Majestas Populi Romani e della Auctoritas dello Stato in quanto Idea suprema dell’Ordine e della Gerarchia dello Spirito, quasi nella medesima guisa in cui Hegel ne aveva profetizzato l’avvento necessario, come “ingresso di Dio nel Mondo”!

Nel novembre del 1914, immediatamente dopo la sua espulsione dal Partito Socialista, Benito Mussolini rilasciò un’intervista al giornale Il Resto del Carlino di Bologna, in cui affermava testualmente quanto segue: “Io mi chiedo se alla nozione futura di Socialismo si possa coniugare la parola Spirito”; “Io mi chiedo se alla nozione futura di Socialismo si possa coniugare la parola Dio”; e poi di seguito: “Io mi chiedo se alla nozione futura di Socialismo si possano coniugare le parole Patria e Famiglia”! Cosa sono mai potute apparire ai contemporanei tali parole, tali concetti, tali domande che Mussolini poneva innanzitutto a se stesso ed al contempo alla cultura filosofico-politica del XX secolo ed oltre, compreso il nostro? Nessuno infatti può negare o fingere di non vedere nelle medesime una potentissima carica profetica avente ad oggetto la catastrofe fallimentare del Socialismo materialista ed ateo, ultimo figlio di quella lontana desacralizzazione della Res Publica e del Popolo, operata dal cristianesimo quindici secoli addietro ed al contempo la vitale necessità di opporre alle desertificanti “democrazie plutocratiche e reazionarie dell’occidente” (come, sempre testualmente, ribadirà nel giugno del 1940…!) l’Idea di un nuovo ed autentico Socialismo patriottico, inteso quale fortissimo spirito comunitario in quanto fondato e legittimato da un potente legame religioso in cui è centrale la Visione platonica e romana della Res Publica gerarchica e socialista, festivamente gioviale nonché marzialmente guerriera, nel culto della Famiglia quale Sangue e Terra, che sono la convivenza domestica e pacifica di Quirino: se in quei concetti, carichi di una esplosività epocale ancora oggi inimmaginabile, riappare misteriosamente la presenza numinosa della Triade Arcaica di Roma: Juppiter, Mars, Quirinus, al contempo il tutto si fonda, come già aveva realizzato Roma antica, sulla Identificazione del Pubblico con il Sacro e, per lo effetto, del Popolo con il Sacro: noi abbiamo qualche idea della immensa e luminosa prospettiva, radicalmente rivoluzionaria nei confronti di questa putrescente era economicistica, che custodiscono (ed uso volontariamente il tempo presente…!) quelle parole pronunciate nel lontano 1914, nelle quali in nuce vi è tutto l’arcano apparire, in pieno XX secolo, di quel fenomeno epocale, mistico-religioso, sociale e popolare, gerarchico e guerriero nonché radicalmente antimoderno che poi sarà il Fascismo europeo “immenso e rosso”, nei suoi vari e diversificati volti? Noi, che osiamo parlare di Visione, siamo capaci di vedere, nella energia dello Spirito, ciò che passa i secoli ed i millenni e presenta, con nuovi lessici ed altre forme espressive, la medesima Idea dinanzi ai nostri occhi e cuori e ci parla degli stessi Simboli e Miti che con la potenza alata della Parola, Gabriele D’Annunzio evocherà, quale gran Ierofante dello Stato, nell’altra ierofania del Politico come festività gioviale e guerriera nonché sapienzialmente pregna del Numen di Minerva, che è la festività quotidie di Fiume del 1919, che non può che essere il rinnovamento della Felicitas gioviale in quanto viaggio iniziatico di natura eroica di  un’intera Comunità di Popolo e di Guerrieri, di uomini e di donne che osano pensare di e volere “andare oltre” la piccola e meschina Italia clericale, massonica e liberale, senza memoria patria e senza alcuna struttura ossea, ma vile mollusco nelle mani delle “rapinatrici potenze bancarie ed usurarie dell’Occidente” come il Poeta-Soldato le aveva santamente definite. La Visione, quale trittico rivelatore, si chiude, aprendosi però come la fine di un Circolo ne apre un altro affinché si manifesti il Circolo dei Circoli che è l’Assoluto secondo Hegel, nel perfezionarsi di se medesima in un’Ascesi dell’Azione che, muovendo dai concetti mussoliniani del 1914, evocanti un futuro Socialismo mistico-religioso che è il Pubblico identificato al Sacro e quindi al Popolo, come lo aveva visto Roma, si rinnova nella epifania di Fiume e nella sua Politica festiva, come Gioia guerriera e liberatrice dai cascami e dai  miasmi del passato, in quanto è Marte Gradivo che, marciando, giunge di poi alla dimensione più alta dell’Invisibile che appare agli occhi vedenti del visionario nell’Imperialismo Pagano di Evola della fine degli anni 20, in cui si manifesta la Luce di tutta la Teologia dell’Impero che è Teosofia dello stesso in quanto Scienza della sua sacralità ed è pertanto la rivendicazione non solo e non tanto politica ma soprattutto interiore, esoterica, della più autentica concezione indoeuropea del Sacro, la quale, come nell’India arya,  riconosce la Verità ed afferma che, nel momento in cui lo kshàtriya, cioè il guerriero, viene consacrato e quindi elevato alla dignità regale, è il Dio stesso e dinanzi a lui il sacerdote, che è il suo purohita , cioè il suo sacrestano, si inginocchia poiché lo vede e conosce quale Principio supremo cosmico incarnato e, quindi, Rex et sacerdos in quanto Uno, essendo virilità magica che ha riconquistato e quindi possiede la sua Donna che è la sua Potenza, poiché è la sua stessa mano che esegue i Riti così come accadeva in Roma sia con il Rex nell’età monarchica che con il Console in quella repubblicana quanto con il Principe nell’età del Principato: Imperialismo pagano racchiude ed è quindi la sublimazione della Visione, è il “mondo magico degli Eroi”, è la loro riconquista del vertice della Piramide cioè del Sacro, indebitamente usurpato, immiserito e depotenziato, nella sola dimensione psichica, da femminee figure sacerdotali e nuovamente identificato con i Summa e la Majestas luminosa di Giove Ottimo Massimo e la Virtus guerriera di Marte: il Pontefice che è Scienza e Conoscenza, suggerisce il formulario al Console ma è quest’ultimo, che indossa il rosso paludamentum poiché è titolare dell’imperium e dell’Ascesi dell’Azione, che trae gli Auspici ed esegue i Riti di fronte agli Dei, in quanto è il garante della Pax Deorum!

Ciò manifesta la natura guerriera e magico-attiva della Via al Sacro di Roma; il lessicografo Festo, infatti, rivela, nel suo Ordo Sacerdotum, che la gerarchia, nei banchetti sacri, è la seguente: primo è il Rex Sacrorum, subito dopo vi sono i Flamines della Triade Arcaica, che non sono Sacerdoti Pubblici ma, bensì, sono il Sacro, cioè “statue viventi degli Dei” (Plutarco) e pertanto Vita quale esercizio attivo della Via dell’Azione Sacra; dopo è situato il Collegio dei Pontefici che sono degli autentici sacerdoti e sono, come si è detto, la Conoscenza del Sacro in quanto Via contemplativa allo stesso: tale è l’essenza della Tradizione Romana che evidenzia, come non mai, la differenza gerarchica sussistente tra chi è il Sacro in quanto vivente e manifesta identità con lo stesso, virilmente possedendolo ed agendolo e sono i Flamines ed i Pontefici, i quali sono solo la Conoscenza dei Riti e delle segrete formule atte a consentire a chi, agendo e vivendo da principio maschio vittorioso, in senso magico (precisa Evola!), di esercitare il potere inerente il jus agendi cum Diis che è il Rito in quanto Azione suprema e continua di ridivinificazione del Divino il che è come dire creazione perenne della stessa Res Publica.

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