10 Aprile 2024
Esoterismo

La rivelazione di Ermete Trismegisto: le dottrine dell’anima – Giovanni Sessa

A Moreno Neri va riconosciuto un merito indubbio: essersi sobbarcato il gravoso compito di curare la monumentale opera di André-Jean Festugière, La rivelazione di Ermete Trismegisto, della quale è da poco nelle librerie, per i tipi di Mimesis, il terzo volume, Le dottrine dell’anima. Il testo è impreziosito da due Appendici, il Trattato dell’anima di Giamblico e Dell’animazione dell’ embrione di Porfirio, scritti storicamente centrali per approfondire, in termini comparativi, l’argomento oggetto di indagine in queste pagine (per ordini: 02/24861657, mimesis@mimesisedizioni.it, pp. 360 (1277-1648), euro 26,00). Festugière, non casualmente, scelse quale simbolo dell’apoteosi dell’anima la fenice di Dafne, oggi custodita al Museo del Louvre. Tale simbolo non è presente nei testi ermetici ma, due suoi caratteri, rinviano al clima spirituale dell’ermetismo. Innanzitutto, essa è uccello ermafrodita, proprio come il Nous supremo e l’Anthropos, sua scaturigine nell’emanazionismo ermetico. Inoltre, la fenice rinasce perpetuamente dalla proprie ceneri e: «non c’è interruzione tra la sua morte e la sua resurrezione» (p. 1280).   Esplicita, quindi, la continuità di vita nel tempo infinito e, per la sobrietà che la caratterizza, è icona della religio mentis alchemica. La gnosi ermetica è conoscenza del Principio ipercosmico, ma è anche, per l’uomo, conoscenza di se stesso in quanto imago dei, legato all’Origine da un filo aureo. Da tale punto di vista, l’anima presenta tratto problematico: com’è possibile che, pur essendo scaturigine divina, sia precipitata nella materia? A questa domanda risponde compiutamente l’autore attraversando e analizzando molti luoghi del Corpus Hermeticum. Fino alla prima metà del secolo scorso, la maggior parte degli esegeti propendeva per la provenienza orientale delle dottrine gnostiche dell’anima. Grazie a queste pagine di Festugière è, ormai, di chiara evidenza, come tali influenze rappresentino un momento accessorio in tali dottrine, il loro tratto essenziale essendo, al contrario, eminentemente ellenico. Lo studioso francese passa in rassegna e pone a confronto tra loro, per dimostrare tale tesi, un numero considerevole di scritti.

Muove dal De anima di Tertulliano, composto tra il 210 e il 213 e si sofferma sui Placita di Aezio. Giunge al Didaskalikos di Albino e al Trattato dell’anima di Giamblico. L’articolazione interna di tali testi è, sostanzialmente, la medesima e di chiara ascendenza platonica. Essi sono costruiti su quattro parti: natura dell’anima, incarnazione, destino dell’anima incarnata, escatologia. Il medesimo quadro, chiosa l’autore, costituisce anche i momenti della gnosi ermetica, i cui scritti di riferimento, con buona probabilità, furono composti nel medesimo periodo, il II secolo.

L’analisi di Festugière mostra che Tertulliano prese in prestito, per la sua dottrina dell’anima,   tesi allora ampiamente circolanti, relative alla discesa dell’anima nel mondo e al suo processo di ascesa epistrofica. Insomma, egli, al fine di criticare le posizioni dualiste, prese come modello: «il quadro stesso dei sistemi dualistici» (p. 1293). Dal suo scritto si evince la presenza delle posizioni espresse sull’anima dal Sorano, così come la sintonia, in tema, con la raccolta dossografica di Aezio. La IV sezione di questi trattati, dedicata all’escatologia, è originata dalla ripresa di una consuetudine propria dei testi di scuola platonica, che si chiudevano disquisendo attorno a tal argomento: «Ora il quadro così definito è quello stesso che ritroviamo nella gnosi, pagana o cristiana» (p. 1304). Com’è noto, il primo trattato del Corpus Hermeticum, il Pimandro, si occupa della discesa e dell’ascesa delle anime. A proposito della natura dell’anima, a muovere dal paragrafo 12, viene descritta la genesi dell’Anima Prima o Anthropos dal Nous, maschio-femmina, Luce e Vita in uno. La genesi avviene, quindi, da un principio unico, indiviso. L’Anima Prima, per questo: «possiede di diritto tutte le prerogative divine: incorporeità, immortalità, onniscienza […] indipendenza nei riguardi del destino» (p. 1305).

 Tema capitale del Pimandro è la spiegazione della duplice natura dell’uomo, mortale nel corpo ma immortale nell’anima. Nel Corpus si dice che l’Anthropos avrebbe voluto creare, come aveva fatto il secondo Nous demiurgico. Mosso dalla gelosia, scese dal cielo attraverso le sette sfere e, giunto alla Luna, ruppe l’involucro di cui era rivestito. Insomma, egli si unì, innamorandosene, alla Natura. Nacquero i primi sette uomini bisessuati che, una volta separati, formarono i primi uomini e le prime donne. Quindi l’uomo: «da una parte è venuto da Dio […] dall’altra deriva dalla Natura mortale» (p. 1306). Ciò lo ha reso ente, per antonomasia, duplice. Quale scelta spetta al saggio? Quella di riconoscere la propria origine divina, tacitare la dimensione istintiva in sé, al fine di: «conoscersi come venuto da Dio: gnosis Theou e gnosis heautou sono la prima condizione di salvezza» (p. 1307). Se la gnosi è virtù, la agnoia del Principio e del filo aureo rappresentano il vizio da evitare. L’uomo ha di fronte a sé una duplice possibilità: salvarsi in Dio o perdersi nella molteplicità. L’anima incarnata deve confrontarsi, inoltre, con la morte. Cosa accade nel momento del trapasso? Nel Pimandro si dice che il corpo è destinato alla decomposizione mentre il temperamento individuale è abbandonato al daimon, i sensi ritornano alle loro fonti. Invece, l’Anima Prima, ascendendo progressivamente attraverso le sette sfere celesti, giunge nuda al Primo Cielo e così: «entra in Dio» (p. 1309). Il processo di denudazione si completa oltre la dimensione ogdoadica, oltre l’ottavo cielo, dove incontra le Potenze divine: «il fine beato per quanti possiedono la gnosi è divenire Dio» (p. 1310). Che cosa differenzia l’approccio delle Scuole filosofiche da quello degli ermetisti? Festugière è chiarissimo: «da un lato abbiamo un discorso della ragione, dall’altro un discorso di rivelazione» (p. 1310).

Giamblico riporta e discute le tesi sviluppate in tema dalla tradizione. Lo fa con tono distaccato e con la serenità del saggio. Il tono del Pimandro è completamente diverso, qui il maestro invita il discepolo a testimoniare in vita una visione! La verità non è conquista argomentativa, ma rivelazione di un Dio: «un fuoco brucia ora, che deve illuminare il mondo» (p. 1313). Ciò che nelle scuole era presentato come insegnamento, nel Corpus assume le vesti del mito, il pensiero torna al mito.

La dimostrazione platonica dell’immortalità dell’anima è rimpiazzata dal racconto mitico della discesa dell’Anthropos fino alla Natura, poc’anzi ricordata. Tale spostamento verso la rivelazione e il mito fu, a dire di Festugière, conseguenza del cambiamento delle menti prodottosi durante l’età ellenistica. Alcuni uomini non erano più soddisfatti della pura theoria contemplativa appresa nelle Scuole e miravano a una dottrina che fosse anche un modo di vivere, un mezzo per raggiungere Dio, per farsi Dio. Pertanto, questo terzo volume de La rivelazione di Ermete Trismegisto è essenziale nell’economia generale dell’opera dello studioso francese.

Giovanni Sessa

 

 

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