10 Aprile 2024
Musica

La musica Principio e Via della Tradizione – Walter Venchiarutti


di Walter Venchiarutti

 

Marius Schneider (1903-1982) insigne etnomusicologo contemporaneo di origini alsaziane ha esaminato i rapporti esistenti tra le allegorie e i fenomeni musicali presenti nelle civiltà tradizionali (Occidente premoderno, India, Africa). L’autore, negli anni ’80 è stato docente all’Università Berlino, Barcellona, Colonia (1955-68) e Amsterdam (1968-70). Con i suoi interventi si è fatto conoscere dal pubblico italiano attraverso le traduzioni di Elémire Zolla. Numerosi saggi di Schneider sono apparsi sulla rivista Conoscenza Religiosa (1969-1983), prestigioso periodico che, sotto la direzione dello scrittore e filosofo torinese, per due decenni ha rappresentato una vera vetrina internazionale ospitando i più famosi nomi di storici delle religioni, studiosi di sciamanismo e conoscitori di lontane tradizioni misteriche. Tra i molti autori sono da ricordare: Henry Corbin, Seyyed Hossein Nasr, Guido Ceronetti, Margarete Riemschneider, Titus Burckhard, Hananda Kentish Coomaraswamy, Marco Pallis, Abraham J. Heschel, J. Ducan Derrett, Cristina Campo, Jorge L. Borges, Giuseppe Sermonti, Hans Sedlmayr, Grazia Marchianò, Margarete Lochbrunner, Mino Gabriele, Leo Schaya e molti altri.

Nei primi libri: “LA MUSICA PRIMITIVA” (1992) è IL SIGNIFICATO DELLA MUSICA” (1970) l’autore spiega l’essenza musicale dell’uomo, le connessioni esistenti tra rito-sacro-musica e l’alba del mondo generato dal suono. La potenza creatrice espressa dalla vibrazione del Verbo poggia su indiscusse basi atte a confermare l’unità trascendente delle religioni ed è: in Egitto il sole cantante, nei Veda l’inno di tre sillabe, nell’Islam il virtuosismo vocale che accompagna la recita del dhikr, l’enunciato evangelico di Giovanni: “in principio era il Verbo” (Gv 1, 1-18). E ancora le origini del canone polifonico primitivo, fondato sull’idea dell’inseguimento e del cacciatore, le imitazioni magiche di voci animali con le quali il musicista primordiale affatturava la selvaggina e accedere al simbolismo zooforo “ANIMALI SIMBOLICI” (2002). Da maestri tradizionali come i tamburini del Marocco, gli stregoni mongoli esperti nelle pratiche di percussioni rituali e da certi maghi negri lo Schneider ha osservato, appreso e descritto l’arte di incantare uomini e serpenti. Nella sua opera la metodologia differisce da quella dei soliti ricercatori occidentali. Il modo d’ascoltare e sentire i ritmi, le linee melodiche, i suoni della natura non assomigliano affatto alle relazioni composte da analoghi studiosi. Inoltrarsi in questa lettura comporta rischi. Non è la solita scorrevole storia della musica e degli esecutori che si è abituati ad assimilare. Svaniscono le certezze, crollano le opinioni prestabilite. Le primitive litanie non avvallano più il giudizio di ripetitive e insignificanti canzoni. Non a torto Zolla afferma quanto sia “abbastanza naturale che l’opera di Schneider generi sgomento”. Grazie alla conoscenza delle scienze sacre si palesano i sistemi simbolici arcaici di origine musicale. Vengono evidenziate le sorprendenti analogie che investono tradizioni siberiane, cerimonie magiche africane e danze rituali spagnole. Lo sciamano, lo stregone, il miste è colui che ha imparato a conoscere la musica dell’universo e ha acquisito la capacità di farla diventare la sua voce. Le stazioni dell’essere, gli eterni giri danteschi: nascita/solstizio, vita/malattia, morte/trapasso hanno innegabili corrispondenze e si relazionano alle tre fasi dell’iniziazione: labirinto/notte, battaglia/ascensione, incontro natura divina /umana. L’uomo ritorna alle origini ogni volta che s’accosta alla morte sia essa rituale o reale. Tale singolare ricerca non ha collegamenti con scuole o lavori precedenti. Si deve poi considerare che quanto pubblicato costituisce una minima parte del corpus dell’insegnamento orale. Ascoltare i ritmi, esaminare i monumenti sapendone trarre le melodie, cogliere i messaggi sonori lanciati della natura costituiscono le fondamenta di una educazione iniziatica orientata a catturare la musica occulta che si cela nell’universo, ma solo per “Qui habet aures audiendi, audiat”.

PIETRE CHE CANTANO” (1976) è un testo tra i pochi in grado di segnare la vita di un lettore. La sua scoperta straordinaria sopraggiunge quando, grazie all’attento esame condotto nei tre chiostri benedettini di stile romanico delle cattedrali catalane di S. Cugat del Vallès, di Santa Maria a Gerona e di Santa Maria di Ripoll, formula il principio secondo cui “il posto di volta in volta occupato da ogni capitello nella successione delle colonne non è mai casuale, ma è sempre determinato da un ritmo globale musicale o ideologico” (p.2, Ed. Archè). Le immagini ornamentali degli animali, tradotte in note compongono la melodia per gli inni gregoriani dedicati a San Cacufane e alla Santissima Vergine. “Gli animali fungono da intermediari tra gli dei e i mortali perché la loro espressione fonetica è più vicina alla lingua originaria di quanto non lo sia il discorso articolato dell’uomo” (p.10). Dalle figure rappresentate sui capitelli assegnando a ciascuna una nota musicale in base alle conoscenze tratte dai testi indù sono decifrate e ricomposti gli spartiti di altrettanti inni gregoriani. Alcuni esempi, pur semplificando notevolmente le corrispondenze nota musicale/animale vengono ottenute dalle equivalenze tratte dalla tradizione musicale vedica secondo cui: il FA corrisponde alla tigre o alla capra, il DO all’aquila o all’elefante, il SOL alla gru, il RE al pavone, il LA agli uccelli canterini, il MI al toro, il SI al pesce o al cavallo. Il linguaggio primigenio creativamente prende forma dinamica e concretizza le cose nominandole. Attribuendo ed emettendo un puro suono ritmato si compie un sacrificio di suoni. Dalla statuaria simbolica è possibile, seguendo il percorso inverso, risalire alle musiche che antichi maestri hanno scolpito e le silenti pietre prendono il potere di trasformarsi in loquaci veicoli canori.

1 Comment

  • Gaetano Barbella 10 Agosto 2020

    La Cattedrale di Chartres, in Francia, che sorge su di un poggio, circondato da una galleria sotterranea, è un grande santuario del Cristianesimo e culla di uno più celebri ed antichi pellegrinaggi.
    Sono molte le cose che fanno di questo luogo di culto un singolare gioiello dalle molteplici sfaccettature che la rendono in modo straordinario una pietra filosofale rifulgente. Una di queste sfaccettature fa di questa cattedrale un singolare strumento musicale, una “pietra che canta” per legarci al tema caro a Marius Schneider a commento.

    Traggo dal libro di Luois Charpentier – I Misteri della cattedrale di Chartres. Capitolo Il mistero musicale.
    Traduzione Adriana Respino – Pp. 57, 58, 59 e 60 – Arcana Editrice, Torino, 1972, le seguenti note:

    A 37 metri, altezza imposta, fu elevata la più alta volta gotica che fosse mai esistita; e fu nell’armonia che si preparò la pianta al suolo. Furono inscritte chiaramente la disposizione del fabbricato in verticale, in quattro linee orizzontali contrassegnate da leggere cornici. Dalla base al culmine della volta quattro piani si furono sovrapposte in un assottigliamento progressivo. Alla sommità, sembra che la volta penetrata dalle finestre alte non stia che su delle sottili colonnette di pietra. Il reale sostegno che sono gli archi rampanti si posa solidamente fuori dell’edificio…
    In basso sono i pilastri massicci, alternativamente rotondi ed ottagonali, separati da quattro colonne alternativamente rotonde e ottagonali, queste affiancate ai pilastri ottagonali, quelle ai pilastri rotondi; tutti coronati da capitelli da cui hanno inizio le ogive della volta delle navate laterali e i mezz’archi delle arcate. Le sommità di questi capitelli costituiscono la prima linea orizzontale. Sopra le arcate, alla base del triforium, una sottile cornice contrassegna la seconda linea orizzontale. Una terza cornice orizzontale, sopra le arcate del triforium contrassegna la base delle grandi finestre gemellari coronate da un rosone.
    Infine la base di partenza della volta è data da una linea di piccoli capitelli che costituiscono la quarta linea orizzontale…
    La geometria del piano di elevazione così stante diventa totalmente musicale.
    La linea più alta, quella dei piccoli capitelli della base della volta, è situata a 25,50 m. o quasi.
    Se sull’assonometria dell’alzata – la «sezione» del vuoto della nave – si unisce il punto alto all’angolo della base opposta, si ottiene con la base e il lato, un triangolo equilatero di cui uno dei lati dell’angolo retto misura 14,78 m. e l’altro 25,50 m. circa. Se si calcola la lunghezza dell’ipotenusa si ottiene una cifra molto vicina a 29,50. Ora il doppio di 14,78 è 29,56. Si può dunque ammettere, in prima ipotesi, che questa ipotenusa sia realmente di 29,56 m., cifra che rappresenterebbe geometricamente l’ottavo della base di 14,78 m. I piccoli capitelli della base della volta dovrebbero allora trovarsi non a 25,50 m. ma a 25,56 m. In semi-cubiti di Chartres la base sarebbe di 40 e l’ipotenusa di 80. Il tracciato al suolo con la sola misura e cordicella darebbe l’altezza dei capitelli all’inizio della volta. Questo triangolo è la metà del triangolo equilatero; è il «triangolo divino» di Platone e questa constatazione platonica conduce alla ricerca delle medie armoniche.
    Se cerchiamo la media aritmetica tra le due lunghezze 40 e 80, otteniamo: (40 + 80)/2= 60. È l’intervallo di quinta compreso tra 40 e 80.
    E se costruiamo ora, sul piano di sezione dell’alzata, il triangolo rettangolo avente per base 40 e per ipotenusa 60, otteniamo sul lato un punto situato a: √602²- 402² =√2000= 44,72. Ora 44,72x 0,369 = 16,50.
    E 16,50 m., è l’altezza della seconda linea orizzontale, quella situata alla base del triforium. Quinta e ottava. Questo fatto spinge a cercare tutti gli intervalli della gamma.
    Si sa che in una gamma gli intervalli delle note non sono uguali ma corrispondono a rapporti, generalmente semplici tra loro, e interi.
    L’altezza dei capitelli del coro, 9,79 m., corrisponde alla terza. L’altezza della cornice sotto il triforium, 16,50, corrisponde alla quinta e l’altezza dei capitelli di base della volta, 25,56, corrisponde all’ottava. Non mi sembra che la seconda sia stata indicata. È possibile che la quarta 13,38 m. corrisponda all’altezza della volta dei mezz’archi. Dal momento che sulla cornice si trovano, alla base, delle alte vetrate, un dubbio persiste… Nessun autore, nessuna pianta sono molto precisi sulla sua altezza esatta. Infatti sembra che invece di utilizzare l’intervallo di 9/5 per la settima, intervallo di gamma minore, il maestro di bottega abbia utilizzato quello di 14/8 che è un intervallo di gamma maggiore. Uno specialista dell’armonia risolverebbe senza dubbio questo piccolo problema. Appare evidente infatti, dopo misure e calcoli, che la lunghezza utilizzata sia: 40 x 14/8 = 70, cioè in metri: 25,83, misura che situerebbe l’altezza del cordone a 57,446, cioè in metri: 21,19. Ci si rende bene conto che se il calcolo sembra complesso, la realizzazione su assonometria tracciata al suolo si effettua con la massima facilità con una cordicella e una misura per semplice addizione di misure nella progressione: 40,48,60,70,80.

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