10 Aprile 2024
Musica

Verso la musica divina: note a margine del saggio di Antonello Cresti “La musica e i suoi nemici” – Roberto Siconolfi

In un’epoca di dissoluzione a più livelli, a cominciare dal tessuto cognitivo stesso dell’uomo, in un’epoca di conformismi nauseanti, di banalità e ridicolezze di ogni sorta, in quest’epoca, anche la musica, l’arte e la creatività sono sotto attacco. E a quest’attacco, l’uomo “centrato”, consapevole, “sovrano di sé”, l’uomo integrale e creativo, o più semplicemente l’“uomo”, non può che rispondere con altrettanta volontà “distruttiva”.

Distruggere per ricominciare

La distruzione è una cosa seria! Una scienza, una capacità, un’arte, una connessione con le energie sottili della realtà, e che potremmo collegare allo Shiva della trimurti indù, il “distruttore”, o meglio il “trasformatore”. Perché ogni distruzione provoca invero una “trasformazione”, un ripristino dello “stato di ordine”, un riavvio della realtà in un nuovo ciclo. Ecco, il saggio di Antonello Cresti La musica e i suoi nemici (Uno editori, 2020) va in questa direzione! Cresti li menziona tutti i feticci della musica e della gioventù contemporanea che vanno letteralmente bruciati in questo rogo sacro della spazzatura postmoderna. Dai mostri di laboratorio della Trap o dei Talent, ai fighetti dell’Indie, alla ribellione finto stracciona alla Manu Chao-Primo maggio-Centro Sociale Okkupato, ai noiosissimi ambienti chiccati del Jazz, alle esterofile congreghe della World Music, fino all’esibizionismo ingessato di quel che resta della musica sinfonica. E’ questo lo stato attuale della musica! E non c’è da fuggire, da criticare o da giudicare, ma semplicemente da prenderne atto “andando oltre”, e farlo provocando, spezzando il “politicamente corretto artistico” e tornando soprattutto ad essere sé stessi e a vivere la propria vita – non quella fabbricata dalle società di marketing, dai media e dalle novelle scuole-azienda “politicamente corrette”. Tornare a dare dignità alla musica come dice lo stesso autore,  ad essere creativi, a fare arte! Perché la musica e l’arte non è, almeno non solo, fenomeno commerciale, né tantomeno psicologico o sociale: la musica è “scintilla”, un attimo di intuizione, di connessione divina!

Schifosamente conformisti…la ribellione capitanata dalla élite!

Aspetto fondamentale messo in luce dal saggio di Cresti è quello del conformismo/ribelle di tutta una generazione di musicisti, i quali riecheggiano gli slogan scritti dalle grandi multinazionali e funzionali allo status quo, e lo fanno apparendo ribelli, appunto, e contrapponendosi ai nemici fabbricati dalle élite (Trump, Bolsonaro, Orban, Salvini, Meloni, ecc.). E’ la differenza che fa Fukuyama nella sua semplificazione élitistica della realtà “da un lato ci sono le élite e dall’altra i fascisti”! Ecco, queste band, questi divi, questi personaggi della musica, da veri e buoni cortigiani di tali élite, gridano costantemente al fascismo, al razzismo, al negazionismo e all’analfabetismo funzionale, e perdipiù come atto di “ribellione”. Ma se il conformismo è la veste del cortigiano, lo è pure dell’“uomo/massa”, dello schiavo, il quale, parafrasando Julius Evola, non è schiavo perché “costretto” a faticare al servizio di qualcun altro, ma proprio perché “concepisce” la vita come fatica al servizio di qualcun altro.  E se togliamo “fatica” e inseriamo “conformarsi” fa lo stesso. Con la sottile differenza che mentre gli schiavi dell’antichità faticavano “per” le piramidi, quelli della postmodernità “sono” la piramide! E non ultimo quel “manichino scarabocchiato” eletto a paladino della lotta alla censura in RAI. Censura? Ma la TV avrebbe bisogno di un po’ di censura, e quella “vera” alla vecchia maniera! In quel marasma di disinformazione, frivolezze e lascività che dispensa a qualunque ora del giorno – salvo poi mettere il bollino rosso agli erotici della mezzanotte! Eh già, perché dalle delizie della società odierna e postmoderna si erge un vero e proprio “puritanesimo invertito”, nel quale è obbligatorio adempiere ai nuovi e relativi principi religiosi.

E se il vecchio puritanesimo era bigotto, moralista, ipocrita, anche quello di oggi lo è. Tuttavia sostituisce al “vietato scopare” degli anni addietro il vietato “non” scopare di oggi – tranne se politicamente scorretto – svilendo la stessa natura divina e creatrice dell’eros, e riducendo l’uomo e la donna a mera corporeità da accoppiare come in zootecnia. Detti, luoghi comuni, stereotipi, scemenze di ieri e di oggi, alla costruzione di questo polpettone di ignoranza e idiozia hanno contribuito tutta la “cultura della liberazione” degli anni ’60-’70 – più precisamente la sua fase terminale e degradata – e le trivialità degli anni ’80 e ’90 in particolare insediatesi in Italia nelle reti Fininvest, come giustamente annota Cresti. Traslando l’analisi dalla musica alla società giovanile possiamo dire che il sinistrato – e pure il destroide – da Centro Sociale e il fighetto/tamarro alla sesso-soldi-successo sono due lati della stessa medaglia. Sono le due maschere del “fesso postmoderno”, alla disperata rincorsa dell’effimero, dell’evasione, della fissazione. Categorie su categorie, etichette su etichette, giudizi soggettivi e morali di ogni sorta che “manco l’inquisizione”, tutto pur di non essere sé stessi e guardare in faccia alla realtà! Fanno i trasgressivi, ma quando li conosci da vicino sembrano “un tran tran da vecchie zitelle, unite in un culto comune, caste, inacidite, pettegole, e che si ritrovano scandalizzate quando si parla male della loro religione” (cit. Drieu La Rochelle – Fuoco Fatuo); ignavi, sempre pronti ad abbassare alla loro mediocrità chi spicca, a incanalare in binari prestabiliti ogni forma di creatività – artistica, intellettuale, umana, ecc. Persino la concezione delle droghe è fasulla in questi soggetti, come annota il Cresti. Abbiamo passato epoche, infatti, dove le sostanze psicotrope costituivano la porta d’accesso verso “piani di esistenza” non ordinari, il collante di determinate subculture giovanili, lo strumento di nichilistiche volontà autodistruttive, di creatività “aumentate” e di tentativi di socialità o asocialità, seppur opinabili.  Ebbene, questi manco lo sanno perché si drogano. Parlano di sostanze con la stessa ordinarietà di una massaia che va a fare la spesa. Completamente idioti anche nello sballo, sono più artificiali di una droga sintetica!

Trasgressivi? Ma meglio preti e monache!

Uno degli inganni maggiori del nostro tempo, l’ennesima Grande Truffa del Rock’n’Roll alla Malcolm McLaren, e ben messo in luce dal Cresti, è quello della trasgressione. La maggior parte di questi gruppi e personaggi del mondo musicale seppur lo sembrano non trasgrediscono proprio nulla, e comunque non il “sistema”, anzi loro “sono” il sistema. La trasgressione all’insegna di certe tematiche e stili di vita era possibile quando ancora vi era un asse di valori introno al quale ruotare (la religione cristiana, le ideologie politiche, la famiglia, l’individualismo borghese alla vecchia maniera), di conseguenza esisteva una zona “effettivamente” trasgressiva (da transgredi “andare oltre”), la quale viveva “oltre” questo asse. Oggi che invece l’asse è costituito dall’edonismo – un edonismo di stampo mercantilistico-neorelgioso – dal culto, o meglio schiavitù, dei sensi, dei chakra (centri di energia) bassi dell’ìndividuo – gli impulsi, la venialità, il sentimentalismo (vedasi buonismo) –, oggi è l’“uomo virtuoso” il trasgressivo! E a questo uomo virtuoso, con tutto ciò che concerne il Covid, aggiungiamo il “dotato ancora di pensiero logico”,  simbolo di un potere gerarchico e autoritario. Caratteristica da abbattere per i nuovi “ribelli della pulsione”, che invece vorrebbero un mondo di emotività, strepitii e lamenti – “come si permette questa logica di dirmi quello che devo fare? La mente è mia e faccio quello che voglio!”  Bersaglio fondamentale della musica contemporanea, o meglio dei “nemici della musica contemporanea”, è la qualità. Cominciando dai Trapper con le voci robottizzate, quantizzate, standardizzate dall’Autotune – caratteristico effetto vocale –, riconoscibili per quella maledettissima timbrica altrettanto riconoscibile per la sua cacofonia snervante, da aprirgli la gola e strappargli le corde vocali – Autotune compreso. Proseguendo per tutta quella spazzatura stereotipata commerciale che è la musica passata dalle radio e che fa rimpiangere la dance anni ’90; per giungere sino alla musica colta – dal jazz alla sinfonica – la quale subisce gli effetti omologanti e mediocrizzanti del virtuosismo professionale, della scarsità di investimenti, del formalismo da serata di gala e perfino delle raccomandazioni.

L’uomo è peggiorato – Sulla qualità

In questo quadro uno degli elementi da cogliere, forse quello principale, è quello di tipo antropologico. La musica è peggiorata, perché come annota il Cresti è frutto di apatia, mancanza di carattere e soprattutto, aggiungiamo, l’“uomo è peggiorato”, o meglio decaduto; secondo un moto temporale che non è lineare ma “circolare”, e per il quale non si “evolve” verso un futuro aureo, ma si “decade” da un passato aureo. E per peggiorata non intendiamo giudicare il tipo di musica vigente, alla maniera dei puritani appunto, i quali giudicavano il rock o il punk come “musica del demonio”. Cosa tra l’altro che se depurata di quello sfondo religioso ha una sua parte di verità, in quanto il rock e i suoi derivati rappresentano il “caos” per eccellenza, in ambito vibrazionale, musicale e socio-antropologico. Per peggiorata si intende che oramai la musica di oggi è scarica! E’ scarica di energia, al pari della cosiddetta cultura e dei cosiddetti intellettuali di punta dell’egemonia culturale a banda unica: questa musica è frutto di un “pensiero morto”, e per pensiero non intendiamo la capacità logica ma la “forza” pensiero. Non c’è fiamma in questi personaggi, non c’è vita, non c’è luce, le loro menti sono oscurate, le loro anime inabissate, i loro virtuosismi, le loro audiofilile, le loro spocchie creano distanza, repulsione; le loro composizioni sono stanche, ripetizioni di forme stanche ad opera di gente stanca, o “morta” per meglio dire! Non  si investe in musica e in cultura – con la cultura non si mangia! Cortezza mentale, e pure di portafogli, dell’homo oeconomicus, o più semplicemente “le rughe han troppi secoli oramai, truccarle non si può più” (cit. Lucio Battisti). Certo è che “abbassare le aspettative di fronte a una manifestazione creativa significa schiacciare la componente animica dell’uomo sotto il peso della totale assenza emotiva, relegandolo all’essere un individuo senza identità, buono solo a consumare e produrre” (pp. 87-88).

Ma poi che economia? Molti di questi soggetti non sanno manco organizzare bene uno spettacolo e manco far soldi! Cresti riporta un articolo di Enrico Ruggeri sulle capacità di profitto di uno dei tanti trapper bene in vista, e nota come facendo le dovute proporzioni, analizzando gli utili prelevati da Spotify, egli guadagnasse meno della sua baby sitter. E’ il “like” che interessa, nemmeno più il profitto! Un tripudio di stupidità egoica, talmente stupida da non essere in grado nemmeno di tutelare i propri interessi!  Genio e sregolatezza? Ma anche no!  Sono talmente stupidi e ripiegati nel ventre molle dell’Occidente decaduto, che malmenarli per bene potrebbe avere un effetto salvifico. Anziché coccolarli e disquisire sulla loro “tecnica” e sui loro “caratteracci” – ma dove poi?! – una bella “paliata”, si direbbe a Napoli, e forse qualcuno lo riprendiamo! Ora, che tutto ciò sia voluto o meno lo lasciamo all’eterno dibattito tra cospirazionisti e anticospirazionisti, noi più utilmente prendiamo atto dicendo che questo è un passaggio necessario, una cenere, un morte dalla quale risorgere. E risorgere per tornare al punto di partenza, ma ad un livello superiore, laddove la circolarità del tempo da noi menzionata diviene “spirale evolutiva”.

L’arte, dono degli dei!  L’uomo nuovo, la nuova élite, il nuovo ciclo

E il punto successivo è il ritorno all’arte divina, un “nuovo ciclo” per delle “nuove élite artistico-culturali”, la cui capacità è appunto quella di “connettersi” al divino. Queste nuove élite, già oggi hanno il compito di condurre in vita la “propria” vita, adempiendo al loro dharma di artisti, musicisti, uomini di cultura, “contro tutto e tutti” se necessario, contro le condizionalità economiche e culturali della società del mercato e del “politicamente corretto”. Questa nuova élite trarrà giovamento dalla postmodernità e da alcuni dei suoi indiscussi prodigi, da tutte le sue innovazioni tecnologiche – giustamente notate dal Cresti nell’ambito musicale – e dai suoi nuovi orizzonti di nicchia, o meglio da tribù postmoderna! (cit. Michel Maffesoli).  Tribù di creatori, amatori, appassionati veri di musica. Tribù nelle quali la musica viene “coltivata”, recuperando la sua aura magica, “divina”!  Per Antonello bisogna “concentrare le nostre vite su ciò che amiamo” (p. 32), “facciamo valere allora la nostra diversità al massimo livello, cercando di valorizzare con ogni forza le nostre modalità espressive […] Nel culto della propria diversità, anche della “stranezza”, perché no, si può fuggire dalla stretta cinghia del successo e divenire però ‘importanti’, realizzare qualcosa che non si brucia nella fiammata dell’attimo, ma che carsicamente continuerà a riemergere continuamente, poiché, come Tolkien ben sapeva, ‘le radici profonde non gelano’” (p. 132).

La sfida è ardua ma “il gioco vale la candela”, pure dal punto di vista strettamente pragmatico. Perché a non seguire le suddette condizionalità si riguadagna innanzitutto la propria vita, e vivere la propria vita è un’altra cosa del vivere quella altrui o dettata da altri. E’ un continuo stare nella gioia, nel fuoco divino, “nel” divino, ovvero all’interno dell’unico piano di realtà possibile, quello che collega la terra “al” divino.  Le nuove élite artistico-culturali avranno il compito di distruggere l’attuale panorama culturale e di farlo attraverso la forza del bene, di ciò che è “giusto, buono e bello”. Magnetica luce positiva, che come in un “caos rigenerante” ma illuminato dal “raggio solare” rimette l’asse al centro, “ripristinando l’ordine”, e portando tale luce laddove la luce potrebbe sorgere ma ha bisogno di stimoli e anche laddove impera l’oscurità! Soltanto da questo fuoco distruttore e rigenerante è possibile “andare oltre”, e ricostruire tutto. Ricostruire tutto ma dopo aver incenerito La musica e i suoi nemici!

Roberto Siconolfi

1 Comment

  • Primula Nera 12 Giugno 2021

    Antonello Cresti è uno dei migliori critici musicali in circolazione (perlomeno in Italia).Ho apprezzato molto il bellissimo “Come to the sabbath”(dove mostra un’enorme conoscenza della musica underground britannica) e “Lucifer over London” (per quel che ne so,l’unico testo in italiano dove si parla in modo approfondito di neofolk inglese).
    Non ho ancora acquistato i suoi libri riguardanti il folk anni’60 e il kraut rock, ma prima o poi lo farò(così come il libro che presentate nell’articolo).
    Concordo sull’abbassamento generale della qualità artistica della musica proposta negli ultimi anni (specie tra le nuove leve).
    Credo ,però, che la questione riguardante il conformismo e il finto ribellismo che anima attualmente tanta musica rock(e suoi dintorni) abbia radici più profonde e trascenda la qualità artistica proposta (ad esempio gente come i Radiohead ,autori di musica di eccellente qualità, risultano insopportabilmente retorici e banali quando parlano di politica).
    Da che mondo e mondo la stragrande maggioranza degli artisti(veri o presunti)fiuta i desiderata del potere e ci si adegua ; parlare in modo discordante (rispetto alle lobbies d’interesse che dominano il nostro mondo) di tematiche come l’immigrazione o l’ideologia gender, potrebbe significare la fine della carriera per un musicista(o uno scrittore, un attore, etc) ; nella migliore delle ipotesi subirebbe boicottaggi o assalti delle squadracce dei centri sociali….
    Questi sono i paradossi di un mondo(il nostro) che si definisce democratico , ma che sempre più mostra il suo carattere autoritario e totalitario. E che ha anche la faccia tosta di denunciare come liberticidi i governi di Russia ,Turchia o Nord Corea …

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