11 Aprile 2024
Filosofia Ermetica

La bussola e la mappa – Vittorio Varano

Abbiamo l’abitudine dell’astrazione, che non consente l’attenzione ( che consiste nel guardare senza generalizzare ) ; quando ci poniamo le due domande approssimativamente equivalenti “l’essere umano è o non è immortale ?” e “l’essere umano ha o non ha un’anima ?”, siamo naturalmente portati a supporre che la risposta giusta sia una delle due contrarie, o quella affermativa ( “l’essere umano è immortale” ossia “l’essere umano ha un’anima” ) oppure quella negativa ( “l’essere umano non è immortale” ossia “l’essere umano non ha un’anima” ) ; ma entrambi gli enunciati sono ellittici, ed esplicitando i quantificatori logici andrebbero riformulati così : “ogni essere umano è immortale” ( ossia “ogni essere umano ha un’anima” ) e “nessun essere umano è immortale” ( ossia “nessun essere umano ha un’anima” ) ; risulta evidente che non è applicabile il principio aristotelico del terzo escluso, perché tra il quantificatore universale affermativo “ogni” e il quantificatore universale negativo “nessun” c’è il quantificatore esistenziale “qualche”, a cui corrisponde la possibilità intermedia “qualche essere umano è immortale” ( ossia “qualche essere umano ha un’anima” ). Estendendo la questione dagli esseri umani fino ad includere tutti gli esseri, viventi e non, animati o inanimati, la domanda diventa questa : “gli enti appartengono solo alla dimensione materiale o anche alla dimensione spirituale ?” ; anche in questo caso commettiamo lo stesso errore : se siamo materialisti crediamo che tutti gli enti appartengano solo alla dimensione materiale, se siamo spiritualisti crediamo che tutti gli enti appartengano anche alla dimensione spirituale, e scartiamo l’ipotesi che alcuni appartengano solo alla dimensione materiale, altri solo a quella spirituale, ed altri ancora ad entrambe ( semplificando per comodità espositiva, altrimenti sarebbero : materiale, animica, spirituale, materiale-animico, animico-spirituale, materiale-animico-spirituale ). Gli oggetti ostruenti asportabili occupano come elementi ornamentali e riempitivi gli spazi che restano vuoti nei punti in cui non combaciano completamente e s’incastrano male i mattoni del muro del mondo. Il mondo è un arazzo ricamato con filo di lana grezza su pannelli di stoffa tessuta a grana grossa, un paesaggio dipinto ad affresco sulle pareti interne del palazzo dove l’uomo è imprigionato, costruite come le mura ciclopiche che le civiltà arcaiche edificavano in epoche remote con blocchi e lastroni di pietra di forme irregolari, senza calce e malta a cementarli. Nel palazzo ( che più che un palazzo è un castello ( che più che un castello è una reggia )) si susseguono ambienti diversi : camere, cantine, corridoi, cortili, giardini, locali, saloni, sgabuzzini, stanze e vani vari, etc. ma non s’incontra neppure una porta. Il groviglio intricato in cui si snoda la loro sequenza disegna sul pavimento del palazzo il tracciato di un labirinto pieno di vicoli ciechi, in agguato dietro ogni angolo, dopo ogni svolta una strada interrotta, la fine di una direzione, una barriera naturale oppure una barricata artificiale che blocca il cammino.

La difficoltà di muoversi nei suoi cunicoli spinge alcuni a sedersi a gambe incrociate e chiudere gli occhi, non rendendosi conto che la ricerca di un rifugio personale in cella d’isolamento è un ripiego rispetto al progetto di fuga dal carcere : non si tratta di ignorare il mondo ma di uscirne, di incedere fuori dei suoi confini inoltrandosi realmente all’esterno ; attenuarne l’evidenza non è attuare l’evasione : la presa di coscienza del carattere illusorio del mondo ha un’efficacia limitata al livello cognitivo, e neanche l’eventuale conseguente ( ammesso e non concesso che il nesso ci sia ) venir meno dell’attaccamento emozionale nei suoi confronti, costituisce un effettivo risveglio salvifico, ma tutt’al più una liberazione esclusivamente affettiva. Gli osservatori del cielo ( Pitagora, Parmenide, Platone, Plotino, etc. ) e i coltivatori della terra ( Anassimene, Anassimandro, Anassagora, Aristotele, etc. ) non sono due corporazioni in competizione, perché per raggiungere una meta ci vogliono due cose : una bussola e una mappa ; gli osservatori del cielo ci forniscono la bussola, i coltivatori della terra ci forniscono la mappa. Secondo i terrestri, la maggior vitalità del pianeta rispetto al satellite, è un dato di fatto immediatamente evidente, che neppure vale la pena di stare a discutere : è sufficiente darsi un’occhiata intorno, per rendersi subito conto che qui si è letteralmente circondati dalla vita, e solo una stirpe di stravaganti come i lunari può ostinarsi a sostenere la superiorità del paesaggio dove abitano ( che è oggettivamente uno sterile deserto, mai innaffiato né dal cadere della pioggia, né dal disciogliersi di nevi e di ghiacciai, né dall’alzarsi delle onde di marea degli oceani, né dallo straripare dei fiumi ) rispetto alla lussureggiante rigogliosità di un globo immerso nell’acqua, intriso d’acqua, da essa fecondato e reso fertile. Però, dal punto di vista dei lunari, il problema, in questi termini, è malposto : non si tratta di mettere a confronto i due corpi celesti, ma i loro abitanti. Che la terra sia un cosmo vivo e la luna invece sia un enorme sasso ( morto se un tempo fu vivo, o fin da sempre inanimato, se quella attuale è la sua condizione originaria ), è del tutto fuori discussione ; ma proprio per questo i lunari sono più vivi dei terrestri, perché non potendo contare su una vita esterna da cui estrarre le sostanze nutritive per alimentare il proprio calore organico, sono obbligati a mantenere costantemente acceso in sé un fuoco autonomo. Insomma, ciò che i lunari rinfacciano ai terrestri, è il loro rapporto di dipendenza, la loro natura di specchi, capaci soltanto di riflettere qualcosa che già esiste ; in un certo senso, per entrambi il mondo è un libro, ma mentre per gli uni è un libro da scrivere, per gli altri è un libro da leggere ; l’errore comune ad ambedue è il non considerare che sia per scrivere che per leggere non serve né fuoco né acqua ( non dobbiamo dimenticare che quella che brucia dentro i lunari è una fiamma invisibile che illumina soltanto l’interiorità, perché essendo immateriale non oltrepassa la circonferenza della psiche, e si proietta esclusivamente sul non trasparente schermo dell’ego, rivolto a ritroso verso il centro della sfera ) ; la conseguenza è che l’effettiva misura della vitalità è la vicinanza alla sorgente della luce.

Siccome la luce viene dal cielo, lungo la storia sono esistiti alcuni terrestri ( scomunicati come eretici dai propri complanetari ) che, convinti così facendo di diminuire la propria distanza da esso, staccatisi dal suolo si sono sollevati a mezz’aria per spostarsi sulla luna, che stando a quanto dicono, sarebbe collocata a metà strada tra qui e lì. La replica della stragrande maggioranza della popolazione è che il cielo è dovunque, e che non è dunque possibile esserne lontani, né più né meno, né molto né poco. L’errore comune ad ambedue è confondere il sole col cielo, e credere che a generare la luce sia ogni suo punto, e non piuttosto uno ben preciso ; la conseguenza è che l’effettiva misura della vitalità non è la vicinanza al cielo ma al sole. E così alla buon’ora si giunge alla conclusione, e si capisce perché la disputa andrà avanti a oltranza : quando la luna si trova tra il sole e la terra, ad aver ragione sono i lunari ; viceversa, se nell’allineamento tra i tre è la luna che viene a trovarsi sul lato opposto , è la terra ad occupare una posizione mediana, e la ragione passa dalla parte dei suoi abitanti. Il motivo del mancato accordo è la mancanza di memoria, che determina l’umana tendenza ad immaginare il futuro estendendo il presente ed applicando al domani le condizioni dell’oggi ; chi invece conosce la totalità del tempo perché custodisce il ricordo, sa che il presente non è una prosecuzione del passato ma un suo rovesciamento, e può perciò profetizzare che il futuro non sarà una prosecuzione del presente, ma un rovesciamento del rovesciamento, cioè un ritorno del rimosso, non dall’inconscio ( personale o collettivo che sia ) ma dall’Infinito.

La conoscenza concreta del mondo è condizione per poter avere i punti di riferimento e il relativo senso dell’orientamento, necessari a indirizzare i propri passi fino a individuare gli sportelli che sigillano gli sfiatatoi dei condotti d’aerazione, in cui è possibile introdursi, e percorrerne tutta la lunghezza fino all’estremità opposta, che sbocca sull’atmosfera da cui il palazzo, come fosse il polmone di un fumatore, pompa il poco ossigeno che filtrando attraverso il catrame da cui le sue cellule sono incrostate, arriva a noi ( che saremmo i globuli rossi in attesa negli alveoli cancerosi ) soffocati dalla sua insufficienza. I coperchi in questione sono gli oggetti ostruenti asportabili, che sembrano a volte cose ( reliquie, suppellettili liturgiche, accessori consacrati nel corso di cerimonie religiose o benedetti per essere usati in pratiche devozionali come i rosari, strumenti magici magnetizzati come amuleti e talismani, libri come testi sacri, poemi epici, trattati filosofici e teologici, opere d’arte che siano capolavori destinati ad avere una durata millenaria, etc. ) a volte persone ( sacerdoti, confessori, mistici, individui illuminati, conservatori di tesori e depositari di segreti e di misteri, guardiani della soglia con enigmi da far risolvere e parole d’ordine da chiedere e prove a cui sottoporre, combattenti della guerra santa, maestri di verità ed esempi di virtù, architetti, musicisti, pittori, poeti, scultori, che siano stati scelti dalle Muse per svolgere la propria attività al Loro servizio, etc. ) a volte luoghi ( tombe di martiri, santi ed eroi ; chiese, eremi, conventi, monasteri, logge e templi ; sedi di organizzazioni iniziatiche, di confraternite e scuole di perfezione e di sapienza, etc. ) ma non sono mai né cose né persone né luoghi, perché ( contrariamente alla maggior parte delle cose, che sembrano cose e sono cose ; contrariamente alla maggior parte delle persone, che sembrano persone e sono persone ; contrariamente alla maggior parte dei luoghi, sembrano luoghi e sono luoghi ) non formano un tutt’uno con lo sfondo, non sono fusi ad esso – lo erano, prima che fossero, da forbici nei cui anelli non sono infilate dita, ritagliati dal grande foglio di carta del cosmo, e resi simili a pezzi mancanti di un puzzle o tessere staccate da un mosaico a martellate – ed anche qui in assenza di mani impugnanti.

Da un punto di vista fisico non c’è differenza fra vapore-condensato e ghiaccio-liquefatto : è sempre acqua. Ma da un altro punto di vista il vapore-condensato non è ghiaccio-liquefatto, e l’acqua non è la stessa a prescindere dal fatto che sia vapore-condensato o ghiaccio-liquefatto, ma una certa acqua è l’una o l’altra a seconda del caso, a seconda del modo in cui si è formata, perché ogni cosa è due cose compenetrate : la presenza e la provenienza di cui il suo orientamento mantiene la memoria, perché ciò che occupa la posizione mediana ( l’acqua ) è rivolta verso l’alto se è salita dallo stato solido ( il ghiaccio ) oppure è rivolta verso il basso se è discesa dallo stato gassoso ( il vapore ). Se ne ha un esempio nell’Eucaristia : lo stesso liquido che prima della consacrazione è spremuta d’uva ( prodotto della terra ), transustanzia nel Sangue di Cristo ( Spirito Santo solidificato, “piovuto” dal Regno dei Cieli ) ; quello che era un oggetto ostruente ( il calice colmo di vino ) viene asportato mediante l’atto sacramentale. Ma contrariamente a quanto afferma la teologia cattolica, a rimuovere l’occlusione è il celebrante, la cui inadeguatezza e indegnità invaliderebbe l’operazione compiuta, cosicché il comunicando, che accostasse al calice le labbra, non ci troverebbe quell’ossigeno luminoso, che è il Soffio che esce dalla Bocca di Dio, da travasare nella propria gola, ma alcol. Questa tesi, sostenuta dal vescovo di Numidia Donato e condannata dal concilio di Cartagine ( una delle tante mosse nella secolare partita a scacchi, giocata dalla chiesa apostata contro il suo stesso Fondatore, guidata da una lucida e lungimirante strategia di sistematico smantellamento del suo lascito o passaggio delle consegne per quel cambio della guardia in grande stile che fu la sua Ascensione ) ha implicazioni importantissime. Per quanto riguarda il rapporto col passato : la successione apostolica è come una cinghia di trasmissione, che per funzionare deve essere continua, ma la regolarità della sequenza non basta ad assicurare che sia ininterrotta, perché il fatto che ogni anello sia agganciato al precedente non garantisce che tenga : finché non sia stato saldato può sempre sfilarsi, spezzando così la catena in quel punto ; ma la saldatura è la santità, che non è una ciliegina senza la quale può comunque esserci una torta : in questo caso la torta è intrinsecamente torta-sotto-la-ciliegina, né più né meno di quanto la ciliegina sia intrinsecamente ciliegina-sulla-torta. Per quanto riguarda il rapporto col presente : la fede non è credenza ma potenza ; la fede può smuovere le montagne perché è una forza magnetica e serve ad agire ; non c’è inconciliabilità tra la visione religiosa della vita e la sua concezione magica : il cristianesimo ha ereditato dall’ebraismo la proibizione delle cosiddette “pratiche occulte”, ma è un pregiudizio giudaico dovuto esclusivamente all’esigenza che ebbe Mosè di costringere il popolo d’Israele a separarsi irreversibilmente da ogni cosa che rischiasse di rievocare una Saggezza che andava rigettata perché percepita come egiziana. Per quanto riguarda il rapporto col futuro : il comandamento evangelico “siate perfetti come è Perfetto il Padre vostro che è nei Cieli” ha come suo presupposto la perfezione potenziale dell’essere umano, ed avalla più verosimilmente il cabalismo rinascimentale di Pico della Mirandola, che non il tomismo, col quale ha un’affinità di molto minore ; il futuro non è post-mortem ma tutt’al più posdomani, non in un’altra esistenza ma in un’altra giornata, appena girato l’angolo, alla portata non del peccatore pentito che fa penitenza confessando le sue colpe e chiedendo perdono nella speranza che il Signore accolga la sua supplica ( e soprattutto che il sacerdote lo assolva ), ma di chiunque allunghi le mani per afferrarlo, impegnandosi in un lavoro finalizzato allo sviluppo armonico dell’uomo in accordo con la volontà divina ma non in attesa di ricevere la grazia come un dono immeritato bensì con lo sforzo cosciente e la sofferenza volontaria.

Il significato delle metamorfosi che avvengono nelle leggende non è riducibile alla saggezza dozzinale secondo cui “l’apparenza inganna”, perché questo è vero fino a un certo punto : non sempre lo fa ; la verità non è che “niente è come sembra” ma che “non tutto è come sembra” : tra centinaia di oggetti dall’aria familiare si nascondono quelli che l’eroe dovrà trovare affinché la sua impresa abbia esito favorevole, e tra migliaia di comuni mortali in cui ci imbattiamo quotidianamente ci può capitare di fare l’incontro non solo con uomini straordinari ma addirittura con un dio in incognito ; equidistanti da ambedue le reductio ( ad-unum aut ad-nullum ) favole e storie sacre non cominciano “c’è sempre stato” o “non ci sarà mai” ma “c’era una volta”, “in quel tempo”. L’agnizione finale con cui si concludono è la scoperta di un’ontologia antologica che include solo il meglio, al contrario del catalogo onnicomprensivo d’un collezionista compulsivo.

Vittorio Varano

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