11 Aprile 2024
Punte di Freccia

Indecenti e servili IV: l’onda lunga del Quarnero – Mario Michele Merlino

Se qualcuno si illude – con ipocrita modestia allarga le braccia e si dice ‘rassegnato’ – che simili a punte di freccia (primitive e rudimentali di dura selce) abbia intenzione di esaurire l’insulto e il disprezzo lancia ed arco contro gli indecenti e servili, cade in grossolano errore. Non più bastoni e barricate, purtroppo, solo una tastiera. Poca cosa, lo so. Epitaffio mio ed epitaffio per gli imbecilli.

Verso le otto del mattino, 3 maggio 1945, uomini armati, duri nel volto, con la stella rossa impressa sul berretto, occupano le vie d’entrata della città. Su Fiume l’alba si era annunciata, premessa di un sole assassino. Un addio – e per sempre – alla gioia della primavera là dove le viole sbocciano nei prati e le rose selvatiche fra le piante rampicanti dei giardini; nel mare non una vela una rete gettata nelle acque l’onda si perde sulla riva fra il rovinio del molo e le gru abbattute e solo i gabbiani volano fra le macerie alla ricerca di una sosta negata; le strade deserte le porte sbarrate le persiane serrate, come d’inverno quando il vento soffia rigido e porta con sé pensieri e malinconie, negozi vuoti e muti. L’attesa di una tragedia annunciata.

Eppure quanta gioiosa follia aveva conosciuto ‘alla festa della rivoluzione’ in quel 12 settembre del ’19 quando il poeta Gabriele D’Annunzio era entrato in città con la divisa da ufficiale dei lanceri di Novara e sull’automobile rossa e scoperta. Redenta la città a cui erano accorsi volontari da tante parti d’Italia. Furono giorni furono mesi fino al Natale di sangue del ’21 quando l’interminabile colonna di legionari raggiunse il cimitero di Cosala per l’estremo addio. Il Comandante pallido, a capo chino, la bandiera che aveva avvolto il corpo di Randaccio a simbolo di abbraccio collettivo. Così moriva quella stagione di intenti di promesse di visioni grandi.

La Carta del Carnaro promulgata l’8 settembre 1920 (quale abisso inenarrabile con altro infame 8 settembre!), la poesia divenuta costituzione, la più audace del XX secolo. ‘La vita è bella, e degna che severamente e magnificamente la viva l’uomo rifatto intiero dalla libertà;/ l’uomo intiero è colui che sa ogni giorno inventare la sua propria virtù per ogni giorno offrire ai suoi fratelli un nuovo dono;/ il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se sia ben eseguito, tende alla bellezza ed orna il mondo? Utopia? E’ che un mondo privato dei sogni delle emozioni del fanciullo, di cui parlano Eraclito e Nietzsche, è premessa di sbarre e chiavistelli…

Alle dieci, dalla collina, scende una lunga fila di uomini e animali. Silenziosi, arroganti nell’aspetto e pur spauriti di fronte ai simboli semplici e sconosciuti della città, quel fregio sulla facciata il davanzale di ferro battuto le verande le vie ordinate con i marciapiedi allineati. Occupano un corpo, uno scheletro, un fantasma, lacerano la sua carne per strapparne l’anima a loro estranea e non la trovano. Essa, di nobile fattura italiana, s’è nascosta e partecipe dell’esodo di trecento mila istriani e dalmati… Scendono con le bandiere con i barattoli di vernice a scrivere sui muri l’effimero trionfo si insediano in caserme abbandonate i caporioni preparano liste di proscrizione affilano i coltelli pulizia etnica (meno di cinquanta anni dopo il medesimo gioco al massacro fra loro!). Gli ordini sono chiari, la ferocia è innata, con ogni mezzo eliminare le tracce secolari della presenza italiana. E il via alla mattanza ha inizio la notte stessa. Per tre giorni consecutivi finchè saranno i loro stessi comandanti a decretare venia.

Ho avuto come alunna la figlia di un istruttore della scuola per sottufficiali, Fiamme Gialle, di via XXI Aprile. Gli chiesi se sapeva di una lapide il nome di una stazione della Guardia di Finanza o un qualsiasi altro riconoscimento alla figura del maresciallo Vito Butti, responsabile della stazione di Borgomarina (alle porte di Fiume), fucilato il 16 giugno ’45, sembra, a Grobnico, località dell’entroterra fiumano dove oltre cento italiani, in massima parte delle forze dell’Ordine, vennero assassinati e di molti di loro non si ebbero più traccia. La risposta fu negativa, come del resto supponevo. E, nonostante l’istituzione del ‘Giorno del Ricordo’ (10 febbraio) su foibe ed esodo, poco s’è dato a misura del cambiamento. Basterà quale esempio lo sceneggiato Il cuore nel pozzo, ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri, dove mai una volta i partigiani titini, assassini infoibatori, vengono chiamati ‘comunisti’…

Del resto non esiste una memoria unitaria e condivisa – non può esserci e, aggiungo, è bene che ciò sia così. Se i vivi non furono uguali, con le loro emozioni e i sentimenti e le ragioni; i morti non sono da meno. Si può, questo sì, chiedere rispetto… ma finchè i guitti e i ciarlatani trovano nella vanità di indecenti e servili intellettuali sponda per imbellettare il grugno e lustrare patacche la storia il senso di appartenenza e la militanza (termine ormai desueto) finiranno nel trogolo dei cattivi pensieri. Dove di recente ci si insegna come in una settimana ogni giorno era ‘il giorno della memoria’ e, in ‘casa nostra’ ci basta scorrere le pagine di fb per incontrare miserevoli connubi, trovate di accatto all’ombra di simboli a noi cari. Tanto basta, per ora.

Quando i titini entrano in Fiume, Vito Butti si trova in casa con la moglie croata con le figlie. Qualcuno bussa alla porta e l’avverte che i partigiani stanno portando via i giovani finanzieri della stazione di Borgomarina. Non vi sono esitazioni, non un moto di incertezza il pensiero fugace di nascondersi salvare la pelle. Chiede alla moglie di portargli l’uniforme d’ordinanza, che lei stessa gli ha cucito, l’indossa abbraccia la moglie e ‘Non posso lasciare soli i miei ragazzi!’. Va come si recasse ad una cerimonia ad una parata. Proviamo a immaginare, con gli occhi della mente e del cuore, il maresciallo Vito Butti nella sua divisa stirata e che gli calza a pennello. Proviamo ad immaginarlo, figura tragica e solitaria – la grandezza rende sempre l’uomo solo – che attraversa le strade desolate dietro sguardi ostili o stupiti. Diritto e sicuro. Lo ritroveranno, giorni dopo, denudato il corpo torturato. Un tipo umano, il senso del dovere, un ‘regnicolo’ (era nato in Romagna) venuto al di là dell’Adriatico, in terra d’Istria in terra d’Italia.

Tra pochi giorni, la data del 10 febbraio, in un paese che non può e non deve e non vuole ricordare. Un paese che di Vito Butti non sa che farsene, lesto a dimenticare… Nei medesimi giorni il festival di Sanremo. Un rito imperdibile. Meglio accendere la televisione. In fondo qualcuno cantava ‘sono solo canzonette’.

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