28 Aprile 2024
Cinema Tradizione Romana

Il Primo Re: la fondazione della Roma … coatta! – Umberto Bianchi

Se uno lo va a vedere senza alcuna profondità d‘intenti, che non sia quella del puro svago, allora “Il Primo Re”, il film italo – belga da qualche giorno in proiezione nei cinema italiani, altro non passa che per un bel brogliaccio d’azione, dal ritmo sicuramente avvincente, accompagnato da alcune panoramiche e da una fotografia niente male, ma se, invece, qualcuno pensa di ravvisare un qualche, sia pur lontano elemento della vicenda della fondazione dell’Urbe, allora si sbaglia di grosso. Quella di Matteo Rovere costituisce un’evidente ed indebita falsificazione e deformazione della storia dei primordi di Roma, lontana anni luce da quel contesto di cui pretenderebbe narrare le vicissitudini.

Tanto per andare sul concreto, esaminando più da vicino la trama del brogliaccio. La vicenda inizia con l’immagine bucolica di due bruti, nei panni dei gemelli Romolo e Remo che, barbe e capelli incolti, alle prese con il proprio pecorume, sono presi dall’improvviso sopraggiungere di una piena del Tevere nel proprio alveo, che tanto ricorda un Universale Diluvio in versione laziale. I due giovanotti, sbattuti qua e là dalla furia di quello “tsunami”, riescono a sopravvivere non si sa come ed, in un contesto di abbandono e desolazione, tra carcasse di armenti e masserizie varie, vengono raccolti, legati e caricati come salami su un carro bestiame, dopo aver ricevuto una scarica di legnate dagli abitanti di Alba Longa, ivi sopraggiunti a saccheggiare i resti di quel disastro.

Condotti in una preistorica Alba, i due gemelli, rinchiusi in gabbia assieme ad altri disgraziati, vengono costretti a prender parte ad un mortale torneo di lotta, all’insegna del “vale tutto”, sotto gli occhi di una turma di sporcaccioni, barbe e capelli lunghi, in un perfetto “rastafari style”, ricoperti di laidi perizomi e di una allucinata Vestale che inaugura le tenzoni in nel nome di una fantomatica “Triplice Dea” (?????). Il racconto prosegue incalzante, con la ribellione dei prigionieri che sopraffanno i propri carcerieri e fuggono attraverso un’oscura foresta, portandosi appresso Romolo ferito in modo quasi mortale e la scalcinata e nevrotica Vestale, con tanto di fuoco sacro in versione da viaggio, rinchiuso in un bel vaso a tracolla, tipo borsa di Tolfa, (tanto per non smentire le neorealistiche aspirazioni del film).

Tra vicissitudini varie, tentativi di tradimento e quant’altro, Remo assume il comando della lieta brigata e dopo un feroce scontro con i guerrieri della tribù che vantava la proprietà e l’esclusivo diritto di accesso a quella oscura foresta, si erge a signore e re del villaggio di questi ultimi. A seguito di una profezia della Vestale, proferita leggendo le interiora di un agnello (???), Remo viene informato che, per assurgere a grandezza, uno dei due fratelli avrebbe dovuto uccidere l’altro. Sconvolto da quanto udito, il nostro combattivo gemello, va letteralmente “nel pallone”. Dopo aver lasciato la povera Vestale incatenata nella foresta, alla mercè delle fiere, incendia e distrugge il villaggio conquistato e si allontana con i suoi. Nel frattempo Romolo, ritornato non si sa come in salute, si erge a rappresentante della primigenia “pietas” latina, offrendo onori religiosi alle vittime della furia del fratello e riaccendendo il fuoco sacro, spento dalla furia iconoclasta di questi.

Il film si conclude con una battaglia in riva al Tevere tra gli uomini di Alba ed il gruppetto degli accoliti di Remo. Romolo, ivi giunto per un senso di gratitudine fraterna, a conclusione della battaglia e dopo l’ennesima alzata di capo del fratello, dopo aver dichiarato la sacralità di quel sito e la inviolabilità di un “limes”, da lui identificato in un pezzo di legno (???), di fronte all’ennesimo atto di tracotanza del Remo, da questi aggredito, dopo aver passato il sacro “limes”, si trova costretto ad ucciderlo. Un bello e commovente discorso finale di Romolo sulla futura grandezza di quel primigenio sito, chiude un film, stracarico di inesattezze e totalmente campato in aria, in relazione alle vicende della nascita di Roma.

Punto primo. Il fatto che, all’epoca della fondazione dell’Urbe, il Lazio fosse sicuramente più selvaggio di quanto non lo sia oggidì, è innegabile. Ma che nella regione attorno al Campidoglio, vi fossero capanne, non significa che i popoli laziali fossero totalmente primitivi o degradati, anzi. Attorno a quell’epoca l’Italia Centrale pullulava di città autonome e civilizzate, Latine (Tibur, Praeneste, etc.), Etrusche (Tarquinia, Pyrgi, Caere, Chiusi, etc.), senza contare la presenza di Umbri, Volsci, Sanniti, Ernici, Sabini, ivi presenti a vario titolo con tradizioni e civiltà consolidate. Le testimonianze, i riscontri archeologici ad oggi in nostro possesso, ce la dicono lunga, a riguardo. Ora, fare dei primitivi Latini una manica di sudici e sanguinari pezzenti, privi di quel senso di “pietas” che si sarebbe trasmesso quale valore aggiunto ai Romani, ci pare una grossolana ed offensiva inesattezza.

Punto secondo. Dalle raffigurazioni in nostro possesso l’intera “koinè” greco-italica, già a quell’epoca, possedeva una certa foggia nel vestire e nel curarsi, non assolutamente riscontrabile nel film. Qui ci sembra, piuttosto, di aver a che fare da una parte, con un insieme di rasta-hippy, abbrutiti e degradati. I volti della turma al seguito dei due gemelli, tra orecchie mutilate, sorrisi da deficienti e minus habens dai tratti fisici lombrosiani, non corrispondono affatto alle rappresentazioni del mondo classico. A tal proposito, fa bella mostra di sé, un esemplare della turma, un ciccione basso, brutto e pelato, tale “Cai” (???? Nome mai sentito in Latino, sarà forse una versione onomatopeica di un latrato canino???). Il ciccione, in mezzo alla foresta, preso dallo sconforto e dalla paura assieme ai suoi compari, cerca per la seconda volta (dopo un primo tentativo concluso con l’accoppamento, da parte di Remo, di un componente di quella allegra comitiva …), di far fuori il Romolo agonizzante, perché costui, nel toccare ed essersi fatto toccare dalla premurosa Vestale avrebbe, a loro dire, attirato l’ira degli Dei e la sfiga più nera.

Al pari del primo tentativo di far fuori Romolo, anche questo, però, grazie alle maledizioni lanciate dalla Vestale dal terreo sguardo, non riesce e, non si sa come, passa sotto silenzio. Remo, al rientro da una fortunata caccia, di tutto ciò non verrà informato ed il nostro “Cai” continuerà impunemente nella sua opera molesta, stavolta però contro le donne del villaggio occupato, sinchè, a fine film, dopo l’ennesima sbrasata, non finirà infilzato da Romolo. A ben guardare, gli stessi abitanti del villaggio, tra capelli ricci a palla e pelli di capra, hanno molto più a che fare con una versione miserella dei rispettabilisssimi indigeni della Papua Nuova Guinea, che non con gli antichi Latini.

Punto terzo. Tutte le vicende narrate sono inventate di sana pianta. Nella leggenda, il Tevere non ha mai travolto Romolo e Remo, né il primo risulta esser mai stato ferito, né Remo ha mai ucciso una Vestale o incendiato villaggi e così via dicendo. La religiosità latina e centro-italica dell’epoca, che vedeva i vari pantheon intersecarsi vicendevolmente e già in possesso di determinati requisiti, (ricordate la Triade di Iguvium, etc.?) è qui volutamente ignorato e distorta, in favore di improbabili invocazioni a Triplici Dee (???) o a remoti e quanto mai generici”Dei”. Né si capisce chi sia il tizio pelato avvolto di fiamme che il Remo, forse in preda a cattiva digestione, dopo aver mangiato la carne cruda di un cervo da lui ucciso, vede far capolino da non si sa dove, durante una sosta nella oscura foresta. Forse un inconscio presagio o un mortifero augurio nei riguardi del molesto “Cai”, anch’egli pelato e robusto, al pari della figura che appare al Nostro…

Assolutamente surreali e privi di fondamento i tentativi di approccio del Remo con la Vestale e la lettura che costei, a sua volta, fa delle viscere di agnello (pratica, questa, l’aruspicina, di stretta competenza dei Lucumoni Etruschi, sic!), Né vi è traccia o menzione alcuna, di Giano e Saturno, di Pico, di Marte e Rea Silvia, di Amulio, della Lupa, della fondazione della Roma quadrata, dell’omicidio rituale di Romolo e così via dicendo… l’aver voluto ignorare l’intero corpus mitico romano, in favore di una versione all’insegna di un presunto e belluino “storicismo” d’accatto, a proposito della genesi dell’Urbe, significa non aver capito assolutamente nulla dell’intera vicenda e dello spirito che ne anima lo svolgimento.

Qui, mito e storia sono strettamente interrelati e assolutamente non disgiungibili, almeno sino al settimo ed ultimo Re di Roma. L’Urbe, al pari di Atene ed altre famose città dell’antichità, nasce nelle nebbie del mito, facendosi essa stessa archetipo vivente ed il cercare di dare un’interpretazione prettamente storica alla cosa, è insensato ed inutile, al pari dello stesso lavoro, volto a ricercare un riscontro razionale e quasi matematico al mito ed all’archetipo. Questo perché, vi sono realtà che nel loro manifestarsi presentano degli insondabili limiti, dati proprio dalla analogica “circolarità”, dal continuo rimando, tipici della forma-cultura tradizionale, che invece, la attuale cultura di matrice illuminista, non può, se non minimamente, penetrare, a causa dei diversi parametri, su cui ambedue sono imperniate. Eppure, il mito è in grado di fornire emozioni al pari e molto più, di una storia cinematografica inventata a tavolino.

Mi si permetta. Detesto i Kolossal americani, ma stavolta, un Ridley Scott o il regista de “Il Signore degi Anelli”, avrebbero saputo far di meglio. Meglio sicuramente, della nostra cinematografia afflitta da un complesso di inferiorità che trova la sua origine, nel post bellico catto-comunismo e nei suoi pasoliniani “accattoni”. Se le nostrane squallide versioni televisive anni ’60 e ’70 dell’ “Odissea” con Bekim Fehmiu e dell’”Eneide”, ci trasmisero l’immagine di un’antichità di Dei ed eroi vestiti da hippy pezzenti e stravaganti, il Remo de “Il primo Re”, ci riporta all’immagine di un bell’esemplare di “coatto” di periferia, dagli occhi sbarrati da un bel mix di coca ed anfetamine, un tizio che urla e mena di coltello senza tante storie, affiancato da un Romolo che, più che l’eroe-fondatore di Roma, sembra riportarci ad una versione giovanile di Massimo Ferrero, il presidente della Sampdoria, dal Crozza nazionale rappresentato sempre barcollante e semi ubriaco, qui infilzato a mò di tordo ma, egualmente in grado di sopravvivere e combattere non si sa come, circondato da una turma di ragazzini in abito rasta-papuasico.

A ben guardare il film, c’è da chiedersi come una sgangherata combriccola del genere, sia riuscita a sconfiggere un’orda di cavalieri armati di tutto punto ed abbia poi potuto addirittura fondare l’Urbe…Domanda inutile e capziosa. Film come questi, sono fatti apposta per deprimere, distorcere ed offendere una vicenda che, con tutto il suo portato mitico, dovrebbe rappresentare orgoglio e vanto per un paese, le cui origini affondano nelle radici di un pluri-millenario archetipo. Il risultato invece, è stato un truculento canovaccio, una via di mezzo tra l’ “Apocalypto” di Mel Gibson, i recenti film americani a base di una mitologia greca totalmente sfalsata, con un briciolo di italico e pezzente neo-realismo…E quel che, in tutto questo, fa più male, sono alcune entusiastiche recensioni cinematografiche, scritte da giornalisti professionisti, pertanto da gente che si suppone abbia studiato e che, in questo caso, invece, ci dimostrano un’ignoranza ed una mala fede, veramente senza limiti né vergogna.

UMBERTO BIANCHI

4 Comments

  • Nebel 4 Febbraio 2019

    È esattamente così. Il film vuole imporre le idee tanto di moda in questo neomedioevo:

    – Il dio è femmina, addirittura triplice
    – L’impero romano è fascista ed è nato da violenza, rozzezza e ignoranza
    – Mentre in Oriente fiorivano civiltà avanzatissime in ogni manifestazione dell’umano, in Europa si andava ancora a caccia di mammut e si risolvevano i conflitti a randellate

    L’aperta e chiarissima mistificazione della storia, sdoganata dal cinema americano di sensazione fin da quando lo stesso esiste, ora è accolta a braccia aperte da un pubblico ignorante, politicamente corretto e in sintonia con i tempi. Trent’anni fa un film del genere sarebbe stato stroncato dalla critica, dai professori delle scuole e da qualunque liceale classico che avesse la sufficienza in storia. Ora, complici ignoranza e plagio delle menti, lo si può accettare e accogliere senza che nessuno alzi una critica, pena il meritarsi la nomea di fascista. Per quanto riguarda l'”Odissea” andata in onda sulla RAI alcuni decenni fa, avrà pure abbigliato i protagonisti in base alla moda vigente di allora e mandato ad abitare re e regine in palazzi più simili a casali di campagna che a regge. Ma non si osò manomettere, interpretare ‘artisticamente’, rivedere in chiave moderna il mito, le vicende di Ulisse e i versi eterni di Omero. Per rispetto e in omaggio all’opera e alla tradizione. Sentimenti ormai fuori moda.

  • Primula Nera 5 Febbraio 2019

    Lo sceneggiato Rai de l'”Odissea” l’ho trovato notevole,non concordo affatto nel definirlo squallido ; in particolare l’episodio di Polifemo firmato Mario Bava (uno dei più grandi registi italiani di quegli anni) è di una potenza espressiva impareggiabile.
    Sulla recensione del film “il primo Re”sono d’accordo in toto su quanto espresso dal recensore.

  • Laura 9 Febbraio 2019

    Primula Nera, esatto, lo sceneggiato Rai “L’Odissea” è una produzione eccezionale tutt’altro che squallida.
    Qua alcuni spezzoni tra cui la gara con l’arco https://www.dailymotion.com/video/x2mzlpj

  • Andrea 11 Febbraio 2019

    Mi allineo per l’odissea, per resto: 10 e lode a Umberto Bianchi

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